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Autore: MaxT    08/08/2008    2 recensioni
Una Elyon esuberante e sorprendente torna a cercare le sue vecchie amiche, che si troveranno presto coinvolte in avvenimenti più grandi di loro. Che spaventosa profezia ha pronunciato la Luce di Meridian? Vera è…vera? Dove sono andate le gocce astrali delle W.I.T.C.H.? E’ una storia dove i personaggi assumono diversi ruoli contrastanti, si muovono nel segreto e nell’invisibilità, e le loro motivazioni autentiche si delineano a mano a mano che la storia si avvicina alla conclusione. Note: qualcuno potrebbe considerare OOC Elyon e le gocce astrali. Da parte mia, penso che siano una evoluzione plausibile dei personaggi visti nel fumetto. Aggiornamento: I primi sei capitoli sono stati riscritti nell'ottobre 2008.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le profezie di Meridian' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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32-Colpo di mano  
In questo capitolo ritorna in scena Will, e nei successivi rivedremo nuovamente le W.I.T.C.H. alle prese con una situazione inaspettata.

PROFEZIE


Riassunto delle puntate precedenti 
Un colpo di scena sconvolge la vita del gruppo di Midgale: dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera racconta alle ex gocce astrali che l'Oracolo e le W.I.T.C.H. hanno richiesto la loro riconsegna, e la regina ha dovuto acconsentire.
Per evitare questa mortificante prospettiva, Vera propone alle altre di impadronirsi del Cuore di Kandrakar e di sostituirsi ad Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane, ed impedendone il ritorno.
L'unica a non crederci e a ribellarsi è Carol, la ex goccia di Cornelia, ma viene costretta all'obbedienza con l'ipnosi.
Vera e Wanda, la ex goccia di Will, si trasferiscono ad Heatherfield per mettere in atto la prima parte del piano.

Cap. 32

Colpo di mano



Heatherfield

La palazzina grigia è un tipico esempio di archeologia industriale. Ha una pianta a L che sembra covare gelosamente un piccolo giardino, quattro piani le cui finestre fanno pensare ad uffici di una fabbrica di inizio secolo, e un traliccietto sporgente da una facciata  sul cui uso passato si possono formulare solo ipotesi fantasiose.
Un passaggio altissimo divide l’edificio in due ali non comunicanti. Anche qui, è difficile ipotizzare che genere di veicolo abbia reso necessaria una volta così alta.
La cosa che colpisce di più, forse, sono le due alte ciminiere di mattoni che svettano poco dietro la palazzina.

Due vecchiette osservano dal marciapiede opposto questo edificio un po’ lugubre, che si intona col cielo plumbeo di fine ottobre.
“Sembra una versione urbana dell’ingresso di un lager nazista”, dice quella più piccola e rugosa, con lunghi capelli bianchi raccolti in un chignon. Le sue palpebre pesanti coprono iridi di un azzurro intenso. “Ci vedrei una scritta in ferro battuto ‘Arbeit mach frei’  disposta ad arco, appena sotto la volta del passaggio”.
L’altra assente, cupa, sforzandosi di chinare un po’ la schiena per mascherare l’altezza e le spalle da atleta, che cercano di farsi notare da sotto il soprabito nero fuori moda. “Neanche a Will piaceva. Si è dovuta adattare a vivere qui. Però dentro è elegante, anche se non c’è l’ascensore”. Indica col braccio verso l’ala sulla destra: “Vedi quelle ampie finestrature quadrettate all’ultimo piano? E’ lì che dobbiamo andare”.
L’altra sbircia l’orologio a colori vivaci che porta al polso rugoso. “Le tre e quindici. Proviamo adesso”.
Le due vecchiette si avvicinano con passo fin troppo elastico al citofono, a lato dell’ingresso sorvegliato da una guardiola sfinestrata e perennemente deserta.
‘Vandom-Collins’, si legge sopra il campanello.
“Anche Collins? Oddio! Di male in peggio!”, trasale la più alta delle due. “Comunque sono loro!”.
Premono il bottone, poi attendono impazienti al citofono, con una scusa già pronta in bocca. Invece nessuno risponde.
“Perfetto”, si compiace la più piccola. “Non c’è ancora nessuno. Andiamo su!”.
Percorrono il breve vialetto. Il portoncino sotto l’alto passaggio, sulla destra, si schiude senza discutere.
Una volta nel vano scale, le due arzille vecchiette ringiovaniscono, assumendo l’aspetto di Elyon e Will. Quest’ultima fa strada verso l’alto. “Su per di qua!”.
All’ultimo piano, le serrature dell’ingresso scattano da sole, ed il pesante battente verde scuro  si apre davanti alle due ragazze.

Per un attimo, questa Will fuori luogo si ferma a guardarsi attorno. Lo stanzone è una grande cucina-soggiorno con le pareti di mattoni dipinte di bianco, e un pavimento di cotto lucidato.
Il tappeto giallo e cremisi all’ingresso non è cambiato. Sulla destra ci sono scaffali e librerie, che tracimano, ancora più di allora, di libri che si contendono lo spazio all’ultimo millimetro.
Davanti a lei ci sono due divani ed un puff color rosso scuro, raccolti attorno ad un tavolino basso e a un grande televisore che la aiutava a passare il tempo troppo breve e troppo lungo delle sue ore di esistenza. Più sulla sinistra, la cucina bianca e beige fa da sfondo al tavolone e alle sedie di legno.
Su tutte le superfici d’appoggio regna un colto disordine di libri e riviste, ammonticchiati senza un criterio riconoscibile.
Wanda pensa ai pomeriggi ed alle serate passate annoiandosi. No, non ha grossi rimpianti per quella casa.
Indica verso sinistra.  “Vera, la camera è di là”.
“Shh… niente nomi!”, fa la biondina accigliandosi.

Wanda entra nella stanza. Le rane di peluche le sorridono con allegria di pezza. Come fa Will ad affezionarsi a pupazzi così sciocchi?
Riconosce con scarso rimpianto il letto massiccio, la porta-terrazza che dà su un balconcino con panorama di ciminiere, l’alto specchio ovale, il tavolo col computer, le mensole caotiche, il pavimento cosparso di ciabatte e calzini come un inno all’entropia.
La camera allegra e disordinata è, nei suoi ricordi, un luogo di noia, quasi una prigione. Eppure è stata la sola libertà che ha avuto per un anno e mezzo, prima del distacco definitivo da Will. Era pur sempre una sosta nella claustrofobia che provava quando veniva riassorbita, e la speranza di poter incontrare ancora, sotto mentite spoglie, l’uomo della sua breve vita da goccia.
Il suo ricordo malinconico si interrompe quando lo sguardo viene catturato da una cornicetta sulla scrivania. Una foto di Matt! Bello, bellissimo! Sono ancora assieme. Chissà se ci ha…

La voce della compagna la distoglie dai suoi pensieri. “Ecco fatto!”. Accompagna la frase facendo oscillare le sue mani sul cuscino del letto. “E ora non scordiamoci le nostre microspie!”.
Dai suoi palmi sgorgano alcune mosche, che ronzano un momento in aria per salutare la vita, e poi si dispongono quietamente camuffate su superfici scure e angoli in ombra.
“Ora andiamo!”. La biondina fa un cenno di richiamo mentre esce dalla porta della camera.
La strana Will le fa un cenno, voltandosi verso la scrivania. “Un attimo… ti raggiungo subito”.
Pochi istanti dopo, esce anche lei a passo veloce dalla stanza. “Possiamo andare”.
Nel vano scale, le due ragazze riassumono l’aspetto di arzille vecchiette.
 

Atrio di casa Vandom-Collins

Sotto lo sguardo paziente di un orologio che segna le sedici, l’uscio dell’appartamento scatta e si apre. Una Will carica di sporte di plastica fa il suo ingresso faticoso, le deposita sul pavimento, poi si esibisce in una passabile imitazione di rantolo mortale e si sgranchisce le dita segnate. Infine tende l’orecchio. La casa è silenziosa.
Si sfila la giacca a vento cremisi. “Mamma! Dean! Sono arrivata! C’è qualcuno?”.
Nessuno risponde. Lei sbircia l’orologio a lancette in bella mostra sul muro. Sono solo le quattro. C’è tempo per una telefonata sospirosa a lui.
Scosta un lembo della felpa rosa, estraendo il suo telefonino dalla custodia sulla cintura dei jeans.

Quando Will entra in camera, non può mai fare a meno di gettare un’occhiata alla foto del suo Matt. Ma… la cornice è vuota! “No! Com’è possibile?”, si acciglia.
In ogni caso, ha una risorsa per scoprire la verità. “Sveglia, sveglietta…”, fa, rivolta ad un orologio raniforme appoggiato sulla testata del letto, “E’ entrato qualcun altro in questa stanza?”.
L’apparecchio risponde con una voce flemmatica che può sentire solo lei. “No, non è entrato nessun altro, dopo che tu e la tua amica siete uscite”.
Will afferra l’apparecchio con due mani, come se lo scrollasse per il bavero.“Cosa vuoi dire, sveglia? Quale amica?”.
“Calma, calma! Quella biondina con le trecce”.
“Elyon? Ma oggi non è stata qui…”.
“Come no! Quarantadue minuti fa! E lo dico con cognizione di causa!”. Con un po’ di fantasia, si può vedere la sua zampetta che indica il largo quadrante da orologio che ha sulla pancia. “E ora, mettimi giù”.
Will resta perplessa, combattuta tra il sospetto di un’ intrusione e quello, ancora più inquietante, di un Alzheimer precoce. “Ed era con me? Mi hai vista?”.
“Come ti vedo ora! Puoi finalmente mettermi giù, per piacere?”.
Gli indica la cornicetta vuota sulla scrivania. “E la foto di Matt, l’ha presa…”.
“Tu stessa!”. Gli occhi di rana sembrano scrutarla perplessi. Appena sente di nuovo il contatto rassicurante della testata del letto, conclude: “Sei strana, oggi”.
Will pensa subito alla sua goccia astrale. Non sarebbe la prima volta che le ruba fotografie di Matt. E l’altra ragazza? Elyon? Sarà stata Vera travestita, più probabilmente. La vita talvolta presenta strane inversioni di ruoli…

Si siede sul letto. Come potrebbe rintracciare Elyon, quella autentica? Con il portale alla libreria? Mai provato. Ma sa che Cornelia la vede spesso.
Afferra il telefonino cellulare e si distenda sul letto. Inizia a impostare il numero dell’amica, ma non fa in tempo a completarlo prima che una sonnolenza improvvisa si impossessi di lei. “Cosa mi…” .
Poi, solo un sonno senza sogni.

Heatherfield, caffè At the old factory

Le due vecchiette sono sedute ad un tavolino, davanti a due tazze ormai vuote e briciole di brioche. Lo sguardo è fisso e perso fuori dalla vetrina del bar, come se il velo della vecchiaia le facesse vivere in un limbo tutto loro.
In realtà, stanno spiando una stanza a cento metri di distanza attraverso occhi a pixel esagonali. Gli occhi delle mosche nella camera di Will.
“Ci siamo!”, grida all’improvviso, trionfante, la più piccola e rugosa.
Le due si alzano, e si avviano a passo di maratoneta verso l’edificio grigio quasi di fronte.
Il barista le insegue fin sulla porta. Tuona: “Ehi, nonne, non pagate il cappuccino?”.
La piccola si volta, con un’espressione beffarda. “C’era una mosca morta  dentro la mia tazza! Guardi, guardi pure! Protesteremo all’ufficio igiene”.
Il barista si morde un labbro e si volta verso l’interno del bar. La hanno sentita gli altri clienti? Forse sì. Qualcuno sembra scrutare preoccupato nella sua tazza, o sbirciare sospettoso il prosciutto dentro al tramezzino già addentato.

Il portoncino non è un problema. Nessuna serratura può sbarrare il passo a due vecchiette così.
Mentre salgono velocemente le scale della palazzina, una di loro riassume l’aspetto di Will, mentre l’altra svanisce nel nulla.
Di nuovo, l’ingresso dell’appartamento si apre rispettosamente al loro passaggio, e si dirigono verso la camera.
 
 

Appena entrata nella stanza, Wanda si ferma, emozionata. Eccola, Will, dopo tanto tempo! 
La osserva, profondamente addormentata. Il suo rancore si stempera un po’ notando che la guardiana appare vulnerabile e molto più giovane di lei. Lo sapeva, ovviamente, ne ha anche assunto l'aspetto, ma averla davanti agli occhi le fa un effetto diverso.

“Cosa aspetti? Cerca il Cuore di Kandrakar!”, la sollecita una voce proveniente dal vuoto.
Cercando con gli occhi la compagna, Wanda si stupisce. “Dove sei? Credevo che, parlando, saresti tornata visibile”.
“Mi piace fare esperimenti”, risponde compiaciuta la voce. “Ma non è il momento di parlarne. Fai presto!”.
Wanda si accosta al collo di Will e le sposta i capelli rossicci, ma il ciondolo non è lì. “Certamente lo ha smaterializzato. Di solito lo evoca nel palmo della mano”.
 

“Allora provo io”.
Una mano invisibile cala sulla fronte di Will. Un sussurro viene dal nulla: “Will, non aprire gli occhi. Io non esisto. Io sono un sogno. Tu stai sognando. Tu hai una veste lunga e candida. Hai delle fluenti ciocche di capelli bianchi e lisci. Stai passando davanti ad uno specchio. Ti guardi. Il volto che vedi è il tuo, Yan Lin. Tu sei Yan Lin. La guardiana Yan Lin. Il momento è cruciale. Una nuova generazione di guardiane è pronta per prendere le consegne. Davanti a te c’è la nuova custode prescelta, Will Vandom. Guardala negli occhi!”.
Gli occhi di Will si aprono. Sono vuoti e senza espressione.
“Mettiti a sedere, Yan Lin”.
Will si solleva e si mette a sedere sul letto.
“Yan Lin, il momento è solenne. Guardi negli occhi Will Vandom, è di fronte a te”.
Will guarda Wanda.
“Yan Lin, è il momento del passaggio. Evoca il cuore di Kandrakar e passalo a Will”.
Lentamente Will apre la mano destra. Con un bagliore, il ciondolo sferico si materializza levitando sopra il palmo.
Lo porge a Wanda.
Questa lo guarda incredula mentre l'oggetto passa, sempre levitando, sulla sua mano. Quando chiude le dita, la luce intensa scompare, e il Cuore viene come inghiottito dalla mano.
La voce dal niente riprende: “Bene, Yan Lin. La nuova generazione di guardiane è operativa. Ora tu puoi essere contenta. Ora faranno tutto loro. Rilassati. Riposati, Yan Lin, e dimentica le preoccupazioni. Dimentica tutto...”.
Lentamente, Will si distende e si riaddormenta profondamente.

“Abbiamo il cuore di Kandrakar!”, esulta la voce invisibile.
Wanda, invece, si guarda in giro come spaventata. Si sente addosso gli sguardi accusatori di una ranosveglia, di un impiccione cellulare e di un intero set di informatori informatici. “Vera, mi sono ricordata di una cosa terribile”.
“Cosa?”.
“Will parla con gli elettrodomestici”.
Il nulla fa un’espressione incredula. “E’ matta?”.
Scuote il viso. “No, lei parla e loro rispondono. Tutti questi apparecchi racconteranno per filo e per segno quello che è successo. Forse cercheranno perfino di svegliarla!”.
“Meglio lasciarla nel dubbio. Questi apparecchi non parleranno mai più”.
Una mano invisibile viene tesa. Si sentono scoppiettii provenienti dalla sveglia, dal cellulare, dal computer e dagli altri apparecchi elettrici della camera.

Uno scatto di serratura e una voce di donna dall’ingresso le fanno trasalire: “C’è qualcuno in casa? Will? Caro?”.
Poi segue una cacofonia di scatolette e bottiglie, e una imprecazione poco elegante. “Will, miseria! Hai lasciato ancora la spesa per terra! Vuoi renderti utile, o farmi rompere una gamba?”.
Wanda stringe i denti: “E’ Susan. La signora Vandom”.
“Via, subito! Dritte a Midgale!”.

Quando si affaccia, accigliata, nella camera di Will, Susan sente un leggero odore di bruciato. Un filo di fumo aleggia nella stanza.
“Ehi, Will… è successo qualcosa?”.
La ragazza continua a dormire come un sasso.
Susan fa un passo avanti e e sfiora il viso. “Will, mi senti?”.
“Mh?”….
“Va tutto bene? Sento un po’ di odore di bruciato!”. Va ad aprire la finestra; una folata fresca e umida spazza la stanza.
Un suono rantolante esce dalla bocca della ragazza addormentata: “Non sono Will. Sono Yan Lin”.
Susan si avvicina allarmata e la scuote. “WILL! COSA TI SUCCEDE? SVEGLIATI!”.
“Uuh?”. Will apre gli occhi e li volta lentamente verso la madre chinata su di lei.
“SVEGLIATI! STAI BENE?”.
La guarda, assente. “Sì, mamma. Adesso mi vesto”.
“Will, sei già vestita. Cosa ti succede?”.
“Oh, scusa mamma”, si scuote. “Sono ancora addormentata”. Si alza a sedere lentamente sul letto.
La madre la studia preoccupata. “Will, cos’hai fatto? Fammi sentire l’alito!”.
“Alito?”. La guarda stranita.
Susan accosta il viso a quello di Will, ed annusa.
“Niente di particolare”, conclude con un cenno di diniego. “Ora scopriti le braccia!”.
Gli occhietti stretti dal sonno si spalancano in stile manga. “Cosa?”.
“Non importa, faccio io…”. Con un movimento nervoso, le scopre entrambe le braccia fino ai gomiti e ne scruta gli incavi. “Niente. Tira pure giù le maniche. Vediamo i piedi!”.
Sguardo allibito. “I piedi? Ma… è ridicolo!”.
“Non discutere e lascia fare!”. Susan le sfila le calze e le osserva tra le dita, arricciando il naso . Dopo un po’, scuote il viso. “Niente!”.
“Ma sei matta?”, fiata incredula la ragazza. “Perché fai questo?”.
Per tutta risposta, la madre la squadra severa. “Cos’era quell’odore di bruciato?”.
“Bruciato?”. Will annusa l’aria.  “Non so… Non sento odori”.
“C’era, prima che aprissi la finestra”. Poi si china, per guardarla da vicino negli occhi. “E perché sei così strana?”.
“Strana io? Sei tu che…”. Il debole tentativo di ribellione sfuma inspiegabilmente in uno sguardo smarrito. “Oddio!”.
“Oddio cosa?”.
Il viso di Will è quasi da panico. “Mamma, ho la sensazione di avere perso qualcosa!”.
“Qualche rotella? Probabilmente è vero”.
“No, un oggetto, un ciondolo…”. Come può spiegare?
“Dove lo avevi? Al collo?”.
“No, in… diciamo in mano”. Si guarda disperata i palmi vuoti.
“Cerchiamo a terra”. Si china a guardare il pavimento. “Lo avevi quando ti sei addormentata?”.
“Sì. No, forse no. Devo telefonare…”.
Susan scuote il viso, rialzandosi. “Sì… forse no. Ti pare di essere normale?”.
“Non so. Cioè sì, mamma”. Afferra il suo telefonino, ancora appoggiato sul letto, e pigia qualche tasto prima di notare qualcosa di insolito. “ Ma… non funziona!”.
“Fammi vedere…”. La madre glielo prende di mano e prova anche lei. “Sembra proprio morto”, constata. “Forse è solo la batteria. Se tu lo mettessi in carica regolarmente quando...”.
Will volta il viso verso la sveglia raniforme. “Che ora è?”. Le quattro e undici. Ma perché non si muove la lancetta dei secondi? Vuoi vedere che… “Anche la sveglia è ferma!”.
Susan la gira verso di sé. “E’ vero. Strano, l’ora è quasi giusta. Ora sono le quattro e ventuno”.
Will si guarda in giro, angosciata. “Ma allora è successo poco fa. Il computer…”. Corre alla scrivania e tenta di accendere l’apparecchio. Nessun effetto, neppure una lucetta. “Mamma, anche questo è morto. E… anche la stampante! Nooo… erano così simpatici!”.
Susan si porta una mano al viso, perplessa. “Che sia stato uno sbalzo di tensione? No, impossibile.  E il cellulare? E la sveglia?”.
Will balza verso il soggiorno. “Oddio, devo telefonare a Cornelia!”.
Appena davanti al telefono sul mobile dietro al divano, afferra la cornetta e sente il rassicurante tuu-tuu. “Questo sembra funzionare ancora”.
La voce di sua madre le arriva dalla cucina. “Anche il frigorifero e il televisore funzionano. La mattanza ha riguardato solo la tua camera”.
Mentre Will sta per comporre il numero di casa Hale, sente una vocina uscire dalla cornetta.
“Buongiorno signorina Will. Mi può spiegare una cosa?”.
Will resta un po’ sorpresa. Non aveva mai dato molta confidenza all’apparecchio in corridoio. “Cosa?”.
“Questo pomeriggio la ho vista uscire di casa due volte e rientrare tre volte. I conti non mi tornano”.
Scuote il viso, perplessa. “Non capisco. Io sono uscita e tornata una sola volta”.
“Io la ho vista rientrare tre volte. Un’ora fa, venti minuti fa e quindici minuti fa”.
“Un’ora fa?”. Si accorge di avere quasi gridato.
“Sì, assieme a quella signorina bionda con le trecce. La ha chiamata Vera, ma mi pareva, da occasioni precedenti, che il suo nome fosse Elyon. Poi siete uscite subito assieme”.
Will abbassa la voce, furtiva. “E poi?”.
“Poi la ho vista entrare in camera da sola due volte, ed uscire solo adesso”.
“Ma è impos…. Certo che è possibile!”, conclude tra sè, colpendosi il palmo con la cornetta.
“Ouch! Signorina, non sono un tirapugni, per ...”.

La signora ha ascoltato stupefatta. “Will, stai parlando da sola?”.
“Eh? No, mamma, parlavo con Cornelia. Ha appena messo giù”. Tenta di fare il solito sorrisino delle bugie, ma le riesce peggio del solito.
Susan scuote lentamente il viso, in segno di diniego. “Will, ti ho osservata. Non hai composto alcun numero. Hai parlato da sola!”.
Oh, cavolo, si è fatta prendere in castagna! Forse può ancora recuperare… “No mamma, ti sei distratta”. Forse è più credibile se contrattacca… “Ed ora mi controlli anche i numeri di telefono?”.
La madre la prende per una spalla, e la guida verso la camera. “Vieni, preparati! Ora facciamo un salto dal dottor Atkins!”.
La ragazza cerca di scrollarsi di dosso quella mano imperiosa. “Ma mamma, ho fretta! Ho pure perso un oggetto…”.
“Per me hai perso molto più di un oggetto! Vieni, non ammetto repliche! E non prendere impegni per stasera!”.
 

  
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