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Autore: ShanHoward    04/06/2014    2 recensioni
Converse nere, pantaloncini di jeans, una canottiera indossata almeno un miliardo di volte, un paio di Ray-Ban sul naso , un vecchio ipod in una mano e un’immensa valigia nell’altra…
Brooke, una ragazza come tante, in un luogo a lei sconosciuto...
Genere: Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alex Turner, Altri, Jamie Cook, Matt Helders, Nick O'Malley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fanfiction sugli Arctic Monkeys che mi stanno completamente rovinando la vita :) A parte gli scherzi, spero che vi piaccia...commentate in tanti e fatemi sapere se vale la pena continuarla =) Don't Believe the Hype!!! 


 

Who the Fuck are Arctic Monkeys???


Converse nere, pantaloncini di jeans, una canottiera indossata almeno un miliardo di volte, un paio di Ray-Ban sul naso , un vecchio ipod in una mano e un’immensa valigia nell’altra… 


Questo era l’aspetto con il quale Brooke, si apprestava ad accomodarsi sulle immense  poltrone dell’aeroporto di Roma. Si sedette in attesa che il suo volo venisse annunciato dagli altoparlanti della struttura. 


Una singolare storia la sua. 
Entrambi i suoi genitori erano originari di Manchester, conosciutisi nelle aule scolastiche quando erano ancora poco più che adolescenti. Terminati gli studi al college, un giorno, da un momento ad un altro, decisero di partire per un viaggio alla volta della penisola Italiana; e l’avevano amata a tal punto da stabilirvisi definitivamente.
Un matrimonio felice, una vita appagante ed una salda unione familiare alle spalle, avevano fatto in modo di non poter desiderare altro nella vita. Fu così, che diversi anni dopo, nacque Brooke Johnston.


Cresciuta in Italia, aveva comunque ricevuto un’istruzione prettamente inglese, ma sin da piccola aveva sempre avuto un debole per la cara e vecchia Inghilterra che i suoi genitori gli descrivevano con tanto orgoglio.
Prima di metterla a letto, suo padre le descriveva la sua patria come un luogo in cui tutto era imprevedibile. Gli narrava per filo e per segno le innumerevoli battaglie; gli parlava di cavalieri, principesse e castelli; di draghi, re e regine. Ma spendeva sempre qualche minuto in più per spiegarle cosa significasse il coraggio, la determinazione, la lealtà la bontà d’animo e l’avventura.
Sua madre, invece, si limitava ad osservare sua figlia venire rapita dai racconti di suo marito, consapevole del fatto che molto probabilmente, un giorno la sua Brooke sarebbe salita sul primo aereo per scoprire ogni cosa della sua terra di origine.


Così gli anni trascorsero, e non ci fu un solo giorno nel quale Brooke non avesse la mente occupata. Di giorno frequentava la scuola; il pomeriggio usciva con gli amici, la sera di tanto in tanto veniva invitata a qualche festa…ma di notte, quando il resto del mondo dormiva dolcemente, lei sognava di percorrere le strade di Londra, o tentare di avvistare il mostro di Loch Ness, intrufolarsi all’interno di qualche castello, girovagare per le innumerevoli città, e perché no, conoscere finalmente altri membri della sua famiglia. 
Suo padre era un semplice impiegato e non poteva permettersi il prezzo di tre biglietti andata e ritorno, e così Brooke aveva dovuto abituarsi a ricevere qualche regalo durante le ricorrenze ed immaginare come sarebbe stato conoscere quella zia che gli scriveva montagne di lettere; se somigliasse veramente a sua madre o se negli anni fosse cambiata. Pensieri ricorrenti che l’avevano accompagnata  lungo il corso della sua adolescenza.


La sua occasione, però, non tardò ad arrivare.
Un paio di settimane dopo il suo ventitreesimo compleanno, due uomini in giacca e cravatta, avevano bussato alla  porta chiedendo di potersi accomodare per parlare di alcune questioni della massima importanza.
Dopo aver appreso la notizia della scomparsa dei suoi zii, Brooke si ad avere ereditato due case, poiché sua zia non aveva mai avuto figli. I due uomini le avevano intimato che per cause di forza maggiore, non erano stati autorizzati a contattarla immediatamente; e proprio per questo motivo, aveva a disposizione una sola settimana per recarsi a Manchester per firmare i documenti che l’avrebbero resa una donna indipendente nella maniera più assoluta.  


Ed eccola lì, due giorni dopo, seduta in aeroporto con solo lo stretto indispensabile, a rimuginare su tutto quello che da quel momento in poi sarebbe accaduto. 
Ripresasi dal flusso di ricordi, si alzò per prendere posto sull’aereo che l’avrebbe portata sul suolo britannico a firmare qualche scartoffia prima di poter iniziare una nuova vita.
Atterrata a Manchester, si diresse verso un uomo che esibiva un cartello recante il suo nome. Un uomo distinto in giacca e cravatta, probabilmente proveniente dallo stesso luogo da cui venivano gli uomini incontrati pochi giorni indietro.


“Suppongo che lei stia cercando me” disse fermandoglisi davanti
“Se lei p la signorina Johnston si” sorrise
“Preferisco Brooke” sorrise di rimando
“Come preferisce. Sono stato incaricato di scortarla dal signor Harris che le darà tutte le informazioni circa il da farsi riguardo le sue proprietà”
“Oh, per fortuna!” esclamò “anche perché non avevo la più pallida idea di dove recarmi”


Una volta saliti in macchina e caricati i bagagli, Brooke cercò di imprimere nella propria memoria, ogni singolo edificio o luogo che prima o poi sarebbe tornata a visitare.


“Non si preoccupi” … “tornerà a vedere tutto quello che vuole”
“Me lo auguro” sorrise “e dammi del tu”
“Si hai ragione…sono Jefferson, a proposito”
“Bene Jeff, non vedo l’ora di arrivare”


Detto questo, Jeff accelerò districandosi nel traffico. Quindici minuti più tardi, stavano posteggiando davanti ad un grande edificio che spiccava su tutti gli altri. Alte colonne di marmo, invitavano ogni passante a soffermarsi almeno per qualche secondo ad ammirarlo. Brooke scese e nel medesimo istante in cui tentò di prendere i suoi bagagli, Jeff la bloccò.


“A questi penso io; per tua sfortuna sarò il tuo autista ancora per un po’” sorrise
“Per mia fortuna vorrai dire! Sei l’unica persona che conosco!”
“Oh, beh, grazie. Mi fa molto piacere” … “ora vai!” la esortò
“Ah, già. A dopo allora”


Si allontanò dall’auto ed iniziò a salire gli enormi gradini di pietra, per poi scomparire dietro il portone.
Una volta all’interno, si ritrovò leggermente spaesata alla vista di decine di impiegati che correvano a destra e a manca per tutto l’edificio. Tutti molto composti nei loro abiti di alta sartoria, mentre prendevano ascensori o parlavano fitti fitti con altre persone. Brooke dedusse che si trattava di avvocati che discutevano con i propri clienti e si chiese quale di tutti quei  difensori, giudici, notai, fosse il signor Harris.
Li scrutò piano piano senza farsi scoprire.


“Salve, posso aiutarla?” chiese una voce alla sua destra
“Salve! Sono Brooke Johnston, stavo cercando il signor Harris”
“Oh, ma certo. Mi segua, il signor Harris la stava aspettando”


Entrambe le donne percorsero l’ampio atrio per avvicinarsi agli ascensori in assoluto silenzio dovuto al semplice non conoscersi. Salite al 5° piano, la sorridente donna in tailleur, la scortò fino ad una porta blu e bussando la lasciò sola lì davanti. Dall’interno della stanza provenne uno squillante “Avanti” che la fece sussultare.


“Signorina Johnston!!! La stavo proprio aspettando! Si accomodi!” la invitò
“Grazie mille. Suppongo lei sia il signor Harris?”
“In persona” sorrise “vogliamo parlare del motivo per il quale lei è qui?” propose
“Sono qui per questo”


Si alzò per prendere un fascicolo che prese a sfogliare con attenzione; e poi si sedette. Con la fronte aggrottata per la concentrazione, estrasse alcuni fogli ed un paio di buste.


“Allora” disse ricomponendosi “sei Brooke Johnston nipote diretta di Susan e Jack Brown?”
“Assolutamente si” rispose lei
“Bene. In queste due buste ci sono un paio di lettere che sua zia scrisse diversi anni fa. In questi altri fogli invece, ci sono gli atti che riguardano la sua eredità in quanto nipote ed unica persona citata nel testamento” disse alzando lo sguardo
“Unica? Ma non capisco, ho altri cugini qui in Inghilterra che io sappia” rispose perplessa
“Beh, nel testamento c’è solo il suo nome. E a giudicare dallo spessore di quelle lettere, credo che sua zia le abbia fornito tutto quello di cui era necessario informarla”
“E lei come lo sa, mi perdoni” chiese sulla difensiva
“Ha ragione, avrei dovuto dirglielo appena ci siamo conosciuti. Vede, ho speso molto tempo con i suoi zii. Li conoscevo da molti anni ed hanno sempre fatto parte in qualche modo della mia vita. Mi ha addolorato molto la notizia della loro scomparsa, visto e considerando che li avevo incontrati circa una settimana prima”
“Oh, mi dispiace” rispose Brooke con un filo di voce
“Si figuri, non poteva saperlo. Se posso permettermi di darti del tu, posso dirti che erano le persone più eccezionali del mondo”
“Già…peccato però che abbia dovuto accontentarmi solo di lettere su lettere per tutta la mia vita. Avrei tanto voluto conoscerli” disse triste
“Ascolta. Lasciamo stare questo discorso. Leggi questi fogli, dopodiché ti accompagnerò personalmente in entrambe le tue case” propose
“Mi farebbe molto piacere, Eric” sorrise leggendo la targa sulla scrivania
“Bene,  allora andiamo”


Durante il tragitto, Brooke se ne stava sul sedile posteriore a leggere con attenzione il foglio che parlava della sua prima casa, ovvero quella dove i suoi zii avevano vissuto per una vita intera.
Sapeva che si trovava a Manchester e che a detta di sua madre, era una casa come tante altre ma aveva un tocco personale che ti inchiodava la vita. L’aveva sempre immaginata con i mattoni rossi e con un bel giardino anche se non grande; e quando Jeff posteggiò ed Eric bussò al suo finestrino, si rese conto che era esattamente così.
Due piani, mattoni rossi, un piccolo giardino, un terrazzo e tanto amore intriso in quelle pareti colorate.
Tanta pazienza in quelle rose cresciute sul gazebo.  E tanta nostalgia, in quelle foto che li ritraevano in un tempo indefinito, in posti a lei così sconosciuti. 
Firmò così il primo foglio ed Eric e Jeff la lasciarono sola per alcuni minuti in segno di rispetto. Si ritrovò a viaggiare con la mente, desiderando avere a portata di mano quell’ipod che custodiva quasi fosse l’unica cosa a tenerla ancorata alla realtà.
Quindici minuti dopo stava uscendo dal cancello che delimitava quella piccola seppur immensa casa. Si ricompose ed espose il suo miglior sorriso.


“Direi che sono pronta per affrontare la seconda proprietà” esordì
“Per questo dovrai avere un po’ di pazienza” rispose Eric
“E perché? Vorrei togliermi il pensiero e riposare un po’”
“Puoi riposare qui per questa notte. Jeff ha già scaricato le tue valigie”
“Non capisco, perdonami” disse spaesata
“Credevo che i tuoi genitori te ne avessero parlato” esclamò Eric risalendo in auto
“Parlato di cosa? Sapevo già che i miei zii abitassero qui” sbuffò
“Oh, questo lo so. Ma l’altra casa non è qui, purtroppo”
“Penso di poter sopportare un paio d’ore in auto se è questo che intendi Eric”
“Eh no Brooke. Dovrai attraversare mezzo mondo. La tua casa è negli Stati Uniti!”


Con un incoraggiante sorriso beffardo, Eric chiuse la portiera, informando Brooke che sarebbero passati a prenderla l’indomani. Non sapendo in che modo avrebbe dovuto prendere quella notizia, Brooke rimase come imbambolata prima di ritornare sui suoi passi. Ripercorse il vialetto e chiuse la porta alle sue spalle, restando sola in quella casa che per lei era la metà di un tutto. 
Il quadro sarebbe stato completato non appena le sue scarpe avrebbero toccato il suolo americano.


Il pomeriggio seguente, di buona lena, Brooke era più euforica che mai mentre attendeva l’arrivo dei due. Non sapeva nemmeno lei in che modo era riuscita a chiudere occhio, sapeva solo di dover lasciare Manchester. Non solo perché l’America la aspettava, ma sentiva che proprio lì sarebbe stata pienamente soddisfatta. In qualche modo, provava un’inspiegabile sensazione. Sentiva che sua zia voleva che ci andasse ed aveva previsto ogni cosa : aveva dato precise istruzioni ad Eric di fargli leggere una lettera per volta, e solo dopo essere giunti ad entrambe le case.
E così, Brooke si era accontentata di leggerne solo una al momento. Dato che Eric ancora non era arrivato, ripercorse con lo sguardo le righe salienti. Susan aveva racchiuso in quelle povere pagine, tutto il racconto di una vita intera, che sua nipote lesse con molta attenzione. In particolar modo, le aveva porto le sue scuse per non aver mai avuto la possibilità di vederla…


“Cara Brooke,
ormai sarai diventata ancora più bella di come ricordavo l’ultima volta. Mi dispiace dirti, che se stai leggendo questa lettera, non faccio più parte della tua vita. Non so di preciso quando la riceverai, so solo ce sei la cosa più cara che io e tuo zio abbiamo mai avuto.

[…]

Mi raccomando, nella nostra piccola casetta, fai in modo che il tuo giardino sia sempre la tua gioia come lo è stato per noi. Quelle rose rosse, sono state piantate alla tua nascita, e quando ho scoperto di non poter avere figli, ho dedicato le mie giornate a fare in modo di poter crescere qualcosa di mio. E non nascondo il fatto di aver dato l’impressione ai vicini si essere una pazza che parla con i fiori.

[…]

Con grande rammarico, ti porgo le mie scuse. Non sono stata capace di venire a trovarti nemmeno una volta e questo mi dispiace dal profondo del cuore. Purtroppo tuo zio Jack lavorava saltuariamente ed io avrei avuto bisogno che la sua mano avesse stretto la mia durante il volo. Abbi cura di te, e fa che l’America diventi il tuo posto nell’universo.
Ti voglio bene, e non perdere mai quel sorriso che sempre amerò…
Susan


Ripiegando la lettera fra le sue mani, si rese conto di quanto gli sarebbero mancate le sue lettere, di quanto gli sarebbe mancato il suo profumo che non mancava mai di spruzzare su ogni pagina che scriveva.
Il clacson dell’auto la riscosse dal flusso di pensieri. Dall’interno dell’abitacolo, Erica salutava felice con un cenno della mano. Jeff la aiutò a caricare i bagagli per poi partire alla volta dell’aeroporto di Manchester. Con il massimo dell’organizzazione, arrivarono in perfetto orario, mentre Jeff li salutava calorosamente e faceva promettere a Brooke di chiamarlo non appena fossero arrivati. In fondo, era comunque una persona che, seppur per un breve periodo, aveva fatto parte della sua vita. Una volta che avevano provveduto a tutto il necessario per essere ammessi sull’aereo, non rimase altro da fare che attendere. Eric era leggermente preoccupato per la perenne paura di aver dimenticato qualunque dettaglio o documento a casa; Brooke invece, fremeva. Nel giro di poco tempo l’aeroporto era gremito di persone, quasi che tutta la città si fosse riversata tutta lì e tutta in quel preciso istante; ed era leggermente snervante. Venti minuti dopo, dagli altoparlanti, una voce femminile interruppe il trambusto.


“A causa di un imprevisto, il volo diretto per Los Angeles, subirà un ritardo di due ore. Ci scusiamo con i passeggieri e li invitiamo ad avere pazienza. Grazie”


Un immenso boato scosse l’intero edificio: gente che sbuffava, altra imprecava ed altra ancora faceva volare paroloni quali “non prenoterò più” o “non rispettano nessuno” o ancora “adesso mi sentiranno!”


Brooke invece, nel suo esile e piccolo sedile, non fece altro se non meravigliarsi di quanto poco rispetto avessero le persone. Si chiedeva solo se si fossero posti tutti quanti la stessa domanda giusta :”dipende veramente da loro?”
Ovviamente no, quale aeroporto proclamava ritardi per il semplice gusto di far infuriare clienti con il rischio di perderli? Mentre Eric si allarmava e coglieva la palla la balzo per fare una sosta a casa e controllare di nuovo di avere tutto, Brooke lo salutò per poi dirigersi verso un piccolo ristorante per mangiare qualcosa nonostante fossero le 14:00.
Non se la sentiva di tornare indietro, perciò si tenne occupata  curiosando in giro per poi fermarsi nel luogo che cercava. Un piccolo McDonalds torreggiava proprio di fronte a lei, pertanto decise di fermarsi lì.
Ordinò qualcosa di non eccessivamente pesante, una coca e patatine, pagò in contanti e voltandosi tentò di accaparrarsi uno degli ultimi tavolini disponibili. Iniziò così il suo pranzo, ignorando come meglio poteva, il baccano che la circondava.
Dopo l’ennesimo urlo di diverse persone a diversi metri da lei, finalmente riuscì ad alzare lo sguardo accompagnato da uno sbuffo.


“Dio santo! Ma che vi prende?” urlò
“Una bella scocciatura eh?” rispose un ragazzo in piedi di fronte a lei nascondendosi nella giacca
“Ehm, già” sorrise conscia della figuraccia
“Non è bello essere interrotti mentre si pranza, vero?” sorrise lui accomodandoglisi di fronte
“Non solo per quello, è proprio il caos generale


Con uno sguardo enigmatico sul volto, dapprima la fissò intensamente, finché diversi minuti dopo, tentò di rompere il ghiaccio.


“Scusa l’invasione, sono Jamie” sorrise
“Jamie? Caspita, bel nome…io sono Brooke” rispose tranquilla


Jamie aggrottò leggermente le sopracciglia e tentò di sistemarsi come meglio poteva sulla sedia. Diede uno sguardo intorno a sé, dopodiché decise di mangiare in santa pace e soprattutto di conoscere quanto più poteva colei che gli sedeva davanti. Era incuriosito dal fatto che non sembrava essere minimamente preoccupata da tutto il trambusto che si stava scatenando.


“Ho invaso il tuo tavolo Brooke” sorrise
“Nessun problema. Meglio tu che gran parte delle scimmie urlatrici qui intorno” rispose
“Allora? Cosa ti porta qui?”
“Aria di cambiamento” rispose  “e tu?”
“Lavoro. Non sto fermo un attimo”
“Beh, è una bella cosa no? Soprattutto se ami il tuo lavoro”
“Immensamente!!!” … “ti piace la musica?” chiese poco dopo
“Abbastanza, anzi la amo” sorrise lei
“Io suono in una band” disse sottovoce per non farsi sentire


Lei semplicemente sorrise a quelle parole, e Jamie la prese come una richiesta di avere qualche dettaglio in più. In fondo, gli piaceva parlare di quello che faceva per vivere o, per meglio dire, quello per cui lui stesso viveva.


“Siamo amici di vecchia data che sfornano un successo dopo l’altro”
“Tipica storia di ogni band che esista” provocò lei
“Si, hai ragione” commentò lui sorpreso “ma ogni band che si rispetti ha il suo perché”
“Va bene, ho ancora tempo…raccontami la vostra storia”


Con la mente più confusa ed annebbiata che mai, mise da parte il vassoio con quello che restava del suo pranzo e gli spiegò brevemente ed in maniera concisa, la sua vita.


“Sono in una band internazionale…gli Arctic Monkeys”
“E chi cavolo sono gli Arctic Monkeys?”


Frenando la tentazione di prenderla a schiaffi o semplicemente dargli un’energica scrollata, proseguì facendo finta di nulla. Restando in cuor suo leggermente deluso dal fatto di non essere stato minimamente riconosciuto e che Brooke non conosceva la band della quale era membro. Così, un po’ a malincuore, continuò…


“Gli Arctic Monkeys non sono altro che quattro ragazzi di Sheffield, con lo stesso amore e passione per la musica. Abbiamo venduto milioni di copie, vinto diversi premi, e suonato in tutto il mondo. Abbiamo trovato il nostro equilibrio e ne siamo molto entusiasti. Ci sentiamo a nostro agio e quando suoniamo, dimentichiamo tutto il resto”
“E’ una cosa molto bella. Tu hai la tua band e puoi sfogare ogni genere di sensazione insieme ai tuoi amici” constatò “io invece, ho solo la musica” aggiunse poco dopo


Jamie, trovò in quell’affermazione una ragazza forse alla ricerca di se stessa, lontano da tutto e da tutti. Forse, in quelle parole, c’era molto di più della sua vita che in qualunque altra cosa avesse proferito fino a qualche minuto prima. Quasi leggendogli nel pensiero, Brooke si giustificò…


“Mettiamola così…la mia vita è uguale a quella di molte altre persone. Non è un gran che…ognuno ha il proprio fardello, piccolo o grande che sia…E a volte avresti solo bisogno di qualcosa che ti distragga, che ti isoli da tutto e ti lasci immaginare per un breve momento che sei altrove e ti senti incredibilmente bene” concluse”
“E’ per questo che non hai mollato nemmeno per un secondo il tuo ipod?”
“Non me ne separo mai…mi serve per respirare” arrossì


La osservò per circa cinque secondi, scatenandogli un moto di tenerezza nei suoi confronti. Non voleva in nessun modo confessargli che l’aveva tenuta d’occhio; che aveva osservato i suoi movimenti; che aveva compreso sin dall’inizio che quel piccolo oggetto era quasi tutto il suo mondo.
Però, decise che gli doveva almeno una piccola risposta che l’avrebbe fatta sorridere.


“Vivi per la musica…potresti entrare a far parte della band!”
“Magari!!!” esclamò lei, riempiendo l’aria della sua risata
“Sei divertente cara Brooke” sorrise
“Non quanto te” rispose


La voce nell’altoparlante, riscosse tutti da quello che stavano facendo.:


“Ringraziamo i passeggeri del volo 701 per la loro pazienza. Vi informiamo che sarete accolti a bordo tra breve. Grazie”


“E’ il mio volo. Devo scappare” proruppe
“Oh, si scusa. Vai, vai” rispose lui
“Sai, mi ha fatto molto piacere parlare con te. Sei molto di compagnia. Solitamente le rockstar sono molto strafottenti e altezzose”
“Oh, non gli Arctic Monkeys”
“Ne sei sicuro?” lo sfidò
“Sicuro, nessuno di noi. Ok, forse Alex, ma solo un pochino” ammise
“E che tipo è questo Alex?”
“Una persona a dir poco fantastica! Un bel ragazzo, a mio parere. Talentuoso e fuori di testa. Insomma: il migliore!”
“Wow, allora siete in buone mani!” esclamò Brooke
“Buonissime” ribatté


Dopodiché, un po’ a malincuore, ognuno prese la sua strada.
Diversi minuti dopo, con un tempismo quasi perfetto, Eric prese posto per entrambi lungo la fila, mentre Brooke decise di fare una sosta veloce in bagno. Tentò di fare il più in fretta possibile quando si accorse di dover utilizzare il bagno degli uomini a causa di un guasto nell’altro.
Fingendo di aspettare qualcuno, attese che tutti gli uomini uscissero mano a mano.  Poi, con uno scatto fulmineo entrò; ed iniziò a darsi una veloce rinfrescata.


Dalla radio Do i wanna know si diffondeva lentamente, e Brooke non poté fare a meno di cantarla e ballarla mentre terminava di sistemarsi il trucco. Nel modo più silenzioso possibile, una piccola porticina si aprì dai bagni stipati vicino a lei; ed Alex Turner prese a sbirciare quella figura minuta davanti lo specchio.


La riconobbe all’istante. Era Brooke, la stessa Brooke con la quale aveva finto di essere Jamie. La stessa Brooke che stava evadendo da un qualcosa. La stessa Brooke che amava la musica come una religione. La stessa Brooke che ballava e cantava una sua canzone, nonostante affermasse di non conoscere gli Arctic Monkeys.
Ed ora che ci pensava, era quella Brooke, che lo aveva riconosciuto sin dal primo momento, che conosceva benissimo chi fosse Alex Turner e gli Arctic Monkeys. Non sapeva se sentirsi grato a lei, oppure infastidito.


Do you want me crawling back to you”  finì lei andando via e non accorgendosi di nulla


E l’unica cosa che seppe fare Turner, fu sorridere…

 
   
 
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