Ciao
a tutti!
Questa
storia ha
partecipato a due contest in contemporanea: “Frammenti di
feste” che scade a
luglio. (nel testo troverete parole in grassetto e una citazione da
Lorenzo il
Magnifico, promt che facevano parte di questo contest) e il
“Contest letterario
Booksheels”. Questo fa sì che sia un
genere… leggermente diverso dal solito,
che scoprirete alla fine del racconto.
Buona
lettura.
Pranzo
di nozze
Quando
la sveglia suona sto ancora
guardando il soffitto.
Non
ho bisogno della
suoneria, sono sempre attivo già prima che primo squillo, ma
mi serve per
essere puntuale. Soprattutto oggi devo essere puntuale.
Oggi
mi sposo.
Chiudo
gli occhi e la mia mente vola alla
prima volta che l’ho incontrata.
Era
una giornata assolata,
proprio come quella che viene preannunciata oggi dai timidi raggi di
sole che
filtrano dietro le imposte chiuse.
Stavo
girando nel giardino
del college, poco prima del crepuscolo. Mi piace
quel momento della
giornata. Il sole, appena tocca l'orizzonte, è caldo come se
sfrigolasse
nell'olio bollente, e mi fa sciogliere qualche cosa dentro. Un calore
sconosciuto tra il cuore e lo stomaco... o giù di
lì.
Lei
era seduta su una
panchina di legno praticamente nuova, accanto a un olmo che creava
un'ombra
quasi notturna tutto intorno. I suoi lunghi capelli biondi rilucevano
in
contrasto con il buio circostante e le scendevano sul viso, a coprirla
ed
isolarla dal resto del mondo.
Le
spalle esili saltellavano
e si stringeva le mani nervosamente. Quando intercettai il suo
singhiozzo capii
che stava piangendo.
«Perché...
piangi?» chiesi
con il mio solito modo balbuziente. So che una volta parlavo veloce e
senza
intoppi, ma dall'incidente... è cambiato tutto. Anche quello.
Lei
sollevò il viso e mi
sorride. Le guance rigate dalle lacrime erano cosparse di efelidi.
Sembrava
tenera. «Niente» rispose passando una mano veloce
sotto gli occhi. «Stavo solo
pensando cose tristi... Non dovrei».
«Esatto...
non dovresti...
Sei bella... nessuno così be... bello dovrebbe
piangere» le dissi cercando di
sorridere in modo incoraggiante.
Lei
si mostrò stupita per il
mio complimento e disse un “Grazie” entusiasta
accompagnato da un gran sorriso.
Mi
alzo dal letto. Il mio letto da scapolo,
e barcollo verso l'armadio per prendere i vestiti da cerimonia. Mi
hanno
costretto a prendere lo smocking con tanto di fascia blu
e farfallino.
Strangola. C'è poco da dire. Il mio collo implora
pietà, come tutto il resto
del mio corpo. Adoro i vestiti larghi, sformati e il solo vestirmi da
pinguino... che fastidio.
I
miei soliti abiti sono
comodi, li sento miei. Questo no. Spero che il negozio se lo riprenda
indietro.
«Ciao!
Allora sei tornato! Sai che stai
bene vestito così?» mi disse due giorni dopo,
quando ci rincontrammo. Era
sempre alla panchina e non piangeva più. Sorrideva e mi
guardava. Quel giorno
mi ero messo un calzone cachi con tante tasche e una maglia con
l'immagine di
una spiaggia tropicale. Mi piaceva quella maglia.
Mi faceva sentire il
caldo del sole e la brezza del mare anche quando ero in mezzo alla neve.
Mi sentivo bene con quelli addosso, per questo stavo bene. Almeno credo
che
funzioni così.
«Ciao...
non... non piangi»
constatai io, balbettando come al solito.
Ci
fermammo a parlare e il
sole tramontò. Era simpatica. Rideva alle sue stesse
battute. Anche alle mie,
quando riuscivo a dirle in modo chiaro. Mi prendeva in giro, ma in modo
bonario. Per una volta mi sentivo bene.
Sono
praticamente pronto per uscire. Mi
infilo la giacca ed esco. Devo andare solo fino all'angolo a prendere
il fiore
da mettere all'occhiello. Perché si mette il fiore? Bah!
Forse perché il
profumo potrebbe coprire qualsiasi odore. Come se ne avessi bisogno.
«Allora
è oggi? Auguri!». La
fiorista mi consegna il fiore e il bouquet coordinato da consegnare
alla mia
futura sposa.
Sorrido,
chino la testa ed
esco. Lei saluta ancora gioviale, convinta che il mio chinare la testa
sia
stato per timidezza. Invece no, era per vergogna e codardia. Che ci
faccio qui?
«Usciamo?».
La
sua domanda arrivò dopo
cinque volte che ci incontravamo sulla sua panchina. Non capivo cosa mi
spingesse a trovarmi sempre lì. Forse era la sua voglia di
fare la
crocerossina. Alcune ragazze hanno questo chiodo fisso: io ti
salverò. Da te
stesso, dal mondo, dai tuoi vizi. Dà quasi un senso di
onnipotenza. Ed è la
stessa onnipotenza che sentivo quando riuscivo a rimanere me stesso,
nonostante
le sue fatiche. Non mi avrebbe cambiato.
La
nostra prima uscita fu
battezzata da una pioggia battente. Non riuscivo
neanche a capire dove
finivo io e dove iniziavano le pozzanghere. Mi sentivo sciolto con il
resto nel
mondo. Lei no. Era solida. Bagnata ma solida.
Quella
sera l'accompagnai
sino a casa. O meglio, il taxi accompagnò prima lei e poi
me. E mi diede un
bacio. Leggero. Sulla guancia. Bagnato anche quello.
«Ciao...
ci... ci vediamo...
domani» dissi io. Volevo sembrare gentile e fu l'unica cosa
che mi venne in
mente. L'inizio della fine.
Un
taxi mi viene a prelevare quando sono
sul marciapiede davanti alla fiorista e mi faccio portare alla cappella
romanica dove ci sposeremo. È una cappella graziosa, in
periferia. Mi è sempre
piaciuta perché è fatta con pietre squadrate, ma
il resto è spoglio. Solo muri
e finestre. Quando l'ho fatta vedere a lei, le è piaciuta
subito. Decidere di
fare lì la cerimonia è stato automatico.
Credo
che mi sia sempre
piaciuta anche prima dell’incidente.
Era
già un paio di mesi che uscivamo
insieme.
«Mi
piace questo rispetto che
hai per me. Mi fa sentire così amata e protetta»
cinguettò lei una volta,
durante una delle nostre passeggiate notturne.
«Non
potrei… non avere
rispetto» risposi. Lei si riferiva al fatto che non le ero
ancora saltato
addosso. Ci eravamo abbracciati e le avevo dato qualche bacetto sulle
guance.
Niente altro. Lei pensava che la rispettassi. Io pensavo che non mi
piaceva
così tanto. Però non riuscivo a lasciare stare. A
non vederla. Una parte di me
non poteva farne a meno.
Anche
quando mi guardavo allo
specchio, verso sera, e mi dicevo «Adesso… ti
chiudi in… in
casa e basta» dopo alcuni minuti chiudevo
la porta e mi dirigevo verso la famosa panchina sotto l’olmo
gigante.
Il
taxi mi porta alla cappella romanica. Il
piccolo piazzale davanti è pieno di gente. Ospiti della mia
sposa.
Io
e i miei amici, siamo
entrati dalla porticina laterale in legno antico. Loro non avevano
voglia di
restare sotto il sole cocente e io… per tradizione dovevo
aspettare l'arrivo
della sposa davanti al banchetto di pietra coperto dalla tovaglia di
lino e
pizzo e coperto di gigli e rose.
Mi
siedo su una sedia della
prima fila, accanto agli altri ospiti e, insieme, ci mettiamo ad
aspettare
tranquilli. Ho lasciato il bouquet accanto all'entrata, vicino alla
nonna della
mia fidanzata. Speriamo che non si addormenti dimenticandosi di
consegnarlo.
Questa
attesa mi fa ricordare
altri episodi della storia che mi ha portato a questo punto.
«Devo
dirti qualcosa di importante» mi
disse una sera. Le sue guance scottavano, lo sentivo anche a distanza.
«Io ti
amo» soffiò. Poi attese la mia risposta.
Il
mio cervello, per quanto
lento, lavorava vorticosamente per trovare una risposta. Mi sembrava
che quella
cosa fosse troppo importante, come se avessimo esagerato nei sentimenti.
«Ma…
sei, sei sicura? Vo…
voglio dire… ci frequentiamo da… poco. Poi,
sei… sei sicura? Siamo così di…
diversi» balbettai.
Poi
vidi il suo viso farsi
scuro e abbassarsi. Qualche cosa brillò sotto
l’occhio e mi sentii stringere in
un posto a metà strada tra il cuore e lo stomaco.
Dispiacere, diagnosticai, e
dalla mia bocca uscirono le parole che mai avrei dovuto dire:
«Non piangere…
anche… anche io ti amo».
Il
sorriso che mi regalò fu
più grande del primo. Più bello. Speciale.
Un
signore con un violino, inizia a suonare
la marcia nuziale e io mi alzo e mi metto impettito davanti
all’altare, accanto
a un mio parente che officerà la funzione.
Dopo
pochi istanti tutti si
alzano dalle sedie e guardano la mia sposa entrare, accompagnata dal
padre che
sembra più agitato e nervoso di lei. Si avvicina coperta da
una nuvola di tulle color crema.
Sembra quasi assurdo
vedere lei così simile a una meringa e le pietre che ci
circondano, così
antiche.
Mi
raggiunge e ci voltiamo
verso quello che dovrebbe essere il sacerdote. Lei sorride raggiante e
quasi fa
sorridere anche me.
«Sposiamoci!»
disse qualche giorno dopo il
suo “Ti amo”.
Ormai
sembrava essere salita
su un treno ad alta velocità, nulla poteva farla desistere.
Aveva deciso e la
vittima designata ero io.
Aveva
preso le mie mani e le
stringeva tra le sue, guardandomi con i suoi occhioni fiduciosi e
felici. Feci
per rispondere quando un vecchietto zoppicante ci passò
accanto e declamò
«
Quant’è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
Chi
vuol esser lieto, sia; di
doman non c’è certezza… che bello
essere giovani!».
Lei
si mise a ridere e io
ripensai al “di doman non c’è
certezza”. Nessuna frase era più giusta di
questa, ed io ne ero la prova, sin da quando era accaduto
l’incidente.
Mi
limitai ad annuire e lei
mi abbracciò esultando. Mi ero incastrato da solo.
La
cerimonia va avanti. Alle mie spalle
sento qualche singhiozzo commosso, sicuramente la mia futura suocera.
«Lo
voglio» dice lei in un
sospiro estatico.
«Lo
voglio» rispondo io ormai
rassegnato a quello che sta per accadere.
«E
io vi dichiaro marito e
moglie» annuncia l’officiante, poi, con un ghigno
che gli deforma leggermente
l’occhio mi fissa e dice «E adesso puoi mangiare la
sposa!».
La
reazione è pressoché
istantanea. I miei amici si avventano sulle tenere persone invitate
dalla mia
sposa e iniziano il banchetto. Il sangue scorre e macchia anche il
vestito
color crema della ragazza che ho davanti, ma lei non sente
più niente: ha gli
occhi sbarrati e la mia mano dentro il suo petto a strapparne il cuore,
il
boccone del corpo che preferisco. Forse perché non si tratta
solo di carne. Una
volta, prima che un non-morto mi ferisse e diventassi come loro,
pensavo ci
fossero anche i sentimenti lì dentro. Adesso li mangio e il
sangue scorre sul
mio mento e poi sulla camicia bianchissima. Peccato, non
potrò restituire il
vestito. Però avevo ragione sulla prima impressione che mi
aveva fatto: era
davvero tenera… la sua carne.
Un
pochino mi dispiace per
mia moglie, ma il fatto che si ostinasse a vedere solo il buono di me,
a
volermi come nelle sue fantasie… una lezione gli stava
proprio bene.
I
miei ospiti lasciano i
resti per terra nella cappella romanica. Qualcuno provvederà
a pulire.
È
il crepuscolo quando
usciamo.
Questa
sera una nuova
passeggiata. Ho letto da qualche parte che dovrebbe esserci una eclissi di luna. Sono ansioso di vedere
com’è.
Due
sere dopo il mio matrimonio e la
successiva immediata vedovanza, mi trovo a passeggiare nel prato del
college e
senza che me ne accorga mi dirigo verso la panchina sotto
l’olmo.
Una
ragazza bruna dai capelli
corti, è seduta sulla panchina e io non posso fare a meno di
avvicinarmi.
Ha
gli occhi chiusi e sta
canticchiando. Vedo un filo bianco che le esce dall’orecchio
destro. La guardo
per qualche minuto e poi decido di proseguire passandole davanti.
L’ho
appena superata quando
sento una voce squillante e allegra. «Ciao» e
diventa automatico sorridere e
rispondere. «Ciao».
Forse
sarà la mia prossima
sposa…
Angolino
mio:
doveroso.
Ebbene sì,
questo è un horror. Però non volevo farvelo
scoprire prima del tempo, mi
piaceva la sorpresa finale, e spero anche a voi.
Alla
prossima shot.
baciotti