CAP.2 TIGRE
Quando l’intervallo finì, rientriamo tutti in
classe
(tranne Castiel, che resta in cortile a fumare. Ma oggi sono in ferie,
quindi
mi rifiuto di andare a trascinarlo in classe. Scusa, Melody) e,
finalmente,
arriva il momento dell’interrogazione. La prima è
Iris, che se la cava
abbastanza bene. Poi è il turno di Lysandro, il quale mi
sorprese perché non si
era scordato dell’interrogazione. Poi toccò a me e
dopo a Leah. La osservai
attentamente per tutto il tempo e non la vidi per nulla agitata.
Anzi… rispose
correttamente a tutte le domande riuscendo a prendere il massimo come
me. Ma
che rabbia!
La giornata scolastica si concluse nel migliore dei modi,
ma la mia giornata da Sherlock era appena iniziata. Mi infilai il
cappellino e
mi apprestai a seguirla sull’autobus 21. Come sempre,
s’infilò le cuffie
dell’mp3 e, dopo una ventina di minuti, scese alla fermata
del centro. La seguì
e la vidi entrare al minimarket. Erano le 14.00 precise. Secondo i miei
calcoli, il suo turno dovrebbe terminare verso le 18.00, quindi mi
armai di
pazienza ed entrai in un bar lì vicino che mi permetteva una
visuale sul
minimarket. Per non destare sospetti, mi sono portato dietro il mio
computer
portatile e finsi di scrivere qualcosa.
-
Senti, la smetti con quel telefono? I professori ci
stanno spiegando l’organizzazione scolastica, porta rispetto
e ascoltali! -
Lei non mi rispose. All’inizio sembrava ignorarmi, poi
bloccò con estrema calma il display del telefono, lo mise in
tasca e si voltò
verso di me con un’occhiata gelida.
-
Fatti gli affari tuoi, biondino. - Biondino? Biondino a chi?! Stavo per
rispondere quando il
professore ci bloccò facendo partire un video registrato da
alcuni studenti
anni prima. Per tutto il resto dell’anno non ci parlammo
più.
A partire dal secondo anno, la sua media si alzò
drasticamente, portandosi al mio livello e, insieme ad essa, la sua
enorme
borsa da palestra prese a far parte del suo look. Fu in
quell’anno che strinse
amicizia con Lysandro e Castiel e prese a far parte del loro gruppo,
mentre io
iniziai il mio lavoro come segretario delegato. Fu mentre sistemavo
delle
schede di alcuni studenti che mi capitò di leggere del suo
lavoro al minimarket.
Curioso, lessi tutta la sua scheda e notai che alcune informazioni non
erano
riportate. La cosa mi insospettì e, temendo una svista da
parte della
segretaria che si occupò della sua iscrizione, andai dalla
Direttrice a
chiedere spiegazioni. Non l’avessi mai fatto! Quella fu la
prima (e spero
l’ultima) volta che la vidi viola dalla rabbia. Da quel
momento giurai che non
avrei mai più letto nessuna scheda studente.
Il terzo e il quarto anno passarono rapidi e la sua media
non accennava a scendere sotto la mia. Ma fu durante la fine del quarto
anno
che la mia curiosità sbocciò in tutto il suo
splendore. Per darci un’idea di
come si svolgerà l’esame di maturità,
ci fecero fare una serie di test molto
simili a quelli dell’esame ed esposero i risultati sulla
bacheca all’ingresso.
Ovviamente, al primo posto c’ero io e sorrisi soddisfatto nel
leggere il mio
nome. Ma il sorriso sfumò nel leggere il suo vicino al mio.
Questo vuol dire
che abbiamo preso entrambi lo stesso punteggio in tutte le prove? Mi
accorsi
subito dopo che lei era di fianco a me, a leggere il tabellone. La
osservai
leggere e sorridere appena nel vedere il suo nome di fianco al mio. E
fu con
quella faccia strafottente che si voltò verso di me, mi
guardò dall’alto in
basso alzando un sopracciglio e andarsene da Lysandro, che le diede una
leggera
pacca sulla spalla complimentandosi. Fu uno shock per me. Ok, va bene,
ha
sempre preso voti alti, ma avere la conferma della sua bravura
così crudelmente
sotto gli occhi di tutti mi sconvolse. Strinsi i pugni e la guardai
arrabbiato,
giurando che sarei riuscito a batterla. Ma, finora, non è
ancora successo.
Mi nascosi dietro un muretto e attesi il suo ingresso
nella palestra. Una volta che le porte si chiusero, mi avvicinai e con
non
molto stupore, vidi che l’ingresso era vietato ai non
iscritti (tranne in caso
di incontri). Non posso perderla di vista proprio ora! Aggirai la
palestra in
cerca di un altro ingresso, ma la porta antipanico era chiusa
dall’interno. Ma
per mia fortuna, c’era una finestra lì vicino.
Anche se era in alto, sotto
c’erano delle scatole e un cassettone
dell’immondizia. Mi sarei dovuto
arrampicare… vabbè, posso farlo! Non mi arrendo
per un po’ di spazzatura!
Mostrando un’agilità da bradipo, riuscì
a salire sul cassettone (per fortuna
che non mi vede nessuno!) e riuscì a spiare
l’interno. La individuai subito. Vestita
con pantaloncini rossi, tennis e canotta bianca, stava parlando con un
signore
di circa 60 anni (presumo il suo allenatore) e nel mentre si stava
legando i
capelli e fasciando mani e dita per poi infilarsi i guantoni. Erano
anch’essi rossi
ed era palese che li usava da molto, talmente erano consumati. Si
diressero
verso un sacco da box che era pericolosamente vicino alla finestra
dov’ero io.
Lei alzò lo sguardo verso di me e io mi nascosi
immediatamente. Cavolo… spero
che non mi abbia visto… attesi ancora qualche minuto,
finchè non sentì i tipici
rumori dei pugni contro il sacco. Mi alzai cautamente e la osservai
allenarsi.
L’allenatore la incitava e la correggeva quando doveva, ma il
più delle volte
parlavano tra di loro, ma ero troppo lontano, perciò non
riuscì a capire nulla
di quello che si dicevano. Dopo un po’, mi accorsi che non
stavo più cercando
di capire cosa si dicevano, ma stavo osservando lei. Mi rapì
lo sguardo.
Guardarla tirare pugni contro quel povero sacco, gridando di tanto in
tanto,
muoversi intorno ad esso… non so… la trovai
affascinante ed elegante a suo
modo. Anzi, no. Meglio ancora: elegantemente feroce, come una tigre.
Si. È
l’animale che meglio la descrive in questo preciso istante.
La vidi metterci
cuore e anima in quell’allenamento. Per lei doveva essere uno
sfogo, ma la
ferocia che ci metteva mi incuriosì: da dove veniva quella
rabbia? Perché una
ragazza di appena 18 anni dovrebbe allenarsi in quel modo? Cosa la
faceva
soffrire a tal punto?
L’allenamento
proseguì fino alle 21, e quello che vidi in quelle 3 ore, mi
lasciò con l’amaro
in bocca. Credo che lei abbia un qualche segreto e che il peso di
quest’ultimo
sia talmente grande da farle cercare uno sfogo. Ovvero la box. La vidi
dirigersi verso gli spogliatoi e io scesi dal cassettone per poi
dirigermi a
pochi passi dall’ingresso della palestra. Nonostante tutto,
volevo ancora
capire quando lei trovava il tempo di studiare. Uscì dopo
circa 5 minuti. Non
si era cambiata, aveva tenuto i pantaloncini e la canotta ma, dato che
iniziava
a venire fresco e visto che era molto sudata, si coprì con
una felpa (non è più
estate, ormai siamo a settembre inoltrato). Notai che non aveva tolto
le
fasciature e che guardava spesso l’ora sul display del
telefono. Era
palesemente in ansia. Perché? Si diresse verso
un’altra fermata dell’autobus,
la linea 7. Cioè quella diretta all’ospedale. Che
abiti nei pressi
dell’ospedale e che la sua ansia sia dovuta al fatto che si
è fatto tardi e i
suoi potrebbero arrabbiarsi? Facendo molta attenzione, la
seguì mantenendo una
certa distanza. La vidi voltare l’angolo e mi apprestai a
raggiungerla, ma
appena raggiunsi l’angolo, lei era sparita. Maledizione! Sono
stato troppo
distante! Dov’è? Mi voltavo in continuazione nella
speranza di ritrovarla,
quando sentì la sua voce dietro le mie spalle. E mi venirono i brividi:
era troppo tranquilla.
-
Perché mi segui? -
Note:
Ecco il secondo capitolo! E' più lungo lungo del precedente, poichè la storia è entrata nel vivo. Spero vi piaccia! Ciao ciao!