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Autore: Black_Tear    28/05/2014    1 recensioni
La strada di una cacciatrice dal passato misterioso si incrocia per la seconda volta con quella dei fratelli Winchester, vecchi amici d'infanzia, che la aiuteranno ad ottenere la vendetta da lei agognata per tanti anni.
-Che fine ha fatto la ragazza dolce e timida che conoscevo?- chiese con un sorriso provocatorio stampato in faccia mentre si avvicinava di qualche passo.
-E' morta quella notte.-ribattei, più bruscamente di quanto avrei voluto, voltandomi verso la finestra per accertarmi che non ci fosse nessuno.
Con la coda dell'occhio vidi il suo sorriso incrinarsi in una smorfia.
Sentivo i suoi occhi su di me e fui travolta da un'ondata improvvisa di tristezza.
Deglutii cercando di sciogliere il nodo che si era formato in gola impedendomi di respirare.
-Ora è rimasta solo un cumulo di carne, sangue e rabbia- dissi con finto tono solenne, ma strinsi la pistola che avevo in mano mentre pronunciavo l'ultima parola.
-Non per migliorare la tua autostima, ma sei un po' più di questo- replicò serio.
-Cioè?- sospirai, tornando a guardarlo negli occhi, scettica.
-Sei un'irritante mozzarella sotuttoio- disse, una smorfia divertita sulla faccia.
Genere: Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quando giunsi davanti alla villetta a tre piani la macchina era quasi in riserva, il che significava che al ritorno avrei dovuto fare almeno un chilometro a piedi. Fantastico. Poche persone sono così stupide da fare un'ora di strada in mezzo alle foreste dello stato di Washington con il serbatoio mezzo vuoto e per mia sfortuna io sono una di quelle.
Irritata e nervosa frenai bruscamente davanti alla porta di spesso legno nero della casa. Nonostante fosse stata costruita tra gli alberi della foresta, era stranamente elegante con i suoi tre piani bianchi decorati con finestre incredibilmente pulite attraverso cui spiccavano delle tendine color panna. Per un attimo mi chiesi perchèla porta d'ingresso fosse nera, ma in fondo non erano affari miei. Certo, era proprio un bel posto per un mostro per fare a pezzi una povera signora.
Mi assicurai che il distintivo fosse nella tasca della giacca,mi sistemai la camicia e controllai che i capelli fossero a posto. Li avevo tinti di biondo quella mattina, prima di partire per questa "città", se così si poteva chiamare quel mucchio di case.Non volevo correre il rischio che qualcuno mi riconoscesse,anche se ero quasi completamente sicura che nessuno si ricordasse di me: erano passati troppi anni dall'ultima volta che ci avevo messo piede perchè qualcuno si ricordasse della piccola e insignificante Jade Russo.
Dopo aver controllato che anche la collana con il pentacolo fosse ben nascosta sotto la camicia, scesi dalla macchina sbattendo la portiera dietro di me e mi diressi a grandi passi verso la porta d'ingresso.
L'aria era fredda e graffiava la pelle, ma non mi dava fastidio, anzi, mi resi conto non senza un certo stupore che su di me aveva un'effetto rassicurante. Sentire quei brividi scorrere lungo la schiena mi facevano sentire al sicuro, a casa. Scossi la testa per scacciare i ricordi che cercavano di farsi spazio tra i miei pensieri e suonai il campanello. Questa avolta avrei preso quell'assassino, era poco ma sicuro.
Suonai diverse volte senza ricevere alcuna risposta. Dove poteva essere andato un sessantenne che aveva appena subito un lutto? Probabilmente al cimitero, mi risposi. Beh, non sarei andata lì per cercarlo.
Avevo mosso i primi passi verso il retro della casa quando dall'interno giunse un "Che volete?" che non fece altro che peggiorare il mio umore. Perchè non dovevo mai interrogare un'adorabile vecchietta che mi offrisse dei biscotti con un sorriso stampato sulle labbra? Respirai profondamente prima di rispondere.
-Buongiorno, sono l'agente Mary Ford, dell' FBI. Vorrei parlare con Peter Johnson.- Dall'altra parte non rispose nessuno. -Apra la porta- ordinai. Silenzio. Sentivo il respiro pesante dell'uomo dietrola porta,e per un attimo temetti che avesse intuito che non ero un'agente.
-Perchè l'FBI dovrebbe parlare con lui?-chiese infine con voce rauca, ma più gentilmente di prima. L'uso della terza persona mi fece capire che il signor Johnson era lui.
-Se apre la porta ne parliamo- risposi. La porta si socchiuse e fra lo stipite e la porta comparve un occhio azzurro, vitreo e gonfio di pianto. - Distintivo.-disse, burbero. Lo chiedevano sempre, ma secondo me nessuno sapeva davvero riconoscere se era vero o falso. Con un sospiro, lo estrassi dalla tasca interna della giacca e glielo porsi. Rimanemmo qualche secondo così, io con il distintivo in mano, l'occhio che lo leggeva e studiava, finchè la porta non si richiuse improvvisamente.
-Non parlerò con lei!- gridò l'uomo dall'interno della casa. Per un attimo rimasi senza parole. Aveva capito che era falso?
-Posso saperne il motivo?- chiesi, cercando di mantenere la calma.
-Non ho niente da dirle.- Bene, almeno non aveva capito niente.
-Io credo proprio di sì dato che sua moglie è morta e lei era l'unico presente quando è successo.-ribattei.
-Se ne vada!- Già,avrei preferito la vecchietta con i biscotti. Osservai la porta e constatai che non sarei riuscita a sfondarla:era troppo spessa.
-Signor Johnson, apra la porta!- ripetei,questa vota più duramente.
-Le ho detto che non dirò niente, quindi riporti quelculo da puttana sulla sua macchina da piedipiatti e sparisca!-. In questi casi un agente addestrato dell'FBI avrebbe cercato di instaurare un rapporto e di arrivare pacificamente ad un compromesso. Ma io non ero addestrata, non ero dell'FBI e instaurare rapporti non era esatamente il mio forte. E quella era una brutta giornata.
-Ascolti bene, stronzo! Ho fatto un ora di strada per venire fin qui a incastrare quel figlio di puttana che ha ucciso sua moglie, quindi o mi lascia entrare e ne parliamo civilmente o le giuro che sfonderò questa porta e la farò parlare con le cattive- Ero stata brusca e poco professionale, ma quella era la mia guerra e non avrei permesso che un vecchio scorbutico si mettesse fra me e e quel mostro.
Questa volta la porta si aprì quasi completamente e nella penombra vidi il Signor Johnson rivolgermi un ghigno sdentato.-E' sicura di essere dell'FBI?- chiese.
Qualcosa non quadrava: un minuto prima mi aveva dato della puttana ed ora mi faceva entrare in casa sua addirittura con un bel "sorriso" stampato sulle labbra.
-Sarei qui a parlare con lei se non lo fossi?- ribattei mentre entravo cercando di evitare di guardare l'uomo in faccia. Gli occhi, il sorriso, la postura gobba, la magrezza e le rughe che gli segnavano il volto era estremamente inquietante ed era in contrasto con l'ambiente, curato ed elegante.
La parte interna della casa era ancora meglio di quella esterna. Seguii l'uomo attraverso un corridoio fino al salotto. Puzzava tutto di alcool. Ai muri erano appesi diversi quadri rappresentanti paesaggi idilliaci e di straordinaria bellezza e le pareti erano coperte in gran parte da scaffali peni di libri. Alla mia destra una rampa di scale portava al primo piano, mentre alla mia sinistra c'erano una poltrona e un divano girati verso un camino, in quel momento spento. Al centro della stanza troneggiava un tavolo di legno sul quale erano disposte numerose bottiglie vuote. Alcool.Ecco spiegati gli sbalzi d'umore e l'odore.
Bottiglie a parte, dovetti ammettere che era arredato tutto con gusto. Ad un cenno del signor Johnson, presi posto sulla poltrona mentre lui si lasciava cadre sul divano.
-Allora- iniziò- cosa desidera sapere di così importante da ricorrere alle minacce?- chiese, senza smettere di ghignare nemmeno per un secondo. -Mi dica quello che è successo.-
-L'ho già detto alla polizia-sospirò.
-Lo ripeta.-
-Non è americana, vero? Ha un accento strano...Messicana?-chiese, ignorandomi.
-Italiana- rieplicai, più duramente di quanto avrei voluto.
Qualcosa si accese nel suo sguardo. -Ah, l'Italia! Pizza, mafia e mandolino! Che paese meraviglioso!- e qui scoppiò a ridere fragorosamente. Questa allegria mi metteva a disagio. Dopotutto aveva appena perso la moglie per mano di un essere-non-ben-identificato e,anche se era visibilmente ubriaco, quel comportamento era strano. 
-Fantastico. Ora che ci conosciamo, può dirmi come sono andate le cose?-
-Ma Ford non è un cognome italiano- riprese, ignorandomi deliberatmente per la seconda volta. -Padre americano e madre italiana, scommetto. Dev'essere proprio una bella famiglia la sua.- Un peso mi piombò improvvisamente sullo stomaco tanto che persi il respiro per un momento. Perchè era interessato alla mia famiglia? Guardai attentamente il signor Johnson: sul suo volto era dipinta un'espressione di tristezza, malinconia e qualcosa che mi sembrò invidia. Avrei voluto dirgli che non c'era assolutamente niente per cui essere invidiosi, ma quello che mi uscì dalla bocca fu:- Quello che è la mia famiglia non la riguarda. Mi dica cos'è successo.- Per un momento mi parve di vedere l'ombra di un ghigno, ma fu solo per un momento. 
-Non sono sicuro nemmeno io di quello che ho visto. E comunque non mi crederebbe.- 
-Potrei stupirla.- Risposi guardandolo negli occhi.
-No, la stupirei io e lei mi farebbe rinchiudere in un manicomio o qualche istituto per gente fuori di testa.-
-Non credo di avere l'autorità e le competenze per poterlo fare, e comunque non è facile sorprendermi.-
-Le assicuro che non mi crederà-.
-Mi metta alla prova.- ribattei. Durante questo veloce botta e risposta non distolsi mai gli occhi dai suoi.
Lui Lo aveva visto. Quegli occhi avevano visto la cosa per cui avevo setacciato gli Stati Uniti fino a quel momento, ne ero sicura, ed ora mi serviva solo che Johnson confermasse questa certezza.L'uomo ricambiò il mio sguardo per un po', poi tornò a sorridere in quel modo inquietante. -Mi piace il suo stile, agente Ford- disse. Non era la prima volta che uno psicopatico apprezzava il mio carattere, ma non sapevo ancora se prenderlo per un complimento o meno.
-Allora non le dispiacerà raccontarmi cos'ha visto di tanto sconvolgente- mi limitai a dire.
Esitò, ma alla fine iniziò a parlare. Finalmente.
-Era una sera, abbastanza tardi. Ero appena tornato dal paese...mi ero fermato al bar con degli amici...Eea qualche giorno che Jeanne era strana: sembrava terrorizzata. Aveva preso l'abitudine di chiudere, ma che dico, sigillare porte e finestre quando era a casa da sola e aveva iniziato ad usare molto...sale-.
Mi lanciò un'occhiata, come se si aspettasse un mio commento scettico o che mi mettessi a ridere. Dovevo avere una faccia piuttosto seria e concentrata, perchè riprese subito a spiegare. -Faceva cerchi con il sale ovunque e ne spargeva anche davanti a porte e finestre.- Questo mi sorprese. Ammettendo pure che sapesse di essere perseguitata da un mostro, come faceva a sapere come tenerlo lontano? Avrei dovuto chiedere a Bobby se era una cacciatrice.
-...dormiva sempre con una forchetta sotto il cuscino..- stava dicendo Johnson. Questo sì che era strano. -Una forchetta?!- le parole mi uscirono di getto. L'uomo si liimitò ad alzare le spalle. -Le avevo detto che era strano...era una vecchia forchetta del servizio d'argento che ci avevano regalato al matrimonio... e questa non è nemmeno la parte peggiore- continuò. Argento. Ora aveva più senso.
-Le ha detto prchè lo faceva?-
- Diceva che era per tenere lontani l'ombra. All'inizio credevo che fosse pazza...la slitudine può fare brutti scherzi e qui non c'è molta compagnia...ma poi...- Ormai pendevo completamente dalle labbra del signor Johnson. - Continui- dissi, senza quasi rendermene conto.
-L'ho visto. Era...era lì- indicò le scale.
-Una notte stavo scendendo per andare in cucina a bere un po' d'acqua e.. era l'ì.- L'uomo si passò una mano tremante fra i pochi capelli bianchi che gli erano rimasti.- Era un uomo, ne sono sicuro, ma non era...non aveva una...insomma..era praticamente un'ombra, senza faccia o tratti del viso. Un'ombra. Era lì in piedi e mi fissava, o almeno credo...io ero immobile...e ad un certo punto si è dissolto. Pensavo di essere matto.Voglio dire...avevo bevuto un po' la sera prima di andare a dormire...lo faccio sempre...concilia il sonno...pensavo che fosse per quello. Ho bevuto e sono tornato in camera da letto...era lì, di nuovo...in camera, chinato sopra Jeanne...non vedevo bene...le lampade che abbiamo fanno poca luce...non so cos'abbia fatto...non sono riuscito a fare niente.- Si interruppe, mentre una lacrima gli scorreva lungo la guancia, fermandosi dove iniziava la barba corta e grigia.
Era Lui. Avevo avuto la conferma tanto sperata. Avrei ucciso quel figlio di puttana, fosse stata l'ultima cosa che avrei fatto.
Dovetti fare uno sforzo enorme per non esternare la gioia furiosa e selvaggia che provavo e continuare a comportarmi da piedipiatti. - Come si spiega il fatto che sua moglie sia stata rinvenuta a pezzi?- chiesi, nel tono più neutro possibile.Mi resi conto di quanto avrei potuto ferirlo con le mie parole solo dopo averle pronunciate.
Johnson si passò una mano sulla faccia e fu evidente la sofferenza quando rispose:- E' stato lui.-
Gli feci semplicemente segno di continuare. Mi sentivo cinica ed egoista: lo stavo facendo soffrire terribilmente riportando a galla quei ricordi, ma se volevo fermare quel mostro dovevo fare qualcosa. Il fine giustifica i mezzi,no?
Sospirò,poi proseguì:-Non le dissi niente...pensavo che fosse tutto passato, che fosse uno scherzo della mia mente, dell'alcool, della vecchiaia...per qualche giorno la nostra vita continuò normalmente...anche se lei era strana...la mattina si era svegliata e aveva visto che il cerchio che aveva fatto attorno al letto con il sale era stato distrutto...probabilmente ero stato io quando mi ero alzato...pensava che non fosse successo niente, quindi da allora smise di comportarsi in quel modo strano..poi in a sera...ero appena tornato dal bar...-
A quel punto ero immersa completamente nel racconto, tanto che sobbalzai quando suonò il campanello. Merda. Eravamo arrivati al punto più importante: avevo scoperto che il sale teneva alla larga quel bastardo e se avesse continuato avrei potuto scoprire qualcosa di più, magari addirittura come ucciderlo, ma qualche idiota si era intromesso proprio in quel momento. 
Johnson si alzò, anche lui parecchio irritato dall'interruzione.-Scusi, mi dia un minuto- disse, avviandosi verso la porta d'ingresso. Senza esitare nemmeno un secondo mi alzai e lo seguii: forse se il disturbatore avesse visto un agente federale se ne sarebbe andato prima.
-Chi è?- abbaiò Johnson con la sua voce rauca.
-Peter Johnson?FBI. Vorremmo farle qualche domanda riguardo all'omicidio di sua moglie.-rispose una voce gentile da uomo dall'altra parte dalla porta. Johnson si voltò verso di me, guardandomi sospettoso e confuso. Alzai le spalle e scossi la testa, portando la mano alla pistola. Ero confusa tanto quanto lui. Perchè l'FBI avrebbe dovuto occuparsi veramente di un caso del genere? Un solo omicidio non avrebbe certamente attirato l'attenzione di veri agenti federali. "Solo che questo non è il solo omicidio" intervenne la vocina nella mia testa, sbattendomi in faccia la verità. Merda, di nuovo.
- Signor Johnson, apra la porta-disse un'altra voce, più profonda della prima. Erano in due. Feci segno a Johnson di rimanere in silenzio e di allontanarsi dalla porta. Afferrai la maniglia e la aprii.
Non saprei descrivere ciò che provai quando vidi i due uomini che, in giacca e cravatta, mi fissavano, confusi e incuriositi. Uno era molto alto, con spalle larghe e capelli lunghi e mi studiava con occhi piccoli, mentre l'altro, che aveva due magnetici occhi verdi, mi guardava divertito, sforzandosi di non scoppiare a ridere.
-Mai pensato ad un rimedio per quella...voce?- disse,indicando la mia gola, prima che l'altro gli tirasse una gomitata tra la costole.
Rimasi paralizzata.
Non erano dell'FBI.
Erano come me.
Erano cacciatori.
Mi passai nervosamente una mano fra i capelli prima di sorridere ai fratelli Winchester.
 
  
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