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Autore: HeyFox    29/05/2014    3 recensioni
(Seguito di "Freckles", precendentemente intitolato "Here we go again")
Non l’avessi mai fatto.
I miei occhi incontrarono i suoi e cominciai a sentire un caldo strano, uno di quelli che ti fanno sudare freddo.
Erano rimasti uguali a quelli che avevo lasciato sei anni prima.
Erano caldi, sorridenti.
Ma questa volta erano spenti, con un non so che di triste in profondità, ben nascosto dal sorriso finto ma convincente che aveva dipinto sulle labbra.
Quel sorriso che, appena si rese conto di chi stava guardando, scomparve d’un tratto, lasciando posto a un’espressione tra lo stupore e la felicità.
In quel momento sentivo come se il mondo attorno a noi si fosse fermato, come se fossimo ritornati quei ragazzini che nell’ultima liceo non pensavano ad altro se non a divertirsi.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carlos, James, Logan, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Mess'
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-Vai a dormire Rob. – dissi dalla cucina mentre reprimevo uno sbadiglio.
-Ma mamma, sono solo le dieci e mezzo. – protestò il piccolo.
Sorrisi e lo guardai da dietro l’isola della cucina. Stava guardando un documentario con Ed che lo teneva sulle ginocchia.
-Sono già le dieci e mezzo! – lo corressi mentre mi sedevo alla destra dei miei due uomini.
-Lasciami almeno finire di vedere il documentario! – pregò il bambino.
-Dai Rob, ascolta mamma. Domani ce ne vedremo altri due quando torni con mamma. E visto che ti devi svegliare alle sette, è meglio se vai a riposarti. – mormorò Ed scompigliandogli i capelli.
Il piccolo sbuffò alzandosi dalle ginocchia di Ed e dirigendosi verso le scale.
-Ehi ometto, non dimentichi qualcosa? – chiesi con un sorriso.
Lui tornò velocemente e ci lasciò un bacio sulla guancia.
-Buona notte mamma, buona notte Ed. –
-Buona notte piccolo.
– sussurrai.
Lo seguimmo con lo sguardo finché non scomparve sulle scale.
Ed mi sorrise e mi lasciò un bacio sulle labbra.
-Allora, che facciamo? – chiese.
-Un film? – domandai a mia volta con un sorriso.
Annuì e cercò un film che piacesse ad entrambi.
Mi mise un braccio sulle spalle, stringendomi a se’, mentre mi accoccolavo al suo petto.
Guardammo tranquillamente il film, fino alla fine, tra baci e coccole, finché Ed non sbadigliò.
-Che ne dici se andiamo a dormire? – chiese.
Gli lasciai un bacio sulla guancia –Vai, ti raggiungo tra poco. –
Lui annuì e andò di sopra.
Sospirai e mi lasciai cadere sul divano.
Pensai a Roberto.
Avevo solo ventiquattro anni. Già ventiquattro anni.
E Roberto ne aveva soli cinque.
Già, sei anni da quando era successo.
Sembra che sia passata un’eternità e forse per questo non riuscivo a capacitarmene.
Da quel giorno non avevo più sentito Logan.
Non ci tenevamo in contatto perché aveva cambiato numero di cellulare, e nemmeno James e Carlos sapevano dove fosse.
Ma, un anno dopo l’accaduto, l’avevo visto in televisione.
È diventato un quarterback di tutto rispetto, con una fama considerevole per essere così giovane.
Lui non aveva provato a chiamarmi, ne’ a contattarmi in alcuno modo.
E. nonostante tutto, credo che lui mi piaccia ancora.
E questa non deve essere affatto una cosa positiva.
Affatto.
Soprattutto perché Ed è un ragazzo fantastico e non riesco a mettermi l’anima in pace.
 
Roberto.
Avevo scelto quel nome non perché mi piacesse particolarmente, anche perché non ho nomi che mi piacciano in modo particolare, ma per il semplice motivo di “voler rendere omaggio” a Carlos.
Perché lui c’è sempre stato, in qualsiasi ora del giorno e della notte, per qualsiasi cosa, persino quando alle quattro del mattino mi veniva una strana voglia di gelato, lui arrivava con un enorme barattolo e lo mangiavamo insieme, tra chiacchere e risate, fino ad addormentarci, uno stretto all’altro.
E poi c’è James. Anche questo nome scelto per ringraziare il ragazzo omonimo.
Anche lui, come Carlos, c’era sempre, qualunque cosa mi servisse, lui era pronto ad accontentarmi, anche a costo di venire da me con April, oppure la mollava direttamente a casa.
Roberto James è la perfetta combinazione tra me e Logan.
Ha il mio colore dei capelli, ma la morbidezza e la posa che assumono sono quelli di Logan.
Gli occhi sono verdi, ma differenti dai miei: tendono al marrone e il loro taglio ricorda quello di Logan.
Ha la pelle chiara, come lui, ma sulle guance ha le lentiggini, ereditate da me.
Non sorride spesso, ma quando lo fa, proprio come suo padre, lo regala a una persona speciale, a cui vale veramente la pena regalarlo.
Sorride poco e piange ancor di meno, come me.
 
Il mattino seguente, spensi la sveglia del telefonino con una mano molto, ma molto pesante.
Avevo dormito poco e male, per colpa sua, per colpa di Logan.
È da molto, moltissimo tempo che non mi succedeva.
Aprii gli occhi e mi alzai dal divano.
Avevo la schiena letteralmente a pezzi e, appena mi guardai allo specchio del bagno, due occhiaie favolose.
Sospirai e andai in camera mia, presi dei vestiti e tornai in bagno.
Mi feci una doccia gelida, cercando di svegliarmi un po’.
Uscii, mi asciugai e mi vestii.
Guardai di nuovo il mio riflesso nello specchio sbuffando, per poi prendere il correttore e passarmelo sotto gli occhi.
Non che abbia risolto molto, ma meglio di niente.
Uscii dal bagno e mi diressi verso la camera di Roberto, cioè la mia vecchia camera.
Entrai e lo svegliai con lievi scosse sul braccio.
-Rob, su, svegliati tesoro che tra mezz’ora dobbiamo uscire. – dissi.
Lui bofonchiò qualcosa, girandosi poi dall’altra parte.
Sorrisi e scossi la testa, scendendo al piano inferiore.
Iniziai a preparare un bel caffè forte, sperando che mi svegliasse totalmente.
-Roberto James Henderson, se non ti sbrighi, giuro che non ti compro le caramelle per due settimane intere! – lo minacciai gridando dopo dieci minuti buoni.
In quel momento la porta d’ingresso si aprì e un ragazzo sui ventiquattro anni, non molto altro, capelli corti e neri, entrò sorridendo.
-Ehi Carlitos. – sorrisi sciacquandomi le mani.
-Ciao Jen. Nemmeno questa mattina Rob si vuole svegliare? – chiese divertito mentre appoggiava sul tavolo una busta dello Starbucks.
-Già. Ma tu non puoi comprargli cornetti, altrimenti non sarà mai in punizione di questo passo! – lo gridai.
Rise, lasciandomi un bacio sulla guancia –Se sente l’odorino dei cornetti, vedi come corre giù. – disse sorridendo –E il bamboccio? – aggiunse riferendosi a Ed.
Sbuffai e lo guardai male –Ti ho già detto di non chiamarlo così. Comunque, dorme. – dissi.
-Ma sai che mi sta sulle scatole e… - stava per dire qualcos’altro, ma venne interrotto da Roberto che scendeva velocemente le scale.
Un grande sorriso gli si dipinse sulle labbra appena vide Carlos.
-Zio Los! – gridò correndo per abbracciarlo.
-Ehi piccolo! È da un po’ di giorni che non ci si vede, eh? – disse Carlos abbracciandolo e alzandolo da terra.
-Sì zio. Ma dove sei stato? – chiese Rob toccando di nuovo terra per andare a sedersi, con qualche difficoltà sullo sgabello dell’isola della cucina.
-Eh piccolo, sapessi… - stava per continuare, ma gli diedi uno schiaffo sul braccio.
-Non davanti a mio figlio Carlos. – lo rimproverai, capendo che se l’era spassata per bene al college in questi ultimi quattro giorni.
Lui rise –Ehi, anche lui diventerà un uomo. –
-Ma preferisco tenermelo bambino ancora per un po’, grazie. –
dissi sarcastica mentre porgevo una tazza di latte a Roberto e una di caffè a Carlos.
Lui rise mentre il piccolo ci guardava sconcertato e confuso, rinunciando poi a capire.
-Guarda qui che ti ha portato zio Los! – esclamò Carlos alzando il sacchetto con il cornetto al cioccolato fondente, il preferito di Rob.
A lui si illuminarono gli occhi, mentre un sorriso prendeva posto sulle sue labbra.
Mi guardò con occhi dolci –Posso davvero mamma? –
Sorrisi leggermente –Certo, ma solo se dai a zio un bel bacio sulla guancia. –
Lui si sporse velocemente sull’isola, facendosi imitare da Carlos, per poi lasciargli un sonoro bacio sulla guancia destra.
-Grazie zio! – esclamò il piccolo prima di iniziare a mangiare con gusto.
Lo osservai appoggiata al lavabo, con un sorriso sulle labbra.
Proprio perché lui è la perfetta combinazione tra me e Logan che non riesco a togliermi dalla testa quest’ultimo: lo rivedevo in Roberto in tutto quello che faceva. Persino nel modo in cui si mette la mano nei capelli quando è soprappensiero o semplicemente confuso.
È una cosa altrettanto bella quanto straziante.
Bella perché so che non mi dimenticherò mai il padre di mio figlio, e straziante perché, proprio perché non riuscivo a dimenticarlo, non riuscivo nemmeno ad andare avanti, a crearmi una nuova vita con un altro ragazzo.
Sospirai e scossi la testa.
-Qualcosa che non va? – chiese Carlos osservandomi.
Sorrisi e scossi di nuovo la testa –No, nulla, tranquillo. Solo pensieri. –
-Di nuovo lui? –
-Lui chi? –
-Sai bene chi. –
-Sì, ancora lui. – dissi
sospirando.
Lui sorrise e si alzò, abbracciandomi e lasciandomi un bacio sulla fronte.
-Sai che è meglio dimenticarlo, vero? –
-Sì Carlos, lo so, ma è più forte di me. –
-E Ed? Dove lo lasci? –
sussurrò per non farsi sentire da Rob.
-Non ti stava sulle tue parti intime? – chiesi a mia volta io, moderando i termini nel caso Rob percepisse qualcosa della piccola conversazione.
-Sì, ma ci stai insieme comunque, devo adattarmi. – lasciò la frase in sospeso.
Roberto, senza che ce ne fossimo accorti, ci guardava attentamente.
-Los, perché stringi la mamma come di solito vedo fare i papà con le mamme dei miei amici? – chiese con la innocenza che solo i bambini possono avere.
Carlos si staccò dall’abbraccio, imbarazzato e rosso.
Trattenni una risata –Già Carlos, perché? –
Mi fulminò con lo sguardo, poi guardò l’orologio che aveva al polso –Oh, ma guarda te che ora si è fatta! Zio Los deve tornare al college! – esclamò chinandosi su di me per lasciarmi un bacio sulla guancia e per sussurrarmi un –Ho sempre detto io che quel bambino è troppo intelligente per la sua età. – e farmi ridere leggermente, lasciandogli un bacio sulla guancia a mia volta.
Ricambiò e andò anche da Rob, facendo la stessa cosa.
-Stai buono e non dare troppo fastidio a mamma quando lavora. – disse scompigliandogli i capelli.
-Certo zio Los. Ma torna a trovarmi più spesso. – disse autoritario il piccolo, facendomi ridacchiare sotto i baffi per il tono usato.
-Come potrei lasciarti da solo? Ci vediamo domani. – rispose con un sorriso, facendogli l’occhiolino.
Poi ci salutò e uscì velocemente.
Sospirai e lavai le tazze usate per la colazione, sedendomi poi accanto a Rob, appoggiando la guancia sulla mano mentre un sorriso mi si dipingeva sulle labbra.
Anche se la sua somiglianza con Logan faceva male, nello stesso tempo mi faceva sorridere.
È un controsenso, lo so, ma è precisamente questo l’effetto che ha su di me.
Non lo avrei scambiato per niente al mondo e non ripiangerò mai quella “stupidaggine” adolescenziale, da cui, però, è nata una delle persone a cui tengo più della mia stessa vita.
-Mamma, perché mi guardi sorridendo in quel modo? – chiese il piccolo, distogliendomi dai pensieri.
Scossi la testa –Lunga e complicata storia, Rob. Sei ancora troppo piccolo. Quando sarai più grande ti racconterò. – dissi scompigliandogli i capelli rossi e guardando l’orologio –Dai, sbrigati che tra dieci minuti usciamo. –
Lui scese dallo sgabello sbuffando e riponendo la tazza vuota nel lavandino –Ma mamma, ho già cinque anni e mezzo! Sono grande, io! – esclamò indignato.
Risi mentre prendevo le sue scarpe e i giubbotti dal ripostiglio e li portavo in cucina.
Eravamo in dicembre e faceva alquanto freddo qui nell’est.
-Sì, sei grande, ma non abbastanza. – dissi mentre si sedeva di nuovo su uno sgabello per farsi mettere e allacciare le scarpe.
Sbuffò di nuovo –Ma prometti che quando cresco me la racconti tutta la storia, nei più minimi dettagli? –
Annuii solenne –Certo. –
-Giurin giurello? –
-Giurin giurello. –
confermai –Adesso mettiti il giubbotto altrimenti arriviamo in ritardo. E sai che il preside detesta chi arriva in ritardo. – dissi.
Lui annuì e fece come gli avevo detto e uscimmo velocemente da casa.
Gli strinsi forte la mano, tenendolo vicino a me perché era talmente minuto e magro che avevo l’impressione che una raffica più potente di vento lo potesse far volare via.
Arrivammo finalmente, con qualche fatica, nel bar accanto alla scuola, aperto qualche anno prima.
Entrammo dentro e mi beai del colore quasi afoso dell’interno che contribuì a riscaldarmi le mani.
La ragazza dietro al bancone ci sorrise, avviandosi subito dalla parte delle caramelle.
-Allora, piccolo Rob, quali caramelle vuoi mangiare oggi? –
-Quelle a forma di dinosauri e squali, per favore. –
disse lui.
Lei gli sorrise e le mise in un sacchetto –Ecco a te. – disse porgendoglielo, poi si rivolse a me –Dormito male? –
Sorrisi mentre le porgevo i soldi –Da cosa lo noti, April? – chiesi sarcastica.
-Di nuovo colpa sua? – domandò.
Annuii –Sì e non mi piace affatto questa cosa perché significa che gli voglio ancora bene, nonostante tutto. –
Lei sorrise dolcemente, con occhi sognanti –Secondo me, il destino ha ancora in serbo qualcosa per voi due. Secondo me, voi due siete perfetti insieme. –
Un sorriso scettico mi si dipinse sulle labbra –Ti ho mai detto che sei schifosamente romantica? –
Lei scoppiò a ridere mentre Rob ci guardava confuso, spostando poi lo sguardo alla televisione che era sintonizzata su un programma musicale –Sì, almeno un centinaio di volte. –
Annuii e guardai l’orologio –E comunque, la coppia perfetta siete tu e James, su questo non si discute. – dissi facendole l’occhiolino –Scusaci, ma dobbiamo scappare, altrimenti il preside Parkinson mi uccide. – dissi velocemente.
-Ci vediamo per pranzo? – chiese prima che uscissi con Rob al seguito.
Annuii mentre Rob faceva un gran sorriso –Certo! Ci vediamo dopo allora. –
Uscimmo dal bar ed entrammo velocemente nel cortile della scuola, stringendo forte la mano di Rob per non perderlo di vista in mezzo alla moltitudine di liceali che camminavano in gruppi, anche se sanno che è mio figlio, ci sono sempre bulli che lo userebbero come palla solo perché è figlio di un’insegnante.
Entrammo a scuola e Diana, la segretaria, mi sorrise fermandomisi davanti –Professoressa Brown, stavo cercando proprio lei! – esclamò con un leggero fiatone –Il preside mi ha detto di farla andare da lui appena arriva. –
-Grazie Diana. E ti ho già detto di darmi del tu. –
dissi sorridendole, per poi cominciare a incamminarmi verso la presidenza.
-Mi vuoi lasciare Roberto? Te lo puoi venire a prendere quando vuoi, per me non ci sono problemi. – aggiunse.
Sorrisi nella direzione del piccolo –Allora, Rob, vuoi andare con la signora Diana, che mamma deve parlare con il preside? – gli chiesi e lui annuì, afferrando la mano che la segretaria gli porgeva.
-Grazie. – dissi sorridendo, per poi girarmi nella direzione opposta e incamminarmi verso la presidenza che si trova al piano superiore.
Arrivai davanti alla porta dell’ufficio e aspettai un attimo prima di bussare. Presi un profondo respiro e chiusi gli occhi.
Cosa voleva di nuovo Parkinson da me? Altre ore in più? Altri bulli da mettere nella squadra e raddrizzarli? Altri progetti extra-scolastici dove avrei fatto da supervisore? O aveva deciso che non potevo più portarmi Rob a lavoro?
A ognuno di questi motivi erano due le possibili reazioni: o scleravo come uno scaricatore di porto o mi sarei licenziata. Alla prima scelta, ne sono sicura, il licenziamento sarebbe arrivato subito dopo. Ma non credo che avrei trovato difficoltà nel trovare lavoro: infondo, potrei lavorare in una palestra…
Scossi fortemente la testa.
Magari vuole solo alzarmi lo stipendio.
La porta si aprì davanti a me, mostrando Parkinson che si mangiava una ciambella oleosa piena di cioccolato che colava da tutte le parti.
Questa pietosa visione mi fece tornare alla realtà con un certo disgusto.
Voglio dire, non che mi dispiaccia mangiare ciambelle, anzi, ma sono pur sempre il coach della squadra di football.
Mi sorrise –Jennifer! Ti stavo aspettando! –
Sorrisi anch’io, mio malgrado. Da quando in qua aveva preso così tanta confidenza? Ancora una settimana fa mi dava del “lei”.
Mi invitò ad entrare e ad accomodarmi sulla sedia davanti alla sua scrivania, mentre si puliva le mani con un fazzoletto.
Feci come disse e lui mi imitò, appoggiando i gomiti sulla scrivania e posizionando le dita a piramide.
-Allora preside Parkinson, perché mi ha chiamata? La avverto che se vuole affidarmi un’altra attività extra-scolastica o un altro progetto, per quanto mi piacciano, sono costretta a rifiutare. Sono davvero piena tra la biblioteca, la mia squadra e la radio scolastica. Con un altro impegno credo che o mi sparerei io o lo farebbe mio figlio. – dissi lentamente.
Ma lui sorrise e scosse la testa –No, nulla di tutto questo, anzi, il contrario. –
Alzai il sopracciglio –Mi vuole licenziare già al terzo mese di lavoro? Sono così tremenda come insegnante? –
Rise e scosse la testa –No, affatto! È un’insegnante fantastica! Riguarda proprio la moltitudine di impegni che ha e tutti i ragazzi che deve tenere a bada. – s’interruppe un attimo, pensando bene alle parole da utilizzare –Ecco, ci ho pensato bene, ma non sapevo come poterti aiutare perché non c’era nessuno disposto a darti una mano. Ma una telefonata di ieri ha risolto tutto. –
-E chi sarebbe il buon samaritano che vuole aiutarmi in qualcosa? –
chiesi confusa.
Purtroppo, la maggior parte degli insegnanti di quest’anno scolastico se ne fregano altamente della scuola e dei ragazzi, quindi trovare qualcuno che è disposto ad aiutarmi deve essere stato davvero un miracolo.
Sulle sue labbra si dipinse un sorriso che non mi piacque –Un ex alunno di questa scuola che è diventato famoso, ma non ti dico nient’altro. Sarà una sorpresa. –
Alzai un sopracciglio.
Qualcuno famoso? Di questa scuola? Che viene ad aiutare me, povera sfigata, coach della squadra scolastica di football?
Mi stava prendendo per il culo o mi stava prendendo per il culo?
-Un ex studente? Diventato famoso? – ripetei, incredula.
Lui annuì con un gran sorriso –Sì, un ex alunno di questa scuola… posso aggiungere che è diventato famoso nell’ambito sportivo. –
Uhm… beh, il campo si restringeva, ma c’è comunque una vasta scelta.
C’è Mike Kowalsky che tre anni fa è entrato nel mondo del calcio e adesso è uno dei migliori difensori della League.
C’è Tim Youngermann che due anni dopo il mio diploma ha sfondato nel mondo del baseball.
C’è Gordon Michelin che è diventato un telecronista molto conosciuto di football.
C’è Tyler Tiger che, dopo la nostra ultima partita, è diventato un placcatore impeccabile.
C’è Kendall Schmidt che ha sfondato anche lui nel mondo del football.
C’è Salvatore McTommas che è diventato la mia prima punta preferita da quando, quattro anni fa, ha debuttato per la prima volta in campo con quel ruolo nella Coca-Cola League.
E poi c’è Logan Henderson. Il mio quarterback preferito in assoluto. Ma lui lo posso scartare dal principio.
Probabilmente sarà o Kowalsky o McTommas.
-Okay, è tutto. Adesso puoi pure andare. – la voce calma del preside mi riportò alla realtà.
Gli sorrisi.
-Grazie preside. Buona giornata. – dissi prima di uscire.
Mi appoggiai al muro accanto alla porta e mi misi una mano sulla faccia, sospirando.
-Tutto bene professoressa? – chiese una ragazza.
Aprii gli occhi e sorrisi.
Assomiglia tremendamente a me quando era in terza liceo.
-Sì, grazie. Tutto a posto. Ti serve aiuto? – domandai poi, notando che era leggermente smarrita.
Lei annuì –Sono nuova e dovrei andare in segreteria. Sa per caso dove si trova? –
Annuii sorridendo mentre le appoggiavo un braccio sulle spalle, come se fosse una cara e vecchia amica –Certo! Vieni che ti accompagno. -





Angolo psicopatica.
Buona sera!
Eggià gente, sono tornata!
Alzi la mano chi ha sentito la mia mancanza! 
*di tanto in tanto si sentono colpi di tosse e grilli come sottofondo*
Ehm... Okkaaayyy... Ma io vi rompo lo stesso muahahahahahahahahah
Questo, per chi non l'avesse capitolo, è il seguito della mia primogenita "Freckles".Ho appena iniziato a postare, ma vi devo già avvertire che non so quando posterò la prossima volta.
Ho altri 3 capitoli pronti, ma ho anche gli esami tra una settimana, quindi non saprei, davvero.
Che altro dire...
Sono felice di essere tornata di nuovo qui a rompervi le palle, davvero :D
Vi è piaciuto questo capitolo? Non uccidetemi perché fa schifo, va bene?
Ok, vi do' la buona notte.
Wiky

 
   
 
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