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Autore: Night_    28/05/2014    1 recensioni
Takeshi era un guerriero. Un distruttore senza patria e senza scrupoli. Quelle sillabe... quel nome le apparve a dimensioni piccole piccole nella sua testa, fra tantissimi altri scritti più grandi, in modo quasi ingombrante.
Eppure, anche se era così minuscolo, era il primo che i suoi occhi della mente leggevano all'istante – brillava.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E forse, ma dico forse, le persone si sforzano di capire gli altri per essere a loro volta capiti. Accontentiamoli, allora!

Sayumi.

 

 

 

 

 

 

 

Senza anima, senza conoscenza, cosa rimane?










 

 

 

 

 

 

 

Col cuore in gola, scelse il numero di Sayumi nella rubrica del cellulare; schiacciò il tasto della chiamata e portò quel dannato oggetto all'orecchio. Non le era mai sembrato così odioso e da panico come in quel momento – le chiamate la mettevano in agitazione, strano ma vero.
Mentre aspettava che dall'altro capo arrivasse una risposta, guardava Takeshi che era appoggiato alla ringhiera – lei stava alla porta – affianco a quest'ultima, intento a scrutare la volta azzurrina, le mani nelle tasche. Aveva uno sguardo talmente calmo. Non sembrava neanche lui. Mancava quel guizzo un po' sociopatico nelle iridi.
La parte inferiore della camicia, quella degli ultimi due bottoni, svolazzava ad ogni soffio di vento – che fosse leggero o meno pare non interessasse a nessuno – mostrando per qualche attimo un pizzico di addome. Un addome, per la cronaca, scolpito ad arte.
«Yuki... chan?», la sottile e incerta vocina di Sayumi la fece sobbalzare sul posto. Il cuore non si decideva a scendere! «Oh, porca-- Yumi! Ciao. Ehm. Come stai? Sai, da quella volta.. no, meglio non parlarne. Almeno per ora, giusto? Sono sicura che avrai fin troppe domande e mi verrà il mal di testa e per questo ho la tentazione di tornare a casa a prendermi una medicina. N-non che mi serva, se vogliamo essere onesti, perché creature come me--... puoi venire a scuola?».
«Respira».
«Ehm. Non penso proprio!». Le scappò persino una risatina, con una bella marcata isterica. Girando gli occhi, notò lo sguardo alquanto spaventato di Takeshi.
Come biasimarlo, pensò, abbassando le palpebre, devo calmarmi. Andiamo. Ci sarà una ragione se si ostinano a chiamarmi “Regina di Ghiaccio”!
Frustrata, strinse la presa al cellulare. «Allora, puoi raggiungerc-mi?». Era il caso di dirle di Takeshi? Sayumi, svenuta, non aveva avuto la possibilità di conoscerlo – che fortuna, pensò l'albina. D'altro canto, non voleva nascondere più nulla alla sua migliore amica. Abbassò repentinamente le spalle.
«Sì, penso di farcela», disse Sayumi.
«C'è qualcuno che dovresti conoscere», si affrettò ad aggiungere Yuki, guardando l'umano che aveva incrociato le braccia al petto. «Diciamo che gli devi questa cortesia».
«Gli?». L'albina colse il tono sorpreso quanto imbarazzato dell'amica – non aveva mai avuto queste grandi vicinanze con l'altro sesso. Il motivo, era sconosciuto. Per tranquillizzarla, usò un tono più comprensivo, quasi dolce. «Non preoccuparti, è solo una persona qualsiasi», lanciò una tagliente occhiata a Takeshi che, alzando il mento, ricambiava lo sguardo. «Che tra l'altro ha fretta».
L'umana fece un sospiro impercettibile, sollevato.
Bene, meglio per lei. Prima di chiudere, assicurò che avrebbe fatto quanto più presto possibile, ricevendo in risposta un: «Sul tetto!».
Su quel tetto... era una cosa naturale per loro due starci, in tutta tranquillità, lontane dall'ipocrisia di quei volti senza tratti – i loro compagni. Anche Yuki sospirò, mentre riponeva il “dannato” aggeggio nella tasca della gonna.
«A proposito». Alzò lo sguardo su Takeshi, che ora le parlava e si staccava dalla ringhiera. Come sempre, lui aveva lo sguardo di un imprevedibile. «Questa divisa ti sta d'incanto».
Yuki prese i lembi della gonna e li sollevò appena, tanto per guardare la gonna con un sopracciglio arcuato.
«Ma se è terribilmente tris- Oh, mio Dio!», esclamò, lasciandosi scivolare il tessuto dalle dita. Guardò Takeshi. «Diamine! Teoricamente, ora starei in bagno da... 40 minuti?». Il ragazzo sogghignò. «Al massimo penseranno che hai problemi di stomaco».
«Ah-ah, preferisco che pensino stia marinando la lezione», aggrottò la fronte e, a grande falcate, raggiunse il moro; alzò il mento con i pugni sui fianchi e, tutta impettita, disse a gran voce: «Resta qui fino alla fine delle lezioni, se ci tieni a quella bel-- a quella pelle, insomma!».
Lui alzò notevolmente le palpebre, scoprendo occhi al sapore di cioccolato, mentre le braccia si allargavano vicino ai suoi fianchi.
«Ho una classe dove dovrei tornare, sai? Mi rifiuto di interessarmi alle lezioni ma questo... è irrilevante», si passò la lingua fra le morbide labbra, soffiando verso l'alto per spostarsi una ciocca castana dalla vista.
L'albina seguì i movimenti con pignola attenzione, fin quando la campanella che segnava la fine di quell'ora non catturò la sua mente. «Tanto piacere. Se... ». Si fermò, serrando la bocca in una linea fredda e insensibile. Fece spallucce, prima di proseguire. «Se ti fossi deciso a fare come ti ho già detto mille volte, a questo punto la tua vita sarebbe più semplice. Anzi, sarebbe sempre... la stessa noiosa, monotona esistenza».
E nonostante la freddezza, – punta veritiera anche troppo evidente – il veleno delle sue parole, Takeshi non si scompose di un centimetro. Anzi, dal sorriso spontaneo che appariva ora, sembrava divertito e persino un po' ammirato. Incrociò le braccia al petto, alzando un sopracciglio mentre inarcava l'altro. «E non ti è mai passato per la testa che se mi sono interessato così tanto a te è proprio per questo?», disse, in tono canzonatorio. Yuki non rispose, stette a guardarlo come si guarda un dipinto incasinato, cercando di capirne il senso. E tutto questo andava un po' contro l'espressione immobile, come un muro di mattoni mentre il suo “sguardo” era su di lui, aspettandone un «Scherzavo!».
Sapeva che era terribilmente sciocco da parte sua, ma... aveva davvero pensato per un mezzo millesimo di secondo, che qualcuno provava sincero interesse per lei?
I tratti del viso si abbassarono, spinti dalla gravità. «Oh... », sussurrò, abbassando gli occhi al pavimento impolverato. Che stupida. Che stupida. Che stupida!
«Giusto», disse solo. «Allora ci vediamo più... più tardi. Dobbiamo p-parlare». Dannazione! Le era sfuggito un balbettio. Chiuse gli occhi e strizzò le palpebre, pregando con tutto il cuore che Takeshi non ci avesse fatto caso. Altrimenti...
Sentendo lo sguardo di quest'ultimo addosso, non aspettò nessuna risposta e rientrò dal terrazzo. Forza, non c'era niente di nuovo, no? Era tutto nella norma.
«Tutto nella norma».
Quindi... non c'era motivo per sentirsi fatta a pezzi, giusto?

 

 

 

***

 

 

Le 17:30.
Il cielo si era tinto dei colori caldi del tardo pomeriggio, andando a colorare anche le pallide nuvole; spruzzi di arancione, giallo e rosso e persino un po' di rosa. Uno scenario romantico, rilassante! Proprio niente male. Solo la slanciata figura che spiccava nell'atrio della scuola – al centro, orgoglioso – stonava con lo sfondo altrimenti perfetto. In realtà, un ragazzo così bello potrebbe essere il protagonista di qualche smielata storia d'amore. Ma le iridi ametista erano talmente taglienti da rovinare ogni cosa – perché erano così fredde? Sembravano avere tutta l'intenzione di segare in due una persona, una qualsiasi, per il puro scopo di far del male.
Vuote, senza alcuna forma di vita.
Come se fossero gli occhi di una marionetta.

 

 

 

***


 

 

I sospiri che si arrampicavano disperati su per le sue corde vocali, sì, probabilmente erano soprattutto quelli a innervosirla. E ora si sentiva quasi stupida ad aver perso mezz'ora, in preda al panico, ad aggiustare la corta chioma rosata.
Tanto, non doveva incontrare certo un duca! … peggio, doveva incontrare qualcuno non-umano. Come doveva vedere Yuki, ora? E perché ci pensava proprio in quel momento, cavolo!
La fronte aggrottata, gli occhi chiusi e le braccia strette attorno al proprio piccolo corpicino – avvolto da un cardigan color biscotto – per infondersi un minimo di calore, camminava la salita che l'avrebbe condotta a scuola. Le era venuto mal di testa, a forza di starci a pensare.
Forse non dovrei andarci!, pensò, dopo aver esalato un ultimo sospiro. Basta così, con i sospiri. E basta così con le cattive idee. Cosa avrebbe pensato di se stessa, dopo aver preferito fuggire dalla sua migliore amica? E quest'ultima... magari non si sarebbe davvero rattristata. Da quando si conosceva lei non le aveva mai dimostrato aperto affetto.
Vai a vedere che, alla fine della fiera, era l'unica a pensare a loro come “migliori amiche”. Che superficialità, che stupidaggini.
«Mi scusi, signorina». Enormi, colossali-- Sayumi si fermò, impuntando le punte degli stivaletti. Sorpresa e scossa, si girò per trovare la voce – maschile – che aveva parlato – e rimase paralizzata.
«Penso di essermi perso e... saprebbe dirmi dove posso trovare la scuola superiore--».
«Ah! Lei, ehm, non è di qui, vero? In tutto il paese, ne abbiamo solo una», si affrettò lei, sgranando le iridi cerulei. Non sapeva dove aveva trovato la voce, dopo che il suo sguardo si era posato sulla figura davanti a lei.
Non era sicura che, in vita sua, i suoi occhi avevano mai guardato una persona tanto bella – beh, in realtà, Yuki era fin troppo bella... e questo spiegava un paio di suoi dubbi.
«Esatto», rispose il ragazzo. «Quindi ne esiste solo una? Dov'è, precisamente? Mi scuso per tutti questi problemi». E non era solo affascinante, anche cortese. Era un Dio? Sceso in terra... doveva aver perso una scommessa. Povero.
Sayumi sollevò il braccio sinistro, staccandoselo di dosso, per indicare alla loro destra. «E' lì, sempre dritto... ».
Le labbra del ragazzo presero una curva rotonda, avvenente; c'era qualcosa di strano, in quel sorriso, sembrava quasi che non gli appartenesse...
Si chinò in avanti, in direzione di Sayumi. «Capisco, la ringrazio infinitamente... ». Le prese il piccolo mento fra le dita e le pupille, in un solo attimo, si ridussero ad uno spillo per poi ringrandirsi.
«Immagino non ti dispiacerà accompagnarmi. Immagino... che tu ci tenga al tuo debole cuoricino».

 

 

 

***

 

 

Quanto tempo era passato... ? Non riusciva a capirlo.
L'unica cosa che giungeva alle sue orecchie, era il suono flebile di passi silenziosi, di passi accuratamente pensati. Non uno falso, non uno di troppo.
A volte, pareva quasi che stesse volando.
A volte, pareva che i suoi piedi si staccassero dal suolo.
Ah, ci capiva sempre meno, mentre, debolmente le palpebre provavano a levarsi – e non ci riuscivano, si riabbassavano con la stessa velocità di un battito d'ali.
C'era qualcosa di strano.
Di... contorto.
Nel piccolo attimo in cui aveva visto qualcosa, le era sembrato di vedere dei talloni che scomparivano a turno; quindi erano davvero passi.
Filamenti dorati.
Occhi senza conoscenza.
Anima corrotta.
Cosa... ?
«Mettimi giù».

  
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