19)Pupazzi di neve.
Sabato
arriva fin troppo presto per i miei gusti.
Sono
molto curiosa di vedere cosa combinerà, allo stesso tempo
dovrò fare un certo
discorso imbarazzante con mia madre.
Decido
di affrontarlo subito dopo pranzo, via il dente, via il dolore.
“Mamma,
posso parlarti?”
“Certo,
tesoro.”
“Forse
è meglio che andiamo in camera mia.”
Lei
annuisce e trotta dietro di me, che sono sulle spine e sudo freddo,
nonostante
sia maggiorenne.
“Dimmi,
cara.”
Io
mi siedo sul letto.
“Mamma,
senti non è un discorso facile da fare per una figlia, ma
devo farlo.
Stasera
Tom mi ha invitata da lui e rimarrò anche a dormire e sai
cosa significa
questo. Volevo che lo sapessi e che sapessi che ci comporteremo in modo
responsabile.”
Lei
sospira.
“Non
è facile nemmeno per una madre, sai?
Per
me sei sempre la bambina piccola che aveva sempre bisogno di me, ma ora
sei
diventata una donna e spero che tu abbia scelto bene a chi donare la
tua
verginità.
La
prima volta è importante e non va sprecata e sono felice che
tu abbia deciso di
aspettare così tanto e di avvisarmi prima.
Cerca
di prendere le dovute precauzione.”
Io
arrossisco e annuisco.
“Le
prenderemo.”
Lei
lascia la mia stanza e mi sento immediatamente meglio, forse
perché
l’incombenza è stata sbrigata e non si
è rivelata così terribile.
Adesso
devo solo sistemarmi e non sarà un’impresa facile,
mi faccio una doccia, mi
faccio la ceretta e poi guardo la mia immagine allo specchio: passabile.
Intanto
si sono fatte le sette ed è meglio che inizi a vestirmi, al
piano di sotto la
mia famiglia si sta mettendo a tavola.
Cosa
posso mettermi?
Decido
di mettermi delle calze a rete, una mini a fantasia scozzese, una
maglia nera
con un teschio piena di spille da balia e una felpa.
Con
pazienza mi stiro i miei capelli azzurri e mi trucco di nero, metto un
po’ di
profumo, prendo fiato e scendo.
Con
aria indifferente metto la mia giacca di pelle e gli anfibi, saluto la
mia
famiglia e prendo la borsa. Ho il cuore che mi batte a tremila, ho
paura che mi
esca dal petto e non sarebbe il caso.
Sto
per andare a fare l’amore con il mio ragazzo e si presuppone
che io sia viva e
non morta, sarebbe strano.
Che
pensieri assurdi, mi dico mentre salgo in macchina e rabbrividisco per
il vento
freddo di novembre.
Le
foglie cadono dagli alberi creando tappeti rossi, gialli e arancioni
sui
marciapiedi, l’autunno nono è male come stagione e
visto come punge il vento
forse quest’anno a Natale avremo la neve.
Sarebbe
un sogno.
Guido
tranquilla fino alla casa di Tom, non appena ho parcheggiato fuori
dalla
villetta inizio a tremare, forse per il vento, forse per le residue
zucche di
Halloween che ora mi sembrano spettrali, forse per l’emozione
o l’impressione
di essere spiata.
Fatto
sta che suono subito a casa di Tom e lui viene ad aprirmi subito,
indossa i
suoi soliti pantaloni cachi larghissimi, una maglia dei blink e una
felpa
dell’Adidas aperta.
“Wow,
stai benissimo!”
“Ma
ho freddo.”
Lui
annuisce.
“Accendo
il camino, allora.
Tu
mettiti comoda”
Io
annuisco, attacco la giacca di pelle all’attaccapanni e vado
in salotto, mi
siedo sul divano e guardo Tom darsi da fare con la legna per accendere
il
benedetto camino.
Finalmente
ce la fa e mi sorride raggiante.
Si
siede accanto a me e mi passa un braccio attorno alle spalle.
“Va
tutto bene, tranquilla.”
Io
annuisco e mi godo il contatto, complice il calore che esce dal camino
un po’
della mia tensione si scioglie.
“Ah,
mi sento meglio.”
“Sono
felice, anche perché devi assaggiare la mia
cucina!”
Io
annuisco un po’ preoccupata.
“Potresti
preparare la tavola, Chia?”
“Sì,
certo.”
Mi
indica dove trovare le cose e io preparo diligentemente la tavola per
due
persone, devo metterci anche qualche tocco romantico?
Mentre
rifletto sulla questione, Tom arriva con una teglia di lasagne
– che sembrano
preriscaldate – che
emanano un buon
profumo.
“Woah!”
“Ovviamente
quello che hai visto non uscirà da questa casa.”
“Ovviamente!”
Ci
sediamo e Tom divide le porzioni, ne mangiamo due abbondanti.
“Ah,
che buone.”
“Adesso
ci sono le cotolette e poi il dolce.”
A
me brillano gli occhi, mi piace che il mio ragazzo cucini per me.
Le
cotolette sono un po’ bruciacchiate, ma sono buone lo stesso,
per un
principiante non sono affatto male.
“Buone
anche queste, Tom.
Te
la cavi in cucina!”
“Grazie.
Per dolce mi sono fatto mandare una crostata dalla pasticceria
più vicina.”
Io
sorrido e appoggio una mano sulla sua, lui la stringe immediatamente.
“Non
fa niente, è stata una bella cena lo stesso.”
Lui
si alza e porta la crostata, è alle fragole con la panna, e
taglia due porzioni
abbondanti, che spariscono immediatamente.
Rigoverniamo
insieme la cucina e poi Tom inserisce la cassetta di un horror nel
videoregistratore, io mi avvolgo nella coperta. Poco dopo mi raggiunge
e siamo
in due abbracciati sotto la coperta, mentre parte il film.
Ora
sì che sto bene, spero solo che il film non sia tanto
sanguinolento, lo
splatter mi ha sempre fatto un po’ impressione. E se anche
fosse splatter avrei
una buona scusa per stare attaccata come una cozza a Tom.
Lo
guardo per un po’, poi finisco per nascondere la faccia
nell’incavo della spalla
di Tom per la maggior parte del tempo, solo alla fine lui mi scuote
delicatamente.
“Ehi,
piccola. È finito, puoi tornare nel mondo reale.”
Io
tiro un plateale sospiro di sollievo, poi mi alzo e pesco il pacchetto
di
sigarette dalla borsa, mi metto la giacca di pelle e insieme a Tom esco
a
fumare sul portico dei DeLonge.
Qualcosa
di bianco e piccolo sta scendendo dal cielo.
“Tom!
Sta nevicando!”
Urlo
felice.
“Perfetto!
È esattamente il tempo giusto per stare
a letto, al calduccio!”
Mi
fa ammiccante, io arrossisco come un pomodoro.
Riuscirò
a fare qualcosa così tesa?
Inspiro
una boccata della mia sigaretta, Tom mi abbraccia da dietro, ogni tanto
mi ruba
dei tiri ogni tanto mi lascia dei lievissimi baci sul collo che mi
danno i
brividi.
E
siamo solo all’inizio.
Dopo
aver guardato il film e giocato a carte in un atmosfera sempre
più carica di
tensione, Tom decide di andare a letto, io lo seguo.
La
sua stanza è abbastanza caotica, c’è
una finestra che dà sul giardino, una
scrivania ingombra di carta – alcuni sono compiti, altri
testi o spartiti di
canzoni – alcuni
ripiani con dei libri e
dei fumetti e uno stereo con annesso porta cd, in un angolo una
chitarra
classica piena di scritte come “Fuck”,
“Cock”,
una chitarra elettrica rossa piena di adesivi. un letto a
due piazze con
un bel piumone verde alieno e un armadio. Le pareti sono tappezzati da
posters
sugli alieni, sui Descendent e qualcosa sui blink.
È
una camera che mi piace, piena di personalità.
“Bella!”
Esclamo
sedendomi alla sedia della scrivania, lui si siede sul letto.
“Sono
contento che ti piaccia.”
Mi
guarda in modo strano, ipnotico, e io lascio perdere la sedia per
sedermi
accanto a lui e appoggiare la mia testa sulle sue spalle, lasciando che
un suo
braccio avvolga le mie.
“Sei
così bella e così fuori da ogni criterio che non
so come comportarmi.”
Mi
dice con una voce lontana.
“Non
voglio farti del male o scoparti come una delle tante, ma non so come
fare.”
“Io…”
Deglutisco
rumorosamente.
“Io
credo che sarà il tuo corpo a guidarti e a farti capire come
fare.”
“Hai
ragione.”
Si
volta verso di me, mi guarda con i suoi occhi castani così
intensi e mi bacia
con dolcezza, senza fretta, io rispondo adeguandomi piacevolmente al
suo ritmo.
Mi sembra di essere più vicina a lui ogni minuto che passa,
forse per i
brividi, forse per i piccoli flash back che vedo.
Una
mia mano si alza e accarezza il suo volto, lui sovrappone la sua per
sentire
meglio la mia carezza.
“Ti
amo!”
Sussurra
al mio orecchio prima di baciarmi in un modo più passionale,
adesso le nostre
lingue combattono e siamo presto in carenza di fiato, ma non importa,
giusto il
tempo di riprendere fiato e il bacio continua fino a diventare profondo.
Io
mi siedo su di lui e dalla mia posizione sento che anche solo questi
baci hanno
scatenato reazioni lì sotto. Non importa continuiamo, sento
le sue mani che si
spostano dai miei capelli a sotto la maglietta e mi accarezzano i
fianchi e
tutta la pelle nuda che riescono a trovare.
Io
gemo, lui con gentilezza mi toglie la felpa e la maglia e poi si ferma
un
attimo a guardarmi: i suoi occhi sono liquidi per il desiderio.
Io
gli do un piccolo bacio sulla punta del naso e gli tolgo impacciata la
maglia
dei blink, lasciandolo a torso nudo, come se fossi in una sorta di
trance gli
accarezzo i pettorali e poi seguo il contorno del tatuaggio dello
skyline di
San Diego con un dito: lo sento fremere sotto di me.
Finito
questo momento quasi magico, lui torna a baciarmi, poi scende a piccoli
baci
sulla mascella e sul collo, dove mi lascia un succhiotto.
“Tom!”
Gemo
io in preda al piacere e alle visioni.
Lui
si stacca e questa volta sono io che torno a baciarlo e a baciargli la
mascella
e il collo, le mie mani volano sui suoi muscoli, le sue giocano con
l’elastico
del mio reggiseno, lo tirano e
poi lo
lasciano andare.
Decido
che questo giochetto è durato fin troppo e –
seppur impacciata – mi tolgo il
reggiseno, Tom sorride e mi fa sdraiare, mi raggiunge immediatamente
dedicando
delle attenzioni ai miei seni che nessuno aveva mai fatto: li bacia, li
lecca,
li mordicchia.
Io
gemo sempre più forte e
viaggio nella
sua mente in un modo sempre più frenetico, chissà
lui cosa vede?
Con
dolcezza mi sfila gonna e calze e poi mi accarezza da sopra le mutande.
“Se
non vuoi fermami.”
“Vai
avanti!”
Dico
con voce rauca per il piacere, lui sorride, mi dà un piccolo
bacio sulla fronte
e si toglie i pantaloni, poi torna su di me.
“Adesso
farò una cosa, fermami se non ti piace.”
Piano
piano mi abbassa le mutande e inserisce un dito là, aspetta
un attimo e inizia
a muoverlo con abilità.
“Va
bene?”
“Va
bene.”
Rispondo
io con voce roca, sto gemendo e mugugnando troppo e quando lui
inserisce un
secondo dito quasi urlo di piacere. Lentamente mi porta
all’orgasmo solo con le
dita, ora so perché lo chiamano Hot Pants. È
riuscito a farmi vedere le stelle
anche senza connessione, per un minuto o due sono beatamente
disconnessa dal
pianeta Terra.
Torno
in me solo quando sento qualcosa premere sulla mia coscia, Tom ha
approfittato
di questi minuti per mettersi un preservativo.
“Sei
pronta?”
Io
annuisco, ancora più stordita.
Entra
in me con delicatezza e aumenta la forza e la lunghezza delle spinte
gradatamente, in modo che io non soffra. Quando smetto di essere
vergine per un
attimo sento dolore, ma passa in secondo piano rispetto al piacere che
sto
provando.
Io
gli graffio la schiena, lui seppellisce la testa tra le mie tette,
entrambi
siamo sudati e ansanti, gemiamo, sospiriamo e lasciamo che i nostri
corpi
parlino per noi.
Spinta
dopo spinta arrivo al secondo orgasmo e questa volta – prima
delle stelle –
vedo il piccolo Tom dentro la pancia di sua madre.
È
stato meraviglioso.
Lui
dopo essere venuto è crollato su di me, mi è
venuto spontaneo avvolgerlo in un
abbraccio e baciargli i capelli dolcemente, lui invece mi accarezza
piano i
fianchi.
“Com’è
stato?”
Mi
chiede.
“Bellissimo,
non potevo chiedere di più. Credimi.”
Lo
sento sorridere contro la mia clavicola, è bello stare
così, ma non può durare
per sempre visto che Tom si deve alzare per togliersi il preservativo e
già che
c’è dà un’occhiata fuori
dalla finestra.
“Oh,
Chia! Vieni!”
Io
mi metto addosso la sua maglietta e mi metto accanto a lui che mi
mostra
orgogliosamente il giardino imbiancato e la neve che cade ancora.
“Tom
facciamo un pupazzo di neve?”
“Perché
no?”
Si
rimette i pantaloni, ne cerca un paio per me e si mette
un’altra maglia, poi
entrambi usciamo e cerchiamo di ammonticchiare più neve
possibile. Dopo un po’
riusciamo a ottenere una palla non molto grande che farà da
corpo e poi una
palla più piccola che farà da testa.
Tom
corre in casa e torna con una carota che gli mette a mo’di
naso, bottoni
che mette per fare
la bocca e gli occhi
e gli mette una sciarpa gialla e rossa attorno al collo.
Io
gli bacio una guancia.
“È
bellissimo, amore!”
“Sì!”
Inaspettatamente
mi tira una palla di neve, posso io evitare di rispondere?
Ovviamente
no!
Così
alle due di notte ci ritroviamo a giocare a palle di neve nel giardino
della
villetta dei DeLonge, smettiamo solo quando una vicina ci intima di
tornare
dentro.
Tom
sbuffa, ma esegue.
“Che
freddo!”
Esclamo
io non appena entro in casa, il fuoco del camino è spento e
il suo debole
tepore non basta a scaldarmi così io e Tom finiamo per fare
la doccia insieme e
a parte qualche coccola non succede nulla tra di noi.
Stanchi,
ma felici, ci trasciniamo al letto di Tom e ci mettiamo sotto le
coperte, io
vengo imprigionata dal suo abbraccio e mi ritrovo con la testa
all’altezza del
suo cuore: batte forte e mi piace pensare che batta forte per me.
“Ti
amo, pazzoide.”
Mi
dice.
“Ti
amo, anche io, amico degli alieni.”
Lui
ride come un matto.
“Alla
fine vi ho trovato, però.”
“Testardo
come sei sarebbe stato strano se non ci avessi trovati.”
Lo
provoco.
“Puoi
giurarci, prima o poi ci saremmo incontrati.”
Io
mi stringo di più a lui.
“Sono
felice di averti incontrato così,
cioè… Non che mi sia piaciuto che ti abbiano
sparato e vederti mezzo morto per terra, ma mi è piaciuto il
fatto che da
questa esperienza negativa poi siamo arrivati a questo.”
Lui
ride e mi scompiglia i capelli.
“Forza,
aliena! Dormiamo!”
“Va
bene!”
Gli
do un bacetto e poi – cullata dal suono del suo cuore
– mi addormento.
La
mattina dopo ci svegliamo alle dieci o almeno così dice la
sveglia sul comodino
di Tom, io mi libero delicatamente dalle sue braccia, prendo la sua
maglia e
guardo dalla finestra: nella notte sono caduti almeno dieci centimetri
di neve.
Wow!
Muovendomi
cautamente, scendo in cucina e preparo dei pancakes, del
caffè e una tazza di
cereali e una bottiglia d’acqua per Tom. So che fa colazione
con acqua e
cereali, per quanto strano suoni, questo è uno dei suoi
misteri.
Sempre
muovendomi con la massima cautela salgo le scale, entro in camera e
appoggio il
vassoio per terra. Mi perdo un attimo nella contemplazione del volto di
Tom, è
bellissimo mentre dorme, perde tutta la sua baldanza e torna ad avere
l’innocenza e la serenità di un bambino.
Quasi
quasi mi dispiace svegliarlo.
“Tom!”
Lo
chiamo, lui grugnisce qualcosa di inintelligibile.
Lo
scuoto piano e finalmente apre gli occhi, io mi abbasso e alzo il
vassoio con aria
di trionfo, i suoi occhi si allargano e si riempiono di gioia.
“Ma
sei un tesoro!”
Esclama
sorridendo.
“Non
esageriamo!”
“Esageriamo
pure!”
Mi
infilo a letto con il vassoio e Tom prova un pancakes prima di gettarsi
sulla
sua ciotola di cereali.
“Buoni!
Nemmeno mia madre li fa così buoni.”
Io
arrossisco fino alla radice dei capelli e rischio di strozzarmi con il
caffelatte, Tom mi batte preoccupato una mano sulla schiena.
“Scusa,
è che non sono ancora abituata ai tuoi
complimenti.”
Ansimo
io, facendolo ridere.
“Non
sapevo di essere così importante per te!”
“Scemo!”
Finiamo
di fare colazione, ci facciamo una doccia e poi – con addosso
la sua maglietta
– esco da casa sua e mi preparo ad affrontare le strade
coperte di neve.
Non
ci sono abituata, guido malissimo ed è un miracolo che io
arrivi a casa sana e
salva, deve pensarlo anche mia madre perché la trovo sul
portico ad aspettarmi.
“Sono
contenta ora che ti ho vista arrivare, pensavo non saresti riuscita a
guidare
sulla neve.”
“L’ho
pensato anche io diverse volte, è un miracolo che io sia qui
e non schiantata
da qualche parte.”
Le
rispondo sincera, facendola ridere.
“Entra
che ho preparato una tazza di cioccolata per noi due.”
“Va
bene.”
Dal
vialetto salgo sul portico e poi la seguo in casa, dentro
c’è un calore che mi
fa sentire subito meglio, devono avere acceso il caminetto.
Mi
tolgo gli anfibi, metto le mie ciabatte comode e volo al piano di sopra
per
togliermi la gonna, le calze e il reggiseno, indosso un paio di
pantaloni neri,
dei calzini colorati e finalmente raggiungo mia madre in cucina.
Le
tazze sono già pronte sul tavolo, io mi siedo e le sorrido
grata, ci voleva
proprio una cioccolata dopo aver guidato nella neve.
“Allora,
come è andata?”
Io
sorrido a trentadue denti.
“A
giudicare dal tuo sorriso, bene.”
“Sì,
è andata bene. Tom è stato rispettoso, penso sia
stata una buona prima volta e
poi lo amo, mamma. Mi piace tutto di lui, persino gli aspetti irritanti
del suo
carattere.”
“Ne
ha?”
“Certo,
a volte parla troppo, soprattutto di alieni, fa battute sconce e si
comporta
come un cretino, ma a me non importa. So che non è un
cretino, so che io posso
vedere una faccia che raramente gli altri vedono e ne sono
orgogliosa.”
Mia
madre sorride.
“Sono
contenta, tesoro. Sembra tu abbia scelto bene, magari più
avanti potresti
invitarlo a cena.”
“Uhm,
ci penserò. Io sono la sua prima storia seria e non vorrei
spaventarlo, senza
offesa, mamma.”
Lei
annuisce comprensiva.
“Mamma,
posso dormire ancora un po’ prima del pranzo?”
“Va
bene, buon riposo.”
“Grazie
mille.”
Io
vado in camera mia e rimango solo con la maglietta di Tom come pigiama,
sa di
lui e per me è un profumo buonissimo.
Cullata
dal profumo mi addormento subito.
È
stato un bellissimo sabato e un meraviglioso inizio di domenica.