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Autore: Megs Sully    02/06/2014    3 recensioni
Strawberry Hill è una graziosa cittadina inglese, un luogo come tanti apparentemente. Ma in esso si muovono le creature più disparate, alcune tentando di celare o reprimere la loro vera natura, altre non ancora consapevoli di chi siano in realtà e quale sia il loro ruolo nel grande disegno tracciato da qualcuno in un'epoca remota. Incontri, scontri, inganni, antichi rancori si alternano alla nascita di nuove alleanze, amicizie, amori. E nel frattempo qualcuno, nell’ombra, continua a tramare…
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 6


 
Non aveva detto una sola parola in macchina e appena entrata in casa era andata a rifugiarsi nella sua stanza, sbattendo la porta con una violenza tale che anche la parete aveva tremato. Con un salto aveva afferrato la maniglia della valigia riposta sopra l’armadio. Via da lì e subito. Era tutto ciò che Faith Chandler riusciva a pensare in quel momento. Via da lì e subito.
“Faith!” Susan entrò dopo qualche minuto, con aria contrita. Poi vide la valigia sul letto di Faith “Tu non andrai da nessuna parte!”
“Certo che ci andrò e tu non potrai fermarmi!” replicò Faith aprendo la valigia e cominciando a riempirla a caso, svuotando i cassetti uno dopo l’altro.
“Sei minorenne Faith, io sono tua madre e…” Susan si bloccò mentre Faith, incrociando le braccia sul petto, la fissava con uno sguardo carico di disprezzo “… e tu devi andare a scuola!”
“Sarò minorenne ancora per poco, come madre lasci molto a desiderare visto che mi hai sempre trascinata in giro per il mondo a tuo piacere e sei stata proprio tu a non permettermi di andare a scuola oggi per trascinarmi da quel losco individuo in nero! La tua collezione di psicopatici non era ancora al completo?” ribadì prontamente la ragazza, colpo su colpo.
“Io ho sempre avuto i miei motivi Faith” Susan si ravvivò meccanicamente i capelli ondulati con una mano e socchiuse gli occhi mesta. “E comunque Jean Claude von Klausen non è uno psicopatico… lui è un alchimista.”
“Certamente, i tuoi motivi…” annuì Faith sarcastica, contando sulle dita. “Vanità, avidità, presunzione, noncuranza, egoismo… e sicuramente ne ho dimenticati altri, ma ce ne sono davvero tanti che ti si addicono, mamma!”
“Lo so ho sbagliato, ma adesso siamo qui e ci resteremo, lo prometto, non cambieremo più!” Susan allungò la mano per accarezzare il braccio di Faith ma lei si mosse e si scansò per non permetterle di toccarla “Del resto tu stai bene qui, vero Faith? La scuola ti piace, hai amici?”
Faith non rispose. Non voleva che sua madre scoprisse la verità sulla sua vita a Strawberry Hill, perché la verità l’avrebbe resa debole e vulnerabile. Faith non avrebbe mai voluto regalare a sua madre tutto questo potere su di lei. E tanto meno a quel suo squallido amico, che viveva in quella specie di caverna e aveva l’aria di un oscuro signore del male. Susan non meritava di conoscere le sue debolezze e usarle contro di lei.
“Non ti avrei mai portato da von Klausen se la situazione non fosse stata più che grave” Susan l’afferrò per le spalle cercando di incrociare il suo sguardo.
“Grave?” Faith sospirò alzando gli occhi al cielo “Grave in che senso? Ci spostiamo da sempre, da una città all’altra come due vagabonde senza fissa dimora, vuol dire allora che la situazione è sempre stata grave!”
“Questa volta dobbiamo cercare di non farci notare troppo…” Susan iniziò con calma a riporre gli indumenti di Faith nei cassetti.
“Parla per te, io non mi faccio mai notare!” Faith alzò il tono di voce fremente di rabbia “Io non ho mai fatto niente! Io non sono diventata un… “
Susan si voltò e posò le dita sulle labbra di Faith, stringendo gli occhi.
“Non dirlo, Faith!”
“E perché no se è la verità?” la ragazza si scostò andando a sedersi sul letto, fissando il pavimento “Non è anche quello il motivo per cui continuiamo a spostarci? Per un po’ la gente ci crede, certo… sei stata una super modella, ovvio che tu sia ancora bellissima e giovane, ma… poi iniziano a fare qualche calcolo, vedendo me...”
Susan rimase in silenzio e si sedette sul letto, di fianco a Faith.
“Faith… è sempre più complicato di quanto sembra…”
“Se io sparissi tu non avresti più questo problema” Faith scrollò le spalle e si alzò, afferrando il suo zaino. Lo aprì e controllò meticolosamente il contenuto.
“Non puoi andartene. Io non te lo permetterò” Susan le puntò addosso uno sguardo severo, arido. “E comunque ti troverei, ho i mezzi per farlo.”
“Lo so” Faith le rivolse un’occhiata sprezzante. “Mi troveresti. L’unico che non ti è mai importato di ritrovare è mio padre!” con lo zaino sulla spalla fece qualche passo verso la porta della sua camera “E comunque sto andando a scuola. Prove con la squadra di ginnastica ritmica, come una qualsiasi brava ragazza! Contenta?”
“Io ho fatto di tutto per ritrovare tuo padre da quando è scomparso.” Susan si morse le labbra e osservò la figlia fermarsi davanti allo specchio di fianco alla porta per legarsi i capelli in una coda morbida.
“Non mi importa quello che hai fatto” Faith le voltò le spalle oltrepassando la soglia. “Evidentemente non è stato abbastanza! E qualunque progetto su di me abbiate tu e il tuo amico in nero, toglietevelo dalla testa!”
Susan sospirò e chiuse gli occhi. Ciò che udì qualche istante dopo fu la figlia che uscendo sbatteva vigorosamente la porta di casa.
 
 
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Maggie continuava imperterrita a leggere il suo libro. Non aveva alcuna voglia di muoversi da lì. Era, in fondo, la persona più pigra che conosceva. Senza staccare gli occhi dal libro sollevò il braccio per controllare il suo orologio. Ormai aveva deciso che sarebbe entrata a lezione alle dieci e si sarebbe fatta passare gli appunti della lezione precedente da qualcuno. Decise di finire il capitolo, mancavano solo poche pagine. Poi si sarebbe avviata.
Terminate anche quelle pagine, non le restò che alzarsi. “Ormai sto diventando parte dell’arredamento qui…” mormorò raccogliendo il libro e la borsa.
“Te ne vai?” Bliss si avvicinò al tavolino con il vassoio in mano per ritirare la tazza e il piattino “Oggi quella noiosa mi ha tenuta impegnata, uffa! Con la scusa che ho fatto un po’ tardi!”
“Sì vado, voglio entrare per la lezione delle dieci. E voglio passeggiare fino all’università, non correre come al solito!” Maggie rise, dirigendosi verso l’uscita dello Strawberry Dream.
“Allora a dopo” Bliss le strizzò l’occhio. “Buona lezione!”
“Grazie!”
Maggie Pennington uscì dalla caffetteria e si incamminò verso l’università con passo deciso ma lento. Non voleva correre, aveva tempo. Ma proprio per questo doveva cercare di non perdersi come al solito. Troppo spesso usciva con l’intenzione di andare in un posto e si ritrovava in un altro. E no, questo non andava più bene. Si doveva mettere d’impegno ancora di più. E restare concentrata, focalizzata su ciò che doveva fare.
Oltrepassò il parco e il negozio di libri antichi di Herr Andres Flick. Fu tentata di entrare a salutarlo, ma decise di rinunciare, avrebbe senz’altro perso la lezione. Ci sarebbe andata l’indomani, per il suo turno in libreria. Si trovavano libri meravigliosi nel negozio di Herr Flick. Lo stesso “Jane Eyre” che stava leggendo per la sua tesina era una delle prime edizioni che Andres Flick le aveva regalato qualche settimana prima. A volte a Maggie sembrava che quell’uomo ne sapesse così tanto di tutti quegli autori del passato, quasi come se li avesse conosciuti e frequentati personalmente.
Maggie varcò il cancello dell’università, oltrepassò l’ingresso ed entrò nell’edificio. Si guardò intorno, nel caso ci fosse qualcuno di sua conoscenza nei paraggi. Sapeva di avere la seconda lezione di letteratura alle dieci quella mattina. Ma non ricordava assolutamente in che aula fosse. Prese l’agenda dalla borsa per controllare se l’aveva segnato almeno lì. Ovviamente se n’era dimenticata. Quindi non le restava altro da fare che cercare il cartellone dove erano esposti tutti gli orari delle lezioni e controllare l’aula dove si sarebbe svolta la sua.
Sospirò grattandosi una tempia. L’orario delle lezioni. Se non ricordava male doveva trovarsi vicino alla segreteria. Altrimenti avrebbe chiesto a qualcuno. Non aveva nessuna intenzione di perdersi tra i corridoi alla ricerca di quello stupido cartellone con tutti gli orari delle lezioni!
Rischiava di perdere così tanto tempo, pensò Maggie. E di trovare l’aula completamente vuota, con la lezione già finita da un pezzo. Allora che utilità avrebbe avuto per lei conoscere l’aula della lezione, senza più lezione da seguire? A questo punto tanto meglio sedersi nel piccolo parco di fronte all’università e continuare a leggere… Però poi si sarebbe sentita davvero troppo in colpa a chiedere a Laura, una sua compagna di corsi, tutti gli appunti delle lezioni. Veramente, il senso di colpa e frustrazione l’avrebbero tormentata per il resto della giornata. Certo che Laura era proprio brava, si segnava veramente tutto, anche i puntini e le virgole. Quindi forse alla fine era comunque conveniente chiedere a lei. Maggie invece a metà lezione o anche prima, se diventava troppo noiosa, si perdeva dietro a qualche fantasia. Oppure si concentrava a tal punto su una frase o una citazione, da dimenticare di seguire tutto il resto della lezione.
Improvvisamente intravide una figura nota infilarsi dentro un’aula. Aveva già visto quella ragazza dai capelli rossi, seguiva il suo stesso corso di letteratura mitica e anche di antropologia. Quindi molto probabilmente frequentava le sue stesse lezioni. Si lanciò svelta verso l’aula e andò a sedersi due file dietro la ragazza e l’amica che era entrata insieme a lei.
Qualche minuto dopo entrò anche il professore. Strano, non lo aveva mai visto prima, doveva essere uno nuovo. Magari il solito era in malattia. Ma perché aveva cominciato a parlare di molecole, di atomi, di particelle? E perché faceva strani disegni sulla lavagna? Maggie si mordicchiò un’unghia, riflettendo. Forse c’era una possibilità che quella fosse una sorta di letteratura alternativa o contemporaneo-futuristica. Come nell’arte contemporanea, quando guardava qualche quadro esclamando entusiasta “Oh, bello!” mentre in realtà non ne comprendeva il senso. In ogni caso cominciò a seguire, sempre più affascinata, i disegni e le linee che il professore tracciava sulla lavagna.
Le sue speranze svanirono del tutto quando vide entrare in aula, dieci minuti dopo, Nathan Castle, con la solita espressione tra l’annoiato e il depresso e lo sguardo sarcastico di uno che si trova lì per fare un favore a qualcun altro, non a se stesso. Allora Maggie comprese, ebbe la certezza assoluta, che quella non era affatto una lezione di letteratura alternativa, contemporaneo-futuristica. Era sicuramente chimica oppure fisica. Davvero un peccato perché i disegni sulla lavagna stavano diventando veramente carini e affascinanti nei loro giri ed evoluzioni. E se Maggie non avesse saputo ora che non c’entravano proprio nulla, avrebbe pensato che potessero essere un portale verso un mondo mitico e fantastico.
 
 
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Un cane randagio nero dal pelo rasato se ne stava adagiato comodamente sulla pancia. L’erba della radura era fresca e morbida e la riva del fiume quasi deserta. Solo un vecchio pescatore, che dopo aver raccolto i suoi attrezzi e le sue canne, si stava allontanando verso la strada principale.
Si sentiva più a suo agio in quella forma. Nessuno faceva caso a lui solitamente e poteva stare in pace con se stesso e con il mondo. Sapeva di dover cambiare atteggiamento, prima o poi, di dover prendere l’abitudine. Ma essere un uomo comportava rispettare determinate regole e responsabilità.
Gli era stato concesso quel “privilegio” per la sua sicurezza. Questo era tutto ciò che sapeva a proposito della sua storia. Ciò che Andres Flick gli aveva raccontato, senza scendere troppo nei dettagli. Non avrebbe dovuto trascorrere la maggior parte del suo tempo in quelle condizioni. In fondo dentro era sempre lui, quello che provava era la stessa inadeguatezza, la stessa frustrazione. Il resto non aveva importanza.
Sarebbe anche potuto restare così per sempre. Valeva la pena di rifletterci seriamente. Non era una brutta vita. Era una vita, almeno. Temeva però di dimenticare se stesso. Di dimenticare com’era davvero. Poteva essere chiunque lasciando perdere se stesso, una volta per tutte. Certo non sarebbe stata una gran perdita, nemmeno per lui.
Il vecchio pescatore era ormai un puntino lontano. Il cane randagio nero dal pelo rasato sollevò il muso e con noncuranza si guardò intorno. Nessuno, era completamente solo in quella radura isolata. Si avvicinò ancora di più alla sponda del fiume. Allungò le zampe stendendo i muscoli, roteò la testa, mentre una spalla incominciava a prendere forma umana dal dorso del cane.
Solo quando la mutazione fu conclusa si rese conto di essere completamente nudo. Certo nella sua forma animale non aveva tutta questa importanza l’essere nudi o meno. I suoi abiti erano rimasti in fondo a quel vicolo adiacente la caffetteria Strawberry Dream.
James Foster si stese sulla riva del fiume sgranchendosi la schiena e i muscoli, poi incrociò le braccia sotto la testa e guardò in alto. Il cielo era limpido, il sole non ancora caldo ma in compenso la temperatura stava diventando abbastanza mite. Si passò le mani tra i capelli castani togliendosi il ciuffo dagli occhi, poi lasciò scivolare le braccia stendendole lungo i fianchi. Chiuse gli occhi per un istante, poi li riaprì mentre l’acqua gli sfiorava i talloni e le caviglie. Si alzò in piedi ed entrò deciso, si sedette per poi stendersi in modo tale che l’acqua del fiume lo sommergesse completamente. Fu tentato per un attimo ma ripensando al vecchio pescatore stabilì che non era proprio il caso di diventare un pesce per poi finire nello stomaco di qualcuno. In ogni caso non poteva andarsene da lì completamente nudo, quindi avrebbe dovuto prepararsi a una nuova trasformazione.
Ritrasse le braccia e strinse i pugni, si mise in posizione prona per poi inginocchiarsi, mentre il suo corpo iniziava a ricoprirsi di una peluria bianca e rossa. Improvvisamente un fruscio proveniente da dietro un cespuglio richiamò la sua attenzione. Il gatto magro e smunto dal pelo bianco e rosso poco curato rizzò le orecchie e fissò lo sguardo proprio verso quel cespuglio, in posizione di attacco. Un animale. Non poteva essere altro che un animale lì dietro. Magari un altro gatto. Un gatto vero. Doveva fare più attenzione. O rischiava di mettersi seriamente in pericolo agendo in modo sconsiderato e imprudente. E ciò che avrebbe dovuto proteggerlo sarebbe stata la sua condanna, se qualcuno lo avesse scoperto.
Il gatto magro e smunto dal pelo bianco e rosso poco curato fece un giro su se stesso, poi si avviò veloce come una scheggia verso il vicolo adiacente la caffetteria. James Foster sarebbe passato dall’università prima del tramonto. E qualcuno avrebbe ricevuto una sgradita sorpresa. La giovane succhiasangue sadica e perversa meritava di perdere qualche pezzo della sua collezione, almeno per una volta.
 
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“Dimmi cosa ci fai a una lezione di fisica?” Nathan Castle sollevò un sopracciglio sostando davanti al banco dove Maggie Pennington riponeva il libro e la matita nella borsa chiudendo poi con cura la cerniera lampo.
“I disegnini erano veramente molto carini” rispose Maggie corrucciata, arricciando il naso.
“Ah davvero?” Nathan scosse la testa ridendo “Tu sei tutta matta!”
“Sbagliavo lezione, ecco cosa ci facevo qui genio!” Maggie si incamminò ancora più imbronciata verso l’uscita dell’aula lasciandolo indietro “Addio, Castle!”
“Non ti arrabbiare piccola Penny!” Nathan la rincorse e le girò intorno improvvisando una sorta di danza indiana “Facciamo così, se la smetti di essere arrabbiata con me ti preparo il pranzo!”
Maggie si fermò incrociando le braccia sul petto, fingendo di rifletterci su.
“Anche come hai trattato quel povero gattino indifeso questa mattina non mi è piaciuto affatto, Castle! Per cui il pranzo dovrà essere molto, molto buono…”
“Lasagne, che ne dici?” propose Nathan entusiasta dell’idea “Quelle che ti piacciono, con tante verdurine…”
Maggie non ebbe il tempo di rispondere. Le due ragazze che aveva seguito alla lezione sbagliata si avvicinarono sorridendo a Nathan Castle. Una rossa e una bionda, con vestitini colorati e sorriso smagliante, sembravano appena uscite da una rivista di moda.
“Nathan ciao” sorrise la ragazza dai capelli rossi inclinando leggermente il viso con aria suadente. “Vieni a mangiare qualcosa con noi alla tavola calda?”
“Grazie Annie ma…” Nathan sorrise guardando la ragazza negli occhi chiari “ho già un impegno!”
“Va bene, la prossima volta allora. A presto, Nathan” Annie rivolse un’occhiata fugace a Maggie, per poi spostare nuovamente l’attenzione su Nathan.
 “Ciao, Nathan” sospirò l’altra ragazza con voce cristallina.
“Ciao Annie, ciao Dorothy” Nathan restò immobile a fissare Annie finché si fu allontanata con la sua amica bionda.
Fu Maggie a scuoterlo tirandolo per la manica della camicia.
“Guarda che puoi anche andare con loro se vuoi, io non mi offendo!”
“Lo so che posso, ma non voglio… perché tutto ciò che voglio dalla vita in questo momento è cucinarti lasagne, Penny!” Nathan riprese a camminare verso l’uscita dell’università e Maggie lo affiancò.
“Ah sì? Allora come mai la guardavi con occhi da triglia, Castle… non è che ti sei innamorato di quella lì?”
“Io? Innamorato di quella lì? Ma figurati, io sono…” Nathan si fermò un istante fingendo di sforzarsi per rammentare “io sono un sadico cinico perverso scienziato pazzo che non sa cosa sia la magia e il sentimento!”
Maggie rise forte, dandogli un colpetto sulla nuca con la mano “Ma dai, ti ricordi ancora?”
“Ovviamente Penny, quella scena resterà per sempre scolpita nella mia memoria!” Nathan tirò una ciocca di capelli a Maggie, mentre entrambi oltrepassavano il cancello dell’università “Terza media, secondo giorno di scuola, subito dopo la lezione di letteratura su “Romeo e Giulietta” alla mia affermazione: invece di tornare e morire Romeo poteva rifarsi una vita!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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