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Autore: Benio Hanamura    09/06/2014    1 recensioni
[Mademoiselle Anne/Haikara-san ga toru]
“Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada...”
Nel manga originale della Yamato è detto ben poco del passato della geisha Kichiji, che fa la sua prima comparsa come causa inconsapevole di gelosia della protagonista Benio nei confronti del fidanzato Shinobu, ma che poi si rivelerà essere solo una sua ottima amica e stringerà una sincera amicizia con Benio stessa, per poi segnare anche l’esistenza del padre di lei, vedovo inconsolabile da tanti anni.
Per chiarire l’equivoco e per spiegarle quale rapporto c’è davvero fra lei e Shinobu, Kichiji racconta la sua storia del suo passato a Benio, dei motivi per cui è diventata geisha, abbandonando suo malgrado il suo villaggio quando era ancora una bambina, ma soprattutto del suo unico vero amore, un amore sofferto e tormentato messo a dura prova da uno spietato destino…
Dato che questa storia è solo accennata nel manga, ma mi è piaciuta e mi ha commossa molto, ho deciso di provare ad approfondirla e di proporvela come fanfiction!
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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   A questo punto la mia storia avrebbe potuto avere il sospirato lieto fine: ero ormai del tutto realizzata, non solo nella carriera, ma anche nell’amore, così come una ragazza nella mia situazione, una figlia di poveri contadini venduta come geisha, mai avrebbe potuto nemmeno sognare. Ma, appunto, nessuna ragazza: perché mai io avrei dovuto fare eccezione? Avevo appena preso le distanze da tutto e da tutti, stretta fra le braccia di Koji come avevo sempre sognato, quando l’insistente richiamo di Miyuki dal corridoio mi riportò alla realtà: Kikyo-san l’aveva mandata ad avvisarmi che era necessaria la mia presenza ad una festa quella sera stessa. Generalmente una cosa del genere non accadeva, gli impegni di una geisha erano programmati con ampio anticipo, così da organizzare al meglio le nostre giornate lavorative, ma in quel caso avrei dovuto sostituire Kiyoko che si era improvvisamente sentita male: niente di serio, pareva, ma comunque si trattava di un malanno che le aveva reso impossibile onorare il suo impegno. Perciò, come mi spiegò Miyuki, la okasan aveva pensato a me. Ovviamente sostituire una geisha ormai esperta come Kiyoko era sempre un onore per una geisha agli inizi come me, e nemmeno in una circostanza così straordinaria avrei potuto rifiutarmi; così non mi rimase che scusarmi con Koji e congedarmi da lui prima del previsto, per avere il tempo necessario per prepararmi per uscire. Miyuki gli aveva riportato anche parte del denaro che aveva pagato per la mia compagnia e lui con un certo imbarazzo e non senza esitazioni lo prese.
  “Non avrei accettato” mi sussurrò senza che mia sorella potesse sentirlo, dato che si era già avviata verso la mia stanza “se non pensassi che potrà essermi utile per anticipare il più possibile il nostro prossimo incontro”
  Quella frase insolitamente audace stonava molto con l’espressione un po’ buffa del viso di Koji, arrossato quasi quanto il mio, il che mi rese più facile non dispiacermi troppo per quel nuovo brusco distacco, che stavolta sarebbe stato breve. Annuii e sorrisi, evitando di guardarlo ancora negli occhi, quindi mi affrettai a raggiungere Miyuki, che altrimenti avrebbe anche potuto sospettare qualcosa.
   Fu piuttosto dura, quella sera, dedicarmi seriamente a svolgere al meglio il mio lavoro ed intrattenere gli ospiti. Kikyo-san dovette sollecitarmi tre volte dopo che un cliente aveva espressamente richiesto una mia piccola esibizione di danza, e salii sul piccolo palcoscenico della sala piuttosto malvolentieri: non era certo la serata adatta per poter essere al centro dell’attenzione, e  se da un lato la mia esibizione sulle note di un canto d’amore fu resa più sentita dal fatto che certe sensazioni le stavo ora vivendo davvero, dall’altro il mio stato emotivo, che ancora risentiva troppo dell’esperienza del mio primo vero bacio, influì negativamente sulla tecnica, così che il ventaglio stava quasi per cadermi a terra e riuscii ad afferrarlo a stento, con un brusco e sgraziato movimento del polso, che in parte rimase nascosto grazie all’ampia manica del kimono. Ero riuscita a scongiurare l’errore più eclatante, in modo che sfuggisse al pubblico, ma certo non sfuggì all’occhio vigile ed esperto della mia onee-san, che mi diffidò dall’accettare di effettuare anche un’esibizione canora, richiesta da quello stesso cliente, con il pretesto di dare un po’ di spazio anche a Kohaku, una nuova maiko che era alla festa con noi e che era ad una delle sue primissime apparizioni in pubblico.
   Per tutto il resto della serata e durante il viaggio di ritorno in rishò verso l’okiya  Kikyo-san fu gentile e sorridente con me, ma inutile precisare che una volta rientrate mi ordinò di raggiungerla nella sua stanza subito dopo essermi cambiata e lì mi fece una bella lavata di capo. Io mi scusai e tentai di minimizzare, ricordandole garbatamente che lei stessa una volta in passato mi aveva detto che non era molto dolce la perfezione in un’esibizione di danza, ma non ottenni altro che farla impuntare ancora di più ed a farle ribattere che l’aveva detto davvero, ma un conto era una lieve imperfezione per simulare una certa timidezza ed un altro un errore tanto grossolano da non essere consentito nemmeno ad una maiko novellina: era stata una fortuna per me che gli ospiti di quella festa fossero così poco competenti da accorgersi dell’accaduto e che non se ne fosse accorta nemmeno Kohaku, in quel momento troppo occupata a servire da bere, altrimenti prima che l’incidente fosse stato dimenticato in molti avrebbero riso di me per parecchio tempo. Sapevo bene che Kikyo-san aveva ragione, perciò mi scusai sentitamente, inchinandomi a lei sul tatami fin quasi a toccare terra con la fronte, ma quella sera proprio non riuscii a sentirmi realmente amareggiata, perciò, accertatami che lei mi avesse perdonata chiesi subito congedo ed uscii dalla stanza, promettendole che non sarebbe accaduto più e soprattutto nascondendole il più possibile il mio viso, su cui rimaneva ostinatamente un’espressione ancora troppo felice per quelle circostanze. Quindi, non perdendo altro tempo, mi affrettai verso la mia stanza, perfettamente consapevole che quella notte sarebbe stata una vera impresa prendere sonno.
  
   I giorni che seguirono furono particolarmente felici per me. La primavera ormai nel pieno del suo splendore era niente rispetto alla primavera che aveva invaso il mio cuore: anche se riuscivo ad incontrare alquanto di rado Koji (e quasi mai da solo!) avevo confidato il mio dolce segreto a  Miyuki  e chissà come l’avevo convinta ad aiutarmi, chiedendole di tanto in tanto di fare un certo percorso quando andava a fare la spesa in modo da incrociare “per caso” Koji o Shinobu per poter consegnare un mio biglietto oppure per ricevere una risposta dal mio amato o un suo messaggio, in cui mi riferiva quando avrebbe potuto venire all’okiya, o quando lui ed i suoi compagni sarebbero stati presenti ad una determinata festa, in modo tale che potessi fare in modo di potermi fare assegnare gli stessi impegni… Mia sorella si era molto spaventata, non per il suo ruolo, che non presupponeva particolari rischi, ma per me: era ingenua, questo è vero, ma era fin troppo plausibile che al di là degli avvertimenti di Kiyoko e delle raccomandazioni generali delle geishe anziane mi stavo avviando verso una strada pericolosa, perché se mi avessero scoperta avrei avuto grossi guai. Tuttavia pur conoscendo i rischi ero molto giovane e, come vale per tutti i giovani, i rischi più che spaventarmi mi eccitavano: così tenni fede al mio impegno con Kikyo-san, ma non desistetti.
   Del resto lo stesso Koji, più adulto di me, si preoccupava di essere quanto più possibile discreto, prudente e soprattutto rispettoso, di me e della mia posizione. Il mio cruccio maggiore era che prima o poi anch’io sarei stata scelta da un danna, come Kiyoko, ed a quel punto sarebbe stata la fine del nostro amore ancora acerbo, perché come mia cugina avrei dovuto massima devozione e fedeltà solo al mio danna, limitando al minimo il rapporto con gli altri clienti, pena un grave disonore con tutto ciò che ne sarebbe potuto conseguire, per me e per la mia famiglia, che ovviamente non avevo mai dimenticato. Su questo punto comunque Koji presto mi rassicurò: gli si prospettava finalmente una promozione, il che gli avrebbe portato notevole prestigio per un giovane di umili origini come lui, arrivato dov’era non per diritto di famiglia ma unicamente per merito, ma soprattutto un significativo aumento di stipendio, grazie al quale, era certo, avrebbe potuto fare in modo che quella mia massima devozione e fedeltà fossero destinate solo a lui ed a nessun altro, ovviamente se era ciò che anch’io desideravo. Certamente lo era: saremmo stati felici, lui sarebbe diventato il mio danna, e col tempo avrebbe potuto anche riscattarmi e sposarmi, ma anche prima di ciò avremmo potuto avere dei figli e crescerli insieme.
   Ancora una volta Koji era riuscito facilmente a rasserenarmi, e finalmente ero in grado di scrivere lettere molto allegre alla mia famiglia, come non mi era mai capitato in tanti anni. Non potevo certo scrivere di essere felice ed innamorata, ma nessuno avrebbe avuto qualcosa da sospettare se avesse letto che ero serena e realizzata nella professione, e che ormai guardavo con fiducia verso il futuro.
   Ma, come dicevo prima, perché mai proprio io avrei dovuto fare eccezione alla triste sorte a cui è destinata ogni giovane geisha che sogna il vero amore? Ed infatti non fu così, come ebbi ben presto modo di constatare.
   La primavera stava volgendo rapidamente al termine e presto avrebbe lasciato il posto all’estate. Ne ero entusiasta, perché in quell’ormai inaspettato stato di piena grazia in cui mi trovavo qualsiasi stagione si prospettava per me come l’arrivo di nuove piacevoli esperienze e sorprese. In quel momento meno che mai avrei potuto immaginare che proprio quella promettente estate del 1914 avrebbe segnato per me l’inizio di un lunghissimo e gelido inverno, ben più lungo e gelido di quelli a cui ero abituata al villaggio, che avrebbe messo a dura prova persino la mia sopravvivenza.
  
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