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Autore: syontai    04/06/2014    6 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 39
Il giudizio di Aliante

Se durante il giorno l’afa era insopportabile, di notte questa portava un senso di oppressione indefinito su tutto il corpo, e Angie a stento procedeva spostando i rami più bassi; di tanto in tanto si fermava per prendere dei respiri profondi e asciugarsi con il dorso della mano la fronte sudata, quindi riprendeva il cammino, seguita da un gruppetto di anziani, i cui volti pallidi e smunti assumevano un colore perlaceo di fronte alle fiamme delle torce.
“Manca ancora molto?” chiese con fatica, prima di rimettersi in marcia. Nessuno rispose. La madre e Jeremias erano stati finora gli unici ad averle rivolto la parola, e già solo per questo erano stati considerati meritevoli di biasimo da parte di tutti. Quando Angelica aveva riferito agli anziani il proposito della figlia di sostenere il giudizio di Aliante, tutti erano rimasti sbalorditi di fronte a tale richiesta. Dapprima rifiutarono, poi si lasciarono convincere a dare una possibilità all’esiliata.
“Grazie molte” borbottò ironica, accelerando il passo. Di tanto in tanto le indicavano la via da seguire, senza dire una parola, e la seguivano come un’ombra. Strani rumori simili a latrati in lontananza la fecero rabbrividire, ma ogni qual volta mostrava segno di esitazione gli sguardi severi dei saggi la costringevano a proseguire. Arrivò di fronte a una cascata smeraldina, che scrosciava melodiosa da un’altura rocciosa. Alla sua destra un antico salice dimorava con le sue possenti radici, che si sollevavano da terra per alcuni tratti, creando sinuosi serpenti di legno. Alcune lucciole svolazzavano pigramente in gruppo per poi disperdersi non appena si furono rese conto della presenza di estranei. Sebbene quella sorta di radura fosse a dir poco spettacolare, tutto sarebbe risultato normale, non fosse per la presenza, di fronte al salice, di un trono di legno intarsiato. Uno degli accompagnatori le indicò con fare imperioso proprio quel misterioso trono, e Angie, titubante, lo raggiunse a passo lento. Più avanzava, più un’antica musica le risuonava nelle orecchie: erano voci giovani ed eteree di fanciulle, che intonavano un canto in un lingua sconosciuta. Si sedette, e quando si voltò per chiedere agli anziani se andava bene così per il rito, si rese conto di essere rimasta da sola. Il cielo era privo di nuvole e la luna brillava intensa, proiettando la sua luce sul pelo dell’acqua e su tutta la radura. Luci azzurrine fluttuavano su e giù nell’aria, arrivando persino a sfiorarle l’orecchio. I braccioli del trono erano duri, e ad Angie, abituata a ben altro, dava fastidio tenervi le braccia, eppure non si mosse di un dito, temendo che ogni sua azione avrebbe potuto essere usata contro di lei nel famoso Processo. Un uomo si materializzò improvvisamente alla sua destra: era magro e alto, un po’ allampanato, e cercava invano di mantenere un’espressione seria; infatti era talmente emozionato che più volte fu costretto a chiudere gli occhi e a respirare profondamente per calmarsi. Non appena cominciò a parlare, Angie si rese conto che quella era la voce di uno spirito. Ogni parola appariva risucchiata nel finale, e vi era una leggera inflessione cavernosa nel tono di voce.
“Entri il giudice” esclamò solennemente, indicando il salice di fronte a lei. Dalla corteccia emerse una figura, fatta interamente di legno. Lentamente la materia si modificò facendogli assumere delle sembianze umane, e il legno divenne trasparente, se non addirittura evanescente, non lo sapeva dire con certezza. Capelli lunghi e sparsi sulle spalle, un’aria severa, un fisico muscoloso di un giovane nel fiore dell’età, ecco come si presentava Aliante. Dal nulla, apparve un trono ai piedi dell’albero, e vi si sedette, rimanendo in un totale silenzio.
Lo spirito entrato per primo si schiarì la voce e proseguì: “Entri l’accusa”. Un gruppetto di spiriti si fece largo dalla destra dell’albero secolare, e si posizionò a destra di Angie, abbastanza lontani. Era capitanato da un uomo piuttosto anziano, i cui baffi bianchi tremolavano sotto la luce della luna.
“Papà” mormorò sorpresa Angie, portandosi una mano alla bocca. L’annunciatore le rivolse uno sguardo torvo. Fece un piccolo colpo di tosse e con aria appena sufficiente annunciò: “Entri la difesa”.
Due spettri comparvero al suo fianco: un uomo e una donna. Erano entrambi anziani, e sdentati. L’uomo aveva un enorme pancione, e sorrideva in modo ebete tutto intorno. Il suo volto ispirava tenerezza e comprensione, e Angie non si sorprese che fosse stato uno degli unici a difenderla. Guardandolo meglio si rese conto che aveva dei tratti fin troppo familiari.
“Nonno Palestro!” esclamò di colpo, ricordando improvvisamente. Lo spettro si voltò verso di lei, e annuì sorridendo. Lo spirito della donna anziana si avvicinò con fare materno, e cominciò a cercare di tirarle la guancia, senza però riuscirci. La mano infatti sprofondava nella pelle, e dava alla donna una sensazione di gelo sgradevole. “E nonna Tirenia” aggiunse con un leggero tremolio nella voce.
“Ma come è diventata dolce e bella la mia nipote!” esordì l’anziana sogghignando con aria svampita.
L’annunciatore fece infine entrare la giuria, composta da sei dei suoi antenati, alcuni dei quali Angie non riconobbe. Essi si disposero in cerchio intorno ad Aliante, attendendo un suo ordine. Due di essi li conosceva molto bene grazie ai racconti del padre: quello al lato sinistro che si teneva la testa mozzata tra le mani, infatti, era un suo lontano prozio che venne sbranato da un’idra. Quello alla destra invece era zuppo dalla testa ai piedi, e i capelli scuri erano appiccicati sulla fronte. Tirava su con il naso di tanto in tanto mentre goccioline trasparenti cadevano dal suo corpo svanendo nell’aria. Era ancora giovane quando finì morto annegato in un torrente. Avevano tutti un’espressione tesa e cupa, mentre Aliante la guardava dritto negli occhi. Ad Angie sembrò di vedere nelle sue pupille la forza della natura, la sua essenza selvaggia. Gli occhi scuri, resi opachi dall’alone che lo circondava, avevano un fondo verde, un fondo che sembrava non avere mai fine. Angie fu costretta a distogliere lo sguardo, per non rischiare di finirne ipnotizzata.
“Direi che possiamo cominciare” la riscosse il padre con voce atona, senza rivolgerle uno sguardo. Non sapeva come si sarebbe svolto il processo, ma sentiva che per avere qualche possibilità doveva riuscire a convincere suo padre. Aliante fece cenno di dare inizio al processo. Uno specchio comparve tra lei e l’accusa, dalla superficie liscia e argentata. La cornice era di ebano e si fondeva con la notte, per cui non era possibile vederne distintamente i dettagli, ma Angie dedusse comunque che non dovesse essere particolarmente lavorata.
“Comincio col dire che il mio legame di parentela non influirà per nulla sul mio modo di procedere. L’ho rinnegata come figlia”. La voce del padre era dura e priva di qualsiasi emozione, e Angie sentì già gli occhi farsi lucidi. “Tutto ha avuto inizio con l’arrivo dello straniero” aggiunse con disprezzo indicando lo specchio. Sagome indefinite si muovevano al suo interno, fino a prendere man mano consistenza. Angie rimase a bocca aperta a osservare e a lasciarsi trascinare dai ricordi del passato.
Un ruggito in lontananza. Il rumore dei suoi passi attutito dal fango. I capelli che ondeggiavano nel vento, accentuando la libertà di cui lei stessa era espressione in un solo sguardo. Teneva in mano l’arco ma sperava di non doverlo usare: odiava combattere, odiava anche il solo pensiero di procurare ferite o sofferenze. Slittò lungo una discesa, priva di alberi, e si ritrovò quasi tra le fauci di un drago di Palude. Aveva la pelle marrone scura, che si mimetizzava con l’ambiente, e ruggiva minaccioso. Ai suoi piedi giaceva riverso in una pozza di sangue un giovane dai capelli neri come la pece; aveva il volto sporco di fango, e la spada era a terra, lontana dal suo proprietario. L’animale era grande si e no quanto due cavalli, ma aveva un lunga coda possente. Gli occhi erano di un giallo spento, e mostrava le fauci per spaventare ulteriormente il suo avversario: non intendeva assolutamente rinunciare alla sua preda. Angie fece un balzo indietro e alzò l’arco pronta a colpire, sebbene non volesse ricorrere alla violenza. Il drago in tutta risposta alzò le zampe anteriore ed emise una voluta di fumo, tra cui si scorgevano delle scintille roventi. Era un avvertimento: ‘vattene o attacco’, questo era il significato.
“Già qui vediamo però il modo in cui Angie tiene alle creature della Palude, tanto da non volerle attaccare” esclamò Palestro, bloccando lo scorrere dei ricordi nello specchio. Un brusio di sottofondo invase la radura: chi annuiva con aria assente, e chi invece scuoteva la testa, ritenendola una prova non sufficiente. “Andiamo avanti” ordinò Aliante, indicando la superficie cristallina, che si sbloccò e riprese a mandare le immagini del passato.
La freccia ferì l’animale alla zampa, ma non era stata lei a scoccarla. Dietro Jeremias era accorso in tutta fretta, e vedendola in pericolo aveva deciso di agire.
“Tu sei pazza! Avresti potuto rimetterci la vita!” la rimproverò duramente, mentre il drago emise un gemito di dolore e mosse le ali riuscendo nel tentativo di fuga. Angie non si preoccupò minimamente del biasimo dell’amico, e corse invece ai piedi del giovane ferito. Lo scostò piano e per un momento rimase affascinata dai suoi tratti, così diversi da tutti gli uomini che aveva conosciuto fino a quel momento. Aveva i capelli sporchi di sangue, e il pallore sul volto era segno che le ferite non erano affatto superficiali.
“Dobbiamo aiutarlo” sentenziò Angie, afferrandogli un braccio, e facendo cenno a Jeremias di caricarselo.
“Dobbiamo lasciarlo qui, invece! Uno straniero nel villaggio…ti rendi conto di quello che potrebbero fargli? Sai benissimo che non sono ammessi estranei. E poi è stato uno sciocco ad avventurarsi nella Palude” sbottò il cacciatore, voltandosi dall’altra parte e incrociando le braccia.
“Pensala come vuoi, ma io senza di lui non mi muovo”.
Jeremias si voltò e lesse negli occhi dell’amica la solita determinazione di fronte a cui ormai era abituato a cedere. Sospirò e alzò le mani in segno di resa. Angie, per la contentezza, lo abbracciò con forza, e il cacciatore sorrise. Cosa non si faceva per amicizia?
Lo specchio divenne nuovamente limpido e cristallino, mentre il vociare generale degli spiriti si era fatto più intenso. Palestro stava iniziando a sudare freddo: la difesa non poteva dire nulla in quell’occasione perché Angie aveva già infranto una regola salvando lo straniero, e poco contava se aveva cercato di non ferire il drago in quell’occasione. Inoltre in vita era sempre stato un uomo buono, forse anche troppo, tanto che alcuni lo ritenevano un debole. E di fronte alle parole infervorate dell’accusa c’era ben poco da fare, per quanto stesse cercando di ridimensionare la portata degli eventi.
“Questo è stato il primo errore di mia figlia, se mai ne ho avuta una” pronunciò solennemente lo spettro del padre di Angie, provocando in lei una fitta di dolore sempre più acuta. Non solo l’aveva ripudiata in vita come figlia, ma adesso cercava anche di negarle la possibilità di rientrare a far parte del suo popolo.
“Beh, se l’errore è stato salvare una vita umana, ben venga quest’errore!” si intromise Tirenia, con aria fiera, sfiorando con la mano la spalla di Angie.
“In effetti, sebbene contro le leggi, non possiamo dire che sia stata un’azione grave. Ha semplicemente agito con umanità” disse uno della giuria, lisciandosi i folti baffi di un grigio fumoso.
“Ma non è finita qui!” ribatté adirato il padre, indicando nuovamente lo specchio e ricercando l’assenso di Aliante, che annuì grave. “Andiamo avanti, e capirete quanto Angie sia stata ingrata nei confronti della gente con cui è cresciuta”.
la Palude
“Vai a vedere se si è ripreso, Angie”. Una voce proveniente dalle stanze adiacenti lo colse di sorpresa, e sentì un rumore di passi nella sua direzione. Finse di dormire, fino a quando non avvertì la presunta Angie nella sua stessa stanza. Ne percepiva la presenza, sentiva il suo respiro regolare. Una candida mano gli sfiorò la guancia, e non aspettandosi una cosa del genere, Pablo sobbalzò finendo seduto sul letto, mentre una giovane ragazza fece un salto indietro, spaventata.
“Io…scusa, non volevo svegliarti”. Aveva una voce dolce e melodiosa, e si trovò a desiderare di sentirla parlare ancora.
“Non preoccuparti…ma avvicinati, non riesco nemmeno a vederti in mezzo a questo buio. A chi devo la mia vita?”. La giovane fece qualche passo in avanti, e Pablo venne subito colpito da quegli occhi limpidi e chiari, massima espressione di bellezza e sincerità. Non credeva nelle creature celesti, ma in quel momento avrebbe cambiato rapidamente idea se gli venisse detto. Angie piegò la testa di lato, curiosa, mentre una cascata di morbidi capelli dorati le sfiorava la spalla. Di fronte al suo sgomento le scappò un sorriso che represse subito, abbassando lo sguardo.
“Mi chiamo Angie…ma non sono stata io a salvarti, è stato un mio caro amico, il suo nome è Jeremias”. Pablo annuì, cercando di tirarsi su, ma i muscoli indolenziti glielo impedivano. Si tastò la fronte e scoprì che era stata fasciata. Angie si sedette al suo fianco, fermandolo. “E’ meglio che non ti alzi”. Con il suo solo tocco Pablo si sentì completamente vinto, e si lasciò guidare nuovamente verso il basso finché i suoi occhi non finirono per puntare al soffitto. Angie continuava a guardarlo come si guarda  una nuova specie appena scoperta.
“Sono così interessante?” domandò ridendo, cercando di accomodarsi meglio sul giaciglio.
“Più che interessante…strano” rispose Angie, lasciandosi sfuggire un altro sorriso. Come riusciva quell’uomo a farle perdere il controllo delle sue emozioni? Non era in grado di nasconderle,, sebbene lo conoscesse appena, e non sapeva spiegarsi il perché. L’uomo rimase perplesso di fronte a quella risposta schietta, e si incantò nuovamente a guardarla negli occhi.
“E tu sei molto bella” si lasciò scappare. Angie sollevò il capo stupefatta, e Pablo si affrettò a distogliere lo sguardo, rendendosi conto di averla messa ulteriormente in imbarazzo con le sue stupide parole. “Volevo dire…sei stata molto gentile ad aiutarmi a rimettermi. Oggi stesso partirò così da non creare problemi. Devo raggiungere il villaggio della Palude”. Angie scoppiò a ridere, una risata che lo prese completamente.
“Beh, non dovrai viaggiare più di tanto. Sei nel posto giusto” disse sibillina, rialzandosi in piedi. Stava per uscire dalla stanza, quando si voltò proprio sulla soglia. “Non so il tuo nome”.
“Pablo. Mi chiamo Pablo”.
Il vento soffiò sul gruppo nella radura, e lo stesso Aliante bloccò il flusso di ricordi per permettere ad accusa e difesa di analizzarli e usarli a loro favore.
“Beh, c’è da dire che la ragazza ha mostrato parecchio interesse” borbottò l’uomo che reggeva in mano la propria testa. Vi furono alcuni consensi vari.
“E’ ovvio che ci sia stato interesse visto che alla fine l’ha sposato” ribatté Tirenia, dando una gomitata al marito, nonché compagno nella difesa, affinché intervenisse.
“Ma non ha nemmeno tentato di porre un limite a tutto ciò!” commentò sprezzante il padre di Angie.
“No, qui vi sbagliate!”. Angie era intervenuta, e non staccava lo sguardo dal padre, che ricambiava furente. “Io…ci ho provato”. Un risucchio alla sua destra la fece voltare. Il paesaggio dentro lo specchio era cambiato, ma le immagini avevano ripreso a muoversi.
Era convinta di odiarlo. Dopo qualche giorno la sua curiosità si era forse trasformata in disprezzo? Probabilmente. Ma quell’uomo faceva davvero di tutto per farla uscire di nervi. Era così pieno di sé, era convinto che tutto gli fosse dovuto, e non faceva che guardarli con aria di superiorità, sicuro che a mala pena loro fossero in grado di leggere e scrivere. Li considerava dei primitivi, e sebbene tutti cercassero di portare rispetto a quello che si scoprì essere il figlio di un Re, lei era sempre stata schietta e sincera, e mai avrebbe potuto fingere qualcosa che non sentiva in nessun modo.
Quel giorno Pablo era riuscito a ottenere un colloquio con gli anziani. Angie stava cercando di origliare nei pressi dell’edificio dove si svolgevano gli incontri, quando lo vide uscire a passo svelto, a dir poco infuriato, dopo aver lanciato un’occhiata omicida dietro di sé.
“Maledetti trogloditi” borbottò tra i denti, senza nemmeno curarsi della presenza della ragazza. Due scelte si presentavano di fronte a lei: ignorarlo, e non sarebbe stato difficile visto quanta poca considerazione aveva di quello straniero, o seguirlo. Ma perché avrebbe dovuto corrergli dietro? Perché parte di lei si perdeva in quegli occhi scuri, che le nascondevano la sua anima. Angie era sempre stata brava a giudicare le persone, non le sfuggiva mai nulla, eppure quel principe per lei rimaneva un grande punto interrogativo. Forse per quello lo detestava? Perché era l’unica persona di cui non riusciva a farsi un’idea precisa?
“Certo, disprezzarlo!” commentò duramente il padre di Angie, senza nemmeno guardarla negli occhi. “Sappiamo tutti che dietro si nascondeva ben altro”.
“Qualcosa di cui la giovane non era consapevole! E non si può certo incolparla di essersi innamorata, anche se della persona sbagliata” disse Tirenia, mentre Palestro assisteva inerme a quella discussione, non sapendo in che modo sostenere la moglie.
“Comunque sia finora la suddetta imputata non ha agito male” disse l’ombra della giuria, morta per affogamento, dopo aver starnutito vigorosamente.
“Non possiamo certo giudicare qualcosa del genere…” rincarò la dose una donna giovane alla sua sinistra. Aliante alzò il palmo della mano, ottenendo il più assoluto silenzio. Indicò nuovamente la superficie, e i ricordi ripresero, inesorabili, ricordi per cui Angie al solo rivivere sentiva una stretta allo stomaco.
Poco fuori dal villaggio il bosco, prima di farsi nuovamente folto, aveva un sentiero scosceso completamente in salita, che portava in cima ad una collinetta. Angie osservò le impronte degli stivali di Pablo che conducevano proprio da quella parte. I suoi piedi avevano deciso per lei, e senza perdere nemmeno un secondo cominciò a percorrere la stradina fino in cima. Giunta fin lì, seduto di spalle, con le braccia intorno alle ginocchia, il giovane uomo osservava il tramonto che pian piano faceva sprofondare l’intera Palude nel crepuscolo. Solo in quel momento si rese conto che non sapeva cosa dire. Fece per tornare indietro, quando sentì la voce di Pablo dietro di lei.
“Puoi rimanere. Non ho alcun problema”. Sempre quel tono arrogante. Come le dava su i nervi.
“Forse non voglio rimanere” rispose lei, alzando il mento con fare orgoglioso.
“E allora non rimanere” concluse Pablo semplicemente, scrollando le spalle.
Angie sbuffò, e pur di non dargli quella soddisfazione, tornò indietro sui suoi passi, e si sedette al suo fianco. Gli occhi Pablo brillavano lucidi, neri come non mai, in contrasto con il chiarore del tramonto.
“Come avrai capito non è andata proprio come prevedevo…” esordì senza guardarla.
“Non tutto può sempre andare come vogliamo” lo riprese severa Angie.
“Ho sempre pensato di poter ottenere quello che desideravo. Fin da piccolo sono stato abituato così. Ma adesso mi sento solo…inutile”. Sospirò, e i due rimasero a contemplare il panorama, che veniva inghiottito dalla sera.
“Perché invece non provi ad imparare da questo fallimento?”
“Perché non posso fallire. Mio padre ha grandi aspettative su di me” ribatté Pablo, come se la ritenesse la cosa più ovvia del mondo. Angie tacque: quella situazione le ricordava il rapporto con suo padre, davvero simile sotto molti punti di vista. La scrutò assorto, e in quel momento Angie avrebbe pagato tutto l’oro del mondo, e forse anche di più, per sapere cosa stesse pensando. Scosse lievemente la testa, dandosi della sciocca: che cosa avrebbe mai potuto leggere in quella testa, se non arroganza e presunzione?
“Secondo me siamo molto simili, anche se non credo di stare tra le tue simpatie. O forse è proprio per questo” riprese lui con un sorrisetto beffardo. Angie scoppiò in una risata fredda, cercando di sviare completamente i suoi sospetti. Lei stessa l’aveva pensato, ma non voleva assolutamente dargli ragione, piuttosto si sarebbe tagliata la lingua.
Pablo poggiò la mano sulla sua, e improvvisamente diventò rossa, senza riuscire a comprendere il perché. Un senso di protezione e sicurezza inondò il suo corpo con impeto, ed era bastato solamente quel contatto.
“Non negare che in fondo provi un certo interesse per me. Io non lo nego” disse, avvicinandosi di poco. Avrebbe voluto allontanarlo, ma qualcosa glielo impediva, e con stupore si rese conto che proprio il suo cuore, su cui aveva sempre fatto affidamento, aveva imposto quel divieto. Abbassò meccanicamente lo sguardo, ritrovandosi a fissare il collo del principe. Avvertì il fiato sulla sua bocca. Aveva un profumo delicato, così diverso dagli odori a cui era abituata, intensi e selvaggi. Forse fu proprio quello a farle abbassare per un secondo le difese, e quando sentì le labbra di Pablo premere sulle sue, non si mosse. Non rispose al bacio, ma neppure lo respinse. Il mondo si era completamente capovolto, o almeno il suo, e quel bacio era stato la ruota motrice di quella rivoluzione. Con esso giunse anche la confusione più totale. Era convinta di non sopportarlo, ma era davvero così? Forse aveva ragione Pablo, forse pensava di odiarlo solo perché entrambi erano simili, e le differenze sociali, di razza, non erano nulla in confronto al legame che la vita aveva imposto su di loro. Pablo gli prese il viso tra le mani, continuando a baciarla con delicatezza, quasi temesse di farle del male, quindi si separò e aprì gli occhi, tenuti chiusi. Angie anche riaprì i suoi, e improvvisamente le pupille di Pablo le apparvero più chiare. Tutta quell’oscurità per lei era diventata luce, era come se adesso avesse imparato a conoscerlo e quello che vedeva le piaceva fin troppo. I difetti improvvisamente non significavano più nulla, e anzi si rese conto che si completavano con i suoi. Pablo si avvicinò nuovamente, e le lasciò un dolce bacio. Fu solo un tocco leggero, che accese in entrambi un fuoco tenuto spento. Si lasciarono andare ad un nuovo bacio più intenso degli altri due, e questa volta Angie rispose con fin troppa passione, lasciando sorpreso perfino il giovane. Lo allontanò poi di colpo, mordendosi il labbro inferiore. Non poteva. Tradire il suo popolo, solo per quella che era sicura essere una semplice infatuazione momentanea. Aveva dei doveri nei confronti della sua famiglia, che l’aveva allevata fin da piccola.
“Angie…” sussurrò, facendosi improvvisamente serio. Il sorriso che l’aveva accompagnato durante tutti quei baci, quei momenti di intima dolcezza, era svanito nel nulla, ed era rimasta unicamente la preoccupazione.
“Devo andare” disse Angie, senza guardarlo più negli occhi. Facendo leva sulle braccia si alzò in tutta fretta. Non si voltò neppure quando la chiamò di nuovo. Voleva solo dimenticare quel bacio, voleva dimenticare quegli occhi che l’avevano rapita per un magico istante. Ma dimenticare non sembrava essere una possibilità che il destino intendesse offrirle.
“Ahhhh, ma quanta dolcezza!” sospirò Palestro, congiungendo le mani, mentre gli occhi grigiastri si fecero sempre più opachi. Si era addirittura commosso nel vedere quella scena! Angie cercò con lo sguardo Tirenia, ma si rese conto che anche lei emetteva sospiri, con sguardo languido. Una difesa ben poco utile, pensò, portandosi una mano sulla fronte, afflitta.
“E non è finita qui, signori della giuria”. Il padre conduceva la causa con estrema abilità, e tutti erano catturati dalle sue parole. Le cose si mettevano sempre peggio; anche quelli che inizialmente tentennavano stavano prendendo posizione, e qualcosa le diceva che non era esattamente a suo favore.
“Tu lo ami! Non c’è davvero niente di difficile da capire, Angie” esclamò Jeremias, seduto ai piedi del letto dove lei era stesa a singhiozzare a pancia in giù. Erano passati alcuni giorni da quel bacio, giorni in cui aveva fatto di tutto per non doverlo vedere. Il peso della colpa gravava sulle sue spalle, e non aveva osato riferire a nessuno di quello che era successo, tranne che al suo amico più stretto ovviamente. Quest’ultimo, dopo aver analizzato attentamente la situazione, aveva raggiunto quella conclusione, che non la faceva certo stare meglio. Quel giorno Pablo sarebbe partito. Aveva portato a termine il suo compito, fallendo, e doveva tornare dal padre per riferirgli gli esiti della missione. Non l’avrebbe rivisto mai più. Mai più. Quelle due parole la torturavano lentamente, quasi godendo del dolore che le procuravano.
“Come fai a dirlo?” chiese infine con un fil di voce, tirandosi su e sedendosi al fianco dell’amico, che la guardava con dolcezza. “Lo leggo nei tuoi occhi” rispose semplicemente. Poggiò la mano sulla sua, e la strinse con forza, per poi avvicinarla alla sua bocca e lasciarvi un tiepido bacio.
“Ricorda che ti conosco come nessun altro. Anzi…ricordati di me e basta”.
“Certo che lo faccio…dove pensi che vada?” ribatté la donna scherzando.
“Devi andare con lui. Non è questo il tuo posto, non lo è mai stato”. Angie sgranò gli occhi, scuotendo la testa. “Vai a parlare con gli anziani. Digli che vuoi lasciare il villaggio  e raggiungi Pablo, a quest’ora si starà preparando; sei ancora in tempo” spiegò in fretta l’amico, sentendola rabbrividire per la paura. Non aveva il coraggio sufficiente, non poteva farlo.
“Sei abbastanza forte per farlo, Angie” la incoraggio Jeremias, come se fosse capace di leggerle i pensieri.
“Dopo questo commovente siparietto, Angie Saramego non ci ha pensato due volte. E’ venuta da me e dagli altri saggi, e ha rinunciato alla sua posizione…” osservò sprezzante lo spirito del padre. 
“Papà, smettila di trattarmi come un’estranea, smettila!” esplose infine Angie. Si alzò addirittura dal trono e si diresse verso l’accusa senza alcun timore. Si mise di fronte allo spirito, e lo guardò negli occhi.
“Non osare chiamarmi con quel nome!” tuonò l’altro, alzando le mano e creando una parete cristallina che la scaraventò a terra. “Caius Saramego! Per te sono solo questo”.
Caius Saramego. L’aveva guardato negli occhi e gli aveva detto che voleva lasciare il villaggio. Le avevano chiesto perché, e di essere sincera nella risposta. Non riuscì a sostenere il suo sguardo quando rispose che aveva scoperto di nutrire un profondo sentimento per lo straniero.
Vattene e non tornare più, quello le aveva detto il padre, e lei con le lacrime agli occhi era fuggita. Gli anziani le si erano rivolti con disprezzo, e l’avevano fatta sentire contaminata. Poteva un sentimento così puro come l’amore farla stare tanto male?E mentre correva il suo corpo fremeva dal desiderio di un abbraccio di Pablo. Si era resa conto di non averlo mai potuto provare. Le si era sottratta per codardia, ma adesso aveva bisogno di lui. Ora che aveva rinunciato a tutto per lui. Mentre lo cercava fu colta dal terrore: e se non l’avesse trovato? No, ce l’avrebbe fatta. Se si fosse sbagliata? Se Pablo dopo poco si fosse stancato di lei? Che scelta avventata era stata la sua! Aveva ceduto di fronte alle parole di Jeremias, e si era lasciata guidare dal cuore, ma indietro non sarebbe potuta più tornare. Il suo futuro era unicamente nelle mani dell’uomo per cui aveva abbandonato tutto.
Superò di corsa il ponte di legno, mentre le guardie la scrutavano in modo strano. Che già sapessero? No, nessuno sapeva. Leggeva nei loro sguardi giudizi sprezzanti che ancora non potevano esserci. Ancora.
Poteva vedere la sua figura allontanarsi, mentre teneva per le redini un cavallo che gli era stato donato per il viaggio. “Pablo!” urlò. Nessuna risposta. Forse non l’aveva sentita. Corse sempre più veloce, quasi le sembrava di sfiorare appena l’erba sul terreno. Lo sforzo era massimo, così come il suo desiderio  di raggiungerlo. “Pablo!”.
Il ragazzo si fermò di spalle, inclinando leggermente la testa di lato, e aspettò che lei lo raggiungesse.
“Pablo…”. Improvvisamente il vigore con cui prima l’aveva chiamato si era spento, ed era diventato una flebile supplica.
Il giovane si voltò di scatto e le afferrò il polso. “Che cosa vuoi da me?” sibilò, lasciando trasparire un velo di confusione in mezzo a tutto quell’orgoglio. “Dopo quello che è successo ti ho cercato continuamente, ma mi evitavi. Pensavo non volessi saperne di me…e invece eccoti corrermi incontro. A che gioco stai giocando, Angie?”.
“Ho solo avuto paura”.
“Paura di che? Di affezionarti a me? Paura che ti facessi del male? Che razza di mostro pensi che io sia?Angie, guardami negli occhi e dimmi cosa vedi”. Angie obbedì, e rimase a fissare gli occhi scuri del principe, che scintillavano ammalianti.
“Vedo un uomo…”.
“Esatto! Vedi un uomo. E io in te vedo una donna, non vedo il membro di un popolo rintanato nelle sue tradizioni, in una Palude lontana dal mondo. Ciò che ci lega è al di fuori di dove viviamo, e di chi siamo”.
“Che cosa ci lega, Pablo?” domandò con un filo di voce Angie. Come scosso da quella domanda l’altro lasciò la presa sul suo polso, e si passò una mano tra i capelli, spettinandoli. Era nervoso, spiazzato, o forse semplicemente non sapeva rispondere.
“Io so cosa mi lega a te. Sei qualcosa a cui non posso rinunciare” mormorò, prendendo coraggio e avvicinandosi. Le sfiorò le braccia con le mani, ma poi subito si tirò indietro.
“Anche tu lo sei per me”.
“Non ti credo, dimostralo”. Pablo era sospettoso, e in effetti non aveva tutti i torti. Tutti quei giorni in cui lui l’aveva cercata e in cui le si era negata rintanandosi nella sua casa non erano affatto rassicuranti, e per nulla facili da dimenticare.
“Ho abbandonato tutto per seguirti” rispose Angie con sicurezza, perdendosi nell’espressione stupefatta del principe. Prima che potesse rispondere, si fiondò tra le sue braccia, e gli stampò un bacio sulle labbra. Lo sentì stringerla forte a sé, mentre ricambiava  quel bacio con ardore.
“Sei stata molto coraggiosa, o forse molto stupida. O entrambe” disse Pablo con dolcezza lasciandole un bacio sulla guancia, e abbracciandola.
Mai come in quel momento si rese conto di quanto le parole di Pablo fossero vere. Era stata davvero coraggiosa e allo stesso tempo stupida nel sottoporsi a quel giudizio. Affondò le mani nel terreno, e si rialzò barcollando per poi tornare da Palestro e Tirenia.
“Non intendo negare le mie colpe” iniziò, alzando le braccia per attirare l’attenzione. Gli occhi di Aliante erano fissi su di lei, mettendola in soggezione. “Ma continuo a credere che non possano essere ritenute tali. Ho agito d’impulso, forse è vero, ma non mi si può accusare di ingratitudine nei confronti di coloro che mi hanno cresciuta”. A quelle parole rivolse uno sguardo carico di sfida al padre. “E credo di avere il diritto di rientrare a far parte di un popolo che non ho mai voluto abbandonare”. Palestro cercò di imitare un applauso goffamente, perché le sue mani si incrociavano senza produrre alcun rumore, mentre la giuria bisbigliava.
Aliante rivolse lo sguardo a Caius, che scosse il capo. “Non ho nulla da aggiungere”.
Le sei anime della giuria raccolsero da terra una foglia argentata, del mondo degli spiriti, e si fecero lentamente avanti. La prima depose la fogli ai piedi di Caius. Un voto a suo favore. Angie strinse i pugni. L’uomo dalla testa mozzata invece venne verso di lei, e lasciò cadere la sua foglia. La testa le fece un occhiolino e poi si diresse insieme al corpo di nuovo vicino ad Aliante. Uno pari. Caius ottenne il voto del ragazzo che era annegato, mentre Angie con molta sorpresa ricevette quello della donna, che eppure durante tutto il processo sembrava averla squadrata con aria tutt’altro che amichevole. Il penultimo voto andò al padre, e l’ultimo a lei. Avevano pareggiato. La giuria sembrava essere divisa in due, e quindi il verdetto finale spettava ad Aliante. Lo spirito si alzò, e con lui soffiò un vento innaturale. Tutto intorno vorticava, ed Angie era ipnotizzata da quegli occhi che sembravano celare dietro di sé l’infinito.
“Io, Aliante…”. La voce era possente, pari a quella di un Dio. “Protettore di questa Palude”. Tutt’intorno le anime abbassarono il capo come atto reverenziale. “Ti dichiaro indegna di tornare a far parte del tuo popolo”. Quelle parole ebbero l’effetto di un macigno. Aveva fallito. Alzò lo sguardo supplicante, ma ormai Aliante si era voltato dall’altra parte.
Nulla, il suo viaggio non era servito a nulla. Le gambe cedettero di colpo, e gli occhi si spensero, privi di vita. Le voci rimbombavano nella sua testa, le grida di Andres, Libi, e tutti gli altri. Libi…si era affezionata davvero a quella ragazza, per lei era diventata come una seconda figlia. Il pensiero di non poter fare più nulla la tormentava. Insieme al dolore cresceva di pari passo l’ira: come potevano essere così indifferenti di fronte a una richiesta d’aiuto?
“Siete dei mostri! Lì fuori c’è una guerra, e voi pensate solo a preservare qualcosa che con il tempo dovrà morire da sé!” strillò fuori di sé. Il padre le rivolse uno sguardo di sufficienza prima di svanire nel nulla. Tutti scomparvero uno ad uno. Tirenia non aveva nascosto le sue lacrime, e Palestro cercava di consolarla con un abbraccio. Furono gli ultimi a sparire. “Grazie comunque” gli disse Angie rivolgendogli un sorriso in cui però non c’era alcuna gioia. Non dimenticava che erano stati gli unici ad offrirsi di difenderla, nonostante non fosse servito a nulla. I due la guardarono: la compassione che provavano per lei era enorme, così come il vuoto che sentiva dentro. Impresse nella mente i loro sguardi, l’amore che li univa anche dopo la morte, la loro gentilezza e bontà, e si disse che forse non tutti erano da condannare. Le voci insistevano, il mondo crollava, e lei non se ne rendeva conto. Sentì una voce in lontananza, e due braccia sorreggerla, mentre gli occhi le si chiudevano di colpo. Aveva freddo, tanto freddo. E sonno.
“Angie…Angie!”. Quella voce era l’unica per la quale volesse ancora vivere.
“Pablo…” sussurrò, prima di cadere in un sonno profondo. 










NOTA AUTORE: Metto subito avanti le mani perchè sto male in questi giorni e non so bene che cosa è uscito fuori, davvero...Tra parentesi non posso rimanere troppo a commentare il capitolo. Comunque alla fine Angie sostiene questo benedetto processo, e nonostante le cose sembravano essersi quasi aggiustate, e avesse convinto metà della giuria, alla fine il verdetto di Aliante è definitivo, e non le viene concesso il diritto di tornare a far parte del suo popolo. Arrabbiata, ferita e distrutta la povera Angie perde i sensi, ma qualcuno corre in suo aiuto, e si tratta proprio di Pablo :3 Ma come l'ha raggiunta? E come Angie spiegherà la situazione? Pablo se la sarà presa per essere partita senza dire nulla? Lo scopriremo nel prossimo capitolo! :3
Grazie a tutti voi che leggete/seguite/recensite, davvero, mi fa tantissimo piacere, e sapere che questa storia particolare vi prenda per me è uno stimolo ulteriore a continuare :3 Grazie davvero di tutto, e alla prossima :D Saluti, 
syontai :D 
  
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