Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: Francine    03/06/2014    2 recensioni
«Una sorta di super soldato?», chiese un giovane, dai capelli biondi e dall'accento sguaiato, con una cravatta da vaccaio al collo. «Come nei fumetti?»
«Esatto, mister Griffith», intervenne Volonskij, «solo che, questa volta, potreste ottenere dei dati concreti, invece che pagine disegnate per bambini delle elementari.»

Prima Pubblicazione: Settembre 2004
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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12.


 
Met you by surprise, I didn't realize
That my life would change forever
Saw you standing there, I didn't know I cared
There was something special in the air



La risposta dei Bloody Roses arrivò due giorni dopo, in tarda mattinata, su un biglietto color avorio assieme ad un fragrante mazzo di rose rosse, che sarebbero finite anch’esse ad adornare l’altare della cappella dell’Orfanotrofio Star Child.
 Tempo sprecato!, rimuginava Hyoga mentre Saori spiegava loro come la Glitter avesse diplomaticamente assecondato i capricci delle loro attuali punte di diamante.
Shiro, che aveva firmato il biglietto, aveva addotto come motivo del gran rifiuto impegni promozionali massacranti, che non avrebbero mai concesso ai Bloody Roses di poter realizzare una cover degna dell’evento che la Fondazione Grado stava preparando. 
Deluso, e con una gran voglia di strozzare qualcuno, Hyoga fissava il soffitto della propria stanza disteso sul letto. Tutto quel casino, e poi? E che diamine di fine aveva fatto Ikki?
Ho bisogno di vedere Erii. Di schiarirmi le idee. Passeggiare mi aiuterà…
Scese al pian terreno per avvertire Saori, ma dovette bloccarsi dietro ad una porta semi aperta.
«Mi prendi per scemo o per imbecille? Abbi almeno il coraggio di parlare chiaramente!»
La voce di Seiya era carica di rabbia, come un montante diretto alla bocca dello stomaco. Si maledisse per quello che stava facendo, ma si posizionò meglio per capire cosa stesse succedendo. Seiya non era solo, almeno a giudicare dagli sbuffi in risposta a quell’insinuazione pesante.
«Più chiaro di così? Vuoi un disegnino?»
Shaina. Stavano litigando, ma non come al solito; questa volta era successo qualcosa di serio, almeno a giudicare dal tono fremente con cui Seiya respirava. 
«No, voglio che tu ammetta di frequentare un altro.»
Hyoga sgranò gli occhi. Shaina? Un altro? Non era assolutamente possibile. Da che la conosceva, li aveva sempre visti disgustosamente attaccati l’uno all’altra. Possibile che la vicinanza avesse messo a nudo problemi insanabili? Rimase appiattito contro il muro, le orecchie ben orientate verso quei due. 
«Tu sei pazzo…»
Risposta prevedibile, insieme ad uno scontatissimo sospiro seccato.
«Ma davvero?» Seiya l’interruppe prima che lei gli avesse potuto ricordare quanto sapesse essere infantile e pesante. «Puoi dirmi, in tutta onestà, che ieri sera non sei uscita con un uomo?»
«Cosa? Ma che domande sono?»
«Rispondi!», disse, imperioso e spiccio, senza farla sgusciar via. «Sei uscita o no con un uomo l’altra sera?»
«Questi non sono fatti tuoi! Non più!»
Hyoga percepì la coltellata che la ragazza aveva inflitto a Seiya come se gli avesse trapassato un braccio. Dev’essere incazzata nera, per parlargli così. Vuole fargli veramente male, pensò trattenendo il respiro nel terrore di essere scoperto.
Seiya non rispose, limitandosi a proporre la medesima domanda. «Allora? Sei uscita o no con un uomo l’altra sera, dopo avermi dato il benservito
«Mi spieghi perché insisti tanto?»
«Tu rispondimi….»
Dal suo nascondiglio, Hyoga vide Shaina portarsi le mani sui fianchi, seccata da quell’interrogatorio al quale non si sentiva in dovere di sottostare, e Seiya incrociare la braccia al petto, con l’espressione sicura di chi ha colto l’altro in castagna. Teso come un filo per tagliare il burro, pendeva letteralmente dalle labbra color corallo di Shaina.
«E va bene, basta che poi tu mi lasci in pace!» La ragazza alzò le mani in aria e si strinse nelle spalle, esasperata. «No, non ho visto nessun uomo, contento? Le cose, comunque non cambiano, sia chiaro!»
Che cose?, si andava chiedendo Hyoga, quando la voce nervosa di Seiya catapultò la sua attenzione.
«Bugiarda.»
«Come hai detto?»
«Bugiarda», ripeté Seiya. «A me non sembrava una ragazza, quello con cui te ne stavi sul lungomare…»
Shaina era ammutolita e fissava Seiya con gli occhi sbarrati.«Tu…tu…»
«Come lo so?», le suggerì Seiya avvicinandosi. «Vi ho visti.»
«Tu», gli occhi della ragazza si erano ridotti a due mezzelune verdi da cui fuoriuscivano lampi e fulmini, «ci hai spiato?».
«Alt! Non è esatto. Ti ho seguita perché volevo farti ragionare.»
«Finendo a letto come al solito?», disse lei, un sopracciglio alzato e un piede che calpestava nervoso la moquette.
Seiya non colse l’insinuazione, proseguendo senza badarle. «E tu mi hai seminato, ricordi?»
Shaina annuì. 
Ricordava perfettamente come, stufa di vederselo sotto gli occhi e sapendo quali sarebbero stati gli strumenti di persuasione che lui avrebbe usato, aveva iniziato a correre per i vicoli notturni, seminandolo come un novellino. Aveva anche sorriso della sua bravura. Non ho perso la mano, allora!, si era anche detta, sollevata di essersi tolta quella piattola di dosso.
Piattola. L’aveva chiamato così, come se fosse un fastidio, e non l’uomo a cui fino a pochi istanti prima era legata, non l’uomo per cui aveva rischiato la vita tante volte. Troppe, si disse la ragazza fulminandolo.
«Ma poi, ti ho ritrovata. Anzi. Vi ho ritrovato. Ti ho vista abbracciata a Milo, lo neghi? Avete passeggiato fino alla spiaggia, e vi siete anche… anche…»
Era troppo, anche per la sua rabbia: come aveva messo insieme quelle parole, il suo cervello gli aveva riproposto la scena, quella scena in cui la sua principessa giaceva, languidamente abbandonata, tra le braccia di un altro uomo, la testa appoggiata sul suo petto, a sussurrarsi promesse sul futuro, la luna e le stelle complici e testimoni della loro unione.
«Baciati?», suggerì lei con noncuranza, sapendo di gettare sale su una ferita aperta al centro del petto. 
Seiya deglutì, e Hyoga con lui. Milo. Mai avrebbe creduto ad una cosa del genere. Almeno non da parte di Shaina. Sapeva che Milo aveva una lunga serie di tacche sul bancone, ma un comportamento simile da parte di Shaina era quantomeno improbabile.
«Quello è affar tuo, volevo solo che ammettessi che te la facevi con lui prima di lasciare me», rispose Seiya, cercando di trattenere le lacrime che stavano per inondare i suoi occhi castani.
«Io non ammetto proprio un bel niente! E lascia stare Milo, chiaro?»
«Perché, altrimenti che cosa mi fa? Mi punzecchia come una zanzara?»
«Io non disturberei un Santo d'Oro con le tue fissazioni…»
«Già, hai ragione. Meglio non disturbare i Santi d'Oro. Meglio fregarli sotto il naso alla propria coinquilina, vero? »
«Che cosa stai dicendo? Non sarai…», gli domandò lei, temendo la conferma ai propri sospetti.
«Andato da Françoise a riferirle ciò che hai visto?», concluse Seiya scimmiottando l’accento italiano di lei. «Perché no? Dopotutto, era giusto che sapesse che razza di donna è la sua coinquilina…»
«E che donna sarei? Sentiamo!»
«Con tutto l’amore di questo mondo e dell’altro, io, una che tiene il piede in due staffe e che frega il ragazzo alla propria coinquilina la definisco con una sola, singola parola.»
«Ossia?»
«Stronza…», rispose lui uscendo dalla stanza. Hyoga fece appena in tempo a schizzare oltre, perdendosi in fondo al corridoio, pregando che Seiya non si fosse accorto di nulla. 
Beh, se anche fosse, stavano urlando come pazzi, è un miracolo che tutto il palazzo non si sia riversato fuori da quella stanza per vedere che stesse succedendo!, si disse raggiungendo la sala degli audiovisivi ed entrando senza tante cerimonie.
Ma che sta succedendo a tutti quanti?, si chiese cercando di mitigare quel sentimento viscido che sentiva crescere dentro. La faccenda andava presa con le molle e risolta alla svelta. Era come se si fosse perso di vista l’obiettivo principale: Shun. Tutti avevano le proprie questioni personali, che avevano la precedenza su qualsiasi altra necessità.
Meno male che di fronte ad un pericolo serio siamo capaci di fare fronte comune, almeno lo spero, pensò. Si lasciò cadere sul divano e si passò le mani sugli occhi, come a non voler vedere quello che erano diventati.


 
Dreams are my reality
The only real kind of real fantasy
Illusion are a common thing
I try to live in dreams
It seems as if it's meant to be



Il brodo di verdure sobbolliva dolcemente sul fuoco. Alzò il coperchio, ne prese una mestolata e vi soffiò sopra per freddarlo. Assaggiò.
Buono!, si disse soddisfatta, ricoprendo la pentola e continuando a seguire la ricetta. 

Fate macerare la carne per quaranta minuti coprendola con un paio di prese di curry, la curcuma, l’aglio tritato e schiacciato e il sale e coprite con lo yogurt, lasciando insaporire per altri venti minuti. 

Seguì le istruzioni alla lettera, coprendo la terrina con un tovagliolo bianco. Scolò i pelati dall’acqua bollente e li mise a freddare sotto il getto del rubinetto.
Speriamo venga bene…e che gli piaccia!, si augurò sbucciando il primo pomodoro. Guardò l’orologio: mezzogiorno meno venti. E Hyoga era in ritardo, per fortuna. Spero che questo pranzetto serva a distrarlo un po’ dai suoi guai, pensò tagliando una zucchina, una melanzana ed aggiungendole al brodo di carota, cipolla e patata che sobbolliva da un po’. 
Prima l’avvento di Eris, che aveva deciso di usarla come tramite.
Poi, il risveglio del dio Apollo.
Adesso Shun, che spariva e ricompariva come membro irraggiungibile di un gruppo pop.
Erii sospirò, rimestando il brodo e votandosi verso il tavolo.
Si sedette e sbucciò una mela, pensando che, forse, Hyoga era preoccupato per qualcos’altro. Le aveva detto, se ne ricordava perfettamente, che da qualche tempo non aveva più notizie di Shiryu.

«Forse sto diventando paranoico, ma non vorrei che fosse successo qualcosa anche a lui. Sono sei settimane che non si fa vivo e visto come stanno le cose, non vorrei far preoccupare invano Shun Rei e il Vecchio Maestro.»
«Perché
invano
Hyoga aveva sorriso, carezzandole la testa. «Tu non la conosci. Lei non è come Shaina, lei non è un Santo. Se sapesse che Shiryu è sparito, resterebbe a Goro Ho struggendosi nell’attesa del suo ritorno.»
«Lei è la sua ragazza?»
«Credo che Shun Rei sia quanto di più vicino ad una fidanzata possa esistere. Almeno per Shiryu.»


Il bubbolio del brodo che fuoriusciva dalla pentola la risvegliò dai suoi ricordi. Corse ai fornelli, abbassando il fuoco.
Cretina, si disse asciugando la macchina del gas e tornando a sbucciare e grattugiare la mela, che tenne da parte, con del succo di limone per non farla annerire. Aggiunse la carne al brodo e regolò di sale.
Apparecchiamo la tavola, si disse sgomberando il piano dagli utensili e pulendo la superficie laccata di blu con una spugnetta inumidita. Si tolse il grembiule, stese la tovaglia ed iniziò ad apparecchiare. Per due.
Miho era riuscita a convincere padre Ranmaru a portare i bambini al cinema e al nuovo Luna Park che aveva aperto il mese prima nel quartiere vicino. «Così avrete un po’ di tempo tutto per voi…», le aveva detto l’amica ridacchiando e dandole una gomitata sui fianchi. «Guai a te se non combini nulla nemmeno questa volta!»
Non se l’era sentita di confidarsi con Miho. In realtà lei e Hyoga l’avevano già fatto, e da un pezzo per giunta, solo che era accaduto tutto in modo molto veloce e naturale. Un bacio, un altro, un altro ancora, e quando era tornata lucida si era trovata a due centimetri dal petto ansimante di Hyoga, con un forte dolore al basso ventre. Avevano fatto l’amore, e lei non sapeva neanche se considerarsi la sua ragazza o no. In tutti i romanzi che aveva letto c’era sempre una dichiarazione, anche stringata, prima di abbandonarsi al lato fisico della faccenda. Invece, con Hyoga non era successo nulla di tutto questo e ciò rendeva Erii piuttosto insicura.
Che sia solo timidezza, la sua? Eppure non mi sembra così timido quando mi spoglia, si disse piegando a cigno i tovaglioli. D’altro canto, quando facciamo l’amore non dice una sola parola, se non il mio nome…
Arrossì tutto d’un colpo quando la sua mente le ripropose la voce roca e bassa di Hyoga che la chiamava ansimando. Scosse la testa e s’impose di non incartarsi in quei pensieri: Miho le avrebbe sicuramente detto che lei e Hyoga stavano insieme, e forse doveva solo convincersene anche lei.
Se solo me lo dicesse, però, sospirò poggiando il mento sopra le braccia incrociate sul tavolo. All’improvviso, la folgorazione.
E se quest’occasione non lo inducesse a parlare in modo più diretto?
Alzò la testa, prese il libro di cucina che aveva usato fino a poco prima e si diresse nella propria stanza. Sciolse i suoi capelli biondi e li pettinò a lungo, fin quando non persero le onde che teneva a bada raccogliendoli dietro la testa. Lasciò libero il viso, portandosi un paio di ciocche dietro le orecchie, e gli orecchini risplendettero nella penombra.
Chissà se gli piaceranno, si disse ripensando alla follia fatta il giorno precedente. Aveva deciso di iscriversi ad una scuola di cucina, una di quelle frequentate in genere da signorine di buona famiglia che si preparano a diventare delle buone mogliettine, tutte cucina, ricamo e giardinaggio. La retta era alta, ma padre Ranmaru aveva deciso di aiutarla lo stesso; perché lei non era come quelle bamboline, lei era diversa. Amava veramente la cucina e il vecchio sacerdote sapeva della passione che la ragazza nutriva per i fornelli. Sarebbe bastato dare un’occhiata alla sua libreria, in cui facevano bella mostra vari volumi dedicati alle specialità gastronomiche di tutto il mondo. 
Se da un lato era eccitata, dall’altro aveva paura di non farcela, e che Hyoga non avrebbe approvato la sua scelta.
«E perché no? Avere una ragazza che sa cucinare ha i suoi vantaggi, no? Forse dovresti fare qualcosa di innovativo per darti coraggio. Ad esempio il buco alle orecchie!», le aveva detto Miho prima di trascinarla di peso nella gioielleria del quartiere commerciale. E lei si era fatta trasportare, seguendo la corrente; il risultato erano due graziosi orecchini che facevano bella mostra sulla sua pelle candida. Azzurri. Come i suoi occhi.
«Chissà se gli piaceranno?», chiese alla ragazza dall’altra parte dello specchio. Sentì la porta di servizio aprirsi e la voce di Hyoga chiamarla.
«Erii? Ci Sei?»
Si alzò dalla sedia e corse in cucina, dove Hyoga l’attendeva assieme ad un ragazzo alto e dai capelli scuri.
«Scusa il ritardo. Lui è Sho, un vecchio amico…», fece Hyoga presentandole l’altro, che compì un inchino verso di lei. «L’ho incontrato venendo qui e siccome non ci vedevamo da un po’ l’ho invitato a pranzo.»
Lo sguardo di Sho volò verso la tavola apparecchiata e le candele bianche dentro due vasetti blu.
«Credo di essere di troppo. Grazie per l’invito, ma è meglio che vada», disse il ragazzo imbarazzato, quando Erii lo fermò.
«Ma scherzi? C’è da mangiare per un reggimento! Accomodati, aggiungo subito un coperto in più!» disse, nascondendo la sua delusione dietro un sorriso. Hyoga… sei impossibile, pensò fulminando il biondino con lo sguardo, e notando che quel Sho era proprio un bel ragazzo. 


 
Dreams are my reality
A different kind of reality
I dream of loving in the night
And loving seems alright
Although it's only fantasy



Riemerse lentamente dalle maglie del sonno seguendo la scia dell’odore di carne alla brace, il mento ispido che incontrava qualcosa di morbido e peloso che decise di aumentare il ritmo ipnotico del suo ron ron. Aprì gli occhi, la luce del sole pomeridiano filtrava attraverso delle spesse tende alla sua sinistra. E adesso dove mi trovo?, si chiese schermandosi il viso con la mano sinistra; la destra, invece, era come gravata da un peso morto. Notò che era stato curato e fasciato da una candida benda. Cercò di ricordare qualsiasi indizio potesse fargli intendere dove si trovasse e soprattutto come ci fosse finito. 
Si guardò attorno: un’ampia finestra con delle piante di cactus ed un grande geranio sul davanzale interno alla sua sinistra, proprio sopra il letto. Una porta aperta in fondo alla stanza, leggermente spostata sulla sinistra. Un armadio capiente ed una scrivania ordinata sulla parete di destra. Ed infine, il letto a due piazze in ferro battuto nero su cui era stato adagiato, in compagnia di un grosso gatto nero che si era acciambellato sotto il suo mento, e di un altro gatto, rosso e tigrato, che aveva deciso di accoccolarsi sul suo braccio destro. 
Si mise a sedere, posando la schiena sulla testiera alle sue spalle, con grosso disappunto dei gatti: quello nero si alzò stiracchiandosi per bene e rimanendo a fissarlo, seccato per quel movimento brusco, mentre il gatto rosso aveva deciso di restare sdraiato su un fianco, la testa poggiata su un zampina. Lui, dal canto suo, notò come il suo corpo fosse coperto da un bendaggio piuttosto stretto. 
Si voltò verso la finestra. Scostò le tende e vide un mare di case dal tetto basso, che circondavano l’abitazione in cui si trovava. Poteva essere ovunque. 
Lasciò le tende e si soffermò a guardare il fiore di una pianta grassa: era rosa, rosa intenso, a forma di stella, in cima ad un’infiorescenza che puntava tra le foglie piatte, e anch’esse a stella, della piantina.
«Ti piace? Si chiama Graptopetalum Bellum , mentre il geranio si chiama Pink Capricorn e ti confesso che è il mio preferito.»
Una ragazza dai capelli nero corvino appoggiata al telaio della porta gli stava sorridendo.
«Meno male che ti sei svegliato, pensavamo che ti servisse il bacio di una bella principessa, e noi qui non ne abbiamo.»
Si avvicinò a lui, le braccia conserte, un passo dopo l’altro. Era alta, alta e sinuosa, con una voce bassa macchiata da un accento latino, spagnolo forse. «Come ti senti?», gli chiese ignorando lo sguardo diffidente ed ostile che lui le stava rivolgendo. 
Il gatto rosso mosse un orecchio, ma rimase inerte, mentre il gatto nero si avvicinò al dito che la ragazza gli aveva teso, la coda svettante verso l’altro; strofinò il muso attorno all’indice sinistro, saltò giù, le si strusciò attorno le gambe e se ne uscì dalla stanza soddisfatto. 
«Io sono Jimena. Sei arrivato piuttosto malridotto. Ti abbiamo ripreso per i capelli, sai?»
Guadagnò la sedia accanto alla scrivania, le lunghe gambe avvolte da un paio di jeans blu scuro.
«Immagino tu abbia qualche domanda da farmi, vero?»
E chi non ne avrebbe?, pensò specchiandosi nei suoi occhi neri per poi chiedere: «Lei dov’è?».
«Se per lei intendi Fiona, tra poco sarà qui. È andata di ronda. E a fare la spesa.»
«La spesa?»
«Tu non mangi?», lo rimbeccò lei, piegando la testa da una lato.
«Facciamo finta di crederti. Si può sapere dov’è qui?», proseguì soppesando le parole della ragazza. 
Lei sbatté le ciglia un paio di volte poi disse:«Non credo di aver capito…».
«Voglio sapere dove cazzo mi trovo!», ruggì avvicinandosi un poco.
«Sei a Nerima.»
Nerima! Allora era ancora in Giappone!
«Devo fare una telefonata…», disse cercando di alzarsi, quando una fitta al costato lo lasciò senza fiato.
«Ok, ma aspetta almeno che ti porti il telefono», fece lei aiutandolo a sistemarsi contro la testiera in ferro. «Poi farai tutte le chiamate che vuoi. Ti hanno strapazzato per benino, sai? Non è il caso che tu ti agiti…»
«Senti…»
«No, senti tu!», ruggì lei espandendo il proprio cosmo e schiacciandolo contro il materasso. «Non ho passato le ultime quarantotto ore a farti da infermiera perché tu mandi tutto a puttane facendo di testa tua! Adesso te ne stai fermo qui fino a nuovo ordine, sono stata chiara, hombre
Meglio assecondarla, pensò mentre sentiva una voce maschile dire: «Ti sei svegliato, allora? Allelujah!».
Ikki si voltò verso la porta e vide due ragazzi avanzare con un vassoio in mano: uno era un biondino che sembrava la fotocopia elegante di Kurt Cobain, mentre l’altro aveva un che di familiare, con quella cicatrice a stella sulla guancia. Ushio!, si disse riconoscendo il Santo d'Acciaio del mare.
«Are you ok?», gli chiese Kurt Cobain posandogli il vassoio con il cibo sulle gambe: zuppa di verdure, pollo alla piastra e insalata di lattuga. Ikki guardò prima il cibo e poi il ragazzo tentando di articolare una risposta in inglese.
«Ehm… yes, I do…», rispose balbettando mentre il suo stomaco gli ricordava che era da un bel pezzo che non faceva un pasto decente.
«Ah, ah, ah… You’re a very funny guy!», rise l'altro portandosi le mani ai fianchi. Sebbene avesse indosso una camicia a scacchi e dei jeans sfrangiati sulle ginocchia, c’era in lui qualcosa di elegante.
«Lascialo stare, Drew!», lo ammonì Ushio mentre Jimena scuoteva la testa. «Come stai, Ikki?»
«Ammaccato, ma vivo. Che ci fai qui, Ushio? Che sta succedendo?»
Ushio si sedette sul letto accanto a lui. «Mangia, ti racconterò tutto dall’inizio.»
La Fenice annuì, ringraziò e prese la prima cucchiaiata di brodo. Squisito!
«Spero ti piaccia. L’ha fatto Fiona, con le sue manine. Apposta per te», lo sfotté Drew dai piedi del letto. Ikki decise di ignorarlo, di fare finta che quel pagliaccio biondo non esistesse.
«Sbaglio o dovevi dirmi, qualcosa, Ushio? Sono tutto orecchi…»
«Cominciamo con le presentazioni. Questa ragazza alle mie spalle è Jimena, Santo d'Oro del Capricorno, mentre lui è Andrew, Santo d'Argento della Costellazione di Perseo», spiegò Ushio, indicando entrambi gli sconosciuti.
«Andrew Lloyd Morgendolphen III, per essere precisi», disse il biodino, «mentre lei è Jimena Peñareal.»
Olè!, pensò Ikki, ingoiando un’altra cucchiaiata di brodo.
«Al Santuario stanno cercando di rimpolpare le fila, dopo che la ribellione di Saga ha decimato i guerrieri d’Athena», continuò Ushio, «e prima che tu ce lo chieda, Fiona è il Santo della Lucertola», aggiunse Andrew.
«E che cosa vi porta qui? Non certo una gita di piacere…», chiese Ikki dando l’assaltò alla fettina di pollo.
«In effetti, era da tanto che volevo visitare il Giappone», ammise Jimena sorridendo, «ma questo non c’entra. Abbiamo motivo di credere che qualcuno stia usando i Santi di Athena per scopi privati.»
«In che senso?»
«Come tu saprai, la Fondazione Grado sovvenzionò le ricerche per ricreare in laboratorio delle armature molto leggere e resistenti al fine di ottenere tre Santi che aiutassero la signorina Saori fino a quando i cavalieri di Bronzo non si fossero riuniti attorno a lei. Il professor Asamori studiò a lungo sia la meccanica delle armature, sia la biologia dei Santi, per capire da dove essi traessero il loro potere.»
«Dal Cosmo, ovvio…», rispose Ikki tagliando un pezzo di pollo.
«Sì… Ma dove risiede il Cosmo, Ikki? Te lo sei mai chiesto?»
Si fermò a riflettere: cavolo se se lo era chiesto! E ogni volta approdava ad un bel pungo di mosche. Figuriamoci, poi, chiederlo a Guilty! La prima e unica volta in cui gli aveva posto quel quesito si era visto arrivare un montante in pieno stomaco, assieme ad una risposta sibillina del vecchio sadico. 
«Pezzo d’idiota, che razza di domande sono? Scoprilo da te, se ci tieni tanto!»
Scosse la testa, come ad allontanare i brutti ricordi del suo passato.
«Il professor Asamori era convinto che il Cosmo fosse veicolato da alcune particelle presenti nel sangue umano. Dei vettori che trasportano il Cosmo fino al cervello, convogliandolo in energia. Ogni uomo possiede queste particelle, solo che non tutti sanno come sfruttarle.»
«Il sangue hai detto? Pensandoci bene, quando espando il mio Cosmo sento il sangue ribollire, e questa sensazione non si placa fino a quando non ho ricreato il big bang…»
Ushio annuì. «Esatto, credo anch’io che il professor Asamori avesse ragione.»
«Avesse?»
«Il professore è sparito da quasi un mese. Negli ultimi tempi c’era qualcosa che non andava. Era come turbato da una qualche presenza, da una minaccia che si sentiva pendere sulla testa. Una sera riunì Sho, Daichi e il sottoscritto e ci fece un discorso strano. Diceva cose come se dovessi sparire improvvisamente avvisate subito lady Saori, lei ed i suoi Santi potrebbero essere in pericolo… Ma non gli abbiamo dato molto peso. Ormai sembrava non starci più con la testa.»
Si interruppe, mal dissimulando un sospiro. «Se solo gli avessimo dato retta…»
«Ma quale sarebbe il pericolo di cui parlava il professore?», chiese Ikki curioso, tralasciando per un attimo la fine fatta dal vecchio scienziato.
«Ushio e gli altri hanno cercato tra le carte del professore, trovandovi degli appunti sugli studi preliminari per le armature d’acciaio», iniziò a spiegargli Jimena. «Pare che il professor Asamori sia stato affiancato da un giovane ricercatore russo, il professor Volonskij, che, ad un certo punto sia sparito misteriosamente assieme ad alcuni progetti delle armature.»
«E che fine avrebbe fatto?»
«Non lo sappiamo. Il professore si limitò ad annotare la scomparsa di Volonskij e dei progetti. Pare che questo tizio fosse uno studente all’ultimo anno d’università e che avesse vinto una borsa di studio fornita dallo stesso Cremlino.»
«Ma l’Unione Sovietica… o come si chiamano adesso, e il Giappone non sono in così buoni rapporti. Devono ancora firmare la pace della Seconda Guerra Mondiale, o mi sono perso qualcosa?»
«Ufficialmente è come dici tu… Ufficiosamente, le cose sono diverse. I due paesi hanno sempre collaborato, in barba alla Guerra Fredda e alla politica perseguita da ambo le parti», spiegò Andrew incrociando le braccia.«Probabilmente questo Volonskij aveva finito il tempo a sua disposizione in Giappone e se n’è andato portandosi dietro i progetti a cui lui stesso aveva lavorato.»
«Forse è così, dopo tutto il professor Asamori ha sempre ammesso che è grazie a Volonskij se è riuscito a creare gli Steel Cloth. Però, negli appunti del professore c’era un ritaglio di giornale, che parlava appunto del ritorno di Volonskij in Giappone. E guarda caso, proprio in quel periodo il professore ha iniziato a fare discorsi strani, sibillini.»
«Tutta la faccenda puzza», ammise Ikki lasciando due foglie di lattuga nel piatto. «Non avete idea di dove possa trovarsi il professore?»
«Abbiamo chiesto aiuto a Shiryu, per non disturbare milady… Sai, dopo il risveglio di Apollo non ce la siamo sentiti di seccarla senza avere delle prove. Se dovessimo disturbarla per ogni singola sparizione che avviene nel mondo, impazzirebbe.»
«Discorso opinabile», commentò Ikki togliendosi dalle gambe il vassoio che Jimena prese e posò sulla scrivania.
«Sarà, ma sono ordini del Vecchio Doko in persona», rispose la ragazza facendo spallucce. «Ordini, hai presente? Avevamo delle direttive da seguire e abbiamo dovuto obbedire, volenti o nolenti.»
«Non sono comunque d’accordo, ma lasciamo stare. Shiryu dov’è?», chiese Ikki direttamente a Ushio, che stava a testa bassa da un po’.
«Non abbiamo sue notizie da tre settimane…»


 
If you do exist, honey don't resist
Show me a new way of loving
Tell me that it's true
Show me what to do
I feel something special about you



Shaina picchiettava le dita sulla pelle della poltrona su cui era seduta, aspettando che Saori tornasse dalla riunione a cui aveva dovuto presenziare. Come era uscita dalla biblioteca di Kido Manor per tentare di far ragionare Seiya, aveva incontrato Milo e Saori, in procinto di recarsi ad una riunione della Fondazione Grado. Si era unita a loro – stranamente Saori non aveva fatto storie -– ed ora attendeva da circa quaranta minuti in una sala d’attesa completamente bianca, mentre Milo sfogliava interessato alcune riviste senza degnarla d’uno sguardo.

Devo parlargli, prima che succeda qualche casino per colpa di quell’idiota! Solo che m’invento? Sono quaranta minuti che faccio finta di sfogliare Vogue, non posso aspettare ancora!

Sbirciò da oltre le pagine della rivista. Milo era immerso nel periodico sportivo che aveva tra le mani come un qualsiasi essere umano di sesso maschile. Le dita stringevano saldamente le pagine, mentre le sue unghie, leggermente lunghe e curate, strusciavano contro la carta patinata. 
Zanzara l’aveva chiamato Seiya, e lei era più che sicura che Milo non avrebbe affatto gradito quel nomignolo, orgoglioso com’era! 
Avanti, via il dente via il dolore, si disse prima di chiudere la copia di Vogue e di portarsi esattamente davanti a lui.
«Conosci il giapponese? Non l’avrei mai detto!», disse, per rompere il ghiaccio.
«No, lo so a mala pena parlare. Ho solo trovato Sports Illustrated nell’edizione americana. Peccato non sia il numero di Luglio…», rispose leggendo un articolo su Michael Jordan.
«Devo parlarti», disse scegliendo un approccio diretto.
«E di cosa?», rispose lui senza staccare gli occhi dalla rivista. 
«Seiya ci ha visti insieme l’altra sera», gli confidò aspettando una sua reazione.
«E allora? Non avevi detto che gli avevi dato il benservito?»
«Io sì… Il guaio è che è andato a dirlo a Françoise, capisci?»
«E allora?», ripeté Milo, con una nota seccata nella voce.
«Ma non te ne frega nulla? Hai capito che cosa ti ho detto, o no?», sbottò seccata strappandogli da sotto gli occhi la rivista e sbattendola per terra senza tante cerimonie. Milo si alzò, la sovrastò con la propria mole, raccolse la rivista. 
«No. Non me ne frega nulla, se non che il tuo ex ragazzo dovrebbe imparare a farsi mezzo chilo di fatti suoi invece di andare in giro a diffondere le ultime novità.»
Gelido. Pungente, com’era nel suo stile. Si sistemò il blazer blu che indossava distrattamente su un paio di jeans delavé e sprofondò nuovamente in poltrona.
«Appena torniamo le parlerò, ma non vorrei che tu avessi dei problemi con lei a causa mia…»
«Che c’entra adesso Françoise?»,  le chiese, posando esasperato la rivista in cima alle altre.
«Pensi che sarà felice di sapere che ti hanno visto abbracciato a me a guardare la luna in riva al mare?»
«Francamente, me ne infischio.»
«Come sarebbe a dire?»
«Sarebbe a dire», tentò di spiegarle una volta per tutte, «che la mia vita privata appartiene solo a me. Io non sto con Françoise, quindi quello che faccio, e con chi lo faccio, non la riguarda affatto. Sono stato chiaro?»
Shaina rimase a guardare gli occhi di Milo ardere: forse le cose non stavano come tutti pensavano?
«Shaina, io ho ventisei anni e Françoise ne ha diciannove. Non credi che fra noi due ci sia una differenza eccessiva?»
No, pensò. Non rispose, provando a considerare la cosa dal punto di vista di Milo, che ora le appariva decisamente distante dalla fama di latin lover che lo contraddistingueva.
«No», disse.
Milo abbozzò un sorriso. «Fosse stata un’altra ragazza, ti avrei dato ragione. Ma lei, no. Lei è ancora una bambina. E poi, ricordati che per lei io sono il migliore amico di suo fratello, quindi mi vede come un suo sostituto.» Forse. Quando le gira bene. «Sono la persona più vicina a Camus, tolti i suoi allievi, uno morto durante la battaglia contro Posidone e l’altro che ha attaccato senza pensarci su due volte. Non sono esattamente un papabile fidanzato.»
«Tu dici?», chiese lei incrociando le braccia.
«Dico di sì. E poi, lei ha un altro.»
«Chi?» Shaina si accorse di pendere dalle labbra di Milo, ma non le importò.
«Un cavaliere in scintillante armatura e lancia in resta, pardon, spada sguainata.»
Aveva pronunciato quelle parole come fossero una sentenza senza appello.
«Forse, e sottolineo forse, quel fantasma, di chiunque si tratti, è più evanescente di quello che credi… Altrimenti come spieghi che si sia assentata da casa?»
Milo drizzò le orecchie. «Prego?»
«Quando sono rientrata l’ho trovata che dormiva sul suo letto con un plaid che la copriva. Così mi sono fatta la doccia e sono andata a dormire anche io. Al mio risveglio, ho trovato un biglietto sul tavolo che diceva “Scusami se non ti ho svegliata, ma sono dovuta andare ad aiutare la mia amica Fuyumi. Torno presto, non preoccuparti per me”.»
«E allora?», le fece lui inarcando un sopracciglio: non riusciva a capire dove volesse andare a parare.
«La conosci anche tu. Da quando in qua parla di amiche o colleghe senza insultarle? Sai come fa, “questa è stupida, quell’altra è un’idiota…” e sinceramente, non ho mai sentito parlare di questa Fuyumi prima d’ora. Non ti sembra strano?»
Milo non rispose, restando a soppesare le parole di Shaina, con un brutto presentimento a serpeggiargli sottopelle.


 
Dreams are my reality
The only kind of reality
Maybe my foolishness has past
And maybe now at last
I'll see how a real thing can be


 
Aveva deciso di andare avanti con il piano come prestabilito, accantonando per il momento tutto il resto. Seiya, Shaina, Milo. E Athêna. Però, proprio non ce l’aveva fatta a stare nella stessa stanza con Shaina; quando si era risvegliata, l’aveva trovata addormentata nel letto accanto al suo, un sorriso dipinto sulle labbra.
Perché era così felice?
Perché dormiva sodo come un bambino?
O per la nottata appena trascorsa?
Aveva sentito una forte nausea avvinghiarle lo stomaco e aveva deciso di allontanarsi, almeno per un po’, almeno fino a quando non avesse digerito tutta la faccenda.
Aveva cacciato quattro vestiti nello zaino, inventato una balla clamorosa e se n’era andata in punta di piedi, mettendosi a correre non appena svoltato l’angolo, come se fosse una ladra. Aveva preso una stanza in una pensione a Nerima, una di quelle case circondate dal giardino ed abitate per lo più da studenti universitari poveri in canna. Nessuno le aveva fatto domande superflue, le avevano solo chiesto i documenti e la caparra; quindi si era accomodata nella stanza assegnatale dalla padrona, una donna sulla trentina, e aveva staccato qualsiasi collegamento con il mondo esterno, celando il suo Cosmo agli altri compagni. 
E adesso si ritrovava a bere il tè in una sorta di anticamera gotica del Paese delle Meraviglie. 
Natsumi sedeva su una sedia in ferro battuto con ampie volute a cuore, mentre tutto, attorno a lei, traboccava di pizzi e balze. Neri. Aveva un vestito nero, dalle ampie maniche a sbuffo, delle calze a righe bianche e nere e un paio di scarpe le cui stringhe s’intrecciavano lungo i polpacci della ragazza.

La versione dark di Cappuccetto Rosso. Sarebbe perfetta per un video dei Cure, magari nella versione alternativa di A Forest. Robert canta e dei rami le si attorcigliano intorno lentamente, fino a soffocarla e a farla danzare nel vento.

«Latte o limone?»
«Limone, grazie, e due zollette di zucchero», rispose, cercando di ignorare l’idea che aveva appena partorito.
«Ti confesso che sono molto contenta di sapere che anche tu sei una fan dei BR…»
Prese la tazza, panciuta e bianca, dalle mani guantate di pizzo nero della ragazza. «BR?», fece inarcando un sopracciglio: per lei, cresciuta in Italia quella sigla aveva un bruttissimo significato.
«Sì, Bloody Roses, BR. O preferisci BuroRoshi?», le spiegò Natsumi annusando l’aroma fruttato che proveniva dalla sua tazza. «Noi giapponesi amiamo le sigle…»
Pazzi furiosi, si disse cercando di evitare qualsiasi associazione al gruppo terroristico che aveva sconvolto l’Italia durante gli anni ’70 e ’80.
«BuroRoshi.»
«E dimmi, quale dei tre ti piace? La rosa rossa, la rosa nera o quella bianca?», le chiese la ragazza sorridendo. 
Stai parlando con Aphrodite di Pisces, per caso?, le domandò il suo cervello poco prima che rispondesse: «Bianca. Preferisco la rosa bianca.».
Ricordava un discorso circa i tre cantanti e i tre colori delle rose fatto da quella bambolina dark durante l’esibizione del gruppo al palazzo della Fuji Television. «C’avrei giurato! Tu sei la classica fan di Shun… Per fortuna che non ti piace Shiro, lui è territorio di caccia della sottoscritta, capito, sorella? Oh, trovo che abbia una voce stupenda! Ti confesso che quando la sento, così bassa e dolce, mi sento fremere dentro. Mi basta il solo suono della sua voce per eccitarmi... Ma scommetto che per te è lo stesso con la voce di Shun, vero?»
Per poco non si strozzò con il tè. 
Certo… come no? Quando urla Nebula Chain mi viene la pelle d’oca, pensò immaginandola sbatacchiata a destra e a manca dal vento soffocata da un groviglio di rami senzienti.
«Ho detto qualcosa che non va?»
Natsumi la guardava preoccupata, gli occhioni sgranati, mentre il basco nero sulle ventitré era placidamente addormentato sui suoi improbabili boccoli biondi. «Ah, ho capito, sei timida…», sentenziò la bambolina, sorridendo. «Ma non ti preoccupare, qui sei tra gente come te, che ti comprende. Io avevo il tuo stesso problema fino a quando abitavo coi i miei; pensa mio fratello mi prendeva in giro e mia madre me ne diceva di tutti i colori, così alla fine mi sono fatta forza e me ne sono andata a vivere da sola.»
«Beh, è più o meno il mio caso.» Più o meno… «Ma parliamo dei Bloody Roses…»
«Giustissimo», fece Natsumi prendendo un foglio prestampato ed una matita. «Nome, cognome e data di nascita. Sai, sono i dati essenziali per l’iscrizione al Fan Club.»
«Ah…capisco…», rispose mentre il suo cervello l’insultava in vari modi. 
 
Se è uno scherzo, è di pessimo gusto! Che bisogno hai di iscriverti al fan club di un gruppo visual? Sei impazzita?

«Allora?», chiese l’altra sorridendo.
«Françoise Arnoul, nata a Parigi, in Francia, il 12 Gennaio 1972», rispose, prendendo in prestito la data del compleanno di Shura. Quel disgraziato si starà rivoltando nella tomba, cretina!, le urlò la parte del suo cervello che ancora non aveva preso la drastica decisione di staccare ogni connessione con il resto del corpo. Natsumi trascrisse tutto sul foglio, cercando di essere il più precisa possibile.
«Gruppo sanguigno? Sai per le affinità con i ragazzi…»
«O rh positivo», sparò a caso, ignorando le proteste della sua mente.
«Credo che tu saresti perfetta per Shun. Sei contenta?», disse Natsumi sorridendo.
Come no? Quando lo dirò a June mi sgozzerà a mani nude…
«Colore preferito, cibo preferito, e animale preferito?», proseguì con il terzo grado.
«Indifferente…», rispose seccata da quelle domande insensate. Immaginò di vederla ondeggiare nel vento completamente priva di vita, mentre la foresta si richiudeva su di lei.
«Canzone preferita?»
«La cover di Round and Round… Era bellissima, e se te lo dice una fan scatenata degli Spandau Ballet puoi crederci!»
Certo, come no? Falla ascoltare a Tony e vedrai se non s’impicca seduta stante con la propria cravatta!, commentò il suo cervello, prima di minacciare l'ammutinamento.
«Ma quella sarà contenuta nel loro secondo album. Del primo non ti piace nulla?»
Come nel secondo? «Ehm, ammetto di aver conosciuto i Bloody Roses grazie allo show alla televisione qualche giorno fa… Ho provato a cercare il loro album nei negozi, ma è perennemente esaurito», sparò a caso,  per mascherare quella falla clamorosa che Hyoga non aveva considerato quando l’aveva incastrata nel suo piano geniale.

«Saori san andrà alla Glitter per chiedere ai Bloody Roses di incidere una cover per l’evento di beneficienza del mese prossimo. Probabilmente cercheranno di perdere tempo; se è vero che stanno per far uscire un nuovo album, saranno incasinati con il lavoro. Allora, entrerai in ballo tu, Françoise.»
«E come, di grazia?»
«Semplice. Contatterai il Fan Club e spiattellerai la notizia che i Bloody Roses faranno una cover che sarà presentata all’evento della Fondazione Grado. La canzone sceglila tu. Sono sicuro che diffonderanno la buona novella in quattro e quattr’otto, e allora non potranno dire di no…»


Il piano di Hyoga, tuttavia, non prevedeva una sua iscrizione al Fan Club di quei fricchettoni.
«Se vuoi, te lo copio io l’album. Dovrei avere giusto una cassetta vuota», le propose Natsumi sorridendo.
«Oh, merci! Merci Beaucoup!», rispose pensando che culo!, e maledicendo se stessa per essere stata così gentile con quella tipa durante l’esibizione sotto gli studi televisivi. «Oh, non vedo l’ora che esca il nuovo disco e di ascoltare la loro cover di Reality… Ops! L’ho detto!»
Natsumi alzò lo sguardo su di lei.
«Oh, beh, di te mi posso fidare! Il mese prossimo ci sarà un evento di beneficienza alla Fondazione Grado, e i Bloody Roses realizzeranno una cover di Reality per la serata. Solo che vogliono tenere la cosa segreta, capisci, vero? Vogliono fare una sorpresa alle fan», sputò fuori fingendo di liberarsi di un grosso rospo che aveva in gola. In realtà era stufa marcia di stare in quel salottino bianco e nero immerso nella penombra; voleva andarsene, e alla svelta.
«Capisco… Ma tu come lo sai?»
Adesso voglio proprio vedere che t’inventi, ridacchiò il suo sadico cervello mentre escogitava un sistema per trarsi d’impaccio.
«Beh, è molto semplice. Mia cognata lavora nell’agenzia che gestisce l’evento, e sapendo che anche io ero stata conquistata dai Bloody Roses, me l’ha detto come l’ha saputo. Però, mi raccomando, acqua in bocca, altrimenti tutta la faccenda andrà a gambe all’aria!», concluse vedendo l’altra ragazza fremere sulla sedia: dieci a uno che come si sarebbe chiusa la porta di quella casa assurda alle spalle, Natsumi avrebbe preso il telefono e diffuso la Lieta Novella a mezza città.
«Nel senso che non faranno più la canzone?», chiese l’altra cercando di dissimulare la voglia che aveva di spiattellare a tutte le altre fan la notizia bomba che aveva ricevuto.
«No, no… Per quello che ne so, la canzone è già incisa e dovrebbe essere la traccia di chiusura dell’album. Credo che non farebbero più l’esibizione con quella canzone.»
«Si, ma come posso fidarmi? Vedi, di ragazze che inventano balle clamorose pur di entrare nel fan club ce ne sono tante…»
«Hai visto con chi mi accompagnavo l’altro giorno, vero?»
Natsumi annuì. Pur con tutto il delirio in cui galleggiavano, sarebbe stato impossibile non riconoscere Saori Kido, alle spalle del ragazzo alto e muscoloso cui aveva chiesto di alzare il cartellone. «Quindi?»
«Quindi, la biondina che era con noi è mia cognata. Che lavora come pr per questa serata. Ma se non mi credi, telefona alla Glitter. Se smentiscono, vorrà dire l’esatto contrario; cercheranno di mantenere il silenzio stampa su questa faccenda, ovviamente», rispose l’altra cercando di essere convincente.
«Ok, ok, mi fido», disse Natsumi sorridendo e posando il questionario.
Françoise controllò l’ora. «Santo Cielo, come si è fatto tardi! Devo proprio scappare!», fece con fare plateale alzandosi e prendendo la borsa.
«Così all’improvviso?», le chiese Natsumi ondeggiando i boccoli. «Ma non abbiamo ancora finito il colloquio per l’iscrizione!», protestò, pigolando seccata.
«Ho calcolato male i tempi. Devo essere dall’altra parte della città tra meno di un’ora per un colloquio di lavoro! Possiamo lasciare il discorso in sospeso e riprenderlo, che ne so?, domani?», propose Françoise sporgendosi verso di lei.
«Ok, ti chiamo io, così ci mettiamo d’accordo…»
«Non ho ancora il telefono a casa nuova, dammi il tuo numero, ti chiamo io.»
Natsumi scribacchiò qualcosa su un pezzo di carta a fiorellini e glielo porse. «Chiamami domani verso le dieci, sarò in casa, ok?»
Si cacciò in tasca il foglietto.
«Ok, a domani allora!», disse Françoise chiudendosi la porta alle spalle. Si allontanò rumorosamente per poi fare dietro front e mettersi accanto alla porta.
Sentì Natsumi avvicinarsi, guardare dallo spioncino e poi correre al telefono. Percepì chiaramente la ragazza alzare la cornetta e comporre un numero telefonico. Poteva vederla, seduta sulla sua sedia nera, inserire il dito guantato nei fori del disco e aspettare che dall’altra parte rispondesse qualcuno, mordicchiando un fazzolettino ricamato per sfogare la sua voglia di raccontare le grandi novità che era venuta a sapere. Probabilmente stava stilando una lista di persone a cui dirlo per telefono ed un’altra, più ristretta e formata da amici intimi, a cui dirlo vis à vis.
«Tomomi? Sono io, Natsumi. Non indovinerai mai ciò che sto per dirti! Mettiti seduta… Ma sì, ma sì, riguarda il tuo Shun, purtroppo… Non immaginerai mai chi è stata adesso qui! La sua agente! Sì, ha usato un trucco, spacciandosi per una fan che voleva entrare nel nostro club, ma l’ho riconosciuta subito! Solo l’agente di Shun poteva darmi queste notizie… A quanto pare, la Rosa Bianca sta con Saori Kido che il mese prossimo darà una serata di beneficienza. Scusami, tesoro mio, lo so che è dura, ma che altra spiegazione daresti al fatto che quella lì era presente al live a Ginza e che stanno per fare una cover di una canzone d’amore proprio per l’evento di quella là? No, certo che non si può mai sapere, infatti chiamerò qualcuno non appena avrò messo giù con te… Volevo solo che lo sapessi da me… Certo, tesoro, so che possa far male, per fortuna Shiro è diverso…»
La sentì squittire tutta la storia, abbellita ed ingigantita all’occorrenza secondo deduzioni a cui il suo cervello a senso unico era giunta in seguito alla chiacchierata di poco prima. Sorridendo, Françoise si avviò verso l’esterno del palazzo canticchiando fra sé e sé il refrain della canzone.


 
Dreams are my reality
A wonderous world where I like to be
I dream of holding you all night
And holding you seems right
Perhaps that's my reality


 
 
 Note:

Da dove comincio?
Dall'inizio, ovvio.

La canzone di sottofondo è Reality, cantata da Richard Sanderson e colonna sonora del film di Claude Pinoteau La Boum, del 1980. Se vi dico Il tempo delle mele, Sophie Marceau e la scena del walkman, mi seguite? Sì, vero?

Quando iniziano qualcosa di nuovo, per darsi coraggio i giapponesi fanno qualcosa di nuovo. Si tingono i capelli. Oppure si fanno i buchi alle orecchie. O si danno una sfoltita alla chioma, specie le ragazze, per sembrare più adulte. Ho pensato che ad Erii starebbero bene un paio di orecchini azzurri. Come i suoi occhi.

Il Graptopetalum Bellum  è una pianta grassa originaria del Messico occidentale. Cresce a forma di stella, e genera un fiore di un rosa molto intenso.
Il Pink Capricorn è un pelargonio dalle foglie aromatizzate al limone e i fiori piccoli e rosa.

L'URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) nel 1991 si stava dissolvendo. Alla fine del 1990 le tre repubbliche balcaniche (Lituania, Lettonia ed Estonia) avevano chiesto, ed ottenuto, l'indipendenza da Mosca. L'allora presidente, Michail Gorbačëv, aveva instaurato una politica di ristrutturazione del vecchio sistema sovietico, portando così di fatto a profonde e radicali svolte nell'economia e nella politica interna. Come conseguenza della perestrojka (lett. ristrutturazione, rinnovamento), le tre repubbliche baltiche sopracitate chiesero ed ottennero l'indipendenza, si sciolse il Patto di Varsavia (1° luglio 1991) ma questo non piacque ad alcuni membri del partito. Tra il 19 e il 21 agosto del 1991 le frange conservatrici del partito tentarono un colpo di stato, assediando Gorbačëv e tentando di prendere Mosca. La città resistette sotto la guida di Boris El'cin, che sarebbe diventato l'eroe dell'agosto 1991 e il successivo presidente della Russia. Poiché gli eventi si svolgono tra settembre ed ottobre 1991, Ikki ancora non sa ccome si sia evoluta la situazione.

Gli Steel Saint sono un'invenzione della sola serie animata. Perché non c'era già abbastanza carne sul fuoco, vero? Comunque. Mitsumasa Kido, poco dopo essere rientrato a Tokyo con l'infante Saori, manda a chiamare il professor Asamori (da noi ribattezzato in Rigel. Sennò non c'erano abbastanza stelle, né?) affidandogli il compito di creare in laboratorio tre armature per tre giovani che avrebbero aiutato la sua Saori fino a quando i Cavalieri di Bronzo non sarebbero stati pronti. Guardando gli schizzi proposti da Kido, Asamori accetta. E sorvoliamo sul fatto che il segreto del Santuario sta diventando il segreto di Pulcinella, che Asamori non batte ciglio quando viene a sapere che Athena s'è reincarnata in una bambina, che i tre guerrieri che avrebbero dovuto proteggerla saltino fuori dal cilindro quando i Bronzetti sono decimati, e che tra loro ci sia un marmocchio. Voglio dire, che sfida dovrebbe rappresentare un moccioso armato di skateboard di fronte ad un nemico che sfonda le stelle a cazzotti?
Mah.
Comunque sia.
I tre guerrieri sono Sho (da noi Shadir) che in quanto capo del gruppo veste di rosso, come in ogni sentai che si rispetti. Sì, pure se lui ha l'armatura del Tucano e rappresenta l'aria.
Poi c'è Ushio, quello alto e con la cicatrice sulla guancia (cui si ispirerà Toriyama per Yamcha, qualche tempo dopo. O fu un passaggio inverso? Boh), il secondo in comando che veste di blu (e che di solito è più figo del capo e fa una bruttissima fine), è associato all'acqua e la sua corazza è un Delfino. Pure se pare un pescespada.
E infine, il bimbominchia della situazione, Daichi (da noi Benam), che gira con uno skateboard temibilissimo, veste di giallo (il colore del grassone o dei mocciosi) ed è associato alla terra. Il suo totem è legato alla costellazione della Volpe.
Escono miseramente di scena alla puntata #41, salutando Saori e i bronzetti in partenza per Atene. Ché lasciali a casa, quei tre. Non ti servono mica rinforzi, ora che vai ad Atene a fare a cazzotti con Saga e i suoi, no...

Sports Illustrated è una rivista sportiva molto popolare negli Stati Uniti (fa capo al gruppo Time Warner) a diffusione internazionale. Ogni anno, nel mese di luglio, fa uscire un allegato, Sports Illustrated Swimsuits, che contiene due servizi di moda che ritraggono le top del momento in luoghi esotici. Ovviamente, in costume da bagno.



 
   
 
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