[30. Morte]
Kyriaki Savvopoulou.
Venticinque anni. Attendente.
Aveva la parlata aspra delle motagne di
Arcadia, di una terra madre di uomini orgogliosi, che avevano sacrificato alla
propria coscienza anche la vita. Aveva i modi ruvidi della cavezza al muso
degli asini che si arrampicano per le strade strette di Stemnìsta, e nelle mani
la raffinatezza degli argentari, quando lisciava la stola sacerdotale.
Al Santuario tutti sapevano chi fosse.
“L’ho ucciso. Con queste mani.”
“Ti era fedele.”
“Molto. Forse troppo.”
“Lo rifaresti?” gli chiede Kanon, il
frullare di una falena in alto, attorno alla lampadina. “Tornassi indietro. Lo
rifaresti?”
“Se fosse necessario. Sì.”
Decisamente
la pressione a me fa bene.
Non
quella atmosferica, che in questi giorni sembra ballare la macumba nel mio
cielo; né quella arteriosa (o è quella venosa?). Anche quella ultimamante predilige
i calienti balli latini.
La
pressione cui mi riferisco in cotali circostanze è quella, aihmè abituale,
delle ultime settimane scolastiche, con annesse interrogazioni, valutazioni,
temi in poll-position e scrutini finali a degno coronamento di sudato anno
scolastico.
Dalla
parte del docente.
E fra
questo, la preparazione per gli esami il cui comunicato è capitato fra capo e
collo simile alla mannaia del boia con tanto di ghigno di stregatto, visto che
se qualcosa vuoi provare a ottenre, quella benedetta scure devi sentirtela
sulla nuca, riesco anche ad aggiornare (no. Mare greco non ancora) con Saga e
Kanon.
Qualcuno
me ne ha indotto nostalgia. Vuoi anche la complicità di certe lezioncine di
iliadica ascendenza con cui vado a nozze.
In
sostanza, rieccomi qui (più simile ad una mosca bianca che al tradizionale
fulmine a ciel sereno, a onor del vero), per i miei 5 lettori (e mezzo. Li
altri, temo ormai, di averli smarriti per strada, complice questa altalena “editoriare”).
E so
che mi attirerò gli strali di quei pochi che ancora resistono, tenaci.
Ma io
Saga proprio non riesco a vedercelo, remingo e depresso e buonista. Perché,
ammettiamolo, di buonismo ne troviamo fin troppo, ad ogni angolino di strada.
Io
Saga lo vedo così.
È un
soldato. È propto a uccidere. Per Atena. E per se stesso, se questo significa
ottenre quello che Atena vuole. Perché di qualcuno che fa il lavoro sporco; di
qualcuno che si sporca le mani e non si limita alle belle parole Atena ne ha
bisogno. Ne ha sempre avuto bisogno.
Come
di eroi glorificati dalla memoria (e no. Non sto parlando di Sagitter).
Sporcarsi
le mani, per Saga, è stato soprattutto (per me) il lucido assassinio di Kyriaki
Savvopoulou.
Chi è Kyriaki Savvopoulou, vi sarete chiesti
(o forse no) a questo punto.
Bene. È
una bella domanda.
Perché
fino a poco fa nemmeno io sapevo chi fosse.
È uno
di quei tanti personaggi di cui Kurumada ha farcito il manga, concedendo loro l’onore
di una comparsata, e l’onere di un infamante anonimato.
Kyriaki,
per amor di cronaca, è quel ragazzone che compare di sfuggita (tre pagine
appena, saltellando un po’) sul numero 7 di Saint
Seiya edizione Star Comics (2000).
Il
nome è mia invenzione, la sua dedizione al Sacerdote no. È attraverso di lui
che, effettivamente, vediamo Saga durante gli anni dell’usurpazione. Pochi
istanti, per carità, e a ridosso proprio dell’incotro fra Saori e Aioria. Tuttavia,
l’idea di ambiguità che caratterizza Saga, la sua duplicità è lì nel resa. Soprattutto
a fronte del lettore onniscente (o quasi) dei fatti semicontingenti.
Kyriaki,
quindi, nella mia fantasia è questo ragazzo arrivato ad Atene dall’Arcadia, a dispetto del suo nome di
ascendenza letteraria aspra regione montuosa del Peloponneso, con un poprio
orgoglioso che ben può vantare il ricnoscimento di lingua: l’arcadico-cipriota,
di antichissima ascendenza.
Ho
immaginato che Kyriaki fosse un discendente dei Savvopoulou, una famiglia di
cesellatori e argentari famosa a Stemnìsta,
villaggio semisconosciuto e abarbiccato in una valle centrale del Peloponneso e
ai tempi della lotta d’indipendenza prima capitale della Grecia. E che con la
sua abilità portasse ad Atene la sua religiosità arcaica e ferina, quasi
primordiale. Non tanto pura in sé, ma capace di credere in un miracolo anche
quando questo poi ha il colore del sangue, anche se puzza sempre di sangue (e i
bagni, che io sappia, non tolgono gli effluvi mentali).
Kanon,
cosa ne pensa al riguardo, lo sapremo presto. Confidate!
P.S.
Chiedo
venia per le veloci risposte alla recensioni.
Lo
avrete capito: il tempo è purtroppo tiranno!