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Autore: Sad Angel    07/08/2008    1 recensioni
Per questa fanfiction ho pensato: e se...Bill fosse figlio unico? Se non avesse nessun gemello al suo fianco? Forse le cose sarebbero un pò diverse...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Einziger

Hallooooo, Leute!!!! Il penultimo capitolo!!! Kyaaaaaaa!!!! Ce la sto facendo!!! Evviva!!! Ora corro a fare la valigia, poi termino l’ultimo capitolo e lo posto! Viel dank!!!

Per Nicegirl: Halloooo!!! Non dovrai aspettare, lunedì…sei contenta?!? Mi dispiace solo un po’ perché so che siamo alla fine…io ho fatto del mio meglio…spero ti piaccia!!! Baci

 

Einzigerachtzehn

 

“BILLIE!”

Quando mia mamma mi chiamò quel lunedì mattina, svegliandomi, ebbi l’impressione di essermi sdraiato meno di un minuto prima.

Non sentendomi rispondere, lei, come di norma, entrò nella mia stanza, la voce imperiosa “Bill! La scuola! Possibile, ogni mattina, la stessa storia…?!?

Le voltai le spalle, stringendo il cuscino intorno al capo, tappandomi le orecchie. Lasciami dormire, allora…, pensai, un po’ infastidito.

Mia mamma agguantò la coperta, uscendo dalla stanza, per finire di prepararsi. “Muoviti! Non fare aspettare i tuoi amici…”

Mi stropicciai gli occhi, ancora mezzo addormentato, poi appoggiai i piedi nudi sul pavimento, correndo in bagno. Un’altra giornata era iniziata.

 

La giacca aperta, corsi giù per le scale. Uscendo dal portone, l’aria fredda del mattino mi colpì in viso, svegliandomi. Tom, in sella alla bici, sorrise.

Hallooo!” salutai io, pieno di energia.

Lui rise. “Quanto entusiasmo, stamattina!”

Mi guardai un secondo intorno, poi mi avvicinai ma senza sedermi subito sulla bici dietro di lui. Iniziammo a chiacchierare. Ogni tanto spostavo lo sguardo attorno o sull’orologio che il mio amico portava al polso sinistro.

Il tempo passava. Sbuffai.

“Ma dov’è?!?” domandai ad un certo punto, spazientito. Odiavo aspettare, soprattutto quando sapevo che sarebbe stata una giornata importante. Per la prima volta, infatti, avrei cantato con la band. Pieno di energia, incapace quasi di stare fermo, non vedevo l’ora di iniziare.

“Allora Gustav non scherzava quando ci ha messo in guardia sulla sua puntualità…” commentò Tom.

Scoppiai a ridere. L’idea di noi due, famosi per essere costantemente in ritardo, che ci lamentavamo per quello di un nostro amico, era a dir poco comica. Quando glielo feci notare, anche Tom rise.

“E va beh!” continuò lui, il sorriso ancora sulle labbra “Noi almeno quando c’è da divertirsi siamo sempre puntuali…Lui, a quanto pare, non fa eccezioni…”

Alzando un sopracciglio, sorridendo, aggiunsi con voce sarcastica “Beh…Di certo non si può dire che non sia coerente fino in fondo alla sua filosofia di vita…”

Ci scambiammo un rapido sguardo, scoppiando a ridere.

 

“BIN HIER!”

Georg, da diversi metri di distanza, urlando, ci informò del suo arrivo, i lunghi capelli castani scompigliati dal vento, lo zaino cascante da una parte, la custodia del basso, ancorata saldamente alla bici. Io e Tom ci scambiammo un’altra occhiata e poi ricominciammo a ridere.

“Sono qui!” ripeté lui, frenando all’ultimo istante, a poca distanza da Tom che, dal canto suo, non fece nemmeno una piega. Io invece, istintivamente, avevo puntato i piedi.

“Ce ne siamo accorti!” iniziò subito mio ‘fratello maggiore’ “Anzi, credo che tutto il quartiere se ne sia accorto…Per caso…hai iniziato ad annunciare il tuo imminente arrivo non appena uscito di casa?!?” concluse, prendendolo in giro.

Georg, ovviamente, rise “Effettivamente…se devo essere sincero…Si!” si girò a guardarmi un secondo, facendomi un cenno con la mano, sorrise, prima di continuare “Non lo sai che si usa così tra persone di una certa importanza…?!?

Sul volto di Tom apparve il suo sorriso accattivante “Da domani mattina allora annuncerò il mio arrivo non appena mi sarò svegliato…” mi strizzò l’occhio. Io sorrisi.

“Andiamo, allora? Siamo in ritardo!!!” aggiunse Georg, un attimo dopo.

Io e Tom ci guardammo in volto, allibiti, poi spostammo lo sguardo su di lui “Ehy!” esclamò subito il bassista, interpretando correttamente il nostro sguardo “Che c’è?!? Non si può nemmeno più scherzare?!?” Ricominciò a ridere.

Alzai gli occhi al cielo, un secondo, mentre Tom, sorridendo, scuoteva la testa, entrambi senza parole. Infine salii sulla bici, incastrando la custodia della chitarra nel ristretto spazio tra noi.

Tom iniziò a pedalare, muovendo veloce le gambe. Sfrecciando per strada, le mani sulla sua schiena, mi voltai a sorridere a Georg che, a breve distanza, fece altrettanto.

 

Driiin.

Tom gettò lo zaino per terra nell’aula di musica. “Cavolo, Georg!” esclamò “E’ già l’intervallo…Aveva ragione Gustav a definirti un professionista del ritardo…”

Georg, appoggiò su un banco la custodia del basso “Lo prenderò come un complimento…” rispose, stando al gioco.

Mi lanciai sul mio solito banco, saltellando, pieno di entusiasmo, persino in quella posizione mentre li osservavo preparare gli strumenti. “Siete pronti?!?” domandai impaziente, inserendomi nel discorso.

“Oh, Gott!” ricominciò a scherzare Georg “Pure il cantante iperattivo ci mancava! Quanti caffè hai bevuto stamattina…?!?”

Risi, continuando a dondolarmi “Neanche uno!” risposi sorridendo “Sono così al naturale!” esclamai poi con voce allegra.

Tom e Georg sorrisero, prendendo i peltri.

“Muovetevi!!!” continuai io, prima di ricominciare a ridere, contento.

Tlack.

La porta si aprì, Gustav entrò sorridendo. Gettò un’occhiata a Tom e Georg, notando che non erano ancora pronti. Spostò lo sguardo su di me, io annui. Sorrise.

Lo seguii con lo sguardo mentre si sedeva alla batteria e afferrava saldamente le bacchette.

“Ci siamo?!?” esclamai ancora, continuando a saltellare.

Tom e Georg annuirono, sorridendo rassegnati.

“Solo un secondo…” Gustav parlò all’improvviso. Noi tre ci voltammo verso di lui, esterrefatti. “…Ho una cosa per voi…” spiegò, estraendo un sacchetto di plastica da dietro la batteria. “…Bill…”

 Lo fissai, gli occhi sgranati, battendo le mani. Un istante. Saltai giù dal banco, avvicinandomi per prendere il sacchetto che mi tendeva, sorridendo.

Danke!” esclamai allegro, ancor prima di guardare il contenuto.

“Quello rosso è per te, Bill…” disse, mentre io Infilavo la mano ed estraevo un aeroplano giocattolo. Sul fondo del sacchetto, altri tre, identici, ma di colori diversi. Appoggiai il mio aeroplano sul tavolo, riprendendo il sacchetto per distribuire gli altri.

“Quello blue per Tom…e il verde per Georg…”

Mi avvicinai ai miei amici, consegnandoli. Entrambi sorrisero come due bambini.

“Sei pronto alla grande sfida?!?” domandò subito Georg, gettando un’occhiata complice a Tom.

“Ovvio…ma non illuderti di riuscire a battermi…” concluse subito l’altro.

Sorrisi, riportando l’ultimo aeroplano, quello nero, a Gustav, pronto con un altro sacchetto in mano. Lo aprii. Sul fondo, i telecomandi.

 

Dopo averne spiegato il significato, mossi la mano come avevo imparato nel sogno. Subito  i miei amici iniziarono a suonare. Chiusi gli occhi, il sorriso sulle labbra.

 

Finito l’intervallo, Gustav ci salutò, tornando in classe. Mi avvicinai alla finestra, spalancandola poi mi sedetti imitando gli altri. Iniziammo a chiacchierare, giocherellando con gli aeroplani, facendoli volare per la stanza.

“Del cioccolato, ragazzi?” domandò Tom, porgendo una tavoletta a Georg. Il ragazzo dagli occhi verdi sorrise, prendendone un pezzo, prima di richiudere la confezione e lanciarla a me.

Slanciandomi in avanti per afferrarla, colpii involontariamente il telecomando che avevo appoggiato sul banco. L’aeroplano volò fuori dalla finestra aperta.

Neeeein!” mi lamentai immediatamente, correndo alla finestra.

Arrampicandomi sul tavolo, osservai di fuori.

“Si è rotto?” domandò Tom, spezzando un altro pezzo di cioccolato.

“Sembrerebbe di no! E’ atterrato su un cumulo di foglie nel bel mezzo del cortile…” risposi io, saltando giù dal banco, correndo alla porta “Vado a riprenderlo, torno subito!”

 

Correndo per i corridoi semivuoti, uscii dal portone, raggiungendo il cortile. Smisi di correre, iniziando a camminare. Non sapendo di preciso dove fosse caduto, non volevo rischiare di non trovarlo per sbaglio.

Voltai l’angolo. Lo vidi.

Schlange alzò lo sguardo su di me. Sorrise maligno. Il mio aeroplano in mano. Rise.

“E’ tuo non è vero, carina?!?

Deglutii, immobile.

Osservando il giocattolo, lui mosse un paio di passi verso di me.

“Non sai che dovresti giocare con le bambole?!? I ragazzi potrebbero farsi delle strane idee su di te…”

Continuai ad ascoltarlo in silenzio, lo sguardo fisso sull’aeroplano tra le sue mani.

“Forse…se lo distruggessi…avresti le idee un po’ più chiare…” concluse, fermandosi ad un passo da me, il ghigno riapparve sul suo volto.

Impallidii poi sentii il volto irrigidirsi, gli occhi incominciavano a bruciarmi per le lacrime di rabbia.

“Dammi l’aereo…” mormorai, fissandolo in volto.

Lui rise, schernendomi. “Lo vuoi, carina?!? Perché non te lo prendi allora…?!? In fondo ti faccio solo un favore…” disse, sollevandolo in aria, fuori dalla mia portata “Una volta rotto, non avrai più dubbi sulla tua femminilità e potrai ricominciare a portare quelle belle gonnelline di pizzo che ti metteva la mamma quando eri piccola…”

Deglutii. Le mani mi pulsavano. Presi un bel respiro, cercando di restare calmo.

“Stai zitto…” sibilai tra i denti.

Che c’è, carina?!? La verità fa male?!?” domandò, sporgendosi un secondo in avanti, cercando di afferrarmi il mento con una mano. Di riflesso, lo colpii, evitando che ci riuscisse. I suoi occhi si strinsero.

“Le brave bambine non si comportano così…” ricominciò a schernirmi lui, giocherellando con il mio aereo “Avrai difficoltà a trovare marito, se non cambi atteggiamento e tua mamma piangerà perché non potrà vedere la sua bambina con l’abito bianco…”

Piantala di dire scemenze!” sbottai io, perdendo il controllo.

Rise. “E’ inutile che rispondi così…tanto, qualsiasi cosa tu dica, si vede lontano un miglio che sei una bambina…Una bella bambina che, credendosi già grande, ruba il trucco alla sua mamma…”

Tremai, le lacrime tornarono ad irritarmi gli occhi. Deglutii, cercando di ricacciarle indietro.

Bruder!”

All’improvviso, la voce di Tom alle mie spalle.

Schlange spostò lo sguardo da me, un secondo, curioso. Senza pensare, scattai in avanti, pestandogli con forza un piede. Lui urlò ed io ne approfittai per strappargli l’aeroplano di mano. Mi allontanai di qualche passo. Deglutii.

“Ragazzina stupida…” borbottò Schlange, piegandosi sul piede dolorante.

Brud..”

Tom, svoltando l’angolo, vedendoci, interruppe la parola a metà.

L’aereo in mano, tremavo, per la rabbia. Vidi Schlange osservare oltre le mie spalle. Il silenzio cadde per alcuni attimi. Nessuno si mosse.

“Resti sempre e comunque una bambina…” abbaiò il bullo, una volta resosi conto di essere in minoranza, determinato a ferirmi, per prendersi la rivincita “Una bambina sola…che piange nel bagno delle ragazze, senza che nessuno si prenda cura di lei...”

Rabbrividii.

“Bastardo io ti…”

Mossi un braccio, Tom, alle mie spalle si interruppe. Presi un bel respiro.

“Sai cosa ti dico?” iniziai con voce ferma “…Non me ne frega niente di quello che pensi perché tu…tu..Tu non sei nessuno!” gli urlai in faccia, fuori di me, trattenendo a stento le lacrime “Tu per me, non sei nessuno! La tua opinione non conta!” poi, indicando con la mano nella direzione di Tom continuai “La loro conta, non la tua!”

Tom si avvicinò, appoggiandomi una mano sulla spalla. Lo guardai, gli occhi lucidi. Mi sorrise un istante poi spostò lo sguardo su Schlange, guardandolo con disgusto.

“Andiamo…Georg ci aspetta…” mi disse il mio amico, prima di voltarmi deciso.

“Ragazzina sola…” mormorò ancora la voce del bullo, mentre ci allontanavamo. Gettai un’occhiata a Tom, anche lui strinse i pugni.

Mi voltai verso Schlange un’ultima volta “Va’ al diavolo…” conclusi.

Mentre tornavamo sui nostri passi, io e Tom non udimmo più nulla finché, una volta rientrati nell’aula di musica, stringendo l’aereo rosso, io non iniziai a singhiozzare, sollevato, libero da un grosso peso.

 

 

Continua…

 

 

  
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