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Autore: Aisu Yuurei    05/06/2014    4 recensioni
Lettera al comandante Shepard, scritta da Kaidan Alenko un anno dopo le vicende coi Razziatori.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Comandante Shepard Uomo, Kaidan Alenko
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Perché hai scelto me

Perché hai scelto me?

 

... Ti prego, non lasciarmi indietro.

 

 

Il vetro della stanza che mi hai riservato alla Normandy era freddo, ghiacciato. Silenzioso e comprensivo, ogni volta che ci appoggiavo il braccio e poi la fronte, lui sembrava volermi consolare con la vastità del suo spazio, delle stelle, delle galassie. Te ne ho pure parlato, di quando mi capitava di pensare alla vastità di tutto ciò che ci circonda, e tu mi hai chiesto se non riuscissi a dormire.

No, che non ci riuscivo, Shepard.

Non ci riuscivo semplicemente perché i tre anni in cui ti ho conosciuto mi hanno cambiato profondamente, e se prima il mio problema maggiore erano le emicranie e gli ordini di Anderson, da quando tu sei salito su quella maledetta nave, per me niente è stato più lo stesso.

Non è colpa tua, se le scelte che ho fatto sono state insulse in certi casi, se ho inveito su me stesso per sei interi mesi, dopo aver rifiutato di salire con te su Horizon.

Non è colpa tua se sono stato uno stupido, un emotivo, come mi hai chiamato tu. Non sai per quanto tempo ho combattuto contro di me perché ero così in pensiero da non riuscire a respirare, eppure non potevo scriverti, non potevo raggiungerti perché c'era di mezzo Cerberus.

 

Eppure ora... è tutto così futile di fronte a... questo.

Sto provando a scrivere, Kelly (che ho in seguito conosciuto tramite Garrus) mi ha premurosamente consigliato di scrivere, la sua professione le suggerisce di dirmi che scrivere aiuta a provare ad assorbire il trauma, l'impatto della perdita, il senso di colpa del sopravvissuto, e il continuo, incessante, bisogno di piangere. Sono un soldato, cazzo, non un piangina. E' questo che mi staresti dicendo in questo momento, ma adesso la mia professione non conta niente per me, non so più nemmeno chi sono.

 

Quando sono salito sulla Normandy, era un giorno come un altro, dovevo affrontare la missione e poi concentrarmi sulla successiva, ancora... e ancora.

Ma non avevo fatto i conti con te, con Shepard non c'è mai niente di facile. Non c'è mai niente di monotono, ma io non lo potevo sapere.

La prima volta che venisti a parlarmi fui sorpreso di vederti, da quando in qua i comandanti vanno a parlare ai tenenti, o in generale, ai membri dell'equipaggio? Fui davvero spiazzato, ma tu dicesti con una semplicità da fare invidia, che "nessuna legge impedisce a un capitano di diventare amico del proprio equipaggio."

Amico?

Conoscevo la tua storia, sapevo i tuoi trascorsi su Akuze, l'infinito dolore che avevi passato e il senso di colpa dell'unico superstite che ti portavi dietro ogni momento. Lo vedevo. Ma quello... proprio non me l'aspettavo. Sei sempre stato speciale.

Se solo avessi saputo cosa ci aspettava su Virmire, non ti avrei neppure chiamato, non ti avrei costretto a scegliere, so che è stata durissima. Ma dopo... dopo te l'ho dovuto chiedere, il perché. Mi assillava, la sindrome del sopravvissuto è dura da accettare, e forse sono stato poco carino a porti la domanda, sapendo perfettamente che tu avevi visto morire non un compagno, ma tantissimi.

E ora pure Ashley, e io ho pensato solo a chiedermi perché avessi scelto me.

In cuor mio, forse, avevo già un sentimento che pian piano nasceva, la riconoscenza infinita per avermi salvato, ha fatto il resto.

 

Eppure, nonostante fossi così legato, e nonostante non avrei esitato un secondo a mettermi davanti a te pur di salvarti da Saren, dalla Sovereign o qualsiasi altra cosa, nonostante tutto ciò, su Horizon non ho voluto starti accanto, questo è, Shepard, la cosa che mi impedisce di perdonarmi per non averti saputo salvare dai Razziatori.

Ogni notte, ogni secondo della mia vita mi chiedo come ho potuto farlo, Shepard.

Ho scelto la mia etica, la mia vita, la mia lealtà verso chi? Verso persone concentrate su loro stesse, sul potere, sulla conquista. E non ti ho seguito, non l'ho fatto, non ho supportato l'unica cosa per cui valeva la pena continuare a combattere.

Scuoto la testa, sto scuotendo la testa, e ti sento, ti sento che dentro di me stai pulsando dentro questi dannati circuiti di DNA, perché sei stato tu, vero? Sei stato tu, che hai tenuto fede ai tuoi ideali, hai tenuto fede a ciò che credevi e alla tua etica di eroe. Fino alla fine hai scelto noi.

E tutti ti amano, per questo. Ti adorano, sei una specie di Messia, o qualcosa di simile.

Ma loro non hanno sentito quello che ho sentito io, chiedendoti perdono all'ospedale, sperando di ottenerlo da te e da me stesso. Chiedendoti perdono tante, troppe volte. So, e sapevo, che mi avevi già perdonato, ma io non potevo accettare di esser stato così stupido.

Ormai mancava poco tempo, in piena guerra, ogni minuto è prezioso, ho iniziato a raccogliere il coraggio di dirti tutto. Ho accettato la carica di Spettro perché mi faceva sentire un po' te, un po' ciò che volevo essere.

E poi di nuovo, esci dall'ascensore e ti ritrovo in una situazione ambigua, c'entra Cerberus? Mi chiedo, mi chiedo se sei di nuovo coinvolto, se ti hanno riportato con loro. Ma stavolta ti guardo, ti guardo dritto negli occhi perché rifare lo stesso errore due volte mi avrebbe ucciso. Ti fisso mentre mi dici di spostarmi, con la tua voce ferma che non deve tradire nessuna emozione, in un momento del genere. Mi stai guardando, come mi hai guardato ad Horizon. Mi stai guardando e stavolta lo capisco che non stai mentendo, e che non hai mai mentito. Mi sposto e mi sento... svuotato. Mi accorgo a malapena dello sparo ad Udina, ti guardo mentre parli coi Consiglieri e poi con un cenno scappi via a risolvere il casino della Cittadella, mentre io non ho fatto, ancora, un bel niente.

 

Vado dritto all'attracco della Normandy, stavolta non ho scuse, non posso rimanere ancora lì, ma se mi avessi rifiutato, avrei capito, mai accettato, ma capito. Non l'hai fatto, non mi hai rifiutato, anche se io ancora un volta divorato dai dubbi, ti ho chiesto: "se non mi fossi spostato, mi avresti sparato?"

Sono sempre stato uno sciocco pieno di dubbi. E hai avuto così tanta pazienza con me.

 

Mi hai chiesto di mettermi un impianto L3, un milione di anni fa, preoccupandoti delle mie emicranie, anche lì, mi chiesi se fosse per essere al massimo durante la missione, o perché in qualche modo ti interessasse della mia salute. Probabilmente entrambi, ma questo ebbi la dignità di non chiedertelo, dovevi già rispondere a tante domande e tante persone, ti ho solo complicato la vita per un po', invece di fare quello per cui ero stato assoldato: proteggerti.

 

Il coraggio di dirti tutto, però, era difficile da trovare. A volte provavo a scorgere dei segnali dalle tue parole, ma il tuo ruolo ti imponeva una certa distanza, come doveva essere dal principio, nonostante le chiacchierate. Non so per te cosa fossero, ma per me erano veri e propri momenti di serenità, e pian piano la serenità si è trasformato in qualcosa di più... profondo.

Non poteva andare avanti così, la guerra imperversava e il tempo si accorciava sempre di più, quell'invito a pranzo mi è costato molto, in termini di sentimenti, ero davvero nervoso, quasi impacciato, fino alla fine non sapevo cosa dire, o come impostare il discorso. Ma poi ho deciso di fare come te, di non pensare, di essere me stesso. Temevo la tua reazione, sapevo delle tue passate relazioni ed era difficile immaginare che io potessi rientrare in quella cerchia, ma tentar non nuoce, no?

Alla fine ho vinto la scommessa e ho vinto pure te, forse questo mi ha aiutato in larga parte a sotterrare ogni dubbio, incertezza e paura verso il futuro. Mi avevi dato una rivincita, una totale assoluzione di colpa per tutto quello che era successo. Da quel momento in avanti non c'era più spazio per le domande e i dubbi. C'era solo spazio per te, e per starti accanto.

L'impresa più difficile della mia vita, e la ricompensa più bella.

 

Questo, ti dissi sulla Cittadella. Prima di affrontare per l'ultima volta Cerberus, prima di buttarci a capofitto su quella che forse sarebbe stata l'ultima nostra missione.

 

Dopo ci fu Thessia, la disfatta e la sconfitta. E tu, solo tu, a spiegare alla consigliera Asari quello che era successo, ad addossarti tutte quelle morti. Per quanto le tue spalle fossero larghe, iniziavano a cedere sotto quel peso, e non ne volevi sapere di condividerlo con me, almeno inizialmente.

Quando mi venivi a trovare, sapevo quando era per parlare, e quando era per stare in silenzio, e anche quando si parlava, chiedevi sempre di me, di come stavo, di cosa pensavo e di cosa mi preoccupasse. Al risvolto delle mie domande, sorridevi, scrollavi le spalle e mi dicevi di tornare a lavoro.

E' stato difficile, provare a farmi carico delle tue paure, è stato difficile capire cosa stavi provando, fin quando per la prima volta non venisti da me... per restarci.

Ti sedesti sul divano, coi gomiti appoggiati sulle ginocchia, senza nemmeno guardarmi. Il tuo respiro era impercettibile, e il tuo sguardo sempre troppo duro. Passarono, quante ore? Persi il conto, ma capii quanto fosse importante il silenzio in quel momento, per cui tacqui.

 

Kaidan, ho paura.

 

Sospiro.

 

Sei stato con me sin dall'inizio, sai cosa ho passato, forse nella maniera più profonda di tutti.

Io devo essere sicuro, devo essere certo di non fare errori, ma può un uomo soltanto caricarsi sulle spalle la vita di così tante specie...? Mi sono detto di sì, sino a questo momento. Ora che i giochi sono fatti, che le carte sono in tavola, io... non posso farcela. Non è qualcosa che un uomo possa fare, siamo troppo piccoli, anche se ci sentiamo dei giganti e in grado di far qualsiasi cosa, siamo dei piccoli bastardi egocentrici.

Se... sbagliassi. Alla fine, nemmeno la mia morte sarebbe abbastanza per rimediare.

Ho voluto farmi carico di tutto, è stata una mia scelta, io pensavo di poter essere l'eroe che tutti si aspettavano, la faccia che i bambini avrebbero visto sui libri di storia e che avrebbero sognato di diventare. Ho voluto tutto questo e ora... sto andando in pezzi. Mi ritrovo a tremare, spesso e volentieri, non mangio da non ricordo quando e non dormo da altrettanto. Mi sto divorando da solo.

Non... credo di farcela, di essere pronto. Vorrei solo andare sulla Terra e schiantarmi su quei bastardi senza avere il peso dell'intera Galassia addosso!

 

Non c'era niente da dire per consolarlo, ogni parola sarebbe stata futile e fuori luogo, ti presi una mano, fosti quasi reticente all'inizio, rinchiuso com'eri nel tuo dolore. La strinsi più forte, sempre più forte fino a che anche tu non ricambiasti, l'avvicinai a me, alla mia guancia prima e al mio cuore poi. Senza dire una parola sentisti il mio battito cardiaco, calmo, stranamente.

Dopo non so quanti minuti, dissi soltanto:

Morirò con te, se ci sarà da morire, vivrò con te, se ci sarà da vivere. Il tuo fianco non sarà scoperto, mai. Hai tutto l'equipaggio pronto a schiantarsi contro i Razziatori al tuo primo cenno, nessuno, dico nessuno, si aspetta che tu faccia miracoli, li hai già fatti riunendo tutte quelle specie dopo centinaia di anni di guerre. Tu sei già un eroe, Shepard, sei il mio eroe e l'eroe di tutti, se alla fine prenderai la decisione sbagliata o vinceranno i Razziatori, i sopravvissuti sapranno che tu hai fatto tutto quello che era possibile fare. Andrà come deve andare.

 

La tua smorfia mi fece capire che avevo colto nel segno, ti tirai verso di me con forza e ci abbracciamo a lungo senza dire più nulla. Ci addormentammo così, quando mi svegliai, tu non c'eri già più, e io avevo dormito per la prima volta dopo chissà quanto tempo.

 

Ti aspettai a lungo nella mia camera tra una missione e l'altra, non aspettandomi che venissi ogni volta, anche se ogni notte sentivo il cocente bisogno di averti vicino, capivo che non era possibile. Una sera tormentato dall'insonnia decisi di andare in cabina di comando, dove ti vidi per la prima volta. Mi sedetti al posto che ora era quello di Ida, accanto al suo Jeff. Fu una sorpresa abbastanza scioccante per tutti la nascita di quella coppia, ma fu come se tu lo sapessi già, perché diamine TU sapevi sempre tutto. Non c'era modo di sorprenderti. Con quel sorriso appena accennato, mai più di quello, sempre concentrato e ansioso. Quante volte avrei voluto baciare quella ruga tra gli occhi e farla sparire. L'apparecchio acustico che non toglievamo mai dall'orecchio per sentirci via radio in qualunque momento emise una voce e il mio cuore perse quasi un battito.

"Dove sei?"

"In cabina di comando, Shepard, che succede?"

"Arrivo."

Non riuscii a muovere un dito e quando la porta dietro di me si aprì mi alzai così velocemente da mandare quasi all'aria il pilota di comando. Ida mi ammonì, puntuale come un orologio.

"Scusa, Ida."

Ridesti, o quasi, fu una risata appena accennata, ma io mi persi e risi quasi senza accorgermene.

Mi facesti segno di seguirti e andammo nella tua cabina, stavo per chiedere cosa fosse successo ma tu scuotesti la testa e mi puntasti l'indice davanti agli occhi. Prendesti un documento dal tavolo e sempre in silenzio me lo mostrasti. Tempo prima ti avevo detto di aver rintracciato mia madre, ma che di mio padre non avevo avuto nessuna notizia. Si era arruolato per aiutare la difesa militare, e onestamente ti feci capire quella volta che non nutrivo molte speranze.

Nel documento c'era un allegato, mi facesti segno di aprirlo. Erano immagini di Vancouver, allo stato attuale. Non proprio un paradiso, ma poteva andare molto peggio, alla fine delle immagini c'era un video e riconobbi immediatamente il volto, era mia madre. Con un dito tremante aprii il video e la sua voce risuonò calda nella stanza, mi disse che stava bene, che non aveva subito nemmeno un graffio grazie a suo padre che la difese fino alla fine da ogni percorso pericoloso. Era a casa e aspettava che tornasse. Con la voce tremante mi ammonì di non pensare che fosse morto, perché era un uomo forte, proprio come me. Ringraziò Shepard ormai in lacrime per aver avuto la possibilità di parlarmi, nonostante il caos e poi mi salutò mandandomi un bacio.

Quando ci fu di nuovo silenzio, due lacrime mi scesero nelle guance e con un soffio ringraziai il cielo che fosse sana e salva. Con un dito me ne asciugasti una e guardandomi dritto negli occhi mi dicesti che saremmo riusciti a salvare tutti, anche mio padre.

Lanciai il dispositivo sul tavolo e ti presi con vigore, tu mi lasciasti fare e il resto fu la cosa più bella della mia vita. Fa un male fottuto pensare a quei momenti, ma scrivendolo è come se tu fossi qui accanto a me.

 

Arrivò, comunque, il giorno della partenza per la Terra, non parlammo fino a quando non venisti a sapere come stavo prima di andare. Ti dissi qualcosa riguardo alla mia vita e alla mia infanzia, ti chiesi se avessi paura, mi rispondesti di sì. In un moto di stupidità ti dissi che sapevamo entrambi che quello sarebbe stato un addio.

 

Quando tutto sarà finito, ti conviene esserci dall'altra parte.

 

Ancora una volta feci la figura dello stupido. Il tempo stringeva, vidi il tuo sguardo non reggere più il mio e dirmi "Stammi bene, maggiore Alenko", senza nemmeno guardarmi stavi andando via, era doloroso, enormemente doloroso, ma non potevo lasciarti andare così, ti tirai con me e ti detti un ultimo bacio. Sono contento di averlo fatto, dopo non ne ho avuto la possibilità.

E qui arriva la parte più difficile, l'ultima, quando quella dannata macchina mi venne addosso fracassandomi un paio di costole, mi facesti appoggiare alla tua spalla e il dialogo che venne dopo, quando mi facesti salire sulla Normandy, rimarrà per sempre infuocato dentro di me.

 

"Shepard!!"

"Devi andare via di qui!"

"Già... ma non accadrà mai!"

"Non discutere con me, Kaidan."

"Non lasciarmi indietro..."

"Sappi che qualsiasi cosa accada ti amo e ti amerò per sempre."

"Ti amo anch'io, stai attento..."

"VAI!"

 

Ed è semplicemente finita, Shepard, i tuoi occhi impazziti di paura si sono voltati e sono andati avanti, non importa come, non importa dove. Avanti.

Non ti ho mai più rivisto ma so che sei dentro di me. Chissà se tu lo senti il tumore che mi sta divorando le cellule.

Un anno fa mi sono spuntate delle macchie, e non fu difficile capire che era cancro. Non lo dissi a nessuno, nemmeno a mia madre, penso che in questi giorni le manderò un videomessaggio per salutarla, gli devo almeno questo.

Non posso dirlo a nessuno, capisci Shepard? Se lo dicessi a qualcuno mi curerebbero in un secondo, ormai la morte è un lusso che si permettono in pochi, ma io non ho più nessuno scopo, ormai.

Voglio raggiungerti, se mai sarà possibile, e riabbracciarti. Se non sarà possibile e diventerò polvere, sarà la TUA polvere, ma io non riuscirò mai ad amare nessun altro. Il cancro è solo la scusa per mettere fine, è difficile anche suicidarsi, perché le pistole difficilmente fanno effetto sui nostri circuiti migliorati. So che è quello che volevi, so che è per questo che ti sei sacrificato e so bene che la mia morte sarà la tua sconfitta. Ma sarà la mia vittoria, e così ho deciso che sarà.

A volte ho le allucinazioni, qualche volta ti vedo davanti a me, verde e sottoforma di vapore, che mi osservi. Non saprei dire che espressione hai sul viso, è troppo sfuggente. Non ho mai cercato di toccarti per non farti dissolvere. Ma so che tu ci sei. Qui da qualche parte dentro di me, e sai che questa è la decisione migliore.

 

Non so più che altro dirti, Shep. Mi ha fatto bene scriverti e ricordare tutto, so che starai leggendo tramite i miei occhi. O almeno me lo auguro. In ogni caso va bene così.

 

Spero che mi aspetterai dall'altra parte, quando succederà.

Ti amo.

 

 

 

 

 

  
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