Capitolo
24 - Tutto
ciò che non odio
La
seduta successiva fu in
coincidenza con il giorno del concerto degli One Direction a Roma. Il
corpo di
Hope non aveva la minima intenzione di alzarsi dal letto quella
mattina,
sapendo cosa avrebbe dovuto affrontare. La dottoressa Hife la venne a
trovare
per un consulto di ‘incoraggiamento’. Come se Hope
ne avesse bisogno, come se
un paio di parole con la psichiatra potessero farle dimenticare la
situazione.
Le chiese del ragazzo capellone che qualche volta la veniva a trovare.
Hope
rispose a monosillabi: Harry doveva starne fuori, non voleva
coinvolgere lui e
la sua vita.
Riuscì
a vedere quasi tutto il
concerto della sera stessa: il circo massimo era letteralmente
stracolmo di
ragazzine piangenti/urlanti/entusiaste e la scenografia era molto
più bella di
quella di Parigi. Ovviamente le italiane erano le più
scatenate. Insomma… la
fan choreography era stata stupenda (erano riuscite a creare una frase
per
ringraziare i loro idoli, composta da parole e versi prese dalle loro
canzoni)
e ancora una volta i ragazzi aveva addirittura pianto. Niall
più di tutti.
Ma
la notte di Hope era stata un
inferno.
Harry
spense il motore nel
parcheggio dell’ospedale. Fece per uscire dalla macchina, con
il piccolo regalo
di Hope tra le braccia preso a Roma, quando Alice gli mise una mano sul
braccio
bloccandolo.
“Harry.”
Lui si voltò. Alice non
era più fredda, come le era stata quando l’aveva
incontrato meno di un’ora
prima. Non aveva rivolto la parola a nessuno a parte salutare. Tutti e
cinque
l’avevano notato e Niall aveva detto che probabilmente era
‘in quei giorni’
quindi meglio non chiederle niente.
Si
mordeva le labbra. “Cosa?”
chiese Harry.
“Non
so come dirtelo. Io non
dovrei farlo, in effetti. Ma non posso far finta di niente.”
Harry
sollevò un sopracciglio.
“Cosa stai dicendo?”
“Hope
non sta per niente bene.”
Harry
si sentì gelare il sangue
nelle vene. “In che senso?” chiese cauto.
“La
seconda seduta è stata… è
stata molto peggio della prima. Hope è due giorni che ha la
febbre alta e non
mangia.”
Harry
non riuscì più a parlare.
Guardò gli occhi chiari di Alice, aggrappandosi a quelli. La
voce di lei tremò
mentre tentava di continuare.
“Non
ha quasi toccato cibo. Io…
Non è facile, Harry. Non è più come la
ricordi.”
Ricordare?
Ma che significava?
Una persona non può cambiare così radicalmente in
meno di due giorni.
-Mio
Dio- pensò Harry appena la
vide.
E
fu un pensiero inevitabile, non
lo fece apposta. Pensò la stessa cosa che aveva pensato
quando era andato a
trovare i malati oncologici.
Aveva
ancora il foulard, di
colore azzurro pallido, i capelli erano quasi del tutto caduti; la
pelle era
così bianca che poteva confondersi con il muro; il pigiama
che portava sembrava
starle troppo grande; il viso mostrava i segni della febbre, del non
aver
mangiato, della chemio e del cancro.
Dormiva
quando Alice e Harry
arrivarono. I genitori uscirono piano dalla stanza e aggiornarono Alice
e Harry
con l’angoscia nella voce.
“Ha
ancora la febbre” disse
Hannah. “E’ due ore che dorme, probabilmente fra
poco si sveglierà. Non voglio
che si ritrovi da sola quando lo farà. State qui con voi
mentre io vado a
cercare il dottore?”
Alice
annuì. “vai pure. Stiamo
qui noi.”
La
mamma di Hope ringraziò con un
sorriso e insieme al padre si allontanò.
Harry
si voltò verso Hope e la
guardò attraverso la vetrata della camera. Aveva gli occhi
stretti e faceva
alcune smorfie con tutto il viso.
“E’
il dolore” spiegò Alice,
seguendo il suo sguardo. “E’ il dolore.”
Harry
avrebbe voluto entrare in
camera, svegliarla e strapparla dalle grinfie di ciò che le
faceva male.
Sembrava così facile: entrare e portarla via. Ma lui non
poteva fare niente. Di
colpo, tutta la gioia e tutte le illusioni che si era fatto, si
frantumarono.
Per due settimane aveva creduto in qualcosa che non era reale.
Alice
gli sfiorò il braccio. Lui
la guardò e si lasciò abbracciare, sentendosi
incredibilmente inutile.
Passò
un’altra ora prima che Hope
aprisse gli occhi. Non sapeva che ore fossero, ma supponeva fosse
pomeriggio
inoltrato.
Alice
era sulla sedia, intenta a
leggere qualcosa. Ma appena Hope si mosse, alzò la testa di
scatto e, vedendola
sveglia, le si avvicinò.
“Ciao…”
le sussurrò.
Hope
aveva i muscoli indolenziti,
come se avesse corso per vari chilometri. Le bruciavano le giunture.
Alice
l’aiutò a mettersi seduta e
le porse il bicchiere con l’acqua e qualche altra sostanza
nutritiva.
Hope
temette che il bicchiere
potesse cadere quando lo prese in mano. Tremava. Ma si
concentrò, e con grande
sforzo riuscì a prendere qualche sorso aspirando dalla
cannuccia.
Si
guardò in giro, cercandolo.
“E’
appena sceso a prendere un
caffè.” Le disse Alice prima che Hope potesse
mettere in fila le parole per
chiederglielo.
Quindi
l’aveva vista.
Alice
indovinò i suoi pensieri.
“Non si può certo dire che sia felice. E che stia
bene. Ma l’avevo preparato.”
Hope
la guardò.
“Cosa
dovevo fare?” chiese Alice
risedendosi sulla sedia e riprendendo il libro. “Farlo
arrivare qui e non
dirgli niente? Credo che si meriti di più di
questo.”
Hope
avrebbe voluto ringraziarla.
Alice
guardò fuori dalla camera,
verso il corridoio, e annuì.
Stava
arrivando.
Harry
si comportò come se Alice
non fosse stata presente. Appena entrò in camera, le si
sedette accanto e le
accarezzò il viso, studiandoglielo. I due si scambiarono
pochissime parole:
Hope non riusciva a sostenere una conversazione per più di
cinque minuti. Era
come scalare un vulcano, con le pietre infuocate che ti colpiscono il
corpo in
continuazione.
Hope
cadde e rivenne dal sonno
cinque volte in un pomeriggio. Le infermiere chiesero se le andava di
fare
merenda, di mandar giù qualcosa, ma lei si
rifiutò nonostante la madre di Hope
tentasse di convincerla. Il dottore aveva detto che non poteva fare
altro che
prescriverle altri liquidi. Per ora.
Quando
Harry arrivò a casa, i
ragazzi stavano preparando la cena.
“Ehi!”
lo salutò Liam venendo
incontro a lui ed Alice. “Come va?”
Harry
lo fulminò e, con le mani affondate
nelle tasche, gli diede una spallata, diretto in camera sua.
Alice
non potè far altro che
assistere impotente fino a quando Harry non sbattè la porta,
due piani sopra.
Si
sentirono i vetri tremare.
Louis
accorse dalla cucina insieme
a Zayn. Guardò Alice perplesso.
“non
è colpa mia” cercò di
scherzare lei. Ma il sorriso che le uscì dalla bocca, fu
accompagnato da un
paio di lacrime.
Harry
fece tre passi avanti e
indietro per la camera. Poi, scaraventò tutto ciò
che aveva sulla scrivania per
terra, in preda alla rabbia.
Era
furioso. Era furioso con se
stesso e con Hope. Aveva passato due weekend divertendosi, credendo che
lei
stesse bene. Che lei stesse affrontando la cosa in modo pazzesco. Aveva
creduto
che tutto ciò che si dice sulla chemio fosse un falso.
Quanto era stato
stupido? Doveva aspettarselo: era stato uno stupido idiota ad illudersi
che
tutto sarebbe tornato normale. Che tutto era normale. Lui si era
divertito,
mentre lei, piano piano, cominciava a morire. Cosa pensava? Che
l’operazione
fosse solo uno scherzo? Che la chemioterapia ‘più
pesante’ era solo un modo di
dire?
Tirò
un calcio al comodino,
facendosi anche male.
Ma
non gli importava: si sentiva
tremendamente in colpa per essersene andato e per non esserle stato
vicino.
Odiò gli One Direction. Odiò i suoi amici.
Odiò Louis. Odiò i suoi concerti e le
sue fan. Odiò sé stesso. Odiò la sua
vita. Odiò ciò che era. Avrebbe voluto
strapparsi la pelle a morsi, per uscirne.
Bussarono
alla sua porta.
“Harry?”
era la voce di Liam.
E
adesso che cazzo voleva?
“Harry
siamo noi, lasciaci
entrare.” Disse Niall.
Harry
non doveva aprire la porta.
Probabilmente li avrebbe presi a pugni. Perché per ora
voleva solo spaccare
tutto e tutti. Strinse i pugni, tremante di rabbia. Sentì la
mano destra
bagnata.
“Harry
apri. Ti farebbe bene
parlare.” Aggiunse di nuovo Liam, in tono da papà.
“Andate
via” disse, con la voce
più profonda del solito. Non aveva nessuna voglia di sentire
le cazzo di
lezioni di vita di Liam. “Vattene Liam, tu e chiunque ci sia
dietro questa
porta. Andate via, ADESSO.”
Dopo
mezzo minuto sentì dei passi
che si allontanavo e che scendevano le scale.
Odiava
anche Hope: perché non gli
aveva detto niente? Perché l’aveva lasciato
divertire? Perché gli aveva
mentito? E lui, idiota per la centesima volta, ci era cascato. Hope non
avrebbe
dovuto. Non importava se l’aveva fatto per proteggerlo, non
importava se aveva
cercato di tenerlo fuori. Lui faceva parte della sua vita adesso,
doveva e
aveva il diritto di sapere che cosa le accadeva. Forse si era lasciato
fregare
così facilmente perché in fondo non aveva mai
voluto vedere realmente cosa
accadeva. Si sentì uno schifo per odiarla. Si
sentì uno schifo per aver urlato
ai suoi amici di andarsene, di avergli urlato addosso, di aver odiato
gli One
Direction e le loro fan: di aver voluto non essere ciò che
amava più essere. Si
sentì uno schifo per aver cercato di baciarla, prima che
tutto ciò cominciasse.
Si
sedette sul bordo del letto,
con le lacrime amare che gli bagnavano il viso. Si mise le mani tra i
capelli
cercando di controllare le lacrime. Il ricordo di Hope che non riusciva
a stare
sveglia era l’unica cosa che vedeva quando pensava a lei. E
non voleva. Voleva
ricordarla con i pattini addosso, voleva ricordarla con il vento che le
scompigliava i capelli e glieli faceva andare nel gelato con un
‘che schifo’
della sua voce. Voleva ricordare le sue risate, voleva ricordare la sua
vera
voce. Voleva ricordare la vita che ci vedeva attraverso quando la
guardava.
Scese
a prendere qualcosa da
bere, qualcosa di fortemente alcolico possibilmente, dopo due ore. I
ragazzi
erano tutti davanti alla tv, al completo, anche Zayn che di solito
vedeva la
sua ragazza al ritorno da uno dei concerti. Quando si avviò
in cucina sentì i
loro sguardi fissi su di lui, in particolare sulla fasciatura che
portava sulla
mano.
In
cucina, aprì il frigor e,
senza esitazione, prese la vodka. Aveva tutta l’intenzione di
ubriacarsi.
Tornò
in sala, solo perché ci era
costretto a passare per tornare in camera.
Appena
gli occhi di Liam videro
la bottiglia trasparente, capì che dovevano intervenire. In
un attimo spense la
tv.
“Harry…”
“che
cazzo c’è” rispose lui in
modo brusco, senza nemmeno mettere il punto di domanda in fondo alla
frase.
“L’alcol
non mi sembra la scelta
più adatta in questo momento.”
Harry
sollevò la bottiglia e la
guardò. Poi, più arrabbiato di prima,
spostò gli occhi su Liam. “E cosa ti
sembra più adatto in questo momento? Una fetta di torta? Un
po’ di gelato?”. Odiò
per aver detto ‘gelato’ con la voce tremante. Lei
adorava il gelato.“Lasciami
in pace.”
“Almeno
stai qui. Sfogati con
noi.” gli disse Louis quasi implorante.
Harry
lo guardò e si arrabbiò
anche con lui.
“va
bene” disse facendo il giro
del divano e sedendosi vicino a lui. Sbattè la bottiglia sul
tavolo. “Adesso
sono qui. Siete più contenti?”
“Harry
sono sicuro che Hope…”
“Che
Hope COSA Liam? Che starà
bene? Che si riprenderà?”
“…Che
non vuole questo.” Liam
guardò la bottiglia.
“Ah
si? E tu come fai a saperlo?
La sei andato a trovare?”
Liam
si scambiò un’occhiata con
Louis.
Zayn
appoggiò i gomiti sulle
ginocchia e si sporse dal divano. “Sono sicuro che Hope non
ti ha detto quanto
stava male per non farti preoccupare…”.
Evidentemente Alice aveva spiegato loro
tutto quanto. Che si facesse un po’ i cazzi suoi, no eh?
Niall
deglutì prima di dire: “…
l’ha
fatto per farti godere i concerti…”
“l’ha
fatto per proteggerti…”
aggiunse Liam.
“MA
NON MI INTERESSA!” esplose
Harry. “Non mi interessa un cazzo di quello che ha pensato
lei, non mi
interessa un cazzo di quello che pensate voi e non mi interessa un
cazzo di
stare qui a parlare con voi! Perché si tratta solo di me!
SOLO DI ME, di come
sto io, non di voi, non di noi , per una cazzo di volta in tre anni, MA
DI ME E
BASTA. E delle tue fottute lezioni di vita Liam non me ne faccio un
cazzo in
questo momento. Questa situazione la gestisco e la affronto come pare a
me, non
voglio consigli, non voglio pareri, voglio solo essere lasciato in
pace, VA
BENE?”
Si
alzò e se ne andò.
Niall
chiuse mezzo occhio,
facendo una smorfia, aspettandosi il classico rumore della porta della
camera
che sbatteva che, infatti, arrivò presto.
“Be’”
disse poi, quando Zayn si
decise a riaccendere la tv. “Almeno ha lasciato qui la
vodka.”
La
loro casa si sviluppava su tre
piani: al piano terra c’era la zona
‘comune’, con cucina, sala e stanza
‘libera’ come la chiamavano loro. Al primo piano
abitavano Zayn, Liam e Niall:
era praticamente un appartamento di tre camere da letto più
una piccola sala; al
secondo c’erano Harry e Louis, anche loro in camere separate
ma con una zona in
comune.
Louis
fece il più piano possibile
nel tornare a letto. Prima di mettersi in pigiama, andò in
bagno a farsi una
veloce doccia e poi andò nella stanza in comune che divideva
le loro due camere.
Harry aveva ancora la porta chiusa. Louis si abbassò e guardò dalla fessura: la
luce era spenta, ma
era sicuro che non stesse dormendo. Si avvicinò alla porta e
posò una mano
sulla maniglia. Non sapeva se stava facendo la cosa giusta. Non
l’aveva mai
visto così sconvolto.
Prese
un bel respiro e abbassò la
maniglia. Poi aprì piano la porta.
Era
come sospettava: Harry non
era nemmeno sotto le coperte. Era semplicemente seduto, probabilmente
dove lo
era stato per due ore dopo essersi fatto anche lui una doccia. Forse
pensando
che avrebbe sciacquato via tutto il dolore che provava.
Sollevò
lo sguardo su Louis. Gli
occhi erano pieni di lacrime e i capelli
in disordine dalla doccia. Come al solito, non ci fu bisogno di parole.
Harry
non provò nemmeno a cacciarlo via, perché, in
fondo, non voleva farlo. Louis si
sedette accanto a lui, guardandogli la mano fasciata malamente e
collegandola
ai pezzi di vetri cosparsi sulla scrivania. Harry abbassò lo
sguardo.
Louis
gli circondò le spalle con
un braccio tirandoselo leggermente più vicino. Harry si
lasciò trasportare dal
suo migliore amico, piangendogli sulla spalla.