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Autore: Blue Eich    25/05/2014    2 recensioni
Hello, friends! Mi chiamo Siena Kiku, ho tredici anni e due sogni nel cassetto.
La mia vita cambiò radicalmente quando papà decise d'iscrivermi all'accademia migliore di Ferrugipoli: la Formation Ability Academy. Non perché pensava al mio futuro, ma come punizione. Mi aspettavo un collegio – senza suore – dallo stile di vita meccanico e gli studenti seriosi, invece sbagliavo…
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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- Questa storia fa parte della serie 'Distance: doesn't matter'
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Distance: doesn't matter.

27. Senza rimpianti

 

Quando Micaela si svegliò era su un lettuccio bianco. Nell'aria stagnava un odore di disinfettante e caramelline alla menta. La luce sul soffitto illuminava bene l'ambiente, dove una credenza ospitava boccette di sciroppi amari contro l'influenza e compresse insapori.

Si passò il gomito sulla nuca, frastornata, assottigliando gli occhietti stanchi. Ricordava vagamente quel posto, quella rustica pianta da appartamento all'ingresso e quella croce stampata sopra la porta.

«Tutto bene?» Solo allora si accorse che il peso corporeo in fondo al materasso era occupato dal suo migliore amico. Teneva le mani dietro alla schiena e le gambe un po' divaricate.

Mosse il capo in segno d'assenso e strinse le dita all'orlo ripiegato del lenzuolo. L'anno precedente era svenuta due volte. Una in classe, a causa della sua leggera anemia di cui aveva sospeso i controlli. La seconda perché i suoi compagni l'avevano costretta a scavalcare il muretto del cortile. Ecco perché era scattato l'allarme nella testa bacata del Grande Connor, interrompendo l'indifferenza che, ormai, andava avanti da quasi un mese.

«Mi ero preoccupato» aggiunse con dolcezza, accarezzandole una guancia con il dito. Per una volta le fissava intensamente gli occhi, azzurri più del cielo.

«Grazie» rispose lei, arrossita per tanta premura. A volte era un irrimediabile stupido, altre si sentiva fortunata ad averlo accanto. «Sei il migliore» ammise infine, trattenendo un sincero sorriso. «Mi dispiace di essermela presa per i regali.»

«Tutto a posto, dai.» Federico mostrò un sorrisetto da dongiovanni in piena regola, mentre la ragazza gli circondava amorevolmente le spalle con le braccia.

 

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Francesco si era offerto di studiare con me per la verifica di francese e io avevo accettato all'istante. Stare in sua compagnia era piacevole e francamente ero curiosa di vedere come fosse la stanza per metà di Leonard.

Entro poco lo scoprii. Sulla scrivania, straripante da una parte di libri romantici e dall'altra di fumetti, notai subito i pesciolini incollati al portapenne come aquiloni al vento. Immaginai che il letto con il piumone blu e il pigiama stirato con cura in fondo fosse di Francy, mentre quello sfatto e pieno di cianfrusaglie del suo coinquilino.

«Un attimo solo» mi disse il castano con un sorriso radioso, chinandosi per prendere il materiale dallo zaino.

Ne approfittai per continuare la mia osservazione. Sopra il suo letto notai una foto della famosa Coordinatrice Lucinda di Duefoglie, appesa al muro con una striscetta di scotch. Dall'altro lato, invece, era stato piantato un chiodo per esporre una medaglia bronzea con uno strano simbolo floreale.

«È di Leo?» chiesi d'istinto.

Francy annuì distrattamente. «Sì! L'anno scorso è arrivato terzo al campionato di Hontai Yoshi Ryu. Non dev'essere stato facile, con la scuola e suo fratello!»

Assentii stregata, anche se non avevo la minima idea del significato di quel nome giapponese. Uno sport, forse?

«Dai, ripassiamo un po' l'unità cinque» annunciò, sedendosi sul materasso. «Tranquilla: lui non sa che sei qui.»

Un peso volò via dal mio cuore e potei finalmente rivolgere la concentrazione allo studio.

 

«Invite-moi, ne m'invite pas. Questo corrisponde all'imperativo in italiano che esprime ordini precisi. Le desinenze che devi aggiungere dopo il verbo sono queste qui.»

Scarabocchiai la spiegazione a bordo pagina, sperando di ricordarmi tutto. «Ora ho capito, grazie. Facciamo i numeri cardinali?» chiesi, dando una sbirciata alla tabella successiva.

«Sì, dovrebbero essere facili!»

Il ticchettio frettoloso della mia matita era l'unico rumore udibile nella stanza, alternato allo sfogliare pagine del mio vicino.

Giocherellavo con la gomma per la noia, sfregandola tra le dita. Dopo un po' mi cadde e finì sotto al letto.

«Uffa» borbottai, prima di accucciarmi a gattoni per recuperarla.

«Ehilà, Frè!» Proprio allora la porta si spalancò senza preavviso, mentre un brivido mi percorreva la schiena. «C'è meno coda adesso, le docce sono quasi libere.»

«Oh, non posso ora, sto studiando» rispose il mio amico, con gentilezza.

«Come mai ci sono due libri?»

Mi feci coraggio e, raccolta la gomma, sbucai reggendo le mani alla sbarra bassa del letto. Un urlo acutissimo uscì dalle mie corde vocali alla vista del biondino dispettoso con solo l'asciugamano in spalla e dei boxer neri addosso.

«Serena!? Cosa ci fai nella mia stanza?! Esci subito!» Afferrò dall'appendiabiti un giubbotto con il quale si coprì velocemente, mentre indietreggiava verso la porta.

Francesco si frappose tra lui e me rannicchiata sul tappetto. «Calma! Calma!»

«Mi ha invitata Francy!» protestai di getto. «E se la cosa non ti sta bene fatti un giro! Sennò ho una pistola e non ho paura di usarla!»

Mostrò un sorrisetto strafottente. «Non è vero.»

«Dici?» scommisi, tirando fuori dalla tasca inferiore il gioiellino ad aria compressa regalatomi da papà.

Il ragazzo sbiancò non appena chiusi un occhio per prendere la mira. «O-Okay, okay, me ne vado!» si arrese, con le mani in alto come un detenuto. Afferrò qualcosa dall'armadio e la porta sbatté di nuovo.

Solo allora Francesco e io ci concedemmo una sana risata, per sciogliere la tensione nell'aria. Gli avrei chiesto aiuto più spesso.

 

Quella sera trovai un biglietto sul mio cuscino. La camera era vuota.

“Cara Siena, vorrei che ci vedessimo sul tetto della scuola verso le nove, devo parlarti. A dopo, se verrai. -Leila-chan”

Schiacciai il pulsante centrale del mio cellulare perennemente in carica: mancavano cinque minuti alle nove. Infilai la giacchetta bianca a mezze maniche retinata all'esterno, poi uscii.

 

Essendo appena iniziato marzo, rimaneva un po' di gelo nell'aria. Non venivo sul tetto da un po'. Dava sempre una sensazione di libertà e il vento giocava stuzzicando la mia coda, come la criniera di un Ponyta.

Leila era là, sporta dalla ringhiera, con lo sguardo fisso alle poche stelle nel firmamento.

Quando si accorse della mia presenza si voltò, con un sorriso. «Ehi.»

«Ehi» salutai, raggiungendola, seguita a pochi passi da Moni.

Lei si voltò nuovamente verso la strada, assorta. Anche gli occhi a mandorla della sua Vulpix puntavano al largo. Le macchine, viste da lì, parevano piccole quanto le mie unghie e il soffuso calore dei lampioni illuminava i marciapiedi. Forse era lì che andava, la mattina presto, per assistere alla bellezza dell'alba.

«Sai, Siena» cominciò. «È stato bello averti come campagna di stanza. La tua allegria mi distraeva e la solitudine, pian piano, andava via» confessò ad occhi chiusi, come se rievocasse in brevi flashback tutti quei mesi.

«Grazie…»

Aspettavo un “ma”. Di quei “ma” che ci sono sempre, fondamentali per il succo di un discorso. Quei “ma” che ti travolgono in un'onda di amarezza schiantandosi contro di te a tradimento, che vorresti non arrivassero mai.

«Fabiolo l'anno prossimo andrà a studiare in una scuola di Fiordoropoli. Diventerà un eccellente poliziotto.» Fece una pausa, lasciandomi assimilare pian piano le informazioni. «Poco distante c'è un istituto di medicina…»

I miei occhi si fecero già lucidi.

«Ho preso in considerazione l'idea di andarci. Sarei più vicina alla mia famiglia e alla mia adorata campagna, il mondo a cui appartengo e dove posso essere me stessa.» C'era dolce calma nella sua voce. «Questa scuola ha molto da offrire, ma devo inseguire il mio sogno.»

Aveva usato il verbo “dovere”, non “potere”. Questo esprimeva tutta la sua sicurezza. Le luci dei condomini e dei negozi per la mia vista appannata persero uniformità, diventando diamanti sfocati.

«Non te ne andare, Leila…» mormorai, stringendo i pugni.

«Ehi, rimangono ancora questi ultimi mesi» mi rassicurò, mentre sfiorava i boccoli rosso rubino di Vulpix, seduta educatamente sul davanzale. «Dopo, sarei contenta se continuassimo a sentirci tramite mail, se ti va!»

Una gocciolina di pioggia mi bagnò la punta del naso, confondendosi a una lacrima. Ero riuscita a fermare Naomy per un soffio di fortuna, ma Leila era troppo tenace per ascoltarmi. Mi faceva rabbia questo suo atteggiamento, tuttavia annuii. Moni mi strattonò un lembo della gonna, attirando la mia attenzione. I suoi occhi luccicavano d'oro fuso, come quelli di Federico, ma più compassionevoli e dignitosi. Mi abbassai e il cucciolo mi s'arrampicò sulle ginocchia, così affondai il viso nel suo pelo, confortante come una borsa dell'acqua calda.

Leila stava ancora girata di schiena, con un sorriso sereno, come se avesse liberato nell'aria un peso alato che portava in fondo al cuore. Senza rimpianti.

 

 

 

Angolo Autrice
Hiya!
La storia sta prendendo pieghe LEGGERMENTE drammatiche ^^” sorry!
Comunque il prossimo capitolo è del 1 d'aprile e vedrò d'inventarmi qualcosa che riporti.. l'alegrìììììaaa!
Beh alla prossima :)
-H.H.-
 
   
 
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