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Autore: arya_stranger    29/05/2014    3 recensioni
Quando ti svegli in un luogo assurdo e non ti ricordi più niente la paura ti attanaglia lo stomaco e le viscere. Però un piccolo ricordo affiora lentamente, un viso, quello di un ragazzo. E se poi scoprissi che sei morto e che l’unica soluzione per tornare in vita è superare una missione? E se la missione fosse quella di aiutare delle persone confuse a ritrovare il loro cammino? Accetteresti?
E se poi ti innamorassi? Cosa faresti?
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(dal testo)
«Non sarei riuscito a descrivere a parole lo spettacolo delle stelle in una notte d’inizio agosto come quella. Forse perché non ce ne sono. Se non l’hai visto non potrai mai capire come è realmente. Sarebbe come spiegarlo ad un cieco. [...]
Da dove stavo, le stelle mi sembravano solo minuscoli puntini brillanti che luccicavano accanto alla luna; ma il realtà sono enormi masse di gas e nemmeno concentrandomi riuscivo ad immaginare la loro grandezza. Ci sono concetti, come l’infinito, che l’uomo non potrà mai capire per quanto si possa sforzare. [...]
Non siamo concepiti per comprendere queste cose. L’uomo è piccolo e non è altro che un acaro di polvere paragonato all'universo.»
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[FANFICTION REVISIONATA IL 19/08/15]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Second Chance'
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12
 
Non sono pazzo, penso solo troppo
 




Toc toc, toc toc.
Mi svegliai di soprassalto quanto sentii un rumore fastidioso.
Mi rigirai nel letto e mugolai seppellendo la testa sotto il cuscino. Volevo dormire, chi aveva il diritto di venirmi a svegliare? Nessuno.
Sentii la porta aprirsi.
«Gerard svegliati, è importante!»
Ignorai la voce di Ed e continuai a dormire alzando ancora di più le coperte sopra la testa.
Una depressione si creò nel letto, sul lato destro. Evidentemente Ed si era seduto, e infatti cominciò a scuotermi per le spalle. Non aveva ancora capito che non avevo la minima voglia di uscire da quella coltre di calore.
«Gerard se non ti alzi entro due secondi, giuro che ti tiro una secchiata d’acqua addosso» mi minacciò.
Sapevo che non l’avrebbe mai fatto, o almeno lo speravo. Così continuai a fare finta di nulla. Prima o poi se ne sarebbe andato.
«Bene» fece, «allora suppongo non ti interessi sapere che oggi è il compleanno di Frank.»
Con uno scatto mi scostai le coperte di dosso, e mi misi seduto. Ed aveva un sorriso soddisfatto stampato sula faccia.
«Perché non me l’hai detto subito?» pretestai. «Anzi, perché non me l’hai detto una settimana fa?!»
«Perché non lo sapevo nemmeno io» si difese.
«Ma non vi danno una specie di curriculum delle persone che vanno aiutate?»
Sospirò alla mia domanda. «Si, ma di certo non ricordavo la data di nascita di Frank.»
«E allora come l’hai scoperto?»
«Ieri» cominciò, «quando sono andata a prendere Frank per portarlo qui, me l’ha detto Victoria.»
«Capito» dissi. «Ma ora come faccio?»
«Come fai a fare cosa?» chiese lui.
«Il regalo!»
«Ti ho svegliato proprio per quello» borbottò.
Mi alzai dal letto e infilai in bagno. Mentre chiudevo la porta vidi Ed che usciva dalla mia camera.
Ora si poneva un problema che avrei dovuto risolvere al più presto possibile. Cosa regalavo a Frank?
Erano passate cinque settimane dalla prima volta che l’avevo visto e considerando tutto il tempo che avevamo passato insieme, potevo dire di conoscerlo piuttosto bene. Ma in quel momento la mia mente non fu capace di elaborare nulla, e l’illuminazione in cui speravo non arrivò.
Mi sistemai velocemente e dopo una colazione fugace io e Ed salimmo in macchina.
«Ed» attirai la sua attenzione, «cosa gli regalo?»
«Non lo so» scosse la testa. «Cosa gli piace fare?»
«Gli piace la musica, suona la chitarra e il piano» spiegai.
«Mh» Ed pensò un attimo, «che ne dici di un CD?»
«No, è un regalo abbastanza banale.»
«Non so Gerard, sei tu che stai sempre con lui, mica io» protestò.
«Chiedevo solo un aiuto.»
«Comunque» disse mentre posteggiava. «Cosa fate stasera?»
Mh… cosa? Io non avevo mai organizzato una festa di compleanno, e non ci ero nemmeno mai andato! O meglio, non ricordavo di averne mai organizzata una o di avervi mai partecipato, ma era uguale. Le uniche cose che sapevo sulle feste provenivano da stupidi film per ragazzine che passavano il pomeriggio in televisione, e di certo quelli non mi avrebbero aiutato.
«Chiamo Rachel e Jimmy e andiamo a mangiare una pizza noi quattro, offro io. Che ne pensi, Ed?»
Era la prima cosa che mi era venuta in mente, ma tutto sommato non mi sembrava un’idea tanto male.
«Buona idea» si complimentò. «Poi se vogliono rimanere a dormire da noi non è un problema.»
«Oh, perfetto!» esclamai soddisfatto. Almeno il problema della festa era risolto. Ora restava il regalo.
Scendemmo dalla macchina e cominciammo a guardare le vetrine di tutti i negozi che si trovavano in quella città, ma nulla, e dico nulla, mi sembrava adatto per Frank. Non capivo perché fosse così difficile trovare un regalo di compleanno. Insomma, la gente ne compra tutti i giorni, e penso che nessuno si faccia tutti questi problemi.
«Gerard, non abbiamo tutto il giorno» mi informò Ed.
«Lo so» borbottai frustrato.
«Dai» mi tirò una pacca sulla spalla. «Andiamo a prendere un caffè e poi ricomincia a cercare.» Sì, cercare, perché stava seriamente diventando una caccia al tesoro.
Infilammo in un bar e ci sedemmo, una cameriera venne subito a prendere le ordinazioni.
Mentre bevevo con calma il caffè presi il telefono e mandai un messaggio a Rachel. Volevo organizzare qualcosa di carino, e non volevo che Frank sapesse nulla: sarebbe stata una sorpresa. Il pomeriggio saremmo usciti e nessuno avrebbe alluso al compleanno o cose del genere. Lo so che è una cosa cattiva, ma mi sarei divertito a farlo stare un po’ sulle spine. Poi, considerando che era anche Halloween, la festa preferita di Frank, saremmo andati e comprare caramelle e schifezze varie e avremmo mangiato il tutto al parco.
Poi saremmo andati a mangiare la pizza, e solo alla fine avremmo fatto portare la torta con le candeline.
Organizzai tutto questo con Rachel per messaggio mentre bevevo il caffè al bar. Lei l’aveva definito un piano “diabolico” e io le avevo dato perfettamente ragione.
Appena l’ultimo sorso della bevanda scura fu troppo freddo per essere bevuto io e Ed uscimmo dal bar e tornammo alla ricerca del regalo.
«Ed, io non so davvero cosa regalargli.»
Beh, lo aveva già capito da molto tempo che non ne avevo la minima idea. Alla fine avrei dovuto davvero comprargli un banalissimo CD. L’avrebbe apprezzato tantissimo, ma prima di tutto avrei dovuto chiamare Rachel per farmi consigliare. Da quanto avevo capito lei e Frank ascoltavano al stessa musica, ma io non ci capivo davvero nulla. E secondo, volevo un regalo più speciale.
Cominciai a camminare senza nemmeno più guardare le vetrine. Non avrei certo avuto un’illuminazione, ormai mi dovevo rassegnare a un regalo banale, se pur carino, ma banale, che chiunque avrebbe potuto comprare.
Calciai un sassolino che mi stava intralciano la via, quando un ragazzo mi passò accanto e mi diede una spallata. «Scusa» mi fece. «Tutto okay?»
Annuii. «Sì, tutto okay.»
Era alto, molto alto, ed era coperto completamente di tatuaggi. Colorati, in bianco e nero, piccoli, grandi, scritte e disegni. L’avrei definito una mostra d’arte ambulante, perché quello era.
«Bene» esclamò sorridendo mentre se ne andava, «alla prossima.»
Non pensavo ci sarebbe stata una prossima volta, ma era stato gentile e lo salutai con un cenno della mano.
Poi mi venne un’idea.
Mi voltai per parlare con Ed che stava camminando dietro di me. «Ed, mi dai il tuo telefono? Devo chiamare Victoria.»
«Non puoi usare il tuo?» chiese.
«Non ho il suo numero in rubrica» spiegai.
Mi fermai per lasciare che mi raggiungesse, poi prese il telefono dalla tasca e me lo porse.
Cercai velocemente il numero e feci partire la chiamata.
«Cosa hai in mente?» domandò Ed dubbioso.
Sorrisi. Certe volte penso davvero di essere un genio.
«Pronto, Ed?» Victoria rispose al telefono e il mio sorriso si allargò.
«Ciao, sono Gerard» dissi. «Ti devo chiedere una cosa.»
«Ciao Gerard!» esclamò. «Dimmi tutto, caro.»
«Allora» cominciai, «oggi è il compleanno di Frank e gli volevo fare un regalo speciale, ma ho bisogno del tuo permesso per fare una cosa.»
«Cosa esattamente?»
«Un po’ di tempo fa, Frank mi ha detto che gli sarebbe piaciuto farsi un tatuaggio. E beh» esitai un attimo, «pensavo sarebbe stato carino se per il suo compleanno lo portavo a farsene fare uno.»
Dall’altro capo del telefono ci fu un momento di silenzio. Pensai che Victoria non fosse d’accordo, e a quel punto avrei davvero dovuto comprare un CD.
Ed mi guardava ridendo e scuotendo la testa.
«Non mi ha mai detto nulla» osservò. «Ma mi sembra un’idea carina. Per me non ci sono problemi!»
Esultai dentro di me. «Grazie mille Victoria!»
«Di niente, caro.»
«Però non dire nulla a Frank, per favore, voglio che sia una sorpresa» mi raccomandai.
«Certo» mi rassicurò, «non gli dirò nulla.»
«Perfetto, comunque stasera andiamo a mangiare una pizza, ma non gli dire nemmeno quello.»
Sentii Victoria che rideva e risi anche io. Ci salutammo e dopo aver riattaccato restituii il telefono a Ed.
«Tu sei pazzo» mi fece notare.
«Sì, lo so!»
Ed mi portò da quello che aveva definito il tatuatore più affidabile e bravo della città, e io non potei che fidarmi.
In realtà era una ragazza, molto carina e dai capelli corvini. Le spiegai la situazione, dicendole che sarei venuto con Frank l’indomani.
Finalmente potei tornare a casa con la consapevolezza di aver appena fatto a Frank un regalo fantastico.
Mandai un sms a Rachel per darle la notizia e anche lei mi informò del fatto che fossi genialmente pazzo.
Ci ritrovammo alle quattro di pomeriggio nella piazza della biblioteca dove avevamo conosciuto Rachel e Jimmy. Orami erano già passate due settimane, forse anche di più. Da quel giorno, e la maggior parte delle volte, non eravamo più solo io e Frank, ma anche fratello e sorella. Rachel era una ragazza davvero gentile e sempre disponibile, era molto sensibile e simpatica: in poche parole una ragazza a cui non si poteva non volere bene. Il fratello non le assomigliava molto, né fisicamente né caratterialmente. Jimmy era più timido  e riservato, ma anche lui, come la sorella, era gentile e sempre disponibile.
Però, la cosa che mi faceva più piacere era il fatto che adesso Frank avesse degli amici oltre a me, e che soprattutto avesse qualcuno con cui stare a scuola. Mi dispiaceva saperlo solo, a pranzo, ma ora non me ne dovevo più preoccupare.
Frank fu l’ultimo ad arrivare al punto di ritrovo. Avevo proposto di andare a prenderlo a casa, ma mi aveva detto che sua mamma doveva fare delle commissioni e che l’avrebbe portato lei.
Appena arrivò mi si gettò al collo e mi abbracciò. «Felice Halloween!»
«Ehi» pretestai, «così mi stacchi la testa!» Si mise a ridere e io feci lo stesso.
Ci staccammo dall’abbraccio e salutò anche gli altri.
«Allora» disse Frank, «che facciamo?»
A dire la verità non mi sembrava che il fatto che nessuno gli avesse fatto gli auguri lo disturbasse molto. Comunque lui non ci aveva mai detto quando fosse nato, e per quanto ne sapeva nessuno di noi ne era al corrente.
«È Halloween, andiamo a comprare le caramelle!» esclamò Rachel mentre si incamminava verso una destinazione a me sconosciuta.
Arrivammo davanti ad un negozio di dolciumi ed entrammo tutti e quattro.
Rachel e Frank cominciarono a riempire i piccoli sacchetti con ogni genere di caramelle, cioccolatini, strana roba non meglio identificabile, ma comunque molto gommosa e appiccicosa.
Per farla breve uscimmo dal negozio che i due più piccoli del gruppo avevano le braccia piene di roba.
«Scusate se ve lo chiedo» comincio Jimmy, «ma quanto abbiamo speso?»
Alla cassa avevano pagato Frank e Rachel, ma poi il prezzo l’avremmo diviso per tutti.
Rachel estrasse lo scontrino da una tasca del giubbotto nero e lesse. «Trentuno e venti.»
«Fanno sette dollari e ottanta a testa» disse Frank.
Rachel gli fece una linguaccia. «Secchione» disse scherzando.
«Per caso ti ricordi per quale motivo hai preso quel bellissimo voto a matematica?» la provocò.
«Sì» disse lei soddisfatta, «perché il secchione qui presente mi ha aiutato per una settimana intera con le equazioni.» Sorrise e si infilò in bocca un orsetto gommoso verde.  
«Appunto, e se vorrai ancora una mano ti merita chiudere quella bocca riempiendola di caramelle!»
Rachel scoppiò a ridere e appena giunti al parco si mise a sedere sull’erba.
«Le panchine ti risultano scomode?» feci io sedendomi anch’io sull’erba.
Lei alzò le spalle e cominciò a mangiare.
Feci per prendere un cioccolatino da un sacchetto ma lei mi bloccò. «Ehi!»
«Gerard, tu sei troppo grande per le caramelle» pretestò allontanando da me tutti i sacchettini bianchi di carta.
«E tu sei troppo piccola.» Andai da Frank e presi da un suo sacchetto una caramella e la mangiai trionfante.
Rimanemmo lì seduti finché l’ultima caramella non fu mangiata, stranamente da Rachel. Non capivo come facesse a essere così magra con tutta la roba calorica che ingurgitava dalla mattina alla sera.
Cominciammo a vedere i primi bambini con le mamme che se ne andavano in giro travestiti per fare dolcetto o scherzetto. Una bambina vestita da piratessa ci passò vicino e ci sorrise.
«Stasera rimaniamo fuori a mangiare una pizza?» propose Jimmy. Che bravo, stava seguendo il piano alla perfezione, come la sorella.
«Va bene» acconsentì Frank con un sorriso, «però prima ci andiamo a trovare un travestimento.»
Così dicendo si alzò e mi porse una mano per aiutarmi a tirarmi su.
Rachel ci aveva detto che forse a casa sua ci poteva essere qualcosa di interessante, così ci avviammo verso casa loro. Non ci ero mai stato, ma Frank ci era andato qualche volta per studiare con Rachel.
Era una casa piccola ma carina, con un giardino verde intorno. L’interno era molto curato.
Salimmo le scale fino arrivare alla camera di Rachel al piano di sopra. Mi sedetti sul letto e così fecero gli altri, mentre lei cominciava ad armeggiare nell’enorme armadio che aveva.
«Dovrei avere qualche costume di Halloween qua dentro.»
Mentre lei cercava, cominciai a guardarmi intorno. Le pareti erano dipinte di un colore simile alle melanzane, ma non troppo scuro, eccetto il soffitto che era dipinto di nero ed era coperto da quelle stelline che al buio si illuminano.
Sulle pareti c’erano anche alcuni poster. La scrivania era completamente coperta di fogli e matite.
«Rachel?» la chiamai. Lei interruppe un attimo la sua ricerca per guardarmi. «Ma tu disegni?»
Lei annuì. «Sì, mi piace disegnare.»
«Anche a me piace disegnare» ammisi. «Posso vedere i tuoi disegni?»
«Certo» acconsentì lei. «Sono un po’ sparsi sulla scrivania e un po’ nella cartellina blu su quella mensola.»
Mi indicò una mensola vicino al letto e presi la cartellina di cui parlava, poi mi misi seduto alla scrivania. Questa era, come avevo già notato, ricoperta di fogli e oggetti vari per disegnare. Per lo più erano disegni non ancora finiti. Vidi lo schizzo del muso di un gatto e qualche inizio di volti, sia femminili che maschili. Poi aprii la cartellina e ne estrassi il contenuto. Da quanto notai, lì dentro teneva i disegni già completi. C’era una copia della Monna Lisa, che a mio parere era fatta benissimo, il viso di un ragazzo dai capelli rossi, gli occhi ghiaccio e la pelle chiara. Per un attimo ebbi paura che cominciasse a parlarmi da quanto era realistico. Poi c’era il disegno di uno scorcio fra due case con la vista su un corso d’acqua, molto pittorico.
Andai da lei per chiederle che posto fosse. «Venezia» mi disse.
Stava ancora cercando nell’armadio e cominciai a dubitare che avrebbe davvero trovato qualcosa.
«Ci sei mai stata?» chiesi. Frank si avvicinò a me per vedere il disegno.
«No» scosse la testa, «ma mi piacerebbe.»
«Magari ci potremmo andare tutti insieme, fra qualche anno» propose Frank entusiasta. Sì, fra qualche anno. Una fitta di sensi di colpa mi invase.
«Sarebbe fantastico!» esclamò Rachel.
Continuai a guardare i suoi disegni con Frank, quando ci giunse un grido di gioia.
«Ragazzi, li ho trovati!»
La ragazza tirò fuori dall’armadio una scatola di cartone, abbastanza grande, e la poggiò sul letto.
«Jimmy» disse al fratello, «mentre noi guardiamo cosa c’è qui dentro, va’ a prendere i trucchi della mamma.»
Il fratello obbedì senza dire nulla.
Aprì la scatola e cominciò a guardare cosa ci fosse dentro, cominciando a scartare la roba che non ci sarebbe stata utile.
C’era un costume da coniglio decisamente minuscolo, e un altro da fatina, che, se possibile, era ancora più piccolo. Scartammo altra roba.
«Gerard» aveva in mano un paio di canini, «che ne dici di travestirti da vampiro?»
Risi all’idea. “Va bene, però ho bisogno anche di un mantello.»
Dopo cinque secondi tirò fuori dalla scatola magica un mantello nero con l’interno bordeaux. «Questa ti va bene?»
Nel frattempo era tornato Jimmy con una borsa viola.
«Sono questi i trucchi di mamma?» chiese alla sorella mostrandole la borsa.
«Sì, bravo, poggiali sul letto.»
«Ce l’hai un lenzuolo bianco che non usi?» chiese Frank a Jimmy.
«Una tovaglia bianca è uguale?»
Frank alzò le spalle e Jimmy riscomparì, per tornare con una tovaglia bianca.
«Fantastico» disse soddisfatto Frank. «Gee, ho bisogno di te.»
«Al tuo servizio» feci.
«Un attimo.» Chiese a Rachel un paio di forbici e poi tornò da me con quelle e la sua tovaglia. «Mi ci fai due buchi per gli occhi?»
«Certo.» Gli misi la tovaglia in testa per prendere le misure, e dopo aver fatto dei segni con un pennarello, cominciai a tagliare due fori.
Rachel aveva tirato fuori dalla scatola un cappello da strega, che avrebbe usato lei, e un paio di corna da diavolo per Jimmy.
Appena ebbi finito di sistemare i buchi per gli occhi al costume di Frank, Rachel mi prese in ostaggio e cominciò a tirare fuori dalla borsa dei trucchi di sua madre ogni genere di cose.
«Beh» fece, «sei già pallido di tuo, ma ti sbianco un altro po’.»
Mi mise su tutta la faccia una roba piuttosto fastidiosa, che secondo lei mi avrebbe “sbiancato”. Poi, con l’ombretto nero, mi disegnò delle occhiaie e mi scurì tutta la pelle intorno all’occhio. Infine, con la matita rossa, mi creò un ipotetico rivoletto di sangue sotto al labbro.
Mi misi i denti finti e il mantello, e io fui pronto.
«Wow» Frank aveva appena visto il mio travestimento. «Fai paura, Gee.»
«Farò più paura quando ti succhierò il sangue via da collo.»
«Mh, no» disse scuotendo la testa, «non lo faresti mai, mi vuoi troppo bene.»
Gli stampai un bacio sulla guancia  e poi andai ad aiutare Rachel che si stava disegnando una mezzaluna sulla guancia.
Alla fine fummo tutti pronti. Io, vestito da vampiro con le zanne e il mantello, Frank, che con la tovaglia bianca sembrava ancora più basso di quello che era già, Rachel con il cappello da strega, e Jimmy, con le corna da diavolo e la faccia completamente impiastricciata da sua sorella con qualcosa di rosso. Tutto sommato però, i travestimenti erano venuti bene a tutti, e uscimmo di casa soddisfatti.
Per la strada la gente ci guardavano. Insomma, di solito i ragazzi della nostra età a Halloween partecipano alla feste e si ubriacano fino a scordarsi come si chiamano, non vanno in giro travestiti come invece fanno i bambini. Però quella situazione rendeva tutto ancora più divertente.
«Perché ci fissano tutti?» chiese Jimmy.
«Perché siamo belli» fece Rachel scherzando.
«Non penso che ci stiano guardando per quello.» Lo penso anche io, Frank.
«Forse siamo un po’ troppi grandi per travestirci» azzeccò Jimmy.
«Forse» dissi io, «ma Frank può essere tranquillamente scambiato per un bambino con questo coso addosso.»
«Ti voglio bene anche io, eh» borbottò Frank alla mia destra.
Risi sotto i baffi e gli cercai la mano sotto la tovaglia. «Io di più.»
«Ragazzi,» Rachel richiamò la nostra attenzione «dove andiamo a mangiare? È quasi ora di cena.»
«C’è una pizzeria qui vicino» ci informò Rachel, sperando che avesse avvertito la pizzeria per il dolce per Frank.
«Perfetto» esclamai, «io muoio di fare. Non mi avete fatto mangiare praticamente nessuna caramella.»
Lanciai un’occhiata alla ragazza, e lei fece finta di non aver capito, nonostante fosse lei la causa del mio stomaco che brontolava incessantemente.
Entrammo finalmente nel ristorante e ci sedemmo. Una cameriera ci portò i menù.
«Gee, tu cosa prendi?» mi chiese Frank.
Diedi uno sguardo veloce al menù. «Penso una margherita, tu?»
«Mh,» ci pensò un attimo, «anche io una margherita.»
Dopo un po’ arrivarono le nostre ordinazioni. Io mi fiondai sulla pizza come se non mangiassi da un secolo e la finii che Frank era ancora a metà.
«Gerard» mi fece, «cosa hai al posto della bocca? Un tritatutto?»
Alzai le spalle. «Forse, è probabile.»
Mi sorrise. «Comunque io non ho più fame.» E così dicendo mise il suo piatto con ancora metà pizza sopra il mio, ormai vuoto.
«No» dissi rimettendo il piatto al suo posto, «questa la mangi tu.»
«Ma non ho fame» protestò.
«Dai» lo supplicai, «solo un altro po’.»
«Sembri mia madre. E ho detto che non mi va più, mangiala tu!»
Sospirai sconfitto e mangiai anche la sua pizza, per non doverla lasciare nel piatto. Mh, no, in realtà avevo fame.
Quando finimmo di mangiare tutti, feci un cenno alla cameriera, era il momento della torta.
Di sicuro Frank sarebbe diventato rosso come un pomodoro per l’imbarazzo, ma nel ristorante c’eravamo solo noi e una coppia di anziani signori, quindi mi ero preso la briga di chiedere alla cameriera se poteva anche spengere le luci.
Beh, effettivamente le luci si spensero e subito io e Rachel cominciammo a cantare Tanti auguri a te, seguiti poi da Jimmy e anche da marito e moglie che stavano al tavolo vicino.
«Ma che cazzo…» Non appena Frank vide entrare la torta sorrise senza dire nulla. La cameriera poggiò la torta con sedici candeline blu davanti al festeggiato.
«Esprimi un desiderio» ordinai a Frank.
Lui chiuse gli occhi e poi spense le candeline. Gli ci volle un po’, ma alla fine ce la fece.
«Io pensavo che non lo sapeste!» esclamò mentre mangiavamo la torta.
«E invece sì» dissi io.
Mi sorrise. «A chi è venuta l’idea?» Ovviamente sapeva già la risposta, ma volle comunque chiederlo.
«Al tuo ragazzo» fece Rachel. Frank diventò rosso e fece finta di nulla. Era la seconda volta che Rachel ce l’aveva con quella storia, ma era la prima volta che Frank arrossiva.
«Eddai» fece lei tirando un pugno sulla spalla di Frank. «È inutile negare, è piuttosto palese.»
«E smettila» la riprese suo fratello.
Offrimmo un po’ della torta anche a quei due anziani signori, che ci ringraziarono e fecero gli auguri a Frank.
«Bene» dissi io, «adesso possiamo anche andare.»
«Gee?» mi chiamò Frank. «Mi accompagni a casa?»
«No» scossi la testa. «Andiamo tutti a casa mia. Ed ha detto che per lui era perfetto, poi tua mamma ha detto che lui poteva andare a casa vostra così avevamo la casa libera.»
Frank sorrise per la millesima volta quel giorno e alla fine ci avviammo verso casa mia.
Come previsto Ed non c’era.
Rachel entrò per prima in casa e corse in soggiorno, per poi gettarsi sul divano.
«Che bel divano» osservò. «È davvero tanto comodo.»
«Ti prego di non distruggerlo, grazie» le chiesi.
Finimmo in quattro su un divano da tre, nonostante ci fosse anche la poltrona, ma ci arrangiammo.
«Adesso i regali» esclamò Rachel. Prese dal suo zainetto un pacchetto rosso e lo porse a Frank.
Lui lo prese ringraziando e lo scartò. Il regalo era una catenina con un ciondolo di metallo. Come quelli che danno ai soldati, quei rettangoli di metallo fine con le punte un po’ stondate su cui è inciso il loro nome.
Mi sporsi per vedere cosa ci fosse scritto. C’erano una G e una F e sotto una R e una J.
«La F sta per Frank» spiegò Rachel, «la G per Gerard, la R per Rachel e la J per Jimmy.»
Frank se la mise al collo. «Grazie, è bellissima.»
«Non è nulla!»
«Per il mio regalo dovrai aspettare domani» dissi io ad un certo punto.
Frank si voltò verso di me curioso. «Cosa è?»
Scossi la testa. «È una sorpresa, lo scoprirai domani, ma ti piacerà.»
«Nemmeno un indizio?» mi supplicò.
«Dobbiamo andare in un posto per il regalo» rimasi sul vago.
«Mi vuoi per caso uccidere?»
Risi e gli scompigliai i capelli. «Ma chi avrebbe il coraggio di uccidere uno scricciolo come te?»
«Ma guarda che nemmeno tu sei tanto alto!»
«Infatti sono solo quasi dieci centimetri più alto di te.»
Mi diede un bacio sulla guancia e un pugno nella spalla. «Scemo.»
Passammo tutto il resto della sera a mangiare pop-corn, guardare film penosi, ma più che altro a dire cazzate.
Verso le tre di notte Rachel si addormentò sul divano e le andai a prendere una coperta. Fu seguita a ruota dal fratello, che si addormentò per terra sul tappeto.
«Frank, io non ho sonno, tu va di sopra a dormire, ti raggiungo fra un po’.»
Lui annuì e prima di andare gli schioccai un bacio sulla fronte. Mi abbracciò.
«Grazie» soffiò, «per tutto.»
Aspettai di sentire la porta della mia stanza che si chiudeva e dopo aver preso la giacca andai fuori.
L’ultima volta che mi ero messo a guardare le stelle Ray era ancora vivo ed eravamo nell’altra casa.
Guadare il cielo aveva il potere di rilassarmi in una maniera incredibile, era più efficace di una camomilla o anche di un sedativo.
Andai sul retro del giardino, dove c’era qualche sedia e un tavolo di plastica tondo. Presi una sedia e la portai al centro del giardino e poi mi ci sedetti. L’ultima volta che avevo fatto quella cosa non c’era quel freddo pungente, ma forse il gelo mi aiutava a concentrarmi maggiormente, anche se tremavo come una foglia.
Mi ero un po’ informato su come era costituito il cielo e in particolare le stelle. Era uno degli argomenti, che da quando ero tornato sulla Terra, mi aveva affascinato di più in assoluto.
In pratica sono masse di gas compresso e incandescente. Ma la cosa più incredibile è che noi vediamo dei piccoli puntini, ma in realtà sono enormi. Poi ce ne sono di bianche, azzurre, gialle, rosse. Tutto dipende dalla temperatura, quelle bianche sono le più calde, e al contrario di quello che si potrebbe pensare, quelle rosse sono le più fredde.
La cosa più bella è che le stelle non sono poi tanto diverse da noi. Tutte nascono dalle nebulose, poi diventano stelle, in seguito i destini delle stelle si dividono, c’è chi diventa una nana bianca, per poi spengersi lentamente, c’è chi prima di diventare una nana è una gigante rossa, enorme, ma fredda, e chi, infine, esplode, si trasforma in una supernova fino a diventare un buco nero.  
Ora vi chiederete: cosa è che abbiamo in comune con le stelle? Beh, tutto, volendo.
Come noi nascono, crescono, si trasformano e muoiono. Prendono strade diverse, hanno destini differenti, come le persone, non seguiamo tutti uno stesso cammino. Non ho ancora capito lo creiamo noi o se in qualche modo è già stata stabilito, e non lo scoprirò mai, ma l’importante è che combatterò affinché si realizzi ciò che voglio.
Ciò che mi aveva affascinato di più leggendo il libro di astronomia che mi aveva dato Ed, erano i buchi neri. Niente riesce a sfuggire ad essi, neanche la luce, e non sono visibili con il telescopio, ma si possono individuare grazie ad una fortissima attrazione di gravità verso un punto vuoto dello spazio. Anche nella vita ci sono delle sorte di buchi neri, cose a cui non puoi sfuggire, volenti o nolenti. Ci avevo pensato, e avevo capito che Frankie era il mio buco nero. Semplicemente io non potevo fare a meno di lui, non gli potevo sfuggire.
No, non sono pazzo, penso solo troppo.
Il rumore di passi leggeri mi riscosse dai miei pensieri. Era Frank. Gli feci cenno di avvicinarsi e lo feci sedere sulle mie ginocchia. Lui si accoccolò sul mio petto e io cinsi il suo corpo con le braccia. Si era portato una coperta dietro, ma addosso aveva solo il pigiama.
«Che facevi?» mi chiese piano.
«Guardavo le stelle.» Alzò la testa e si mise anche lui a contemplare il cielo, per fortuna era una serata limpida.
«Non riuscivi a dormire?» gli domandai.
Lui scosse la testa e dopo aver poggiato la testa sulla mia spalla chiuse gli occhi.
«Ti ho visto dalla finestra e sono sceso» mi spiegò.
«Sì, sei sceso senza nulla e come minimo ti prenderai un raffreddore» lo rimproverai.
«Non è vero» ribadì, «ho preso la coperta che tieni sempre in fondo al letto.»
Lo strinsi ancora di più. «Ho notato.»
«Gee, conosci qualche costellazione?»
Annuii. «Quella è la costellazione di Orione.» Indicai il gruppo di stelle. «Quella che sembra una caffettiera.»
Frank rise. «Ho capito.»
Ne indicai un’altra. «Quella è la costellazione dei Gemelli.»
«Come fai a sapere tutte queste cose?»
Alzai le spalle. «Mi piacciono le stelle, guardarle è l’unica cosa che mi rilassa veramente.»
«Sono belle» mormorò.
«Come te.»
«Non è vero.»
«Oh, si che è vero» protestai.
«No, solo tu lo pensi. Quindi o sei pazzo tu o lo sono tutti gli altri.»
«Non so quale sia la risposta giusta, ma non mi importa.» Sorrisi e Frank alzò la testa per ricambiare.
«Davvero Gee, non so come ringraziarti per quello che fai per me. Nessuno l’aveva mai fatto prima.»
Una piccola lacrima gli scese sulla guancia e gliela asciugai lentamente con il pollice.
«Non mi devi ringraziare, voglio solo che tu mi prometta che starai meglio.»
«Te lo prometto.»
«Bravo Frankie.»
«Gee?» mi chiamò. «Ti amo.» Lo disse in un soffio e per un momento pensai di aver capito male, ma il suo sorriso mi diede la conferma.
Gli alzai il mento con una mano e lentamente feci combaciare le nostre labbra. Frank mi prese l’altra mano e incrociò le nostre dita. Mi staccai un attimo per poterlo guardare in faccia. Gli accarezzai una guancia, poi ricominciai a baciarlo.
Considerando che non ricordavo di aver mai baciato nessuno, come primo bacio fu perfetto, e non esagero se dico perfetto. Era freddo, sì, molto, ma il calore del corpo di Frank contro il mio mi fece dimenticare la temperatura rigida e mi infuse calore fino al centro del cuore, dove qualcosa esplose definitivamente. Forse una stella, e adesso al posto del cuore avevo una supernova.
Le labbra di Frank erano incredibilmente morbide, sapevano di dolce. Non avrei mai voluto che quel momento finisse.
Ci staccammo per riprendere fiato e poggiai la mia fronte sulla sua.
Alla fine mi decisi a parlare. «Ti amo anche io.»
 
 
   
 
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