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Autore: everlily    28/05/2014    14 recensioni
Damon ed Elena si conoscono quando sono solo adolescenti.
Non hanno niente in comune, se non i casini e la confusione che entrambi si portano dentro. E' un'amicizia improbabile la loro, in cui i confini si confondono, a volte sofferta, ma di cui nessuno dei due riesce a fare a meno.
Anni dopo, entrambi si sono costruiti una propria vita lontani l’uno dall’altra: ma l'inatteso ritorno di Damon a Mystic Falls può ancora mandare all’aria molti piani e finire per rimettere tutto in discussione.
Dalla storia. “Per tutto ciò che ha spinto, e forse spinge ancora, me e Damon ad avvicinarci, c'è sempre stato anche qualcos'altro, più nascosto e latente, una forza contraria sempre pronta ad esplodere e ad allontanarci con la stessa intensità. E non so se, adesso che entrambi siamo cresciuti e andati avanti con le nostre vite, anche questo sia cambiato. Forse, il vero quesito a cui è più difficile rispondere è se io voglia davvero scoprirlo oppure no."
AU/AH
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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14

14.

Wear me out


- Too young, too frail
But sometimes I feel
Like old blue jeans
'Cause you wear me out -

(Wear me out, Skylar Grey)


Elena


"Cosa ne pensi di questo?"

Faccio capolino dalla porta del bagno che si affaccia sul corridoio del piano terra, senza smettere di tamponarmi i capelli bagnati dopo la doccia, e sbircio verso ciò che Elijah mi sta mostrando. Osservo il cartoncino color grigio chiaro che tiene tra le dita, con una sobria decorazione nell'angolo in alto a destra ed entrambi i nostri nomi scritti in nero in un carattere arzigogolato che dovrebbe risultare elegante ma a me sembra solo complicato.

"Qual è la differenza rispetto a quello di prima?"

"E' una sfumatura più bluastra. Ed ha i bordi in argento."

"Non so …" rispondo scrollando le spalle e gettando l'asciugamano bagnato nel cesto della biancheria.

Vado a sedermi accanto a lui, una gamba incrociata sotto l'altra ed i capelli ancora umidi a rinfrescarmi le spalle. L'aria serale che filtra attraverso le zanzariere dalla finestra aperta è ancora afosa quasi quanto quella diurna, porta dentro un profumo dolce di gelsomino ma ben poco sollievo.

Allungo le dita per giocherellare distrattamente con il primo bottone della sua camicia.

"Quello che preferisci tu, per me è uguale."

Elijah posa di nuovo entrambi i cartoncini sul tavolo. Quando torna a guardarmi ed incrocio il suo sguardo serio, è il momento in cui capisco di aver appena detto qualcosa di terribilmente sbagliato.

"Non ti importa di che aspetto avranno gli inviti del matrimonio."

La sua non è neanche una domanda, è una constatazione. Una constatazione davanti alla quale rimaniamo per qualche istante entrambi in silenzio, forse in attesa di una mia pronta negazione che però in questo momento non ho davvero molta voglia di offrire.

Ammetto che sia colpa mia. Nell'ultima settimana, ho insistito molto per procedere in modo piuttosto accelerato con l'organizzazione del matrimonio, come se concentrarmi su torte, fiori, scelta dei menù e altri dettagli di poca importanza potesse aiutarmi a fare ammenda per tutto il tempo in cui ho rimandato; come se potesse aiutarmi a non sentirmi uno schifo di fidanzata ogni volta che lo sprazzo di un portico e delle mani di Damon sul mio viso si fanno caparbie strada nella mia mente e … No. Non voglio pensarci un'altra volta.

Le cose stanno andando bene tra me e Elijah, davvero bene. Non abbiamo più discusso, non una singola volta. Neanche quando mi sono sforzata di mostrare entusiasmo di fronte a raffinate degustazioni di dieci torte diverse, di fronte a piani studiati nei minimi particolari per le decorazioni floreali del luogo della villa ottocentesca fuori Richmond che sarà il luogo della cerimonia, e, in generale, di fronte ad una ridicola quantità di dettagli e sprechi per fare le cose in grande per cui io continuo a non vedere alcuna necessità.

Solo che stasera sono stanca. Sabato riapriremo il Grill e, dopo aver passato tutta la giornata a spuntare la lista delle molte cose da fare per renderlo di nuovo in uno stato presentabile adesso che i lavori sono finiti, entusiasmarmi per un pezzo di carta mi sembra un'impresa titanica.

"Sono solo bigliettini …" dico stringendomi nelle spalle. "E poi, la maggior parte delle persone che voglio invitare le vedo praticamente quasi tutti i giorni. Davvero, mi va bene qualsiasi cosa."

Elijah si scosta leggermente dal tocco delle mie dita, ancora posate sulla parte alta del suo petto, e mi lancia un'occhiata sospettosa.

"Si tratta di nuovo della lista, non è vero?" mi domanda.

Già, la lista. Quella di tutte le persone invitate da parte sua al nostro matrimonio e che tra poco rasenta il paragone con il censimento di un'intera cittadina. Ho sempre avuto l'idea che un matrimonio dovrebbe essere una cosa intima, riguardare l'amore di due persone … non le altre quattrocento che stanno lì ad assistere. Sciocca ingenua che non sono altro.

"Io non conosco nessuna di quelle persone, Elijah."

"Non è vero," mi corregge sporgendosi in avanti, il suo tono dolce, conciliante. "Conosci mio fratello e mia sorella …"

Che ho incontrato sì e no tre volte. Sua sorella, poi, probabilmente mi odia.

" … E anche mia madre."

Che sicuramente mi odia.

"Ok, tre persone su …" Mi costringo a non suonare troppo sarcastica. "… Duecentoventi? Devi per forza invitarli tutti?"

"Se non invito queste persone … Molte di loro potrebbero non parlarmi più. E' importante per la mia famiglia, per il mio lavoro. Non posso non farlo. Lo capisci, vero?"

Elijah scuote la testa e si limita a sospirare, cosa che non mi fa sentire meglio.

Così come non mi fa sentire meglio il fatto che un mucchio di sconosciuti di cui non mi importa niente saranno presenti al mio matrimonio e mia madre no. E' un pensiero infantile, me ne rendo conto, perché so che non c'è niente che possa davvero cambiare le cose. E' solo che … Mi sembra così ingiusto.

"Lo capisco," rispondo invece con un profondo respiro.

"Ehi," Elijah allunga la mano per afferrare la mia e attirarmi dolcemente verso di sé. "Vieni qui."

Lo assecondo, sedendomi sul suo grembo con le ginocchia ai lati del suo torace, mentre la sua mano si posa carezzevole sopra la mia coscia nuda, lasciata scoperta dal vestito leggero che indosso. Ma quando i suoi occhi scuri guardano su verso i miei, il senso di colpa per quel maledetto bacio mi attanaglia di nuovo lo stomaco con particolare ferocia.

Di nuovo, io lo metto a tacere, prendendo il suo viso tra le mani e chinandomi in avanti per baciarlo con trasporto. La sua risposta non si fa attendere. Le sue mani mi circondano la schiena e mi attraggono verso di sé e, quando la sua bocca scende con fare esperto a lasciarmi baci caldi e umidi lungo il collo, nei punti che conosce bene e che sa come usare per farmi impazzire, il brivido di piacere che mi provoca mi fa davvero pensare che posso farcela. Posso vivere con me stessa per aver baciato un altro uomo e non averne fatto parola. Posso far tornare tutto tra noi come era prima. Posso ancora avere soltanto lui nei miei pensieri.

"Voglio darti tutto quello che desideri, Elena," mi sussurra tra un bacio e l'altro, adesso più vicino al mio orecchio, mentre il familiare calore dell'eccitazione provocato dalla frizione dei nostri corpi si fa sempre di più strada tra le mie gambe. "Il grande matrimonio che sognavi quando eri bambina … Ho visto tutti i tuoi ritagli, le fotografie e gli appunti sulla tua scrivania."

Il mio slancio si spegne come un fiammella soffiata via da un colpo improvviso di vento.

Il famoso "Libro Bianco" di cui sta parlando, quello che siede disordinato tra le mie cose e che ho avuto a malapena modo di guardare, non è nemmeno mio: è di Caroline. Qualcosa che ha iniziato a compilare quando eravamo ancora alle elementari, il giorno in cui i suoi genitori hanno divorziato, suo padre se ne è andato, e lei ha riversato in quel libro tutto la sua frustrazione per qualcosa che neanche il suo precoce disturbo ossessivo compulsivo poteva sistemare.

Uno strano malessere mi invade la gola. Davvero non mi conosce abbastanza da sapere che a me non importa granché di tutte queste cose?

Mi stacco dalle sue labbra. Riapre gli occhi per guardarmi, da sotto in su, disorientato dalla repentina interruzione.

"Quelle raccolte …." inizio.

Ma quando sto per rilevare la vera identità della loro proprietaria, il suo cellulare suona da dentro la tasca dei pantaloni e la ritmica vibrazione si riverbera tutta su per la mia coscia.

"Rispondi," gli dico con un sospiro, perché tanto so già che è lavoro e che, se lo chiamano a quest'ora, sicuramente deve essere importante.

Elijah mi lancia un'altra occhiata titubante per averne conferma, io annuisco e scivolo via dalle sue gambe per tornare a sedermi sul divano, mentre lui si sfila il telefono dalla tasca e si alza per rispondere.

Sbuffo non appena si è allontanato, lasciandomi andare con la testa all'indietro contro la spalliera. Non so quanto rimango così, con i capelli ancora umidi che adesso mandano brividi gelidi lungo tutta la mia spina dorsale e lo sguardo fisso sul soffitto, ad aspettare che Elijah ritorni e che questo malessere indefinito che lascia uno strano sapore in bocca se ne vada finalmente via.

Sento i passi di Elijah tornare nella stanza e subito mi volto verso di lui, che si è fermato vicino a me e mi guarda con la fronte appena corrugata in un linea sottile. So già cosa sta per arrivare. Conosco quella faccia. E' sinonimo di scuse, e imprevisti, e lavoro, e altre scuse.

"Cosa?…" domando posando le mani sulle mie gambe incrociate.

"Erano dalla Besunyen Holdings." Si rigira il telefono tra le mani, rilascia un sospiro. "Vogliono liquidare le azioni di una sussidiaria alla prossima riapertura della borsa, è una cosa urgente e devo-"

Non lo lascio finire. Non m'importa di cosa deve fare, della borsa o di una compagnia dall'altra parte del mondo.

"Ma è il quattro luglio domani," protesto piantando lo sguardo su di lui, con la sensazione di essere davvero una bambina in confronto alla sua figura, al suo sguardo dispiaciuto, ai suoi impegni più importanti. "Eravamo d'accordo che lo avremmo passato insieme …"

"Non hanno il quattro luglio ad Hong Kong," risponde sedendosi sul bracciolo. Il leggero sorriso un po' rattristato con cui lo dice ha l'unico effetto di farmi sentire ancora più frustrata. "Mi farò perdonare, ok? Lo prometto."

Lui promette. Io annuisco. Il mio malessere rimane lì, a galleggiare appena sotto la superficie dei miei pensieri.


***


La celebrazione del quattro luglio, quella ufficiale, si è sempre tenuta nel solito posto da quando ho memoria, nella piazza principale allestita con tanto di palco per commemorazioni storiche e concerto finale di una qualche gruppo locale. Ma tutti sanno che la vera festa è altrove.

E' nell'ampia radura riparata dai boschi che costeggia, da ambo i lati, il più importante dei vari corsi d'acqua creati dalle cascate piccole ma dirompenti che cadono violente dalle montagne alle spalle della città. E' dove ragazzi e ragazze - quelli che sono rimasti, quelli che tornano dal college per le vacanze, quelli che sono solo di passaggio - si danno ogni anno tacitamente appuntamento per aspettare la notte ed il suo falò. E' qui dove la giornata scorre via tra il fumo di barbecue improvvisati, tra l'odore intenso di lozione solare e spray anti-zanzare, tra le risate e le tante musiche diffuse dagli ipod che finiscono per mischiarsi in un un unico rumore di sottofondo, mentre i boschi circostanti proteggono e riparano da tutte le interferenze esterne.

"Quindi non sei arrabbiata?" mi domanda Bonnie mentre stendo il mio telo sull'erba accanto al suo, nello spazio vuoto che abbiamo appena occupato.

"Ovvio che lo è," risponde al posto mio Caroline che, comodamente seduta sul lettino che si è fatta trasportare dalla macchina a qui da un muscoloso ragazzo a caso di passaggio, sta finendo di spalmarsi con cura sulle braccia candide la sua preziosa crema ad altissima protezione.

Io mi sdraio appoggiandomi sui gomiti piegati ad angolo, butto indietro la testa e chiudo gli occhi verso il sole intenso che già brucia piano sulla pelle delle gambe e della pancia lasciata esposta dal costume multicolore che ho scelto di indossare oggi.

"Non sono arrabbiata. E' lavoro," rispondo con fare pratico. "Immagino sia quello che succede quando il tuo fidanzato è consulente finanziario in tre diversi consigli di amministrazione. Ma va bene," aggiungo in fretta. "Almeno così posso passare del tempo con voi."

Ed è vero. Sono scaldata dal sole e sto bene anche se Elijah è da qualche parte in un qualche ufficio a pianificare numeri e strategie. Non posso però fare a meno di sentirmi un po' inquieta, quando mi ritrovo a chiedermi se sarà lo stesso anche tra qualche mese. Se starò bene anche quando si ripresenteranno situazioni simili, quando lui avrà da lavorare ed io sarò lontana dalle mie amiche, da quella che è stata la mia vita fino ad adesso, da ciò che già conosco.

"Io gli farei ugualmente passare l'inferno," commenta decisa Caroline calcandosi sulla testa un cappello di paglia e sdraiandosi contro il lettino.

"A proposito …" le chiedo girando la testa verso di lei. "Dov'è Stefan?"

"Doveva passare dalla commemorazione giù in città, credo per parlare con un paio di persone per via della compagnia, è così stressato per questa cosa … Ma ha detto che ci raggiunge appena può." Caroline si interrompe un attimo, prima di aggiungere con un sospiro. "Vorrei solo che si decidesse a far pace con quell'altro testone idiota di suo fratello. Seriamente, è più di una settimana che a malapena si rivolgono parola, quanto diavolo possono andare avanti? Due idioti troppo cresciuti, ecco cosa sono. Si vede proprio che condividono gli stessi geni."

Qualcosa mi sfiora il piede. Riapro gli occhi ed uso una mano per farmi schermo dal sole, proprio mentre Sage si china per riprendere il pallone bianco da pallavolo che è rotolato fino al mio piede.

"Ehi!" la saluto con un sorriso.

Mi piace Sage. E non solo perché lavoriamo insieme, ma perché è dinamica, diretta e dice sempre quello che pensa, tutte cose che ho avuto modo di scoprire condividendo con lei quell'improvvisato viaggio in macchina di dieci ore verso New Orleans.

Mi saluta di rimando e si rialza in piedi. Un corto top nero a fascia le circonda il seno piccolo e a malapena accennato e copre l'inizio di un ben disegnato intreccio di gigli rossi che ha tatuato su tutto il fianco sinistro, a partire da sotto le costole fino a dentro la cintura degli shorts.

Quando il suo sguardo si posa su Bonnie e quando Bonnie di rimando alza lo sguardo su di lei, c'è un momento di silenzio più lungo del necessario.

"Alcuni ragazzi stanno montando la rete in questo momento …" ci fa sapere schiarendosi la voce e rigirandosi la palla tra le mani. Con un cenno della testa indica lo spiazzo sabbioso più vicino alla riva, dove alcuni ragazzi senza maglietta stanno finendo di tirare su una rete portabile da beach volley. "Abbiamo ancora bisogno di persone. Volete venire?"

"Io sì," accetto subito, usando una mano come leva per saltare in piedi.

"Negativo," scuote la testa Caroline, placidamente distesa, senza neanche aprire gli occhi. "Ho fatto la manicure soltanto ieri, non ho intenzione di rovinarla."

Sage si volta, per un attimo esitante, verso l'altra mia amica. "B?…"

Bonnie è rimasta in silenzio fino ad adesso, ma essere chiamata così sembra all'improvviso avere un certo effetto su di lei, dal momento che subito si alza in piedi, afferra il prendisole giallo abbandonato a terra poco distante e se lo infila sulla sua figura piccola e formosa.

"Ho dimenticato il telefono in macchina. Vado a prenderlo," butta là.

Si allontana velocemente mentre Sage rimane interdetta a guardarla andare via, ancora passandosi la palla da una mano all'altra.

Caroline, beatamente ignara nel suo piccolo paradiso di sole, muove una mano nell'aria come per dirle "ci vediamo tra poco".

Io tiro fuori dalla mia borsa le chiavi della macchina che Bonnie non ha neanche preso, mi infilo di nuovo le Converse al volo, e corro dietro alla mia amica.


***


Risalgo la radura e poi il sentiero, in salita ed un po' scosceso, fino alla strada principale e allo spiazzo che si allarga accanto ad essa. Cammino in mezzo all'ingombro di macchine parcheggiate piuttosto disordinatamente, dove la gente continua ad arrivare e a richiamare a voce alta i cani che già corrono in libertà, finché non trovo Bonnie appoggiata a braccia incrociate contro il fianco destro della mia Toyota Prius.

"Bonnie …"

La mia amica solleva lo sguardo su di me e, mentre mi sto ancora avvicinando, scuote quasi impercettibilmente la testa.

"Non posso farlo, Elena," confessa con gli occhi grandi e combattuti, lasciandosi sfuggire un sospiro frustrato e amareggiato. "Non quando ogni volta che sono intorno a lei, mi sento così …"

Confusa? Sbagliata? Emozionata? Non ha neanche finito la frase, eppure io ho la vivida impressione di avere un pronto repertorio a disposizione per definire quel conflitto tra la ragione e quei sentimenti - quelli che vorresti ma non riesci sempre a controllare - che continuano a tradirla. Forse proprio perché, anche se le nostre situazioni sono completamente diverse … ciò che ci tormenta, invece, non lo è poi così tanto.

Bonnie torna a rivolgere lo sguardo verso la terra battuta ai suoi piedi accanto alla ruota anteriore dell'auto, che smuove nervosamente con le punte dei sandali.

"Vuoi parlarne?" le chiedo piano appoggiandomi allo sportello accanto a lei.

Torna a guardarmi ed esita. Lo vedo nei suoi occhi un po' verdi e un po' ambrati lascito del suo sangue misto, divisi tra il bisogno di farlo e la paura di dire ad alta voce ciò che tacitamente sappiamo già entrambe.

"Bon, siamo amiche dall'asilo, da quando Caroline giocava a fare la principessa e noi eravamo le ancelle che dovevano eseguire tutti i suoi ordini," le rivolgo un leggero sorriso. "Se siamo passate indenni da quello, possiamo passare indenni da tutto."

Sorride anche lei. Piccolo, un po' storto, ma è un sorriso.

"Abbiamo iniziato a vederci poco dopo che ha iniziato a lavorare per te …" inizia mordendosi le labbra. "Non avevo pensato che potesse essere niente di serio, non all'inizio. Voglio dire, non lo è mai stato quel paio di volte che … era capitato al college. Ma poi c'è stato New Orleans, e tu e Damon ci avete viste e … Sono andata nel panico. Ho iniziato a pensare, cosa direbbe mia nonna? Cosa direbbero gli altri, chiunque altro? Questa è Mystic Falls, Elena. E' diverso. Le persone sono … beh, lo sai come sono. E gliel'ho detto, che non posso farlo, che non sono come lei."

Torno con la mente alla loro conversazione del mattino dopo in quell'attico arrangiato e inondato di luce, quella che ho ascoltato e rubato senza averne diritto.

"Gay?" tento titubante.

"Coraggiosa."

"Oh, Bon," dico con un sospiro ed una voglia pazzesca di stritolarla in uno di quelli abbracci che lasciano il segno. "Tu sei quella che dice sempre in faccia le cose come stanno, anche quando fanno male. Sei quella che alle medie si è tinta i capelli di arancione come i miei, per non farmi sentire sola dopo il disastro che avevo combinato quando avevo provato a farmi bionda. Sei quella che ha tirato una ginocchiata nell'inguine di Tyler Lockwood quando Caroline ha scoperto che stava con tre ragazze contemporaneamente. Sei la migliore amica che si possa avere e la persona più coraggiosa che conosca."

Non faccio in tempo ad aggiungere altro che le sua braccia mi circondano la nuca di slancio, abbracciandomi stretta, mentre io ricambio e faccio altrettanto.

"Grazie," mi bisbiglia in un sussurro un po' spezzato, prima di rilasciarmi e voltarsi immediatamente per passarsi il dorso di una mano sugli occhi, asciutti ma appena scintillanti.

"E sai," continuo, dandole un colpetto spalla contro spalla e rivolgendole un sorriso complice. "Ho davvero voglia di giocare a beach volley. Andiamo?"

Bonnie annuisce con un altro lieve sorriso ed insieme ci incamminiamo tra le file di macchine parcheggiate, proprio quando un'altra auto, una Camaro azzurra d'epoca con la capote abbassata svolta la curva e si infila in un parcheggio vuoto a neanche una decina di metri da noi.

Mi blocco sui miei passi e Bonnie si ferma con me, la conversazione dei due occupanti dell'auto che ci arriva più nitida che mai.

"Ripetimi di nuovo perché dobbiamo farlo," bofonchia Alaric mentre scende dal lato del passeggero.

Damon mi dà le spalle. I suoi capelli neri sono come sempre spettinati sulla nuca e la semplice T-shirt bianca che indossa avvolge il suo torace così bene da lasciarmi intravedere i contorni dei muscoli nella parte bassa della sua schiena. L'importuno sfarfallio nella parte bassa del mio addome mi coglie ancora una volta alla sprovvista quando il riflesso del sole getta una sfumatura dorata sulla peluria del suo avambraccio, mentre tira in aria e riprende al volo le chiavi della macchina; quando si volta appena, solleva gli occhiali da sole sulla testa e le sue labbra si tendono in un mezzo ghigno rivolto al suo amico, e solo vedere quella leggera curvatura mi fa subito ripensare alla loro consistenza - morbida, dolce e peccaminosa - contro le mie. Mi mordo l'interno della guancia e mi impongo di fermare il corso dei miei pensieri prima che possa andare troppo oltre.

"Perché non puoi stare sempre dietro a computer e cose simili," ribatte. "Hai bisogno di uscire. Goderti le meraviglie che questo posto ha da offrire. E se la memoria non mi inganna, il falò del quattro luglio è il posto ideale per questo … "

La sua frase sfuma e la sua testa ruota di centottanta gradi quando due ragazze in bikini che sembrano più fili interdentali passano loro accanto e gettano uno sguardo malizioso ed una risatina in direzione di Damon, che quindi alza un sopracciglio verso Alaric come riprova di ciò che ha appena detto.

Faccio roteare infastidita gli occhi al cielo, indecisa se cedere all'improvvisa voglia di vomitare o prendere a calci qualcosa. O qualcuno. Deve aver suscitato la stessa reazione anche in Bonnie, perché la mia amica incrocia le braccia sul petto ed emette un sonoro sbuffo di disapprovazione, abbastanza alto perché possano udirci.

Entrambi si girano verso di noi.

Io però vedo solo Damon. Resto intrappolata nel momento in cui i suoi occhi si posano su di me, e quasi di riflesso scivolano in basso sul mio corpo vestito solo del costume, il momento in cui le sue labbra si socchiudono appena, la punta della sua lingua che esce fuori per inumidirle.

Il mio cuore fa un tuffo nel vuoto, il mio stomaco sfarfalleggia di nuovo, ed io voglio scappare. Voglio sottrarmi a quello sguardo, almeno quanto vorrei crogiolarmi in esso. Penso che deve smetterla di guardarmi così, e che potrei prenderlo a schiaffi alla sola idea che possa guardare così qualcun'altra.

"Sei disgustoso," lo apostrofa Bonnie con una smorfia.

"Felice di mantenere intatte ed incrollabili le tue convinzioni, Bonbon," replica lui staccando finalmente gli occhi da me e muovendo una mano nell'aria a mo' di sarcastico gesto da cavalier cortese. "Elena," mi saluta quindi.

"Andiamo," mi fa Bonnie iniziando ad incamminarsi.

Io esito. Perché, per quanto mi costi ammetterlo, c'è una cosa che devo fare, ed ho paura che se non lo faccio adesso, se rimando ancora, poi non lo farò più.

"Ti raggiungo, Bon," le dico, sostenendo lo sguardo di Damon. "Dammi solo un attimo."


La colpa in realtà è tutta di mio fratello. Avrei già seguito Bonnie, se non fosse stato per lui e per ciò che mi aveva detto due giorni fa, quando io ero seduta ad uno dei tavoli del Grill a revisionare fatture mordicchiando una penna come una bambina che non ha la minima voglia di fare i compiti per la scuola e Jeremy si era avvicinato, aveva preso una delle sedie impilate sul tavolino di fianco e l'aveva piazzata rivolta al contrario davanti a me, sedendovisi con i gomiti appoggiati sopra la spalliera. La posa di Jeremy ogni volta che deve dirmi qualcosa di importante.

"Ho ricevuto questo ieri," aveva esordito tirando fuori dalla tasca posteriore dei jeans e poi porgendomi un foglio piegato in quattro parti.

Già nel momento in cui avevo visto l'intestazione su in alto a sinistra e quelle semplici parole in apertura della lettera, quel Siamo lieti di annunciarle …, non ero più riuscita a trattenere la mia agitazione emozionata, lo scatto con cui ero tornata a guardare mio fratello.

"Berkeley?… Sei stato preso?"

Il sogghigno che Jeremy mi aveva rivolto era stato così ampio da prendere praticamente tutta la sua faccia. Ero già pronta ad alzarmi e a lanciarmi in avanti, quando lui aveva alzato i palmi nella mia direzione a mo' di avvertimento.

"Whoohoa, ferma lì. Niente abbracci, 'Lena."

Ero rimasta al mio posto, senza però trattenermi dal rivolgergli uno sguardo a metà tra il rimprovero per la sua allergia a qualsiasi manifestazione di affetto ed uno stupido sorriso di contentezza perché, diamine, il mio fratellino è stato ammesso a Berkeley [1].

Ma quello era stato anche il momento in cui avevo realizzato … Berkeley, California. Dall'altra parte del paese. Dall'altra parte del continente. E qualcosa mi si era piazzato di traverso in mezzo alla gola, qualcosa che avevo dovuto ricacciare giù a forza per continuare a parlare senza farmi tradire dalla mia voce.

"Sono solo davvero contenta per te."

E non era colpa soltanto dell'idea di separarmi davvero per la prima volta da Jeremy. Era colpa anche di quella fitta di rimpianto e nostalgia al pensiero della mia lettera di accettazione a Berkeley, insieme a quella della NYU e a quella della Duke, tutte finite da qualche parte in un cassetto a marcire, perché Jeremy aveva dodici anni, mio padre riusciva a malapena a tirare avanti e andarmene chissà dove per gli anni del college era uno scenario semplicemente impossibile.

"Quindi," aveva proseguito grattandosi impacciato il retro della nuca, "Dovrei seguire alcuni precorsi per poter poi frequentare quelli di ingegneria informatica, quindi potrei dover andare un po' prima dell'inizio del semestre. Ma ho parlato con Damon … ha detto che non è un problema, posso andare a San Francisco e stare da lui-"

Quello sì che era stato sufficiente a farmi riemergere tutto d'un colpo dai miei pensieri.

"Aspetta. Damon? …"

"Sì, Damon. Ci vive là. Per di più, quel suo amico Alaric è un mezzo genio di sistemi informatici e ho pensato che avrebbe potuto darmi qualche dritta …"


E questo è il motivo per cui adesso mi ritrovo qui, di fronte a Damon in questo parcheggio improvvisato, con le braccia incrociate sull'addome a desiderare di essermi anch'io messa almeno un prendisole e a cercare di mantenere un tono asciutto e sostenuto.

"Ti devo parlare," esordisco.

L'ultima volta che abbiamo avuto qualcosa di simile ad una conversazione è stato prima di scoprire che tutto il mio tormento al pensiero di avergli spezzato il cuore era stato eccessivo, inutile ed unidirezionale, dal momento che aveva trovato subito una pronta consolazione tra le gambe perfette della sua evidentemente-non-tanto-ex Katherine.

"Allora sai ancora come si fa," replica ironico appoggiandosi contro il cofano della Camaro, le gambe distese in avanti una incrociata sull'altra. "Pensavo che le tue capacità di linguaggio nei miei confronti si fossero drasticamente ridotte a quei "ciao" di circostanza che ti sei a malapena degnata di rivolgermi quando mi hai incrociato per caso."

"Possiamo evitare di farlo?" domando con uno sbuffo. Tre secondi a parlare con lui e già me ne sto pentendo. Non so come ho fatto a pensare, anche solo per un secondo, che mi avrebbe reso le cose più facili.

"Fare cosa?" ribatte sollevando le spalle. Giunge le mani in grembo e rimane lì, appoggiato contro l'auto a guardarmi con un vago, irritante, sorrisino canzonatorio. "Rendere le cose tra noi ancora più imbarazzanti?"

Serro le labbra e mi avvicino a lui di un altro paio di passi, in modo da poter contro-ribattere a voce più bassa ed evitare di correre il rischio che qualcuno dei passanti possa sentirmi.

"Non è di quello che volevo …" D'istinto, getto un'altra occhiata veloce occhiata oltre la mia spalla ed abbasso la voce a poco più che un sussurro, nell'irrazionale paura che possa passare qualcuno di mia conoscenza. "… parlare. Anche perché, su quello, non c'è niente da dire."

"Allora vuoi spiegarmi finalmente cosa diavolo ho fatto per farti incazzare così tanto? A parte baciarti, ovviamente," bisbiglia di rimando mentre si sporge verso di me, sul volto una sarcastica espressione finto-cospiratrice mentre pronuncia la parola che io avevo cercato di evitare.

La traccia calda e maschile del suo profumo mi raggiunge e mi solletica le narici, facendomi pizzicare la pelle di un caldo formicolio, nello stesso momento in cui i suoi occhi trovano i miei.

Ci sono minuscoli, quasi impercettibili, sprazzi di verde dorato al centro delle iridi, in mezzo a tutto quell'azzurro. Non è la prima volta che lo noto. Ma il fatto che mi ci stia soffermando proprio adesso … il mio petto si stringe in un misto di frustrazione e qualcos'altro, più profondo e intenso, a cui non so dare una definizione. Lascio che a prevalere sia la frustrazione.

"Perché mi hai baciato dicendo di non provare più niente per lei!" sibilo in risposta con un sussurro irritato. Mi pento di averlo detto nell'attimo in cui quella frase lascia la mia bocca perché, davvero, suona così stupido, ma sono anche talmente sollevata di averlo detto ad alta voce, di averglielo finalmente rinfacciato, che una volta che le parole sono fuori non riesco più a fermarle. "E solo due giorni dopo, scopro che ci vai ancora a letto ... Alla faccia del non mi importa niente di lei," finisco sottolineando le ultime parole con una pessima e piuttosto infantile mimica della sua voce.

"Quindi, fammi capire bene," replica. Le sue labbra prendono una certa piega beffarda. "Tu puoi baciarmi e poi scoparti e sposarti qualcun altro, ma io non sono autorizzato a baciarti e scoparmi qualcuno che mi sono già sposato?"

Sorride quasi, come per compiacersi con se stesso per aver appena messo in luce la gloriosa ironia della situazione. Ribatto con l'unica risposta che si merita.

"Sei uno stronzo."

Faccio per voltarmi ed andarmene, ma Damon mi afferra per un polso e mi attira con decisione contro di sé, facendomi ritrovare incuneata tra le sue gambe leggermente divaricate. Gli lancio uno sguardo furibondo ed il mio viso va a fuoco mentre tento di divincolarmi dalla sua presa, ma le sue dita rimangono calde e strette attorno alla mia pelle.

"Oppure …" prosegue in un tono basso, carezzevole e ironico che fa aumentare la mia voglia di prenderlo a schiaffi ancora di più, " … sei tu che sei gelosa."

Con un altro scatto del polso, questa volta mi libero della sua stretta.

"E' per questo che lo hai fatto? Per ripagarmi e divertirti a vedere come avrei reagito?"

"Credici o no, Elena," una punta di amarezza si fa strada nella sua voce, "Non tutto ciò che faccio ha a che vedere con te. Avevo avuto una pessima nottata. Anzi, una pessima settimana. Katherine era lì e, sì, sul momento qualcuno laggiù ha pensato che fosse una magnifica idea." Posa entrambe le mani sul bordo del cofano ai suoi lati, prima di continuare, "E se proprio ci tieni a saperlo … Me ne sono pentito più velocemente di quanto ci si metta a dire oh, cazzo."

Faccio finta che la sua risposta non mi tocchi, di non sentire quel piccolo, sciocco, egoistico, moto di sollievo che mi fa provare il pensiero che non abbia significato niente. La mia espressione rimane la stessa, sostenuta e noncurante. Ma anche la mia pronta replica sferzante ha già perso del tutto di smalto.

"Mi dispiace che le tue scopate non siano abbastanza soddisfacenti."

Damon mi guarda negli occhi come se sapesse che la sua rassicurazione non dovuta ha colpito esattamente dove doveva colpire e, ancora una volta, si protende in avanti, fino a pochi centimetri dal mio viso. Il mio battito accelera in protesta.

"E le tue lo sono?…"

Qualcuno alle mie spalle si schiarisce rumorosamente la voce.

Ci voltiamo entrambi verso Alaric, che è ancora ad un paio di metri di distanza da noi, le braccia conserte al petto e la faccia di uno che preferirebbe buttarsi dentro a un burrone piuttosto che stare qui.

"No, prego, continuate pure senza fare caso a me, non capita tutti i giorni di assistere ad una discussione tra due dodicenni con un tema tanto sconcio."

Solo in questo momento mi rendo conto di essere ancora nella stessa posizione in cui Damon mi ha trascinato, in piedi tra le sue ginocchia, così vicina a lui da sentirne ancora il profumo e il calore. Con così miseri strati di aria e tessuto a segnare inesistenti distanze che, anche se nessuna parte dei nostri corpi è davvero in contatto, quella sola consapevolezza basta a bruciare più che un'effettiva aderenza.

Mi ritraggo con uno scatto. Pongo di nuovo tra noi preziosi centimetri di lontananza, che intendo ulteriormente cementificare dimenticando tutto l'attuale discorso in cui mi sono ritrovata impelagata senza volerlo e tornando allo scopo originale della conversazione.

"Jeremy mi ha detto che ti ha parlato di Berkeley," dico prendendo un profondo respiro e appuntandomi nervosamente una ciocca dietro l'orecchio per mandare via del tutto anche gli ultimi residui dell'assurdo scombussolamento che Damon Salvatore deve sempre provocarmi. "E che può stare da te finché non si sarà sistemato al campus."

Damon inclina appena la testa di lato, curioso, anche se non sembra completamente sorpreso.

"Dunque sei qui per dirmene quattro sulla pessima influenza che eserciterò su tuo fratello?"

"Spero di no," ribatto subito rivolgendogli un'immediata occhiata di ammonimento, alla quale lui risponde con un veloce sorriso.

"Stavo scherzando, mamma chioccia."

"Volevo solo …" proseguo, sbirciando verso di lui da sotto in su. Dirlo mi costa e mi libera al tempo stesso. "… Ringraziarti."

Il suo "prego" ha la forma di un piegamento del capo a mo' di inchino.

Un piccolo sorriso tenta di insinuarsi al di sotto delle mie labbra e farsi strada per uscire, ma lo sopprimo perché, maledizione, stavamo litigando solo fino a pochi secondi fa. Per non parlare di come devo chiaramente sforzarmi di più per tenere sotto controllo le contraddittorie reazioni che riesce sempre a tirarmi fuori.

"Le mie amiche mi stanno aspettando, perciò … dovrei andare," mi affretto a buttare là, iniziando ad indietreggiare e rivolgendomi a tutti e due, Damon e Alaric, nel tentativo di far suonare il tutto meno strano. "Partite di pallavolo, e cose del genere e … Beh, immagino che ci vedremo lì. Entrambi, intendo. Se volete, non lo so. Come volete. Ci vediamo."

Dopo questa imbarazzante uscita, mi volto e mi incammino via in tutta fretta, il respiro un po' corto, i passi accelerati, il sole e un ben altro genere di calore a scaldarmi la faccia.


***


Damon aveva sempre avuto l'incredibile, esasperante, capacità di mandarmi fuori di testa anche solo per le più piccole cose: il pomeriggio in cui mi ero ritrovata ad arrancare dietro di lui in un polveroso sentiero scosceso era precisamente uno di quei casi.

"Damon!" lo richiamai, gridando il suo nome con un sofferto e prezioso ultimo sbuffo di fiato.

Damon si voltò verso di me, senza smettere le leggera corsa sul posto che apparentemente non sembrava richiedergli alcun vero sforzo. I suoi occhi azzurri sembravano quasi brillare nella calda luce del tardo pomeriggio che filtrava tra il fogliame degli alberi, ed anche con i capelli spettinati scuriti dal sudore e quell'insopportabile accenno di sorrisino gongolante sulle labbra era lo stesso così bello che in quel momento lo detestai come poche altre volte. Io, al contrario, ero un disastro di sudore, fatica e guance in fiamme.

"Ti arrendi già?" mi domandò strafottente inclinando la testa di lato.

"Ti odio," gli dissi guardandolo storto. Mi fermai per riprendere fiato, piegandomi in avanti e posando le mani sulle mie ginocchia. "Mi avevi detto che avremmo corso solo per altri cinquecento metri… Invece sono quasi altri due chilometri!"

"Ho davvero detto questo?…" chiese alzando un sopracciglio con fare innocente, una chiara nota di divertimento ad attraversargli la voce.

Lo sguardo che gli lanciai in risposta, invece, era tutt'altro che divertito.

"Per tre volte."

"Ehi, sei tu che hai chiesto di venire a correre con me," rispose tranquillo, tornando indietro verso di me, questa volta a passo normale. Nel vedere avvicinarsi le sue gambe vestite dai pantaloni morbidi della tuta, sollevai gli occhi da terra verso il suo viso, sul quale aleggiava ancora quella irritante espressione di compiacimento per avermi appena massacrato per quasi dieci chilometri di salite e discese in mezzo ai boschi. "Ricordi?"

Ricordavo, sfortunatamente.

Solo qualche giorno prima, a scuola, mentre stavo pranzando insieme a Matt, Caroline era piombata al nostro tavolo per informarmi tutta estasiata che si era appena liberato un posto nella squadra di cheerleading ed incoraggiarmi a tentare di entrarci nuovamente, come ai vecchi tempi. Io avevo tentennato, ma anche Matt era sembrato favorevole all'idea, così avevo davvero iniziato a considerarla come una possibilità. Forse perché c'era qualcosa di stranamente confortante nel pensiero di poter essere ancora quella ragazza là, quella con la divisa rossa, poche preoccupazioni e pomeriggi passati a fare capriole in aria.

Ma se volevo tornare in squadra, allora dovevo anche tornare ad allenarmi. E dal momento che dei metodi dispotici con cui Caroline aveva cercato di insegnarmi una coreografia ne avevo avuto abbastanza dopo una sola giornata, avevo pensato che andare a correre con Damon potesse essere una buona alternativa per fare esercizio senza ammattire troppo.

Beh, stavo iniziando a rimpiangere Caroline.

"Questo non ti autorizza a sfiancarmi a forza di inganni e false promesse," ribattei rialzandomi e assestandogli un pugno sul bicipite che lo fece indietreggiare a malapena. "Avevi detto, parola di scout!"

Il suo sogghigno di risposta mi fece soltanto esasperare ancora di più. Tutta la mia frustrazione e adrenalina accumulata si tradussero repentinamente in una serie di colpi maldestri contro il suo petto che parò senza battere ciglio, senza neanche smettere di ridere.

Tutto d'un tratto, afferrò entrambi i miei polsi nelle sue mani e, con un movimento fluido, mi voltò e intrappolò stretta tra le sue braccia per rendermi inoffensiva, con le mani bloccate sul davanti ed il suo torace solido e accaldato a premere forte contro la mia schiena.

"Dovresti saperlo," mi bisbigliò. Un piacevole brivido corse giù lungo il mio collo nel sentire la sua bocca e il suo respiro accarezzarmi l'orecchio. "Non sono mai stato un boy scout …"

Il ghigno con cui lo aveva detto era ancora lì, a giocare sulle sue labbra vicine alla mia pelle, quando la mia caviglia scattò all'indietro, agguantando la sua e cogliendolo di sorpresa.

Avvertii il momento esatto in cui le sue ginocchia cedettero e Damon perse l'equilibrio con un'imprecazione soffocata, ma non feci in tempo a liberarmi della sua stretta sui miei polsi, che mi impedì di scamparla e mi trascinò dritta giù con lui. Rotolammo entrambi a terra, nel terriccio sporco e polveroso che si appiccicò immediatamente ai miei capelli sudati. Avvertii un vago dolore nell'impatto con il terreno, ma ero troppo distratta per farci caso a causa della risata senza fiato - la mia - che mi riempì le orecchie, nonché dell'impresa di divincolarmi per sottrarmi alla sua mano che aveva preso a solleticarmi il fianco senza pietà, come punizione per averlo fatto cadere.

"Sei finita …" lo sentii dire mentre ancora ridevo e mi dibattevo e lo imploravo di smetterla.

Finché la sua stretta non si allentò quel tanto che bastava per concedermi di afferrargli i polsi, ribaltare i ruoli e bloccarlo a terra sotto di me.

A cavalcioni sopra di lui, cercai di riprendere fiato, con il petto che si alzava e abbassava seguendo il ritmo affannato del mio respiro. Quando vidi tornare il sorrisetto sulle sue labbra non ebbi il minimo dubbio che, nonostante le braccia distese ai lati della sua testa tenute saldamente ferme dalle mie mani, se ero in una posizione di vantaggio era solo perché me lo aveva lasciato fare.

Il perché non avrei saputo dirlo.

Ciò che però avrei saputo dire fin troppo bene era la confusa sensazione che mi provocò l'improvvisa percezione del suo torace snello e asciutto contro il mio ancora ansimante. In un solo attimo, fui più che mai consapevole del modo in cui la maglietta sporca e sudata si era appiccicata ai contorni del suo petto, del disordine di capelli sulla sua fronte, delle due gocce di sudore sulla sua tempia, della sfumatura particolare che assumevano i suoi occhi alla luce del sole, della macchia di terra sul suo zigomo, della curva delle sue labbra, del suo bacino tra le mie gambe … Di lui, tutto lui.

Ritirai le mani di scatto con il battito a mille e la testa stordita, rilasciai la presa e mi affrettai a scivolare di lato, via dal suo corpo, sentendomi una stupida e sperando con tutta me stessa che non avesse notato il modo in cui d'un tratto mi si erano infiammate le guance. Non potevo sopportare l'idea di cosa avrebbe potuto pensare di me o delle battutine che avrebbe potuto fare, se solo lo avesse notato.

Ma non disse niente.

Restammo sdraiati vicini in mezzo al sentiero, fino a che entrambi i nostri respiri agitati dalla corsa e dalla lotta non tornarono ad un ritmo normale, e con essi tornò normale anche tutto il resto, compresa la mia agitazione. Era di nuovo solo Damon accanto a me.

"Stavo pensando …" disse piano dopo ancora qualche attimo di silenzio, "Perché lo stai facendo?" Si girò verso di me, sollevandosi su un fianco e appoggiandosi sul gomito, ed io gli rivolsi un'espressione interrogativa non capendo a cosa si stesse riferendo.

"Questa stupida cosa delle cheerleader. Ti ho visto ieri provare con la tua amica bionda. Avevi un'aria abbastanza depressa."

"Beh, una volta mi piaceva fare la cheerleader," mi strinsi nelle spalle. "Era divertente. Ho pensato che forse … se mi ci dedico un po', può essere di nuovo così."

"E perché dovresti sprecare il tuo tempo su una cosa del genere?" domandò storcendo appena le labbra, "Le cose cambiano. Forse … tu sei cambiata."

Il mio petto si strinse un po' a quel pensiero. Non era dolore vero e proprio, quanto più una voglia ed un bisogno ed un'impossibilità di evadere dal sapore amaro di perdita e conseguenze che continuavo a portarmi dietro senza sapere come dargli voce.

Invece di rispondere mi alzai in piedi e mi scrollai la polvere dai pantaloni, evitando di dovermi confrontare con il suo sguardo e di ammettere che forse aveva ragione, che le cose erano cambiate ed io con loro, perché poi avrei anche dovuto ammettere quanto ardentemente desiderassi che invece non fosse così.

Eppure la sera chiamai Caroline, per dirle che avevo cambiato idea. Ed incredibilmente, mi fece mi fece sentire molto più leggera.


***


Qualcuno butta altra legna nel falò gigante che arde qualche metro più avanti. Le ombre aranciate che il fuoco getta tutto intorno si intensificano e si diffondono insieme alla fiammata rinvigorita che ne esce fuori e colora la notte.

La mia mente scivola via di nuovo, a domandarsi dove sia Damon. Non posso farne a meno. La sola idea della sua presenza in questo posto, per quanto abbia provato ad ignorarla e a non pensarci, è stata in grado di distrarmi per tutta la giornata, anche nei momenti meno opportuni. Durante l'improvvisata partita di pallavolo, ho perso almeno tre palloni che sarebbero caduti direttamente tra le mie braccia per poter controllare con brevi occhiate nervose se per caso era scomparso da qualche parte con una brunetta che si era avvicinata a lui ed Alaric.

(Non lo aveva fatto. Non che mi sarebbe importato.)

Sono riportata al momento presente dalla risata divertita in cui scoppia tutto il gruppo, quando Luke inizia a raccontare le peripezie della sua settimana come babysitter della capra che fa da mascotte alla squadra di football della sua università.

Mi scosto da una spalla i capelli che ho lasciato sciolti per buttarli all'indietro e sorrido anche io. Alcuni ragazzi attrezzati addirittura di consolle hanno fatto partire della musica di sottofondo sulla quale in molti hanno già cominciato a ballare e c'è davvero una bella atmosfera nell'aria, di quelle che ti fanno sentire bene e parte di qualcosa, anche se la maggior parte di queste persone con cui sto passando la serata non avevo neanche idea di chi fossero fino qualche ora fa. Alcuni sono amici di Sage, altri - come Luke e la sua gemella Liv - semplicemente improvvisati compagnia di squadra conosciuti oggi stesso.

Caroline l'abbiamo data per dispersa fin dal momento in cui è arrivato anche Stefan, ma ho il sospetto che siano quelle due figure sdraiate sopra una coperta una decina di metri alla nostra destra che, anche negli sprazzi di luce che salgono dal fuoco quando una scintilla scoppia nel buio, rimangono praticamente indistinguibili l'uno dall'altra.

Bonnie è seduta sopra un tronco a poca distanza da me, si mordicchia un'unghia che copre parte del suo sorriso, anche lei intenta ad ascoltare le ragioni per cui non dovresti mai lasciare una capra vicino ai tuoi appunti di biochimica.

Sage torna portando tra le mani alcune bottiglie di birre fresche che distribuisce in giro. Scuoto la testa quando mi si siede accanto, tra me e Bonnie, e me ne porge una.

"Di solito non bevo," le faccio sapere.

"Quindi … " solleva le sopracciglia stupita della mia risposta e mi rivolge un sorriso scherzoso, " … chi era quella ragazza che ballava sui tavoli facendo impazzire un intero locale?"

Rido e arrossisco allo stesso tempo di fronte a quel ricordo, coprendomi il volto con un mano, forse ancora incredula che potessi davvero essere io.

"Quella … Era la proverbiale eccezione."

"Sai cosa non capisco?" mi chiede, voltandosi un attimo per prendere la canna che qualcuno alla sua sinistra le ha appena passato. "Hai quanto, ventiquattro anni? Insomma, sei giovane, sei bella, sei divertente … perché mai sposarti così presto?"

"Lo dici come se il matrimonio fosse la fine di tutto questo …"

"Oh, no, non penso questo," scuote appena la testa e prende una lunga boccata. La soffia fuori allungando la mano che tiene lo spinello verso quella sagoma indefinita che presumo sempre di più essere Stefan e Caroline, a giudicare dallo sprazzo di capelli mossi e un po' dorati che lui le scosta dal viso prima di tornare a baciarla di nuovo. "Insomma, guarda quei due. Potrei vederceli ad avere tutto il pacchetto. Staccionata, minivan e bambini biondi. Tu … Lo so che non ci conosciamo da molto, e lo so che puoi tranquillamente dirmi che non sono affari miei, ma da quel che ho visto … Tu sembri fatta per qualcos'altro."

Lo sguardo mi cade automaticamente sull'anello che circonda il mio anulare, che luccica nel buio all'ombra del fuoco.

Non che la sua domanda non mi sia già stata fatta prima. Da mio padre, da Jenna, dalle mie amiche, dal ragazzo delle consegne, dall'aspirante scrittore che viene a passare a Mystic Falls tutte le estati, si siede sempre nel terzo tavolino da destra ed ogni anno da cinque anni mi propone di sposarlo e scappare con lui. La risposta era sempre stata la stessa, senza neanche stare a pensarci più di tanto: un tranquillo "lo amo" accompagnato da un veloce sorriso. Questo era solo poco più di sei mesi fa. Adesso … Penso più a come Elijah è riuscito a farmi sentire con la sua equilibrata presenza nella mia vita, a come con lui avessi finalmente avvertito di potermi innamorare di nuovo e questa volta non restarne tanto dolorosamente scottata.

"Beh, lui me lo ha chiesto, ed io … " rispondo. "Non volevo perderlo."

Sage mi osserva senza dire niente per un po', attraverso la sottile striscia di fumo profumato che sale su dalle sue dita adesso che ha posato il mento sulla mano, ed il cui sapore dolciastro mi invade piacevolmente le narici.

"E' più grande di te, vero?"

"Trentacinque," preciso, per poi affrettarmi ad aggiungere. "Ma non è così tanta differenza, davvero, voglio dire io…"

Mi interrompo quando noto che Sage mi sta adesso porgendo la canna, tenendola in verticale tra il pollice e l'indice. Esito, guardandola spaesata.

"Io … Io non ho mai provato."

Lei distende le labbra in un sorriso lento, un po' annebbiato, un po' divertito.

"Un'altra proverbiale eccezione?"

Ancora un po' incerta la prendo dalle sue dita tenendola fra l'indice ed il medio. In fondo, cosa sarà mai? Il filtro ha quasi toccato le mie labbra, quando qualcuno si materializza dal niente, si sporge da sopra di me e me la ruba velocemente di mano.

"Ehi!" mi volto per protestare contro l'ignoto ladro che, nel frattempo, dopo il suo furto si è seduto affianco a me.

Ma il mio cuore perde un battito, o forse anche due, nell'attimo in cui mi trovo davanti i suoi inconfondibili occhi azzurri.

"Tu …" sussurra Damon scuotendo appena la testa, con un esageratamente finto fare deluso, l'angolo un po' dispettoso delle sua labbra piegato verso l'alto, come se oggi si fosse particolarmente intestardito a mandarmi completamente fuori di testa, "… bambina cattiva."

Le sue parole, ed il gusto proibito che hanno acquistato scandite dalla sua voce, rimangono un secondo di più sospese nell'aria tra noi, nella sfumatura ambrata che il riflesso del fuoco regala alle sue iridi cristalline. Mi riverberano dentro fin nel sangue che sento scorrere più in fretta e - mentre guardo le sue guance ritirarsi e svuotarsi quando ne prende un lungo tiro, e poi il fumo che soffia via dalla sua bocca e si dissolve nella notte - devo mordermi il labbro inferiore fino a che non sento dolore pur di calmare quell'istinto nel mio corpo che sta urlando per avere un assaggio.

Me la porge nuovamente dopo quell'unico tiro, ed io non ci penso due volte a sfilarla dalle sue dita e portarmela alle labbra.

Pessima mossa. La mia gola rifiuta immediatamente la nuvola di fumo che aspiro, asfissiandomi la trachea. Tossisco violentemente con il corpo in avanti ed i capelli che mi cadono sugli occhi, subito pieni di lacrime. Intorno a me sento almeno un paio di persone iniziare a chiedere se io stia bene. Una mano si posa sulla mia schiena.

"Sta bene, è solo la prima volta," li rassicura Sage.

Qualcuno le fa eco alzando la propria bottiglia di birra e proponendo il brindisi "Alle prime volte!", che fa subito ripartire la conversazione.

Con la mano libera mi asciugo le ciglia e quindi mi volto verso Damon. Solo quando lo faccio mi rendo conto che sua è la mano sulla mia schiena … il palmo aperto contro il retro dei miei polmoni, quelle due dita che escono dai confini della mia canotta, sfiorandomi la pelle nuda e intrecciandosi tra i fili dei miei capelli rimasti sulla schiena. I nostri occhi si incontrano di nuovo. La sua mano si ritrae.

"Dovresti inalare normalmente," mi dice curvando appena le labbra e scostandosi di nuovo quel tanto che basta per ristabilire le giuste distanze.

Lo faccio.

Il secondo tiro brucia sempre, ma è più piacevole.

Al terzo riesco a sentire il retrogusto dolce che mi rimane in bocca dopo aver espirato.

Dopo, c'è solo leggerezza.


Sto ridendo così tanto che mi fa male il petto, mi fa male lo stomaco, mi fa male il respiro, eppure né riesco a smettere né ho davvero intenzione di farlo, anche se devo appoggiarmi un'altra volta contro Damon dal momento che, pur essendo seduta, la cosa continua a farmi perdere l'equilibrio.

Adagio la schiena contro il suo braccio teso all'indietro, vagamente consapevole che se cadessi soltanto di pochi altri centimetri, ad accogliermi sarebbe invece il suo torace. Il mio petto si scalda al solo pensiero, ed io non ho alcuna voglia di combattere la sensazione.

E' strano. Come se stare seduti qui nel buio in mezzo ad un mucchio di sconosciuti che non sanno niente di noi fosse quanto di più vicino a lui potrò mai permettermi di essere. Solo per uno sfioramento del suo braccio contro il mio, pelle contro pelle. O per un suo commento sarcastico sussurrato nel mio orecchio. Non c'è niente di sbagliato in questo. Forse è il buio. Rende più giusto essere accanto a lui. Lo ha sempre reso più giusto, in qualche modo.

"Sei fatta."

"Cosa? …"

Alzo di scatto il volto verso Damon, verso il divertito mezzo sorriso che piega le sue labbra.

"Non sono fatta!" ribatto con la mia migliore espressione indignata.

Lui prende un piccolo sorso dalla sua bottiglia di birra. Quel mezzo sorriso è ancora lì.

"Guarda, ti faccio vedere," dico decisa.

Mi metto in ginocchio e mi siedo sui miei talloni, fronteggiandolo con un'espressione seria e determinata rovinata purtroppo dal sorriso che continua a strattonarmi gli angoli della bocca e che non riesco a sopprimere del tutto. Dannazione. Ricordo vagamente la prova che include il naso ed il dito indice, qualcosa sul toccare entrambi nello stesso momento ... O forse quello era per l'alcol? Beh, immagino che si dovrà accontentare.

Poso l'indice sinistro sul mio naso ed allungo l'altra mano per toccare con un dito la punta del suo. Damon scoppia a ridere in un suono basso e vibrante, che mi sembra così bello e prezioso da farmi solo venire voglia di ridere per tutta la notte, per il resto della mia vita.

"Dio, sei così …" inizia a dire, ma non finisce mai la frase.

La sua risata si smorza non appena il suo sguardo trova il mio, quando la sua espressione si trasforma in qualcos'altro, in un lampo trasparente di desiderio e rimpianto così vivo e immediato che non ho nessuna possibilità di sfuggirgli. Anche il mio sorriso cambia, soprattutto quando le sue dita raggiungono le mie invitandomi ad abbassare i miei indici, e nel giro di un secondo quel gioco stupido non c'è più.

Ci siamo noi. Il buio. Sconosciuti attorno. Il fremito nel mio petto. I suoi occhi. Desiderio e rimpianto. E così tante altre cose che mi sembra di esplodere dentro.

"Elena."

Sussulto quando qualcuno mi tocca la spalla.

Mi volto verso Bonnie che si è inginocchiata accanto a me. La mia amica lancia una veloce occhiata seria verso Damon e poi, con un cenno della testa, mi indica qualcos'altro, una sagoma che riconosco come familiare a circa una ventina di metri in lontananza.

Si piega per avvertirmi a bassa voce, "Elijah è qui."


***


Elijah gira le chiavi nel quadro della macchina. Il rumore smorzato del motore si spegne, la luce dei fari sul vialetto muore con lui, e nessuno di noi due accenna a scendere dell'auto.

Restiamo qui a riempirla ancor più di silenzio, entrambi guardando avanti verso la flebile luce che illumina il portico di casa mia.

"Sei arrabbiato?" gli chiedo infine.

"Ne ho motivo?"

Il fare calmo con cui mi rigira la domanda mi infastidisce in un modo che non avrei mai creduto possibile.

"Non hai praticamente detto niente da quando siamo saliti in macchina," gli faccio notare.

"Intendi sul fatto di raggiungerti a quella festa perché mi mancavi, e trovarti … strafatta?" pronuncia la parola con un misto di incredulità e disappunto. "Cosa ti aspetti che dica?"

Mi lascio sfuggire una smorfia, che però gli nascondo voltandomi verso il finestrino. Di sicuro, non mi sento fatta in questo momento. Ho una fame insistente che mi fa scalpitare lo stomaco ed una imminente pesantezza pronta ad incombermi sugli occhi, ma qualsiasi cosa io possa aver provato quando ero ancora accanto a quel fuoco se ne è andata da un pezzo. E' solo una pressante irrequietezza ciò che adesso mi sta mangiando dentro.

Sento Elijah muoversi e cambiare posizione nel sedile. L'attimo dopo la sua mano prende la mia, invitandomi a voltarmi a guardarlo. Sono vigliaccamente grata che la penombra mi nasconda lo sguardo.

"Elena …" inizia con un piccolo sospiro che mi irrita e mi fa male al tempo stesso, perché per quanto non si meriti questo trattamento scostante da parte mia, al momento non riesco a riservargliene altri. "So che ne abbiamo già discusso e che probabilmente è solo una stupidaggine, ma … ci sono momenti in cui continuo ad avere la sensazione di non aver idea di cosa ti passi per la testa. E non voglio che accada di nuovo come qualche settimana fa, quando te ne sei andata da un giorno all'altro invece che parlarmi di come ti sentivi. Se ci fosse qualcosa, qualsiasi cosa, che non va… me lo diresti, vero? Non mi mentiresti."

"Non c'è niente che non va," rispondo piano, e mi sento una pessima bugiarda nell'attimo stesso in cui le parole lasciano la mia bocca.

Ma qual è l'alternativa? Non posso certo dirgli che sì, ho baciato un altro uomo e che non riesco a smettere di pensarci, che continuo a riviverlo nella mia testa in ogni attimo, ogni battito, ogni tocco. Perché dirlo ad alta voce, anche solo una volta, cambierebbe le cose tra noi per sempre.

E mentre nella penombra lo guardo negli occhi, pensando a tutto ciò che non gli posso dire, per un momento quasi temo che lo capisca anche lui, che veda davvero attraverso la mia menzogna.

Ma non lo fa.

Il sollievo quando non dice niente però, quando vedo nel suo sguardo che mi crede, è di breve durata. Somiglia più ad una speranza delusa.

Elijah mi lascia andare la mano per tornare ad appoggiarsi contro lo schienale del guidatore, con le dita che sfiorano i contorni del volante. Neanche volessero accertarsi che siano in ordine anche quelli. Almeno quelli.

"Devo dirti una cosa," prosegue quindi cautamente. "Dalla Besunyen vogliono che mi occupi di persona di alcuni disposizioni. Devo andare ad Hong Kong."

Si gira verso di me, in attesa di una mia reazione.

Solo che io non ne ho nessuna. La mia mente è solo una stordita pagina bianca.

Sbatto le palpebre un paio di volte, mentre lui si sporge nella mia direzione per accarezzarmi la guancia.

"E' solo per una decina di giorni, due settimane al massimo. Sarò di ritorno a parlare di torte nuziali prima che tu abbia il tempo di accorgertene."

Tenta perfino un sorriso.

"Va bene," mi sento dire.

Poi prendo la sua mano, la stringo appena nella mia mentre la allontano dal mio viso, e scendo dalla macchina.

Non ho neanche più voglia di discutere.


—————————————————

Note

[1] In realtà, nel sistema Usa, le risposte per le ammissioni al college (che si mandano un anno prima) arrivano verso fine inverno/inizio primavera prima dell'inizio dei corsi, che di solito è fine agosto. Qua siamo a luglio, quindi riconosco che come tempistica non sia veritiera, mi sono presa una piccola licenza.


Spazio autrice


Lo so, sono pessima. E' passato un mese dall'ultimo aggiornamento ed io ho quasi paura che di questa storia ve ne siate ormai dimenticate.

Purtroppo, io e lei siamo state un po' in crisi nell'ultimo periodo, poi c'è stato il season finale (per cui sono ancora qui a piangere tutte le mie lacrime ogni volta che lo shuffle mi fa partire Wings a tradimento) ed un pov Elena - quello di questo capitolo - a cui non è stato facile dare voce.

Al di là della lunga attesa, spero che il capitolo non vi abbia annoiato, dato che mi pare di capire dagli animi di chi commenta che la dinamica Elena/Elijah non sia esattamente tra le preferite ... Ma mi sembra lo stesso giusto dare spazio anche al loro logorio di coppia in crisi, e poi il Delena dovrebbe controbilanciare. :) In ogni caso, sappiate che se volete potete tirare fuori quella bottiglia di champagne d'annata che stavate tenendo da parte per l'occasione: vi confermo che Elijah davvero non sarà in circolazione per un po' …

Mi dispiace davvero tanto di non riuscire a rispondere in tempi brevi alle meravigliose recensioni che siete così gentili e adorabili da lasciarmi, ma - ve lo dico con il cuore - mi bevo ogni vostra singola parola e ne faccio tesoro, sempre e comunque. Sono un sostegno indispensabile, soprattutto quando, appunto, mi capitano capitoli come questo che anche senza motivi precisi mi fanno andare in piena crisi e pensare che tutto faccia schifo.

Quindi un grazie immenso per il vostro insostituibile supporto!


A presto!

Bacio


   
 
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