Posso vedere l’intera
città da quassù. Un senso di pace si
diffonde dentro di me. Il silenzio della città notturna
sembra passare
attraverso la vetrata, riempiendo la stanza. Appoggio le mani sulla
grande finestra
e la mia fronte entra in contatto col freddo vetro che mi separa dal
resto del
mondo.
La neve ricopre ogni cosa e, quando
qualche nuovo fiocco
comincia a cadere silenzioso e leggiadro, un brivido mi percorre la
schiena. Mi
stringo nella felpa mentre inizio a riflettere sulle stranezze del
mondo. Io ho
tutto, ma non ho niente. Sono bella, sono amata da tutti, sono ricca.
Ma sono
vuota. Non ho amici. Sì, vado a tante feste, ricevo un sacco
di inviti, ma non
ho veri amici. Non ho amici che ti chiamano per sapere se come stai o
per
chiederti di andare a prendere un gelato. Non sono mai andata ad un
pigiama
party, non ho mai fatto una festa di compleanno nel giardino di casa
vestita da
principessa. Il mio sedicesimo compleanno è stato un evento
pubblico. Mio padre
no mi ha mai insegnato a guidare, mia madre non mi ha mai accompagnata
a fare
shopping.
Domani compio 21 anni e non ho mai
vissuto. La vita ha
vissuto me.
Mi giro di scatto e guardo la stanza:
una camera enorme con
un grosso letto a due piazze, una grande scrivania in mogano, mai
realmente
usata. Il mio sguardo studia le due porte che vedo di fronte a me:
quella più a
sinistra porta al bagno, dal design moderno, mentre l’altra
separa la cabina
armadio dalla camera.
Entrare in mezzo a tutti quei vestiti
mi fa stare male. La ricchezza
e lo sfarzo di tutti quei capi in quella stanza mi danno la nausea. I
miei
occhi indugiano su un cappotto nero che non uso da molto. Lo afferro e
nel
mentre prendo anche un paio di stivaletti consunti: i miei preferiti.
Uscendo dalla stanza lancio il
cellulare sul letto. Non voglio
essere legata ad un oggetto. Mi avvolgo una sciarpa attorno al collo ed
esco di
casa.
Mentre entro nell’ascensore
osservo il mio riflesso allo
specchio. Quello che vedo mi sorprende: una normalissima ragazza che
esce di
casa in piena notte. Per la prima volta in quello specchio vedo me. Me
e non la
ragazza tutta in tiro, pronta per andare all’ennesima festa.
L’ascensore finisce
la sua discesa e, all’apertura delle porte, mi ritrovo
nell’ampia hall del
palazzo, illuminata dalla moltitudine di applique appese alle pareti.
Il portiere,
William, mi apre la porta e, togliendosi il cappello, mi augura una
buona
serata. Lo ringrazio ed esco, trovandomi esposta alla gelida aria
invernale. Mentre
muovo i primi passi sul marciapiede rabbrividisco e mi stringo nella
pesante
sciarpa di lana. Mi abituo al freddo che si infila attraverso i vestiti
e
inizio a camminare, senza una reale meta.
I palazzi mi sfilano uno di fianco
all’altro. Li guardo, ma
non li vedo. Tutto ciò che vedo sono macchie di colore che
non riescono a
prendere una forma precisa ai miei occhi. Mi fermo. Non so da quante
ore stia
camminando. Minuti? Ore? Non lo so. Il tempo ha perso il suo
significato. Mi guardo
intorno e, per la prima volta, capisco dove sono. Dietro di me i
palazzi. Di fronte
a me il fiume scorre silenzioso e tranquillo, trascinando via piccoli
cumuli di
neve, come se fossero tante piccole isole candide.
Il mio sguardo è attirato
da una luce, anzi, da una moltitudine
di luci che delineano il profilo del ponte. Non lo avevo mai visto
così: vuoto,
silenzioso, tranquillo. Quasi come attratta da una forza invisibile,
inizio a
muoversi verso di lui. Lo percorro e quando ne raggiungo la
metà mi fermo. Mi sento
piccola, indifesa, un nonnulla in confronto all’imponenza del
ponte e alla
forza distruttrice del fiume, nascosta nelle sue acque placide e
tranquille.
Il parapetto non è molto
alto e abbastanza largo per
potermici sedere. Inizio a muovere le gambe, come fanno i bambini in
piscina. Rido.
È una risata liberatoria, che risuona nel silenzio della
città addormentata. Il
mio sguardo cade verso il basso, giù, nelle
acque scure e profonde. Nessuno le governa. Nessuno le doma. Loro sono
libere e
vive. A differenza di me.
Guardo l’acqua muoversi
lentamente. Guardo le increspature
che le piccole onde formano sulla superficie calma del fiume.
D’istinto mi alzo
in piedi. Una leggera brezza mi accarezza il viso. Una nuova risata mi
increspa
le labbra e mentre mi lascio andare a questa nuova ondata di
felicità, una
piccola nuvoletta di vapore caldo si forma davanti ai miei occhi.
Sorrido al
pensiero di mia madre che trova il cellulare sul letto, pensando a
quanto sia
distratta. Sorrido al pensiero di mio padre che fa finta di ascoltarla
mentre
si lamenta della mia disattenzione. Sorrido mentre faccio un passo nel
vuoto. Sorrido
sentendo il vento tra i capelli. Sorrido perché sento
qualcosa di nuovo dentro
di me. Sorrido perché mi sento felice.
Sorrido perché mi sento
viva.