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Autore: Black_Tear    02/06/2014    1 recensioni
La strada di una cacciatrice dal passato misterioso si incrocia per la seconda volta con quella dei fratelli Winchester, vecchi amici d'infanzia, che la aiuteranno ad ottenere la vendetta da lei agognata per tanti anni.
-Che fine ha fatto la ragazza dolce e timida che conoscevo?- chiese con un sorriso provocatorio stampato in faccia mentre si avvicinava di qualche passo.
-E' morta quella notte.-ribattei, più bruscamente di quanto avrei voluto, voltandomi verso la finestra per accertarmi che non ci fosse nessuno.
Con la coda dell'occhio vidi il suo sorriso incrinarsi in una smorfia.
Sentivo i suoi occhi su di me e fui travolta da un'ondata improvvisa di tristezza.
Deglutii cercando di sciogliere il nodo che si era formato in gola impedendomi di respirare.
-Ora è rimasta solo un cumulo di carne, sangue e rabbia- dissi con finto tono solenne, ma strinsi la pistola che avevo in mano mentre pronunciavo l'ultima parola.
-Non per migliorare la tua autostima, ma sei un po' più di questo- replicò serio.
-Cioè?- sospirai, tornando a guardarlo negli occhi, scettica.
-Sei un'irritante mozzarella sotuttoio- disse, una smorfia divertita sulla faccia.
Genere: Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-Agenti Wilson e Olt- disse Sam, sfoderando il distintivo quasi contemporaneamente al fratello. –E lei è…- si intromise Dean, senza perdere quell’accenno di sorriso. Aprii la bocca diverse volte, ma dalla gola non mi usciva alcun suono. Non sapevo cosa dire. Non sembrava che mi avessero riconosciuta, per il momento, ma avrebbe potuto tradirmi qualsiasi cosa, dall’accento italiano alla collana con il pentacolo.
-Mary Frd- dissi, con un filo di voce. Mi sentivo stupida. Non era da me reagire in quel modo di fronte ai problemi, o almeno, non lo era più da tanto tempo. Mi schiarii la voce, riprendendo il controllo. Solo la loro presenza era riuscita per un momento a farmi ritornare la quindicenne timida e stupida che ero stata.
-FBI. A quanto pare dev’esserci stato uno sbaglio…-  dissi, spostando lo sguardo da Sam a Dean nervosamente mentre tendevo loro il distintivo. Sam era altissimo, tanto che dovevo sollevare anche la testa per riuscire a guardarlo in faccia. Le spalle erano molto più larghe e muscolose e la criniera di capelli castani evidenziava la forma ovale del viso. Solo gli occhi, piccoli e verdi, erano rimasti gli stessi del  ragazzino che avevo conosciuto dieci anni prima.
Dean, invece, era un po’ più basso del fratello. Aveva braccia e gambe più toniche e muscolose e i corti capelli si erano schiariti. I tratti del viso si erano induriti e le labbra rosee, perennemente curvate in un mezzo sorriso, gli donavano un fascino quasi irresistibile. Ma ciò che colpiva di più erano gli occhi, due grandi smeraldi, brillanti e vivaci come quelli che ricordavo.
Dovetti ricorrere a tutta la mia forza di volontà per non perdermi nei ricordi e prestare ascolto a quello che diceva Sam.
-Accidenti, credo che ci sia stato un malinteso.- diceva, studiandomi con lo sguardo. Si scambiò un’ occhiata piuttosto eloquente con il fratello, quel tipo di occhiata che vuol dire “Non ci voleva”. Questo mi ricordò il motivo per cui ero lì. Era stato bello rivederli, davvero, ma se volevo eliminare il mostro che aveva ucciso la signora Johnson non potevo permettermi distrazioni. Era la terza volta che lo trovavo, ma a differenza delle due volte precedenti, non mi sarebbe scappato. Sapevo che i Winchester non erano quel tipo di cacciatori che avrebbero abbandonato un caso a causa dell’FBI. Questa caratteristica l’avevo presa da loro.
-Beh, agente Ford, è stato un vero piacere conoscerla, ma credo che questo caso spetti a noi.- esordì Dean, con un sorriso falso. Se credevano che avrei ceduto così facilmente si sbagliavano.
-Con tutto il rispetto, agente Olt, ma ho già iniziato ad interrogare il signor Johnson quindi sono costretta a rimanere.-
-Oppure, ci dice quello che le ha detto e si fa da parte- ribatté Dean.
A quel punto Johnson fece capolino da dietro la porta, con la stessa aria confusa di prima:- C’è qualche problema, agente Ford?- chiese, in modo inaspettatamente gentile. Mi ero dimenticata della sua presenza.
-Solamente qualche problema burocratico.- risposi.
-Credo che dobbiate parlare con il mio capo.- dissi poi, rivolgendomi ai due cacciatori. Estrassi un biglietto da visita, porgendolo a Sam.
-Sono d’accordo- replicò Dean, imitandomi. La scritta sul loro biglietto recitava “Agente Robert Willis, Washington DC”. Merda. Mi ero dimenticata che Bobby Singer conosceva anche loro. Ritrassi di scatto la mano da cui Sam stava per afferrare il mio pezzo di carta, su cui erano riportate esattamente le stesse parole.
-Basta che lo chiami io- mi giustificai notando il loro stupore di fronte a quella reazione così improvvisa. Se avessero letto quel biglietto avrebbero capito  che non ero una vera agente, e per il momento preferivo che continuassero a pensarlo. Se avessero scoperto chi ero veramente avrei dovuto spiegare troppe cose e quello non era il momento adatto. Mi allontanai di qualche passo, composi il numero e, alterando lievemente la voce, scambiai qualche parola con Bobby. Fortunatamente, nemmeno lui mi riconobbe, ma fu abbastanza chiaro nel farmi capire che i due ragazzi avrebbero lavorato a quel caso.
-Bene, a quanto pare dovremo lavorare insieme- dissi,  ridando il biglietto ai due fratelli.  Avevo perso già troppo tempo e non avevo voglia di discutere inutilmente, così voltai loro le spalle e tornai in casa, dove il signor Johnson si stava gustando una birra.
Sentii un “Dannazione!” sussurrato alle mie spalle, e non avevo dubbi che fosse stato Dean a parlare. Nemmeno io ero molto entusiasta di lavorare con loro: era il mio caso, la mia guerra , e se mi avessero messo i bastoni fra le ruote, quel mostro non sarebbe stato il loro unico problema.
Alla vista dei due ragazzi, Johnson si alzò in piedi.
-Cosa diavolo ci fanno qui quei due?- mi chiese.
-Lavoriamo insieme a questo caso- risposi, secca.
-Signor John…- iniziò Sam, ma prima che potesse continuare l’uomo lo interruppe:- Io con loro non parlo- sentenziò. Sospirai. Ci mancava solo questa. –Posso saperne il motivo?- domandò Sam.
-Non mi fido di voi.- si limitò a rispondere Johnson, tornando a sedersi.
-Sa che dopo dovrò comunque raccontare ciò che mi ha detto, vero?- mi intromisi. Questo lo fece vacillare. Mi fissò, visibilmente deluso. Per un attimo credetti che non avrebbe raccontato più nulla nemmeno a me, ma poi borbottò:- Non ricomincerò da capo, però.-
Soddisfatta, presi posto accanto all’uomo. – Dunque… era appena tornato a casa dal bar…cosa successe?- chiesi.
-Sì. Ero tornato da poco, quando la sentii gridare dalla camera da letto. Salii le scale, ed entrai in camera, e lei era lì, che si contorceva, gridava… aveva dei tagli su tutto il corpo…- lanciò un’occhiata sospettosa ai Winchester. –Non si preoccupi, può parlare liberamente- lo confortai.
-Non so come spiegarlo…c’era sangue ovunque. Sembrava che qualcosa di invisibile la stesse torturando. I telefoni non funzionavano più e non riuscivo a portarla fuori di casa…-
-In che senso?-
-Non…Non usciva…- Sembrava nervoso.
-Cerchi di spiegarsi un po’ meglio- disse Dean.
-Non usciva! Era come se ci fosse un muro davanti alla porta d’ingresso! Io potevo uscire, ma lei…c’era come  una…barriera invisibile che non riusciva a superare. La spingevo, cercavo di trascinarla fuori, ma ad un certo punto si bloccava, non andava oltre all’uscio.-
-E le finestre?- chiesi. Mi ero già dimenticata dei fratelli.
-Anche quelle. Era intrappolata in casa.- Johnson bevette un grande sorso dalla bottiglia che teneva  in mano. –Quando sono riuscito a chiamare e era troppo tardi.- Sospirò.- Il resto lo sapete.- concluse, guardandomi con un leggero sorriso sulle labbra.
-Vorremmo vedere il luogo in cui…- chiese Sam.
-Sopra alle scale, in fondo al corridoio a sinistra. Se toccate qualcosa vi taglio le mani- abbaiò, burbero. Vidi Dean aggrottare le sopracciglia e fare una smorfia prima di seguire l fratello su per le scale. Non andai con loro. Sapevo che non avrebbero trovato niente: niente zolfo, ectoplasma, campi elettromagnetici. Era un mostro che non avevano mai incontrato prima, ne ero sicura.
Ebbi la conferma dalle loro facce quando, cinque minuti dopo, tornarono.
 –Signor Johnson, grazie per averci concesso questo tempo.- dissi.- Se dovesse ricordare qualcos’altro o se ne avesse bisogno, chiami questo numero.- gli porsi un biglietto.
 – Mi dispiace davvero per sua moglie- aggiunsi prima di riuscire a tapparmi la bocca, mentre ci accompagnava alla porta. Non rispose, si limitò a guardare il pavimento.
Quando uscimmo chiuse lentamente la porta. Mi dispiaceva davvero.
-Le dispiacerebbe dirci cose le ha detto prima del nostro arrivo?- Dean interruppe brutalmente i miei pensieri mentre ci dirigevamo alle macchine. Notai con piacere che la vecchia Chevrolet Impala del ’67 apparteneva ancora alla famiglia Winchester ed era in ottime condizioni.
Feci una smorfia. - Cose deliranti- mi limitai a rispondere. Non sapevo esattamente perché stessi mentendo, dopotutto eravamo dalla stessa parte, ma qualcosa in loro non mi convinceva completamente. Forse erano passati troppi anni ed avevo perso un po’ di fiducia in loro. O forse volevo uccidere io quel figlio di puttana.
-Cioè?- chiese, spazientito.
Mi strinsi nelle spalle.
-Lavoriamo insieme a questo caso o no?- Dan stava iniziando ad innervosirsi. Se ne accorse anche Sam che gli appoggiò una mano sulla spalla mormorando:- Calmati-.
-Certo, ma non credo che quello che mi ha detto possa essere d’aiuto alle indagini.- risposi.
-Beh, si dà il caso che non me ne importi proprio niente di quello che credi tu. –
Aprii la bocca per ribattere, ma Sam fu più veloce. –Ok!-disse – Credo che sia stata una mattinata un po’ pesante. Perché non ne parliamo davanti a qualcosa di caldo?- propose, aggiudicandosi un’occhiataccia dal fratello.
Non avevo voglia di andare a mangiare con loro. Avevo bisogno di tempo per riflettere, riordinare le idee e fare qualche ricerca. E soprattutto temevo che prima o poi mi avrebbero riconosciuta.
-Mi dispiace, ho un altro impegno- dissi, sapendo che mi stavo mettendo in una brutta situazione.
-Ma davvero?- Dean distolse l’attenzione dal fratello posando gli occhi su di me. –Un impegno più importante del lavoro? Perché se hai da fare puoi raccontarci quello che ci ha detto e lasciarci il caso.-
Quando eravamo passati a darci del tu?
-Senti, signor gentilezza, non sono contenta nemmeno io di lavorare con voi. Ve lo racconterò, solo non qui, adesso.-
-Allora vieni con noi e ce lo racconti da un’altra parte- disse, facendo ricomparire quel sorriso da sbruffone.
Sospirai. Non me lo ricordavo così insopportabile.
-E va bene-cedetti. Tanto prima o poi avrei dovuto dirglielo. –Fate strada-.
Il viaggio di ritorno durò un’ora e la macchina resistette incredibilmente  fino a quando parcheggiammo davanti all’unico ristorante di Jefferson City.
  
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