Li
accompagnò una macchina della polizia. Al posto di guida c’era una donna attraente
dai capelli ricci che le si presentò come Sergente Sally Donovan. Molly la
conosceva di vista da anni, ma non aveva mai avuto occasione di
incontrarla, prima di quel momento, se non di sfuggita nei corridoi del Barts,
durante i lunghi ed interminabili turni di notte.
Sembrava,
circostanza niente affatto insolita, avere dei trascorsi turbolenti con
Sherlock o se non altro dei conti in sospeso.
Una
donna determinata, intelligente e dannatamente volitiva, fu l’impressione, più
avanti ratificata, di Molly.
“Non
farci l’abitudine, Fenomeno,” la sentì rivolgersi a Sherlock. “Circostanze
straordinarie richiedono misure cautelari straordinarie. Quanto a lei, Dottor
Hooper…” la voce del Sergente Donovan si ammorbidì notevolmente e Molly si
chiese se fosse così evidente il suo stato confusionale. “Se c’è qualcosa che
desidera avere dal suo appartamento, me lo faccia sapere. Farò in modo che, una
volta eseguiti i controlli di prassi da parte della Scientifica, le pervenga
quanto richiesto.”
Molly
batté le palpebre, colta di sorpresa. C’erano tanti oggetti che avrebbe voluto
riavere indietro, ma aveva da subito accantonato quel desiderio come una
speranza irrealizzabile. Sorrise, di un sorriso stropicciato che voleva dire
quanto profondamente apprezzasse la premura di quella proposta gentile. “La
ringrazio.”
Nel
posto a sedere accanto al suo, Sherlock taceva, ribollendo nell’ombra energica di
quella che appariva come profonda impazienza.
*
Arrivati
a Baker Street, Molly avrebbe solo voluto una tazza di tè.
Ma
questo era stato prima dell’incontro con Mrs. Hudson.
“Oh,
mia cara, cara ragazza!” Molly ebbe un
rapido scorcio dello sguardo lacrimoso di Mrs. Hudson prima che venisse inghiottita
nel suo abbraccio stritolante. “Non osare
mai più spaventarmi in questo modo! Non ho l’età per sopportare un dolore del
genere.”
A
Molly non rimase che scusarsi profusamente. Non che fosse davvero colpa sua,
beninteso, ma in qualche modo sembrava giusto farlo: scusarsi dell’involontario
e collettivo stato di agitazione che aveva provocato.
Sherlock
si oppose alla scena, palesando la sua intolleranza con uno sbuffo
significativo. Quando Mrs. Hudson sciolse la presa per asciugarsi gli occhi con
un fazzoletto, Sherlock avanzò la richiesta: “Un tè, Mrs. Hudson, sarebbe
ideale.”
Per
un attimo Molly lo fissò, poi spostò lo sguardo altrove, pressando le labbra
tra loro.
“Se
non le è di troppo disturbo,” aggiunse quindi Sherlock.
“Solo
per questa volta, ragazzaccio. Perché hai riportato Molly sana e salva.” Dopo
un ulteriore buffetto gentile sulla sua guancia, Mrs. Hudson si diresse verso
la porta.
Una
volta uscita, Molly si sfilò il cappotto prima di crollare a sedere, senza
riflettere, sulla poltrona di John. Quando se ne rese conto, fece per alzarsi,
come se si fosse scottata.
La
mano di Sherlock scattò verso di lei, le afferrò il polso, costringendola a
rioccupare il posto. “Resta dove sei,” le ingiunse, tranquillo. “Dubito che
John abbia da ridire al fatto che tu la utilizzi.”
Dopodiché
cadde il silenzio. Il tanto celebrato silenzio, quando si veniva a contatto con
Sherlock. E, in quel silenzio, Molly fece il punto della situazione.
- Uno
psicopatico aveva tentato di ucciderla. O di non ucciderla. Uhm, questo non era
ancora del tutto chiaro.
- Non
aveva una casa al momento, neppure un ricambio d’abiti. Tutto ciò che possedeva
era la gonna che si era decisa a indossare su insistenza di Meena, le scomode
scarpe di vernice e il maglioncino di angora. E la sua borsa, certo. Che il
Cielo la perdonasse per aver dimenticato la sua borsa. La sua sopravvivenza si
basava su un pacco di gomme da masticare, le chiavi di casa, gli occhiali da
vista con la custodia delle lenti a contatto, il portafoglio con dentro le
carte di credito e un ombrello tascabile.
- I
suoi amici l’avevano creduta morta. Era stato trovato un cadavere nel suo appartamento.
Un cadavere che, per indurre persino Sherlock a convincersi che si trattasse
del suo, doveva essere stato piuttosto credibile. Il pensiero le provocò
istantaneamente una morsa alla bocca dello stomaco e un senso di nausea.
La
priorità era trovare un posto in cui stare. Nei prossimi giorni avrebbe potuto
fermarsi da Meena la cui ottomana, tutto sommato, molle e bitorzoli a parte,
rimaneva un’alternativa decisamente preferibile al nulla. Certo era che avrebbe
dovuto imparare a convivere con la musica rock a tutto volume, con le muraglie
cinesi realizzate con gli incarti di cibo thailandese, con le pile pericolanti di
libri piazzati dovunque come torrette di sentinella. Per non parlare di Morgan:
il suo coniglio ariete.
O
avrebbe potuto prendere una stanza d’albergo, perché no. I risparmi non le
mancavano. Ma con tutta probabilità, per la sua stessa sicurezza, Greg, supportato
da Sherlock e John, avrebbe insistito su una scorta o su una struttura
facilmente sorvegliabile.
John
e Mary? Molly scartò l’idea. Per quanto li adorasse, la poca praticità della
soluzione – abitavano in periferia e avrebbe dovuto svegliarsi ad orari infami
per arrivare al Barts – diventava un problema insormontabile, considerata la
sua pigrizia e la malavoglia con cui si costringeva a svegliarsi. Non era mai
stato il tipo mattiniero.
Molly
si riebbe dalle considerazioni del caso per trovare che Sherlock, nel
frattempo, non aveva fatto altro che osservarla. Provò una assurda,
ingiustificabile fiammella di calore che tentò, invano, di estinguere sul
nascere.
Sherlock
teneva il pollice contro il muscolo sternocleidomastoideo,
l’indice premuto sulla guancia e le altre dita ripiegate di lato alla bocca. La
guardava, indefinibilmente concentrato, come se trovasse in quel che osservava
un intrigante rompicapo da risolvere.
Molly ne fu turbata. Si schiarì la gola e si passò
le mani sulla faccia, nascondendosi per un momento cruciale alla sua vista.
Sherlock leggeva i pensieri. Non proprio, non
esattamente. Tuttavia era innegabile che riuscisse a intuire cosa chiunque
stesse pensando, nell’istante successivo in cui quel qualcuno lo aveva pensato.
Riemerse dalle proprie mani per trovarlo nell’identica
posizione, con la stessa imperscrutabile espressione. Deglutì, a disagio. “Ho
bisogno di –” si interruppe, cercando una scusa plausibile.
Insperatamente, proprio Sherlock le venne in
soccorso. “Il bagno?” domandò educatamente, inarcando un sopracciglio.
“Sì!” rispose lei con troppa, troppa enfasi. Dio, era un disastro.
Mentre si alzava, sentì che gli occhi di Sherlock la
seguivano nel corridoio e se non l’avesse considerata da subito una
sciocchezza, avrebbe giurato che avessero una luce divertita e sì, a tratti
affettuosa nel modo in cui continuavano a osservarla.
*
Mentre si dava ripetutamente della stupida, asciugandosi
il viso, sentì i toni soavemente piccati
di Sherlock provenire dal salotto e qualcuno che gli rispondeva altrettanto fermamente.
Molly socchiuse la porta, indecisa sul da farsi, se
palesarsi oppure restare dov’era.
“La polizia ha insistito per seguire la pista del
cellulare di Molly,” stava dicendo Sherlock in un’inflessione di aperta polemica.
“Un buco nell’acqua, sono pronto a scommettere.”
Sebbene lo avesse incontrato in non più di tre occasioni,
tre incontri la cui somma non raggiungeva la durata complessiva di mezz’ora, Molly
lo riconobbe dalla voce: pacata, sfumata appena in uno scherno cattedratico
che era intrinseco al suo carattere, un po’ un marchio di famiglia. Mycroft Holmes.
“Piuttosto ovvio,” considerò Sherlock.
Entrambi i fratelli sbuffarono dell’idiozia dilagante
del mondo che li assediava.
“Che intenzioni hai?” proseguì Mycroft, subito dopo.
“Non vedo come la cosa potrebbe riguardarti.”
“Non direttamente, forse, ma dovresti averlo
imparato da tempo, Sherlock. Tu sei sotto la mia custodia. Tutelo solo i tuoi
interessi.”
“E così facendo, proteggi i tuoi.”
“Indubbiamente. Tutto ciò che ti riguarda, fratello
caro, riguarda indirettamente anche me. Ogni tua azione si ripercuote sulla mia
persona, per quella legge universalmente nota che rende il minore una responsabilità
del maggiore.”
“Una coscienza? Tu?”
“Strana scelta di parola. Io avrei detto un cuore.”
Una pausa densa, concentrata di riflessioni
inespresse, accolse quell’ammissione. Molly si morse il labbro, decisa ad
aprire la porta.
“Verrà a stare da te, immagino. La vecchia stanza di
John?”
Accigliata, Molly si chiese di chi stessero
parlando, prima di capire, con un secondo di ritardo, che il ‘chi’ in questione
fosse lei.
“Il Dottor Hooper è al corrente delle tue nobili
intenzioni?”
“Ora lo è. Non è così, Molly?”
Mortificata come quando a nove anni suo padre
l’aveva trovata nascosta nell’armadietto delle medicine della sua sala
operatoria, Molly li raggiunse in salotto.
*
“Bene,” scandì Mycroft, incrociando con ricercatezza
le gambe e intrecciando le mani sul ginocchio. “Ora che le parti coinvolte sono
presenti, ritengo opportuno e doveroso fare il punto della situazione.”
Molly si scoprì ad invidiargli quel suo
savoir-faire, l’abilità che gli permetteva di condurre a buon fine ogni dinamica e di comportarsi nel modo più adeguato, di ottenere sempre ciò che voleva.
“Sei agli arresti domiciliari,” decretò Mycroft, indirizzando
a Sherlock un’occhiata mortifera. “Non puoi lasciare Baker Street a meno che tu
non sia scortato da un agente di Scotland Yard. Ti è proibito accettare
qualsiasi caso che non sia stato precedentemente approvato dal mio ufficio. È
il Governo che ti ha rivoluto qui e ad Esso appartieni per il momento.”
Con l’orrore di quella condanna a rimbombarle nelle
orecchie, Molly vide che Mycroft si rivolgeva a lei, ora. “Per quanto concerne
lei, Dottor Hooper, non posso imporle nulla. Ciò nonostante, è bene che sappia
che la sua tenacia nel rifiutare nella presente circostanza la protezione che
non ho mancato di offrirle in passato, potrebbe mettere in pericolo non solo la
sua incolumità, ma quella di molti altri. Mi aspetto piena collaborazione.”
Molly annuì. “Quali sono di preciso i termini della
sua protezione?”
Mycroft inclinò la testa e il sorriso leggero sulle
sue labbra si increspò, come se non capisse la finalità della domanda, la sua
ragione.
“Ciò che Molly intende sapere è quale prezzo la tua
protezione le imporrebbe.” Sherlock le fece un breve cenno di approvazione,
prima di congiungere i polpastrelli davanti al volto e socchiudere gli occhi. “Ha
idee molto chiare su cosa aspettarsi da un patto col diavolo.”
“Perché tu l’hai ben istruita,” ritorse Mycroft. “È
fuori discussione che lei torni al suo appartamento, quand’anche dovesse
tornare agibile in tempi relativamente brevi. Baker Street è l’unica soluzione appetibile.”
“Ma?” domandò Molly. Vedeva un ‘ma’ profilarsi
all’orizzonte, lo sentiva nell’aria.
“Dovrà lasciare il suo lavoro al Barts.”
Molly si sforzò di vedere l’ironia in quello che aveva sentito, ben sapendo di
cercarla in un uomo che non ne aveva un briciolo. “Spero che stia scherzando.”
“Non sono solito farlo. Non appartiene alla mia
indole.”
Molly si voltò verso Sherlock in cerca di appoggio,
ma ottenne un’occhiata indifferente. Era palesemente impegnato in sue personali
riflessioni e perciò disinteressato. Sollevò il mento, pronta a combattere con
le unghie e con i denti, se necessario. “Non intendo farlo.”
“Non ha scelta,” ribatté Mycroft in tono composto,
ma irremovibile. “Davvero intende mettere in pericolo un’intera struttura
ospedaliera per un suo capriccio? Per egoistica soddisfazione personale?”
Molly sussultò. Certo che no. Ma doveva esserci un’alternativa. Doveva. Inghiottì a vuoto. E invece no,
non ce n’erano. Era una dannata scelta di Hobson. “E quindi anch’io sono agli
arresti domiciliari,” disse amaramente, stringendo i pugni con una sensazione
di rabbiosa impotenza.
“Non sia così catastrofica. Ho l’assoluta convinzione
che lei e Sherlock troverete un più che soddisfacente palliativo alla noia
nella presenza l’uno dell’altra.” Mycroft si alzò per andarsene.
“Un attimo soltanto, per piacere,” lo pregò Molly.
“John verrà a stare qui con Mary? Anche lui dovrà lasciare il suo lavoro?”
Mycroft la guardò, sembrando sinceramente stupito.
“A quanto mi risulta il Dottor Watson e la sua consorte non hanno ricevuto
alcuna minaccia di morte di recente.”
“Mi sta dicendo seriamente che bisogna aspettare che
venga piazzata una bomba in casa loro prima di attuare qualcosa di drastico
come nel mio caso?”
“Lei è il tipo di persona che preferisce prevenire anziché curare una malattia, Dottor Hooper?”
“Dico soltanto che –”
“John è ben protetto, Molly,” disse Sherlock.
“Come puoi dirlo con sicurezza?” Molly era esterrefatta.
“So di cosa parlo e mi aspetto che tu mi creda. Ti
ho mai mentito, Molly Hooper?”
Lo sconcerto di Molly non poté che aumentare. Aggrottò
le sopracciglia. “Ti rispondo in ordine cronologico o alfabetico?*”
Sherlock si rabbuiò, ma perlomeno Molly ebbe la
soddisfazione di aver strappato una risata – se poi di risata poteva parlarsi,
essendo suonato più che altro come un verso di derisione – a Mycroft, incredibile dictu.
“Ti ho manipolato,” puntualizzò Sherlock, dando
l’impressione che lei lo avesse gravemente insultato. “È molto diverso dal
mentire.”
“No, Sherlock,” ribatté Molly testardamente, “per
antonomasia manipolare è alterare la verità che equivale a mentire.”
Sherlock si grattò la punta del naso, come se
prendesse atto del nuovo punto di vista, ma non riuscisse a comprenderlo.
E su quella non-risposta, con un impeccabile cenno
del capo, Mycroft e il suo ombrello se ne andarono.
*
Il tè preparato da Mrs. Hudson non la rinfrancò quanto
aveva sperato.
Molly era troppo stravolta dall’imprevedibile e
rapido corso degli eventi per fare altro che non fosse soffiare via il vapore
dalla tazza, nella metafora del nugolo di pensieri che le affollavano la mente
e che avrebbe voluto scacciare con altrettanta facilità; o fissare senza
realmente osservarle le mappe del Regno Unito e dell’Irlanda dipinte sulla
porcellana del servizio.
“Mi rendo conto che sia una situazione… ostica,”
sentì che Sherlock diceva in tono – non le riuscì di capirne il motivo -
difensivo. Temeva una scenata? O peggio: un altro pianto convulso?
“È un eufemismo,” rispose mitemente.
Sherlock fletté le labbra in un minuscolo sorriso,
concendendole un punto. Il sorriso si spense fin troppo rapidamente. “Mycroft
tende a presentare le situazioni nel peggior scenario possibile. È un fatalista: è
sua prerogativa.”
“Ma non mi dire,” mormorò a mezze labbra contro il
bordo della tazza.
Sherlock la guardò interrogativo.
Molly si trovò costretta a spiegarsi.
“Non credi che, detto da te, suoni, non so, un po’ ipocrita?”
La seconda soddisfazione della serata arrivò nel
modo comico e ridicolo in cui Sherlock strabuzzò gli occhi.
Sicura di aver azionato un processo che sarebbe
stato difficile disinnescare in tempi relativamente brevi, Molly posò la
tazza e masticò uno sbadiglio. “Scusa,” biascicò, “ti dispiacerebbe rimandare a
domani? È mezzanotte passata e bomba o non bomba, oggi è stata decisamente una
giornata frenetica.”
Sherlock annuì, le pupille leggermente dilatate.
“Buona caccia?”
Molly si trascinò verso la porta, scuotendo la testa.
“Non immagini quanto.”
Non si accorse che lui l’avesse seguita. Non lo
aveva sentito alzarsi. Ma d’altronde Sherlock sapeva essere silenzioso e
felpato come un ladro quando gli era comodo. Quando il braccio di lui le ostruì il passaggio, Molly
sollevò il viso e il suo respiro le carezzò il naso. Poi, senza preavviso,
Sherlock le baciò la fronte, poco sopra il sopracciglio destro. “Buonanotte,
Molly.”
Molly credeva che avrebbe aggiunto altro, ma si sbagliava.
Lui si allontanò galantemente, scartando di lato
per permetterle di passare.
“Buonanotte, Sherlock.”
Quella notte, forse, una parte di lei avrebbe sognato
quella cosa soffusa e vulnerabile che si era rincorsa sul viso di lui e, forse,
si sarebbe chiesta come sarebbe stato se invece di salire a dormire, lei avesse
semplicemente ricambiato il gesto.
N/A:
Innanzitutto grazie, grazie davvero! I vostri
commenti gentili e calorosi, accompagnati da reazioni così entusiaste da parte
vostra, mi hanno trasmesso una carica di energia inimmaginabile. Spero che
questo secondo capitolo sia all’altezza delle vostre aspettative, dei vostri
desideri. Lo spero davvero :)
Un abbraccio a tutte e fatevelo dire, ragazze: siete
fantastiche e adorabili!
Spero di riuscire a rispondere entro tempi brevi a
ciascuna delle meravigliose recensioni che mi avete lasciato – siete troppo
buone, non merito davvero tutti questi complimenti!
*La battuta proviene dal film “Sherlock Holmes” di Guy
Ritchie.