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Autore: Feds_95    25/05/2014    0 recensioni
“Nell’oscurità si udivano i lamenti delle donne, i pianti dei bambini e il clamore degli uomini…
Alcuni chiedevano aiuto, altri imploravano la morte…
Ma i più pensavano di essere stati abbandonati da Dio…
…e che l’universo fosse sprofondato nel buio eterno”
[...]
Guarda giù. E sopravvivrai.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Look Down

 
 
Look down, look down
 Dont look them in the eye
 Look down, look down,
 You’re here until you die
Ive done no wrong!
 Sweet Jesus, hear my prayer!
-Les Miserables-


 
La nonna scrutò il termometro alla luce della piccola finestra del soggiorno.

Dietro di lei, nella pioggerella, i palazzi di Jericho si alzavano come grigie torrette di un penitenziario. Sotto, nel pozzo dell’aerazione, il bucato sbatteva nel vento, mentre topi e grossi gatti randagi si aggiravano tra la spazzatura.

La nonna mi guardò. Ero seduta sul divano strappato e puzzolente ad allacciarmi le scarpe con vuota concentrazione.

Erano settimane che guardava che quel termometro e non era normale. Di solito lo faceva una volta alla settimana, ma da quando Cathy era peggiorata lo faceva tutti i giorni, al mattino e alla sera.

Soffocato dalle grida degli inquilini del piano di sopra, il lamento di mia sorella, roco per l’influenza, non smetteva un istante.

<< Ha molta febbre? >> chiesi, alzandomi e avvicinandomi alla sedia su cui era poggiata la mia giacca.

<< Non molta >>

<< Non dire cazzate nonna >>

<< Trentanove e mezzo >>

Sospirai e mi passai una mano tra i capelli castani. Ormai era quasi un anno che andava avanti così, che la tosse di Cathy non cessava e non avevamo soldi per pagarle almeno un po’ di sciroppo per la febbre.

<< Ascolta Mallory, chiameremo un dottore. Non preoccuparti. Senti… >> iniziò la nonna con voce balbettante<< Ce la faremo. Io…io… >>

<< Tu cosa? >> il mio sguardo si fece duro e la mia voce quasi brutale, mentre puntavo lo sguardo sulla parete scrostata sopra il lavandino << Ci vuole un vero dottore, nonna. Basta levatrici con le mani sporche e l’alito che puzza di whisky. >>

Il fuoco nel caminetto, unica fonte di calore del piccolo appartamento, scoppiettava e brillava.

<< Dopo il turno vedrò di ottenere un paio di pasticche di Tachipirina e se sarà necessario mi registrerò per un’altra donazione >>

<< No! No, Mallory! >> gridò la nonna, arpionandomi un braccio, prima che potessi varcare la soglia di casa << Ne hai fatta una il mese scorso, devi riprenderti! >>

<< E perché? Male che vada ti spetterà qualcosa come liquidazione. In un modo o nell’altro, avrai i soldi per farla curare >>

La nonna non era vecchia; anzi, per avere quell’appellativo era fin troppo giovane, ma negli ultimi anni era invecchiata molto. Non solo nell’aspetto, ma anche nella mente. Era diventata fatalista e disillusa, come la maggior parte delle persone in quella fottuta città.

Indicai la camera da letto. << Ti piacerebbe vederla in una tomba per poveri, senza nome? Senza una lapide su cui piangerla? >>

Alla nonna non restò che la replica di un dolore insensato. La sua faccia si crepò e si dissolse nelle lacrime di fronte alla cruda e feroce realtà.

<< E’ quello che voglio Loro. Per la gente come noi >> dissi con un tono di voce più dolce, prendendo una delle sue mani rugose e tremanti tra le mie << Ma io non glielo permetterò, nonna. Te lo prometto: né tu né Cathy finirete come mamma e papà >>

<> disse ricacciando indietro le lacrime e lasciandomi una dolce carezza al viso, prima che aprissi la porta cigolante e uscissi.

Però prima che la chiudesse, per evitare che il freddo entrasse nella casa riscaldata a fatica, mi ci infilai in mezzo e le chiesi: << Se le cose andassero male, li prenderai i soldi? Ti prego, dimmi che non farai la moralista e che li prenderai. >>

La nonna stette in silenzio per un minuto, in cui i suoi occhi assunsero una luce più forte e decisa. Non era mai stata bella, ma in quel momento, in piedi affacciata alla porta con il vestito sgualcito marrone e i capelli grigi raccolti sul capo, sembrava bellissima… imperiosa.

<< Li prenderò >> mormorò sicura << Lo sai che li prenderò >>.

L’abbracciai goffamente, poi mi voltai in fretta e scesi velocemente le scale malamente illuminate da una ripugnante luce verde.

Feci molta attenzione a non toccare il corrimano, sempre sporco di grasso, e le pareti da cui si staccavano pezzi di intonaco. Ogni tanto si sentivano delle urla o dei gemiti provenire dagli altri appartamenti.

Due piani più sotto, la porta dell’abitazione della signora Jenner si aprì lentamente, con fare sinistro.

Ne uscì una vecchia, gobba e con il viso raggrinzito. Da piccola avevo paura ad avvicinarmi troppo perché credevo che si sarebbe sgretolata. Ora ,invece, lo speravo.

<< Cara >> mi bloccò a metà scalinata, con la voce di una serpe, sibilante e graffiante, << posso procurarti un po’ di penicillina al mercato nero, non appena avrai i soldi… poco prezzo…buona qualità >>

L’odore di manzo e dei cavoli bolliti uscì dalla sua casa come vapore e il suo alito fognato mi fece salire un conato di vomito, enfatizzato dalla vista dei suoi denti marci e ingialliti.

<< Tua sorella non durerà molto >> continuò con un ghigno malvagio << Ti conviene approfittarne >>

<< Vada al diavolo >> sputai, dandole le spalle e continuando a scendere.

Di sicuro la signora Jenner aveva preso il suo taccuino nero e aveva aggiunto una X accanto al mio nome. Una per ogni volta che lei mi “aveva offerto aiuto” e io l’avevo mandata al diavolo. Con molta probabilità aveva un taccuino solo per me.

<< Vedremo puttanella >> ero sicura stesse borbottando << Vedremo >>

Man mano che si scendevo le scale le mura erano ornate da graffiti con scritte oscene o disegni contro la Federazione, mentre i lamenti e gli altri rumori si attenuavano. Come se gli abitanti del palazzo fossero stati divisi in base alla rumorosità e non alla retribuzione.

Era così in tutti gli altri palazzi del Settore: nei piani inferiori si trovavano quelli con un rendimento più alto, mentre in quelli superiori, quasi a toccare la coltre di fumo tossico, che come un tetto ricopriva la città, vivevano i più poveri in appartamenti sempre più piccoli e freddi.

Quando uscii sulla strada, la pioggia era cessata. Il portone di metallo si chiuse alle mie spalle con un botto e sentì il rumore ferroso della serratura che si incastrava.

Il termometro dell’insegna pubblicitaria delle Donazioni dall’altra parte della strada segnava undici gradi. Dentro casa potevano essercene quindici. E Cathy aveva la febbre a trentanove e mezzo.

Con non curanza mi appoggiai al muretto di mattoni vicino all’entrata per aspettare Paxton, che come sempre era in ritardo.

Fortunatamente il portico del palazzo vicino l’aveva riparato dall’acqua, così non mi sarei sporcata l’unico paio di pantaloni buoni che avevo.

La settimana scorsa avevo dovuto vendere alcuni miei vecchi vestiti per poter comprare qualcosa da mangiare, dato che la mia paga era stata diminuita per far fronte alle perdite causate dagli attacchi dei briganti nel Deserto.

Non sapevo cosa ci fosse esattamente oltre le mura di Jericho e non conoscevo molte persone che avevano avuto l’opportunità di oltrepassarle, ma, già dal nome, non mi sarei aspettata di trovare altro se non un’immensa distesa di sabbia e roccia, spoglia e baciata dal sole cocente, che qui era un lusso raro.

In diciott’anni l’avevo visto solo tre volte, sempre parzialmente coperto dalla nebbia, quasi sempre aveva seguito un evento che avrebbe cambiato per sempre la mia vita: quando nacque mia sorella, quando il cadavere di mio padre fu riportato a casa dagli Agenti e quando mia madre esalò l’ultimo respiro sul suo letto.

Un topo trotterellò pigramente sull’asfalto crepato. Il portone strillò e l’enorme figura di Paxton ne uscì, mentre si infilava goffamente la giacca, logora e ricucita malamente. Le strade erano spettrali, mentre dalle case cominciavano ad uscire uomini e donne, in silenzio, pronti per un’altra giornata di lavoro.

<< Ce l’hai fatta >> dissi scendendo con un salto dal muretto, l’acqua di una pozzanghera schizzò sotto i miei piedi, coperti da un paio di scarpe nere.

<< Si, scusa >> rispose, avvicinandosi e tirando fuori dalla tasca una pacchetto di tabacco di bassa qualità, l’unico che si poteva permettere.

<< E’ per questo che hai fatto tardi? >> ammiccai verso il sacchetto di polvere marrone, che stava accuratamente spargendo su un pezzetto di carta che poi arrotolò con maestria e chiuse con la saliva.

<< Sai com’è fatto il mio vecchio. >> sbiascicò mentre accendeva la sua sigaretta << Non gli va a genio quando gli prendo il fumo. >>

<< Soprattutto se lo fai senza dirglielo >>

Il suo viso si allargò in un sorriso, la cicatrice sulla guancia si incurvò e i suoi occhi grigi risero.

Molte donne al lavoro dicevano che era un peccato che un volto così bello come il suo fosse stato rovinato da quello sfregio che gli percorreva tutta la gota destra.

Se l’era procurato sei anni fa: mentre stavamo aggiustando una macchinario guasto un tubo era esploso e un pezzo di lamiera gli era volato addosso, conficcandosi nella sua carne. Pochi centimetri più su e avrebbe preso l’occhio.

Ci avviammo in silenzio verso la fabbrica “Harper per la lavorazione dei metalli e materiali da costruzione”, una delle tante del Settore 4, famoso per l’alta percentuale di fabbriche e di fatiscenza.

Dall’altro lato della strada c’era la carcassa di Humber del 2069, appoggiata sui mozzi delle ruote. Era stata saccheggiata completamente, perfino dei cuscinetti delle ruote e dei supporti del motore, ma la Vigilanza non l’aveva portata via.

I poliziotti ormai si avventuravano raramente nel nostro Settore, specialmente a sud del Canale. Washington era un quartiere infestato dai topi, fatto di parcheggi, negozi deserti, campi giochi asfaltati, palazzi ammassati gli uni sugli altri e fabbriche.

E pensare che, molti anni fa, Washington era stato un grande generale e il primo presidente di un paese chiamato America. Invece ora il suo nome era sinonimo di ”sporco”  e “ripugnante”.

La legge, qui, erano le bande di disoccupati in motocicletta che vivevano col pizzo dei poveri e vecchi negozianti, troppo disperati e spaventati per chiudere ed andarsene. E tutte le notizie sull’intrepida polizia di Washington erano solo una montagna di balle.

Solo nell’ultimo mese, si vedevano elicotteri sorvolare il quartiere e camion blindati aggirarsi velocemente per le strade, per poi sparire di nuovo.

<< Ancora non hanno trovato quello che cazzo stanno cercando >> disse Paxton con voce profonda, buttando fuori una boccata di fumo, riferendosi al mezzo scuro e senza finestrini visibili che ci passò accanto sulla strada, alzando schizzi d’acqua.

<< Secondo te di cosa si tratta? >> domandai.

Paxton aveva molti amici nelle bande che si contendevano il controllo della zona e perciò era sempre informato sui traffici di droga, di cibo extra o su cosa accadesse negl’altri Settori.

<< Xevo dice che ha sentito di un prigioniero fuggito da una delle prigioni dei piani alti e rifugiatosi qui. >> mi spiegò non curante degli orecchi che avrebbero potuto cogliere quell’informazione << Invece Davon e Wayne dicono che si tratti solo di controlli, nulla di preoccupante. Tant’è che non hanno interrotto gli scambi, ma li hanno intensificati >>

E quelli erano solo alcuni dei nomi di “ragazzi cattivi” che conosceva. Grazie alla sua abilità nel procurarsi oggetti di solito introvabili si era fatto parecchie amicizie e conoscenze favorevoli, che lo avevano portato ad essere ben voluto da alcuni e temuto da altri.

Ma io ero l’unica con cui si confidava. Con cui aveva un vero rapporto d’amicizia, almeno secondo lui.

Ci eravamo conosciuti quando avevo 10 anni e lui 13, il giorno in cui andammo a sottoporci al test di smistaggio, che ci avrebbe assegnato ad un’occupazione con un ruolo specifico. Si trattava di un test delle facoltà fisiche ed intellettive cui tutti, una volta lasciata la scuola, si dovevano sottoporre. Lasciai la scuola dopo la morte di mia madre, una volta che io e Cathy fummo affidate alla nonna, e Paxton dopo che il nuovo uomo di sua madre se ne andò, lasciandola con tre figli a cui badare, di cui lui era il maggiore.

Fino ad allora non seppi neanche che abitavamo nello stesso palazzo. Una volta mia nonna mi mandò a chiedere del sale a sua madre e allora lo riconobbi. Da allora cominciammo ad andare in fabbrica insieme, dove venimmo assegnati alla stessa mansione: manutenzione e controllo dei macchinari.

Paxton ed io camminavamo in fretta, senza pensare, senza guardarci intorno, abituati a quell’ambiente e ricordando a memoria la strada per la fabbrica Harper.L’aria era sulfurea, pesante e calda.

Quattro moto ci sfrecciarono accanto, rombando e rivolgendo un cenno di saluto al mio amico, che ricambiò con un’alzata di mano, e ci scagliarono addosso pezzi d’asfalto. Li schivammo agilmente.

Grattacieli, case popolari, recinti di rete metallica, parcheggi vuoti a parte qualche carcassa; frasi oscene e disegni tracciati sull’asfalto con il gesso stavano sbiadendo.

Quella era la nostra vita, la nostra realtà.

Vetrine in frantumi, topi, sacchetti della spazzatura gettati sui marciapiedi, su cui si gettavano gli orfani o i senza tetto, in cerca di qualcosa di commestibile. Una volta io e Paxton ci avevamo trovato delle ciambelle con lo zucchero a velo, vecchie di appena un giorno. Ci eravamo ingozzati e poi ce le eravamo suddivise e portate a casa.

Cathy fu così contenta quando gliele portai che si riempì così tanto da scoppiare. E ne diede una intera al suo topolino, Mr. Beaver.

<< Hey, guarda quella. E’ nuova >> esclamò Paxton, indicando col braccio un graffito scarabocchiato sul muro.

Durante il percorso per andare a lavoro, ci divertivamo a leggere le nuove, e sempre più fantasiose, scritte vandaliche.

PELATI LA BANANA.

TAGLIATI I PELI DEL CULO.

TOMMY E’ UNO SPACCIATORE DI MERDA.

TUA MADRE HA LE PULCI.

Ce n’erano di tutti i tipi, forme, colori e dimensioni. Per non parlare della varietà di parole utilizzate.

<< ”Tua madre ha le pulci” l’ho detto il mese scorso a Victor! >> gridò con finto scandalo << Dovrò chiedere i diritti a quel sacco di merda >>

<< Non credo sia una cosa di cui vantarsi, Pax >> lo presi in giro.

Si voltò minaccioso ed i suoi occhi grigi si puntarono nei miei. Grigio contro grigio. Cemento contro cemento. Ma non riuscì a mantenere l’espressione seria molto al lungo e scoppiò in una risata allegra e chiara. Non potendo trattenermi lo seguii anch’io.

Per un attimo mi sentii più leggera, come se con quella risata un po’ del peso che portavo sulle spalle se ne fosse momentaneamente andato. Permettendomi di respirare.

Paxton era il fratello maggiore che non avevo mai avuto.

Non solo perché con la sua grande statura e la sua possenza fisica mi trasmetteva sicurezza, ma perché caratterialmente mi aveva temprata, aiutandomi a prepararmi al mondo, specialmente a quello che avrei trovato nel Settore 4. Mi aveva insegnato a pensare prima di tutti a me stessa e alla sopravvivenza della mia famiglia.

Guarda giù. E sopravvivrai.

Era questo il motto del Settore. Quello che ci ripetevamo la mattina appena alzati e la sera prima di addormentarci.

D’altro canto, essendo Impuri, non potevamo aspettarci più di quello che avevamo già. Da una parte, personalmente parlando, eravamo anche fortunati: molti non avevano un lavoro, né una casa e vivevano rovistando tra la spazzatura. Noi, invece, avevamo un lavoro decente, un tetto sopra la testa e riuscivamo a portare alla nostra famiglia almeno due pasti al giorno.

Poteva andarci peggio.

<< Guarda >> disse improvvisamente Paxton, ammiccando verso un palazzo grigio e ricoperto da graffiti alla base. In quel palazzo ci viveva Margareth, un’operaia della mia fabbrica, insieme ai figli. Il portone era spalancato e tutti i condomini si erano riversati sulla strada.

<< Che sta succedendo? >> domandai, fermandomi di colpo e Paxton mi finì addosso. Non si era accorto che mi fossi fermata, troppo concentrato a prepararsi un’altra sigaretta.

Quando alzò lo sguardo dal suo lavoro, un grido disperato si levò dall’interno dell’edificio e due Vigilanti ne uscirono tenendo per le braccia un uomo sulla trentina, che avevo visto un paio di volte al Circolo. Mi era sembrata una brava persona.

Dall’abitazione continuavano a provenire rumori di legno e vetro rotto e tonfi pesanti, come se qualcosa di pesante fosse caduto a terra.
I due poliziotti si fecero largo tra la folla, che abbassò subito gli occhi puntandoli a terra, verso un camion blindato. Alla guida si trovava un altro Vigilante, che giocherellava con non curanza con un elastico.

Una donna si fece largo tra la folla impassibile piangendo e gridando: << Steve! Steve! No! Non portatelo via! >>

Uno dei Vigilanti lasciò il braccio di Steve e si avvicinò minaccioso alla donna, che sembrava più una ragazza della mia età, con fare minaccioso, poggiando la mano sul fodero della pistola.

A quel punto un’altra figura, un ragazzo, molto simile a Paxton, emerse e prese la ragazza per le spalle ,accostandola al petto con l’intento di calmarla.

<< Ci penso io >> disse rivolto al poliziotto, che si abbassò la visiera dal casco di protezione e tornò ad arpionare il braccio di Steve, che non oppose resistenza quando gli misero le manette elettriche e lo costrinsero a salire.

Quando se ne andarono, i condomini rientrarono in silenzio nel palazzo, per sistemare il casino che dovevano aver lasciato quei Vigilanti.
Fuori restarono solo i passanti, che si erano fermati a guardare la scena e poi avevano ripreso il cammino, e i due giovani abbracciati.

Il ragazzo accarezzava dolcemente i capelli della ragazza, i cui singhiozzi sembravano non voler cessare. Solo allora, osservandola meglio mi accorsi del pancione che si frapponeva fra lei e il petto dell’altro.

<< E’ incinta >> sussurrai. Non sapevo se essere addolorata o sorpresa.

Di scene come quelle ne avevo viste molte e alla fine erano finite per diventare parte della mia quotidianità, ma vedere una ragazza così giovane in quelle condizioni mi aveva…colpita.

Chissà cos’aveva fatto quello Steve per essere portato via in quel modo.

Di solito i Vigilanti facevano controlli a casaccio nei palazzi, ma non avevano mai portato via nessuno, almeno non mettendogli le manette elettriche.

Le usavano solo per i veri criminali.

<< Forza. Faremo tardi a lavoro, andiamo >> mi prese per le spalle Paxton, spingendomi via.

Lasciandomi alle spalle la scena, entrambi riprendemmo il nostro cammino in direzione della fabbrica, a passo svelto e deciso.

Con lo sguardo basso.

Guarda giù. E sopravvivrai.


 
Look down, look down
 You'll always be a slave
 Look down, look down
 You're standing in your grave. 
  
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