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Autore: Francine    25/05/2014    2 recensioni
10 Frittate può sembrare il titolo di un libro di cucina, ma non è così.
In
10 Frittate, con il dieci rigorosamente scritto in cifre, vi mostrerò come noi romani facciamo le frittate. Ovviamente in senso metaforico.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Largo, largo! Arriva il Re di Cuori!»
Stefano apre la porta del bar Da Filippo ed entra ridacchiando insieme ad un ragazzone alto, con una massa di capelli castani vanitosamente arricciati sulla testa. E, con un sorriso da pubblicità, i due si dirigono al bancone tirato a lucido, dove stringono la mano al barista.
«Altra tacca, fratello?», chiede questo con un sorriso sornione.
«Due, prego...», risponde il “Re di Cuori”.
«Due?», chiede l'uomo perplesso.
«Ge. Mel. Le...», sillaba l'altro e ridacchia, mentre il Re di Cuori sorride beffardo. «Valgono doppio, no?» Poi i due si allontanano dal bancone e vanno verso uno dei tavoli da biliardo, non prima di aver lanciato un'occhiata alla bella donna dai capelli neri che sta bevendo un cappuccino e piluccando una brioche.
Filippo ridacchia guardando suo fratello allontanarsi; poi si cava di tasca il coltellino svizzero, incide un paio di segni sul bancone e lo ricaccia via.
«Figlio di buona donna, salvando mamma nostra, s'intende!», commenta con un sorriso bonario. Poi, rivolgendosi alla cliente, le consiglia: «È un gran lazzarone, mio fratello! Dai retta a me, Moira: stagli lontano!».
Moira, la bella donna dai capelli neri, sorride e sorseggia il suo cappuccino.
«Lo terrò a mente, anche se credo sarà difficile...»
«Non mi dire!», la canzona Filippo. «Federico ha fatto colpo? Oh, non vedo l'ora di dirglielo!», e, sempre ridendo, porta i due caffè ai giocatori di biliardo.
Federico, passando il gesso sulla sua stecca, con sopra inciso il suo soprannome, "El Matador", non appena arriva il vassoio, si avvicina al fratello e chiede: «Chi è quella tipa? Non l'avevo mai vista qui, prima...».
Sempre il solito, pensa Filippo. «Ti sei appena rimorchiato due gemelle e già pensi alla prossima vittima? Prenditi un giorno di ferie, o ti salteranno le coronarie!»
«Chi è quella?», chiede imperterrito Federico, e suo fratello capisce che il segugio è entrato in frenesia e che non mollerà la presa fino a quando non avrà catturato la volpe.
«Ti piace, eh? Si è trasferita qui da una settimana, viene la mattina presto o verso l'ora di pranzo. Si chiama Moira, fa la segretaria e l'hanno presa da Giggoni. Altro, non so.» E torna al suo bancone prima che Moira capisca che stanno parlando di lei.
«È bello avere un fratello allegro come il suo, vero?», gli chiede la donna non appena si posiziona dietro il bancone.
«Moira, devi darmi del tu!», la rimprovera mentre pulisce il filtro della macchina per l'espresso. «Mi danno del lei solo quando vado dal dottore, e i dottori non mi piacciono.»
«Va bene, allora, Filippo», replica lei paziente. « Ma vede... vedi, è che sono così abituata in ufficio che mi viene automatico usarlo sempre.»
«Pure con i tuoi? No, vero?»
«Vivo da sola», replica diretta Moira, dando un’occhiata al Messaggero.
«Beh, allora fai conto che ti stai rivolgendo ad un amico o un cugino. Non daresti mai del lei ad un cugino, giusto?»
Moira fa spallucce. «Non ho né cugini, né fratelli. E anche il mio capitolo delle amicizie è vuoto.»
Una come te? Non sarai un'extraterreste, vero, bellezza?, si chiede Filippo prima di sorriderle e risponderle: «Ok, allora: io sarò il tuo primo, nuovo amico in questo quartiere. Mi trovi sempre qui, al palo, come si dice da noi; per qualsiasi cosa, non esitare a chiedere.» 
Moira sorride. «Va bene, va bene», replica. «Ma adesso, parlami di tuo fratello...»
Ecco, sempre così... , pensa Filippo mettendo i bicchieri da caffè a testa in giù nel cesto della lavastoviglie.Io sono quello simpatico, quello da cui corrono le donne per ridere e per risolvere problemi pratici; e Federico, invece, è quello con cui escono a cena.
«Mio fratello? Consiglio spassionato: lascia stare quel disgraziato! Ne ha fatte piangere di belle donne, come te!», esordisce Filippo sperando che lei abbia colto il complimento.
«Davvero?» Moira ribatte come se niente fosse.
«Vedi?», le dice Filippo indicandole una serie di incisioni sul legno del bancone che occupa mezzo metro buono. «Una tacca per ogni donna. Abbiamo iniziato a segnarle dal '90, dalla prima storia di mio fratello. Ormai sia io che lui abbiamo perso il conto, tanto che abbiamo deciso di terminare la scommessa quando le tacche arriveranno in fondo al bancone.»
«E cosa c'è in palio? Se posso essere indiscreta...»
Filippo sorride. «Che resti tra di noi...», le dice guardandosi in giro in modo che non senta nessun altro. «Ce lo siamo dimenticati. Tutti e due! Penso che oramai sia una questione di principio e basta.»
Ridacchia. Entrano altri clienti, Filippo li serve e Moira resta lì, seduta sullo sgabello imbottito. 
Due vecchie conoscenze, a giudicare dal tono confidenziale con cui parlano tra loro.
«Novità?», chiede il più alto dei due, un ragazzo sulla trentina e l'aria da perfettino inamidato.
«Nessuna nuova...», ribatte Filippo.
«Vuoi dire che Federico è andato in bianco?», s'intromette l'altro, restando con la tazzina del caffè a mezz'aria.
«See... Marcé, quando succederà che a mio fratello j'è nnata buca...»
«Lo so, lo so... Sprofonnerà San Pietro co' tutto er Cupolone...,» lo interrompe Marcello facendogli il verso. «È che non si sa mai...»
«Rosichi, eh?» lo sfotte Filippo. «Ancora non ti è andata giù che ti ha soffiato sotto il naso quella sventola bionda, eh?»
Marcello posa la tazzina e fa: «Quant'è?».
«Ma che ti sei offeso?», gli domanda Filippo.
«Quant'è?», prosegue Marcello alzando il tono di voce.
«Segna sul mio conto, Pippo!», dice l'altro prendendo l'amico sotto braccio ed uscendo dal bar, non senza prima aver lanciato un'occhiata a Filippo come a dirgli: Complimenti per il tatto!
I due spariscono ingoiati dal traffico e Filippo commenta con un: «Che tipo, quello!».
«Deve bruciargli ancora, qualsiasi cosa gli sia successa...», commenta Moira senza alzare gli occhi dalla Cronaca Nera. «Altrimenti non avrebbe reagito così, non credi?»
«Oh, su... Dopo dieci anni ancora gli rode? Naaah, non ci credo!»
«I fatti dimostrano il contrario...», ribatte Moira tranquilla. E Filippo infila il carico di bicchieri nella lavastoviglie.
«Forse hai ragione tu, ma io credevo avesse superato quella cosa. Insomma, avevano diciotto anni, erano due ragazzini...», si giustifica, non senza aver prima lanciato un'occhiata a suo fratello. Federico ride beato, come se Marcello non fosse mai entrato nel locale. «Guardalo lì, quel fijo de... salvando povera mamma, s'intende. Guardalo come ride!»
«Cuor contento il ciel l'aiuta, si dice dalle mie parti», sentenzia Moira leggendo i necrologi.
«Speriamo. Non mi stupirei se un giorno me lo vedessi rientrare con una costola rotta.» 
«Addirittura?»
«Sissignore! Prendi Marcello ad esempio: quand'erano appena usciti dalle superiori, lui s'innamora di una bella sventola rimorchiata in vacanza coi suoi. Hai visto anche tu com'è fatto, no?»
Moira annuisce: Marcello non è molto alto, ha la faccia che ricorda un topo di laboratorio e un appariscente tic all'occhio destro. Per non parlare del suo aspetto da fraticello e del completo verde morto che indossava.
«Ecco, quand’era pischelletto era anche peggio. Aveva certi brufoli grossi come pomodori. E credimi, mi fa schifo ricordarlo com'era. Sempre secco allampanato, sempre silenzioso e coi libri sotto al braccio, sempre con mamma e papà. Sai, è l'ultimo di quattro figli maschi, i genitori erano anziani...»
«E lui andava sempre con loro in vacanza. Ho capito il soggetto», taglia corto Moira, temendo che Filippo parta a fargli la cronistoria delle disgrazie di Marcello.
«Bene. Un'estate di dieci... forse no, erano addirittura quindici anni fa, porca l'oca!, Federico e gli altri si mettono d'impegno e organizzano una bella vacanza come Dio comanda. Sole, sesso e risate. Loro partono per la Spagna a fare danni e Marcello se ne va a Fregene con mamma e papà. Solo che Federico e gli altri rientrano a casa con le pive nel sacco, mentre Marcello ha rimorchiato. Pensaci. Ha rimorchiato. Marcello. In vacanza coi suoi.»
«Una straniera?»
«No, era di Firenze. Si chiamava… ah, sì: Micaela, nome esotico qui a Roma. Una sventola galattica, dice lui.»
«Non gli hanno creduto?», domanda Moira, interessata.
«Tu che cosa avresti fatto, scusa?», risponde Filippo. «Certo che non gli hanno creduto, anzi: si erano convinti che si fosse inventato tutto e che, al massimo, fosse un cesso galattico. Così, iniziano a fare una testa tanta a Marcello. E faccela vedere. E non te la mangiamo mica. Sai come sono fatti i ragazzi a quell'età, no?»
«Vaso di coccio tra vasi di ferro...», commenta Moira torturando una briciola di brioche.
«Scusa?»
«Niente, niente. Insomma, che succede?»
«Succede che Marcello cede. E organizza un incontro.»
«E?»
Filippo si guarda intorno, poi le si avvicina. «Hai presente la Schiffer? U-gu-a-le! Porco mondo, non ci credevo nemmeno io, e sì che l'ho vista con questi occhi!»
«Davvero? Bella come Claudia Schiffer?»
«Me possino cecamme
Moira lo fissa come se avesse preso a parlare in arabo. «Cioè?»
«Scusa, è che dimentico sempre che non sei di Roma, tu. Me possino cecamme significa più o meno, che potessi diventare cieco se dico una bugia. Imparerai presto ad usarlo anche tu.»
Ne dubito, pensa Moira, ma annota ugualmente l'informazione. «Insomma, che è successo?»
«E che vuoi che sia successo? Mio fratello ha visto Micaela, Micaela ha visto quel gran paraculo e tanto ha detto, tanto ha fatto che se l'è portata a letto. E Marcello è rimasto a bocca asciutta.»
«E ovviamente se l'è legata al dito...»
Filippo ride. Il fischio annuncia che la lavastoviglie ha terminato il ciclo; apre la macchina e, immerso in una nuvola di vapore, le dice: «Povero Marcello. S'era innamorato sul serio...», e riprende a lavorare alacremente. 
Moira sprofonda nel silenzio, leggendo con calma piatta la pagina sportiva, mentre in sottofondo si sentono i commenti dei giocatori di biliardo.
Filippo la guarda con la coda dell'occhio e vede che, ogni tanto, Moira si volta ad incrociare lo sguardo di quel disgraziato di suo fratello. Come volevasi dimostrare, pensa, aggiungendo che è davvero un peccato che un così bel bocconcino abbia messo gli occhi su suo fratello e non su di lui. Una volta tanto, non gli sarebbe dispiaciuto prendersi una rivincita sul bello di casa. Però... Posso sempre provare a batterlo sul tempo. Moira è lì da quanto? Una settimana? E in questo tempo che cosa ha saputo di lei? Nulla, tranne quello che ha riferito a Federico. Ok. Adesso rimedio subito.
«Oggi sei in ferie?», le chiede. Sono le undici e quaranta di giovedì mattina. Di solito, Moira arriva con calma verso le sette e trenta, si siede - è un mistero come trovi sempre un posto libero- e ordina un cappuccino ed una brioche da portare via. Stamani, invece, è scesa al bar verso le undici e si è seduta a bere un cappuccino ormai freddo, e a torturare un cornetto integrale.
«No. Non sono in ferie. Diciamo che, per adesso, sono in pausa.»
«Alla faccia! Ma non ti fanno storie? »
Moira nega. «No, anzi. Diciamo che mi hanno fatto delle storie, sì, ma non per le pause.» 
Filippo la fissa curioso così lei si dice Ok, accontentiamolo, e gli spiega la situazione. «Faccio questo lavoro da cinque anni, e la prima cosa che ho imparato è che chi lavora sodo è ben visto dai superiori, ma sta messo malissimo con i colleghi.»
«Cioè?»
«Ho iniziato nel settembre di cinque anni fa. Ricordo che mi avevano messo davanti una pila di pratiche enorme. Grossa. C’era così tanto lavoro da farti rizzare i capelli. Il millennium bug che non aveva fatto danni, l’aggiornamento, proroghe, dilazioni, l’euro in arrivo… Ma io li ho fregati. Mi sono messa sotto e in meno di un’ora ho sistemato in un colpo solo delle pratiche che giacevano ferme da mesi. Così, dato che in ufficio da me non faceva niente nessuno, a cominciare dal Caposezione fino all'ultimo degli apprendisti, vedendo che lavoravo sin troppo per i loro standard da pelandroni, mi hanno gentilmente intimato di lavorare di meno… » 
«Altrimenti i Grandi Capi avrebbero preteso che anche loro sfacchinassero come te...», commenta Filippo. «Capisco perfettamente.»
Silenzio. Moira torna a leggere gli annunci di lavoro. No, così non va. E Filippo si sente in dovere di portare avanti la conversazione.
«Cerchi lavoro?», le domanda. Moira alza il caschetto nero e risponde di sì con un cenno del capo. «Non ti piace quello che hai?»
«Non lo so... vedi, hai mai presente quella sensazione che si prova quando si sa di essere nati per un lavoro, ma quel lavoro lo si odia? Non so se t'è mai successo...»
«Mmm... No. Io sono nato per fare il barista e amo fare il barista.»
«Beh, anche io sono nata per occuparmi di numeri e contatti sociali! Io sono nata per prendermi cura degli altri. Dopo tutto, vivo in mezzo a loro, no?» Non si direbbe che sei nata per le pubbliche relazioni, cara mia...pensa Filippo annuendo. «Ecco, io amo avere a che fare con gli esseri umani, ma a volte vorrei non dover essere io ad ascoltare le loro lamentele. E Non è giusto!, e Mi dia un altro po' di tempo!, e Adesso no, non vede che è il compleanno di mio figlio?, e mille altre frasi del genere. Ma io che colpa ne ho? Ho del lavoro da sbrigare, se loro non rispettano le scadenze, non è mica colpa mia, no? Dico bene? »
Filippo annuisce: sa bene quanto sappiano essere rognosi i fornitori. Prima si fanno versare l'anticipo; poi, quando devono portarti la merce che hai pagato a peso d'oro, col cavolo che si presentano in orario. Allora, e solo allora, iniziano le magagne. Fattorini che perdono la strada, o peggio ancora la consegna. Materiali in perenne ritardo dalla ditta fornitrice.
«Ne ho un'idea. Vedi questo forno a microonde? Secondo te, quanto tempo c'ha messo per arrivare fin qui da Pomezia? Pomezia. A quaranta chilometri dal Raccordo Anulare.» Moira fa spallucce. «Nove mesi. Nove. Mesi. Manco fosse ‘na creatura. E ogni volta ce n'era una. E prima l'ordine inviato durante le ferie, così nessuno se l'è filato. Poi problemi per reperire il pezzo in Germania, mannaggia a me e a quando ordino prodotti stranieri. E poi i fattorini che... boni, quelli! Lasciamo perdere che è meglio, e ho pure fatto un fioretto!»
Moira annuisce. «Lo so. I fattorini sono i più restii a fare il loro dovere, lo so per esperienza. Anche se, in certi casi, una categoria vale l'altra.»
«Ma sei in amministrazione?», le domanda Filippo.
«In un certo senso...», gli risponde sorniona. «Che ore sono?»
«Mezzogiorno meno dieci. È ora?»
«Sì. Tra poco devo tornare al lavoro.»
Moira sorride, mentre gli scioperati in fondo al locale ridono come pazzi. I due al bancone si voltano: Federico, a giudicare da come se la ride, deve aver vinto l'ennesima partita.
«Ah, quello lì sarà la rovina della poveretta che se lo sposerà! Ammesso che trovi una santa che lo sopporti!» commenta Filippo sorridendo. «Guardalo, a trentacinque anni non ha ancora un lavoro fisso. Fa il modello, lui... Un giorno lavora e un mese sta a spasso. O a casa delle sue amiche...»
«Devi volergli molto bene…», commenta lei andando con lo sguardo dall’uno all’altro fratello. In effetti, si assomigliano molto, nonostante abbiano tre anni di differenza. Stessi riccioli castani, stessi occhi dal taglio a mandorla, stesse labbra carnose.
«È mio fratello minore. Bado a lui da che ho l’età del ricordo. Anzi, si può dire che i miei ricordi incominciano con lui! E sono anche piuttosto singolari…»
«Singolari?»
«Già. Mio fratello si è dato da fare con le donne fin da quando è nato.»
«Vuoi farmi credere che c’ha provato anche con la vicina di culla?», chiede lei.
Filippo ride. «No, no, peggio!»
Lei lo fissa con un’aria tra il perplesso e il curioso, quella stessa espressione che corre sul viso di sua sorella Flavia quando ha capito che le sta nascondendo l’ultimo pettegolezzo.
«Hai cinque minuti?» Moira annuisce. «Allora, noi siamo tre fratelli; io, Federico e la più piccola, Flavia. Quando è nato Federico, ricordo di essere andato con papà a prendere mamma in ospedale per riportarla a casa. Io ero felice come una pasqua: finalmente tornavo a casa con la mamma. Mi avevano affidato a mia nonna paterna, che non sopportava i ragazzini e mi metteva a giocare sotto al tavolo. Niente tv, niente giochi, per lei dovevo baloccarmi con le dita o con le costruzioni di legno. E poi, aveva una gatta scorbutica che non faceva che graffiarmi. E il bello è che mia nonna se la prendeva con me…
«Divagazione a parte, vado con papà a prendere mamma e mi fanno salire su al reparto. Mamma stava aspettandoci con Federico tra le braccia, la borsa con le sue cose sul letto in una camerata che puzzava di Lisoform da starci male. Faceva caldo. Noi siamo arrivati in ritardo e mamma aveva appena finito di dare la poppata a Federico. Mentre papà va a firmare delle carte, mamma mi fa vedere Federico da vicino. Ed è lì che ho visto per la prima volta la gran faccia da paraculo di mio fratello.
«Mamma si accorge che è da cambiare, così disfa in parte il borsone e gli toglie il pannolino, lo lava, gli mette la cremina rosa sulle chiappette lisce lisce. In quel momento, entra un’infermiera. Bella. Bella, bella. Hai presente la Fenech negli anni ’70? Uguale. Sputata, con tanto di capelli ramati sciolti sulle spalle, camice scollato e con orlo ascellare. Vede Federico, mentre mamma cerca il talco, e lo prende in braccio. “Ma che bel piselletto che abbiamo qui! E di chi è questo piseletto, eh?” gli ha detto issandoselo sopra la testa. E sai che ha fatto lui?»
«Che ha fatto?», domanda Moira cogliendo il tempo teatrale.
«Gliel’ha fatta nella scollatura!» Filippo ride dando una gran manata sul bancone.
«No…»
«Sicuro! Non scorderò mai né la faccia dell’infermiera, né quella di mio padre, che era entrato in quel momento. Una traiettoria perfetta, se avesse preso la mira non so dove l’avrebbe innaffiata…» Filippo libera i lavandini dalle tazzine e dai bicchieri sporchi. Li passa sotto il getto e prepara l’ennesimo carico per la lavastoviglie. «Gajardo. Veramente gajardo
«E l’infermiera?»
«Uh, come s’è incazzata!», ride. «Era nera…»
«Non starai raccontando ancora quell’episodio, vero?»
Federico si è avvicinato al bancone e si è seduto accanto a Moira. La scruta con i suoi occhi ammaliatori, quegli stessi occhi che hanno fatto cadere ai suoi piedi più di cento donne in quasi vent’anni di onorata carriera. Moira ricambia la cortesia, distratta.
«Stavo spiegando a Moira che razza di tipo è il mio caro fratello», spiega Filippo inserendo il cestello nella lavastoviglie. «Così che ti stia il più lontano possibile.»
«Bel fratello che ho, vero?», si lagna Federico con un sorriso accattivante. «Invece di fare propaganda a suo fratello, va raccontando in giro gli episodi più imbarazzanti…»
Filippo fa per ribattere quando squilla il telefono e Pamela, la cassiera, lo chiama. «Filippo? Per te. È la copisteria qui all’angolo.»
«Non sparire…», gli dice Filippo andando a rispondere al telefono. Federico lo fissa, fa’ l’occhiolino a Pamela, che volta la testa dall’altra parte, piccata.
«Non dirmelo, hai spezzato il cuore anche a lei…», dice Moira per rompere il ghiaccio.
«È innamorata di me da quand’era una ragazzina; ma diciamo che lei non è esattamente il mio tipo.»
«No? Che cos’ha che non va?»
«Beh… Diciamo che se uno mi chiedesse “Com’è Pamela?”, io risponderei “Simpatica!”. Non so se rendo…»
Moira allunga l’occhio sulla cassiera: capelli devastati da una permanente sbagliata e di un colore che ha virato sul giallo stoppa dopo quell’operazione. Trucco appariscente di chi brama farsi notare da chi rappresenta la luce dei suoi occhi. Abiti formali, occhi castani, manicure perfetta. 
Non sarà una bellezza, ma dalla sua faccia traspare che il sentimento che nutre per quel disgraziato di Federico è sincero. È in momenti come questo che Moira odia il suo lavoro.
«Ah sì? E sentiamo un po’: quale sarebbe la tua donna ideale?», gli chiede mentre fissa il suo riflesso nello specchio alle spalle del bancone.
«La mia donna ideale?», ripete Federico ricambiando lo sguardo. Poi alza il viso, si porta la mano sotto il mento e se ne resta zitto per un paio di secondi. «Alta. Mora. Occhi scuri. Gambe sinuose. Labbra morbide e con una spiccata predilezione per il nero…» 
Ma guarda che combinazione! Sono io!, pensa Moira dicendo che, tutto sommato, Pamela è stata fortunata a non legarsi ad un soggetto simile.
«Non ti dice nulla?», insiste avvicinandosi a lei perché senta il suo dopobarba. Funziona sempre.
«E dimmi un po’… anche le gemelle erano come me?», domanda Moira.
Federico ride. «Fregato. Sei la prima che mi prende in castagna così, davvero!»
Forse perché hai sempre frequentato delle oche?, pensa lei decisa a non suppurare le sue perplessità. «C’è sempre una prima volta», ribatte laconica.
«Vero. E tu? Che mi dici di te?»
«Che sono un tipo molto… come dire? Banale. Talmente banale che sembra di conoscermi da una vita.»
«Vediamo un po’, fammi indovinare. Scommetto che sei timida, romantica, vegetariana, ami la precisione, e ascolti Bach», la spara lui.
Moira scuote la testa. «Errore. Sono spiccia e diretta, amo farmi gli affari miei, vado dritta per la mia strada. Vado pazza per le fiorentine alte tre dita e adoro la pajata. Sono precisa solo in ufficio e ascolto Heavy Metal sparato a palla nelle cuffie», risponde spiazzandolo completamente. Forse troppo. «Scherzo!», aggiunge ridendo, e lui si riprende.
«Per un attimo c’avevo creduto… Dimmi, c’ho azzeccato?»
Moira lo fissa, mentre con la coda dell’occhio osserva le mani affusolate di Pamela torcere uno scontrino fiscale. Anche Filippo deve essersi accorto che c’è qualcosa che non va, e scribacchia veloce degli appunti su una consegna. Poi, quando torna al suo regno, si accorge che cos’è che faceva storcere le labbra di Pamela. Federico si è avvicinato a Moira, forse troppo. E la piccola cassiera diciottenne sta per avere una crisi isterica.
Eppure ti avevo chiesto, pregato di non fare l’idiota davanti a Pamela! Un minimo di rispetto, cazzo, potresti anche avercelo per lei!, pensa Filippo fulminando suo fratello con lo sguardo e iniziando ad armeggiare con tramezzini e panini imbottiti.
«Beh, in parte sì e in parte no…», scherza Moira. «Pippo, me lo fai un altro cappuccino, per favore?»
«Ah… », replica lui. «È che sto andando a fare una consegna. Porto il pranzo alla copisteria all’angolo, e questo disgraziato non mi ci va.»
«Sfido io: sono tutti uomini!», risponde Federico ridendo. «Se ci fosse una donna…»
«Saresti lo stesso la mia rovina», ribatte Filippo. «Moira, puoi aspettare che torno, o devi rientrare?»
E Federico coglie la palla al balzo. «Vai, vai pure. Glielo faccio io il cappuccino.» Si alza, passa dietro al bancone e Filippo capisce - l’avrebbe capito anche un cieco – che suo fratello sta per sferrare l’attacco in grande stile. Sotto a chi tocca, pensa Filippo prendendo il vassoio. Chissà se già in serata ci sarà l’ennesima tacca?
«Moira, se il cappuccino fa schifo, non prendertela con me…», dice prima di uscire e scomparire tra la folla con il suo completo nero e il grembiule immacolato.
«Mai una volta che si fidi di me. È tremendo!», commenta Federico, una mano sul fianco e l’altra appoggiata al bancone, pericolosamente vicino alle sue tacche. Moira guarda l’orologio. Si sta facendo tardi. «Ti faccio subito il cappuccino!», le dice Federico iniziando ad armeggiare con la macchina. Svuota le cialde, prepara una miscela speciale di caffè, e spinge il pulsante rosso mentre versa del latte in un bricco di ferro. Settanta secondi dopo, il caffè esce caldo nella tazza grande e il fischio dell’aria calda riempie il silenzio del bar. Caffè, latte montato e una decorazione di cacao amaro a formare un cuore sulla schiuma. Più chiaro di così…
«Madame è servita…», e le porge la tazza. Le sue dita sfiorano quelle di Moira. Sono fredde. Di ghiaccio. Chissà se è vero il detto…, si domanda Federico restando a fissarla mentre beve il suo cappuccino. «Com’era?»
«Squisito», risponde lei. «Se sei anche così bravo a cucinare, beata chi ti si sposa.»
Lui ride. 
«Non sarai per caso già sposato?», gli chiede, sinceramente allarmata; se così fosse, le dispiacerebbe non poco.
«No. Non ho ancora trovato la donna giusta», spiega sempre ridendo. E non la troverai mai, caro, te lo garantisco io…, pensa Moira. «Per cui, se tu vuoi assaporare la mia cucina, considerati pure invitata. Facciamo stasera a cena?»
«Adesso, invece? Hai da fare?»
Federico la fissa, visibilmente sorpreso. Chi avrebbe mai pensato che quella ragazza dall’aria mite fosse così sfacciata. Sorride, mostrando una fila di denti perfetti.
«Ma… Non so neppure il tuo nome…»
«E ti formalizzi per così poco? Chiamami Moira. Allora, hai da fare adesso sì o no?!» 
«Adesso? Non dovevi lavorare?» Federico ride di nuovo, ma quando il suo sguardo si posa su di lei, il sangue gli si gela nelle vene.
«Sto già lavorando, caro. Hai capito chi sono, vero?»
Federico fa cenno di sì con la testa, incatenato ai suoi occhi neri. Ricorda, e si stupisce nel farlo, che da bambino suo padre ha portato lui e Filippo a caccia di cinghiali. Avevano uno zio in quel di Acquapendente, e questo zio conosceva un tale che cacciava con i falconi. E di quella giornata d’inizio autunno, tra foglie morte e castagne cadute, gli è rimasto vivo e vivido il ricordo degli occhi dei falconi, due pozzi neri e profondi che sembrano inghiottire la preda. «Dicono che la morte abbia questi occhi…», aveva scherzato quel cacciatore. E Federico deglutisce a fatica mentre sta precipitando negli occhi scuri di Moira.
«Bene», dice la donna con gli occhi di falco. «Ti assicuro che non c’è nulla di personale. È un lavoro ingrato, ma qualcuno doveva pur farlo, ed è toccato a me. »
«Ma…», dice lui: vuole provare a trattare, come sempre. Moira lo sa. E un po’ se l’aspettava.
«Non gioco a scacchi. Non serve piangere, urlare o dire no. Ti ho rincorso in lungo e in largo, e te la sei sempre cavata per un soffio. Adesso, però, ho raccolto tutti i permessi e le carte necessarie. Vuoi venire con me o devo usare le maniere forti?»
La calma con cui lei parla gli fa accapponare la pelle per un secondo. Poi Federico abbassa le spalle e il suo sorriso si rilassa.
«Ho diritto, almeno, all’ultima sigaretta?», chiede passando le dita sulle tacche che adornano il bancone di Filippo. Hai vinto tu, fratellone. Se solo mi ricordassi cosa, pagherei la scommessa, pensa mentre sente le lacrime pizzicargli gli occhi.
Moira controlla l’orologio.
«Ok, ma la fumerai fuori di qui. Dobbiamo andare, ho un tifone in Bangladesh tra dieci minuti ed un paio di terremoti in Giappone tra quindici.»
Federico fa un rapido giro panoramico del bar del fratello, soffermandosi sul suo angolo preferito: il biliardo, le macchinette dei videogames e il televisore su cui hanno seguito tutte le partite dei mondiali. Il tempo s’è fermato. Anche Pamela, a ben guardarla, non è poi così brutta come ha sempre creduto. Ha solo sbagliato colore. E parrucchiere.  «Ok», dice in un soffio.
«Vogliamo andare?», domanda lei e il tempo riprende a scorrere normalmente.
«Come comanda, mia signora», scherza lui, con non sa quale coraggio.
Moira sorride, e adesso il suo sguardo è dolce e comprensivo. Non avercela con me, gli stanno dicendo i suoi occhi di falco e lui annuisce. 
Federico esce da dietro il bancone pensando a quello che le ha appena detto, che lo ha rincorso in lungo e in largo. Come il soldato nella canzone di Vecchioni che mamma ci cantava per farci addormentare, quello che correva, correva correva fino a Samarcanda, si dice con un sorrisetto. 
Prende la giacca appesa al muro, la indossa, fa un cenno di saluto agli altri e si avvia alla cassa. Pamela lo fissa accigliata. No. Non può andarsene via così, c’è ancora una cosa che deve fare.
«Moira, aspetta un secondo», le dice. 
Lei fissa prima lui, convinta si tratti del solito piagnisteo, poi capisce.
«Ti aspetto fuori. Non metterci troppo, ho una tabella di marcia da far rispettare», ed esce in strada.
Federico fa un gran respiro e si avvicina alla cassa. Pamela ha iniziato a farsi aria con uno di quei ventagli cinesi che si comprano al mercato. Quanti ne ha rotti anche lui a sua sorella? Ricorda che Flavia li comprava sempre con delle grandi farfalle dalle ali nere e blu. Chissà perché, poi.
«Hai caldo?», le chiede giocando con un ricciolo. Stopposo. Eppure aveva dei bei capelli castani, Pamela. Vai a capire perché se li è tinti e si è fatta quel colore che la fa assomigliare ad una palla di sterpaglie, come quelle che si vedono in quei western con John Wayne.
«Fa caldo», risponde lei piccata.
Lui sorride. «Me la fai una cortesia?»
Pamela chiude di scatto il ventaglio e alza gli occhi al cielo. «Sai che non so dirti di no…»
«Diresti a Filippo di mettere un’altra tacca sul bancone?» Pamela lo fulmina con lo sguardo. I tuoi occhi sono belli, dopo tutto, pensa Federico sorridendole. «Non è come credi, Pamela. È…»
«Solo un’amica. Già!», l’interrompe lei.
«In un certo senso, sì. Pamela, credimi. Non è un’uscita di piacere, la mia.»
«D’accordo, glielo dirò a Filippo. Ma non t’aspettare che ti creda!»
«A me basta che mi creda tu», le dice incatenandole gli occhi ai suoi. 
Pamela è rimasta spiazzata. Perché tutte quelle manfrine? In genere, le dice due parole spicce, come se parlasse ad un cane ammaestrato. Quante volte le ha detto di riferire a Filippo che non sarebbe tornato, magari mentre in sottofondo c’era una donna che rideva o gli rendeva impossibile parlare tempestandogli la bocca di baci?
«Federico, che succede?», chiede lei spaventata.
«Niente, piccola, niente.» Nel locale ci sono solo gli amici di sempre che non si stanno perdendo una parola. Al diavolo. «Pamela, glielo dirai?»
Lei annuisce. E lui le regala un sorriso dolcissimo. È tutto perfetto, pensa Pamela mentre sente il cuore che fa le bizze.
«Chiudi gli occhi…», le dice lui sfiorandole la punta del naso con il suo. Lei obbedisce e lui la bacia, a fior di labbra, come lei ha sempre sognato. Poi le lascia sulla fronte un altro bacio ed esce, mentre lei resta ad occhi chiusi ad assaporare quel momento.
«Che succede qui? Pamela perché piangi?»
È Filippo. È tornato. E sta fissando la sua cassiera con un’espressione preoccupata.
«Pamela, che è successo?», ripete porgendole un fazzoletto. «Stai piangendo, ma che… ?»
Lei esce da dietro la cassa mormorando qualcosa come “tacca” e “bancone” e scappa in bagno a darsi una sistemata: con tutto quel mascara che le cola dalle ciglia, le sta diventando impossibile tenere gli occhi aperti senza che non le brucino.
Filippo la vede scomparire dietro la porta verde acqua. Posa il vassoio sul bancone e si rivolge agli amici del fratello.
«Ma che è successo?», domanda indicando il bagno con un colpo di mento. 
Stefano risponde facendo spallucce. «Non lo so, Pippo; Federico si è avvicinato, ha bisbigliato qualcosa e l’ha baciata.»
«Che ha fatto quello stronzo?», alza la voce Filippo, e Pamela, che lo sente dal bagno, trema impaurita. «E dov’è Moira? Dov’è andato quello stronzo di mio fratello?»
«È uscito con la sua ultima conquista», risponde Stefano.
Poi, lo schianto.
 


Settembre 2006  

   
 
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