Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Francine    10/06/2014    2 recensioni
«Una sorta di super soldato?», chiese un giovane, dai capelli biondi e dall'accento sguaiato, con una cravatta da vaccaio al collo. «Come nei fumetti?»
«Esatto, mister Griffith», intervenne Volonskij, «solo che, questa volta, potreste ottenere dei dati concreti, invece che pagine disegnate per bambini delle elementari.»

Prima Pubblicazione: Settembre 2004
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
14.



Aveva seguito Saori col cuore in gola e maledetto ogni semaforo rosso che era apparso sulla loro strada. Aveva seguito Saori. Per sapere come stesse Ikki, certo. Ma anche per fargli avere, e ricevere a sua volta, notizie di Shun. Perché nella sua testa le era sembrato giusto che fosse lei, a dirgli di Shun. Che fosse un suo preciso dovere.
Ikki stava bene.
Malconcio e con qualche livido, assomigliava più ad un vecchio gatto randagio che al Santo della Fenice, ma nel complesso stava bene e lo sarebbe stato fino a quando lei non gli avesse stretto le mani attorno al collo.
Perché Ikki stava cenando – e questo corrispondeva a quanto aveva detto Andrew. Ma dell’infermiera – giovane, carina e coi capelli rossi che lo stava bloccando a terra col proprio corpo – Andrew non aveva fatto cenno alcuno. Anzi.
Gli occhi blu della Fenice si erano allargati di stupore – felicità? – quando l’aveva vista apparire oltre la porta e un sorriso sincero gli aveva disteso le labbra. Si era alzato – la ragazza lo aveva fatto alzare – e le si era avvicinato, a passi malfermi.
«Ciao, June», le aveva detto. «Come stai?»
«Come una che ha una gran voglia di spaccarti quel vassoio sulla testa!», aveva replicato lei, le mani strette a pugno che fremevano per aprirsi e stamparsi sulle guance graffiate di Ikki. Ikki che stava bene. Talmente bene da poter giocare con quella ragazza all'ammalato e all'infermiera. E lei che aveva scavalcato le pretese di Seiya e degli altri!
«Aspetta!», l’aveva rincorsa la voce di Ikki quando si era voltata, chiudendosi la porta alle spalle con un sonoro SLAM. Aspetta un accidente, aveva pensato iniziando a scendere i primi gradini. A quel punto era apparso Andrew.
«Hai visto Fiona?», le aveva chiesto. Con quel suo sorriso indisponente che sembrava pregarla di prenderlo a schiaffi. E quando lei aveva fatto per rispondergli, e mandarlo a quel paese tanto per sfogarsi su qualcuno, Ikki le aveva afferrato un polso, apparendo dietro di lei.
«Hai visto Fiona», si era risposto Andrew, stringendosi nelle spalle.
«Dobbiamo parlare.» June era certa di aver visto qualcosa balenare nello sguardo di Ikki. Qualcosa che l’orgogliosa Fenice non avrebbe mai espresso a parole. Una richiesta di aiuto, forse? «Di Shun.»
June aveva annuito. Ikki aveva ripreso a respirare. Fiona li aveva raggiunti, il vassoio della cena tra le mani ed aveva seguito Andrew al pian terreno – «Andiamo, sweet heart. I piccioncini devono parlare.» – lasciandoli da soli sulle scale.
«Non lo sopporto», si era lasciata sfuggire June non appena erano rimasti da soli.
«Ignoralo. Abbiamo cose più importanti a cui pensare, adesso.»
«Athena sta aspettando.»
«Da quanto non hai notizie di mio fratello?»
«Non lo vedo da sei mesi. Non lo sento da quasi cinque settimane.»
Ikki l’aveva guardata negli occhi, come a sincerarsi delle sue parole, poi aveva stornato lo sguardo.
«Cerchi alleati?», gli aveva chiesto lei, quasi un sussurro a perdersi nella penombra delle scale.
Lui aveva annuito. «Cerco qualcuno che sia disposto a fare quello che c’è da fare. Cerco qualcuno che voglia bene a mio fratello.»
«Lo hai trovato.»
June gli aveva porto la mano, due gradini più in basso. Lui l’aveva stretta con delicatezza tra le dita fasciate.
«È in quel posto?»
«Non lo so.»
«Ikki…»
«Non. Lo. So. Non ne sono sicuro. Ma so che eravamo vicini. Lo sento
Lei non gli aveva chiesto su quale base posasse questa sua convinzione. Si era limitata ad annuire, e a stringere un pochino le dita di Ikki nelle sue. Per darsi coraggio. Aggrappandosi a qualcosa di più concreto delle teorie e dei piani degli ultimi giorni.
«Torna domani. Parleremo con più calma», le aveva detto Ikki prima di avviarsi al pian terreno. Lei l’aveva guardato perplessa.
«Domani?»
«Athena ci sta aspettando, no?», aveva aggiunto, e June l’aveva seguito, aiutandolo. Sorreggendolo. Pregustando dentro di sé il momento in cui avrebbero fatto finalmente qualcosa di concreto per Shun. Senza sapere che la macchina del destino si era messa in moto. E sarebbe piombata su di loro come un treno lanciato nella notte.


Jabukido aveva le mani tra i capelli.
La giacca del completo giaceva abbandonata da qualche parte. Le cornette dei telefoni erano sollevate. Aveva un aria distrutta. E Mayumi Tanaka sapeva a chi si dovesse tutto. Saori Kido. Negli ultimi giorni lei era tornata prepotentemente nella sua vita, e questi erano i risultati.
Mayumi sospirò. Non c’era nulla che potesse fare per Jabukido. Oh, lei avrebbe voluto fare qualcosa, l’avrebbe voluto tanto, ma Mayumi era sicura che se si fosse sciolta i capelli e avesse allentato i primi due bottoni la camicetta, avesse aperto la porta che separava i due uffici e fosse entrata nel suo regno come il sole di Aprile, lui non se ne sarebbe accorto. E anzi, nella migliore delle ipotesi le avrebbe ricordato che c’erano ancora tutte quelle lettere da scrivere, prima di chinare la testa sul piano ingombro di carte della scrivania.
Mayumi sospirò.
Sì, c’erano tante lettere da scrivere – quattro per la precisione – e se quello era l’unico modo in cui avrebbe potuto essere d’aiuto al signori Jabukido, beh, le avrebbe scritte tutte quante, accidenti! A tempo da record.
Le sue dita ripresero a volare sulla tastiera, quando si accese la luce dell’interfono.
«Signorina Tanaka, può venire qui un momento? Avrei bisogno di lei.»
Era la voce di Jabukido. La voce di un uomo alla deriva, che non aspetta altro che di essere salvato dall’amore della sua dolce e devota segretaria.
Sciogliti i capelli, Mayumi. Sciogliteli e va da lui. Abbraccialo e confortalo. Perché ha bisogno di te. Raccolse il blocco per stenografare e lo raggiunse oltre la porta a vetri.
«Mi ha fatto chiamare, signor Kido?»
Lui alzò la testa. E la guardò come se la vedesse per la prima volta in vita sua. Nel cuore di Mayumi risuonarono campane a festa.
«Sì. L’ho fatta chiamare.»
«Dica.» Mayumi si avvicinò. Sorridendogli. Sono sempre io. Sono Mayumi. La tua Mayumi.
«Telefoni all’avvocato Mutsudaira dello studio legale Nakanishi, per favore.»
Mayumi gli scoccò uno sguardo deluso, uno di quelli che diceva: «Tutto qui?».
«E?»
«E rintracci mio fratello Nachi, per favore.»
«C’è altro?», chiese lei, immobile sulla porta come un soldatino di piantone.
«Sì. Si sistemi i capelli. E ha dimenticato di allacciare i primi due bottoni della camicetta.»
Mayumi strinse labbra e maniglia, represse uno sbuffo spazientito e sibilò: «Sissignore!», prima di chiudersi la porta alle spalle e tornare in tre ampie e rabbiose falcate alla propria scrivania.
Stupida, stupida, stupida!, si disse accomodandosi. Non era ancora il momento giusto. Pazienza. Doveva aspettare ancora un po', ma Mayumi sapeva che prima o poi Jabukido si sarebbe accorto di lei. Doveva solo aspettare. E sperare che quella strega di Saori Kido non ricomparisse tanto presto all'orizzonte.
Si tirò i capelli all’indietro, fermandoli con un elastico. Avrebbe sistemato lo chignon più tardi, nella toilette delle signore. Adesso aveva delle telefonate da fare e delle lettere da finire di scrivere. E una brutta figura da archiviare al più presto.
 

Seduta sul divano della stanza degli audiovisivi, June cercava un modo per lasciare Kido Manor senza dare nell’occhio.
Se si fosse assentata adducendo come scusa l’improvvisa voglia di una passeggiata, o il desiderio di fare shopping, tutti avrebbero capito che stava recandosi da Ikki. E che questo avrebbe potuto significare una cosa sola. Quei due avevano in mente qualcosa. Qualcosa che aveva ben poco a che fare con la strategia ideata da Hyoga. Che aveva funzionato, sì, ma non aveva dato i frutti sperati. L’idea non era sbagliata, era sbagliato il mondo in l’avevano messa in pratica. Avrebbe funzionato, sì, se si fossero trovati in un anime o in uno sceneggiato televisivo, o in un romanzo; non nel mondo reale. Non era quasi venuto un infarto a Jabu quando il Cigno gli aveva candidamente rivelato la seconda parte del suo piano?
Sì. C’è quasi rimasto secco, pensò June stringendo tra le dita una lattina di aranciata. Non voleva berla. Era fresca e quel contatto l’aiutava a mantenere la calma. E a pensare. Avrebbe voluto dire: «Esco», e basta, senza specificare dove sarebbe andata, ma no, non si poteva. Qualcosa doveva pur dire, e se solo Françoise si fosse fatta viva, sarebbe stato più facile. Forse. L’avrebbe usata come distrazione per liberarsi degli altri e se ne sarebbe andata via, silenziosa come un gatto.
Per fortuna che aveva promesso di aiutarmi, pensò.
Dal canto suo, seduto sul divano accanto a lei, Hyoga avrebbe voluto soffermarsi sulla sorte toccata a Shiryu e probabilmente anche a Shun, ma la sua mente cercava di trovare il modo per farsi perdonare da Erii. La cena con Sho non era stata una buona idea, anzi: era stata un fiasco colossale, con il Santo d'Acciaio in evidente imbarazzo e la sua Erii che gli teneva il muso da due giorni. Ma cosa ne poteva sapere, lui, che quel giorno padre Ranmaru avrebbe portato i bambini al luna park? Che ne poteva sapere, lui, che avrebbero avuto tutto lo spazio e la tranquillità di cui due ragazzi innamorati hanno bisogno, di cui lui aveva bisogno per tirare un po' il fiato?

Se solo me l’avesse detto…

«Ripetilo se ne hai il coraggio!»
La voce di Seiya proveniva direttamente dal salotto al pian terreno ed era scossa a sufficienza per convincere Hyoga ad alzarsi dal divano, a lasciar perdere Erii per un istante e ad uscire di scatto, superando June e la sua lattina.
Sotto gli occhi di Shaina, Seiya, di spalle, stava fronteggiando Milo, il quale aveva dipinta sul viso un’espressione d’indicibile uggia.
«Te l’ho detto e te lo ripeto. Non. Mi. Seccare.»
«Maledetto …»
Hyoga fece appena in tempo a frenare Seiya prendendolo per le spalle, trattenendolo a pochi, fin troppi, centimetri da Milo. Pegaso continuò a digrignare i denti in faccia all’altro, che per tutta risposta non si mosse, le braccia incrociate e le spalle appoggiate al muro dietro di sé.
«Ma sei impazzito del tutto?», gli sibilò Hyoga tenendo d’occhio Milo.
«Lasciami! Ho un conto da saldare con questo bellimbusto… Lasciami!», replicò cercando di sottrarsi alla stretta del Cigno.
«Che cosa sta succedendo qui?»
Il Cosmo di Athena invase la stanza un istante prima che Milo pronunciasse un patetico di troppo. Non ottenendo alcuna risposta, Saori avanzò verso Seiya che continuava a fissare lo Scorpione in cagnesco.
«Seiya? Milo? Sto parlando con voi…»
«Non è nulla, milady, nulla. Si è trattato di un malinteso», rispose Milo staccandosi dal muro. 
«Malinteso un corno!», sbottò Seiya liberandosi da Hyoga e mandando quest’ultimo a terra. «Non so che cosa tu abbia in quella testa vuota…»
«Basta così», tuonò Saori cercando di riportarli alla ragione. «Abbiamo un problema ben più serio di queste scaramucce da bambini, semmai ve ne foste dimenticati!»
«Giusto! E non facciamo che perdere tempo prezioso!», rispose Seiya guadagnando l’uscita a grandi passi.
«Aspetta. Che intenzioni hai?», lo fermò, per un istante, la voce di Saori.
Lui la fissò dritto negli occhi, quindi le rispose :«Non cerchi di fermarmi, Milady! Il tempo delle chiacchiere è finito; adesso è tempo di agire», concluse sorpassandola e sparendo nel corridoio.
Hyoga fece per riagguantarlo, quando un singolo gesto di Saori lo fermò.
«Sai bene anche tu che ora come ora sarebbe solo fiato sprecato! E sai anche che non è così sciocco da mandare tutto all’aria», disse raggiungendo una poltrona e sedendovisi stanca. «Vi prego, lasciatemi pensare. Vi aspetto qui tra un’ora.»
La stanza si svuotò in pochi minuti lasciando la reincarnazione di Athena da sola a sola con i propri pensieri. Mentre usciva dal salotto, a Shaina, che aveva assistito alla scena senza intervenire per paura di peggiorare la situazione, si strinse il cuore nel vederla così: mai avrebbe detto che avrebbe provato pena per la sua inarrivabile rivale. 
Adesso, però, ho da fare, Saori, pensò, seguendo a distanza di qualche passo Milo. Lo Scorpione aveva deciso di inoltrarsi nel parco attorno alla villa. Avrebbe dovuto sbrigarsi. A tre passi all’esterno lo chiamò, fermandolo sulle scale, il sole dietro le spalle che gli scaldava i capelli di riflessi ramati. 
«Scusami…», gli si avvicinò costernata.
«Per cosa?», le chiese perplesso.
«Per l’indecoroso spettacolo di poco fa. Sei stato molto comprensivo con Seiya…»
Le pose un dito sulle labbra, impedendole di proseguire oltre.
«Shaina, non è certo colpa tua, se oggi aveva la luna di traverso! E poi immagino di essere capitato in un momento sbagliato, vero?»
«No», disse. , pensò. Perché era vero. Milo era entrato nel salotto proprio mentre Seiya stava dimostrando di aver messo giudizio e di voler discutere della situazione in maniera adulta e civile. Ma la vista dello Scorpione – che credeva fosse arrivato qualcun altro, e non il Santo di Pegaso, e su questo Shaina era pronta a scommetterci la testa – aveva distrutto il fragile equilibrio di Seiya come la grazia di una pallonata che centra in pieno la vetrina di una cristalleria.
«Tranquilla, è tutto a posto!»
«Ma…»
«Niente ma! Se continui a preoccuparti così per il sottoscritto, dovrò pensare che il mio fascino abbia colpito ancora! E lo sai che a casa ho lasciato una persona ad aspettarmi, vero?»
Beata lei, pensò, fissando le due acquemarine incastonate nel viso di lui.


Seiya prese il primo treno per Nerima salendo di corsa nel vagone più pieno dell’intero convoglio, tra studenti al rientro da scuola, impiegato di ritorno dall’ufficio e massaie con la sporta della spesa piena e la testa persa nelle mille cose da fare in casa e la cena da preparare.
Quattro fermate, quattro fermate, si ripeteva schiacciato tra la schiena di due sudaticci e corpulenti uomini in doppiopetto grigio. Resisti per quattro fermate. Quando le porte si aprirono alla stazione di Nerima, il treno era mezzo vuoto: uscì dai tornelli e si diresse a consultare la mappa ingrandita della zona.
Ikki gli aveva accennato per telefono che si trovava in una villetta, in un posto pieno di altre case, a Nerima. E non aveva saputo aggiungere altre informazioni.
Un posto pieno di case… Sarà sicuramente sulla cima della collina, come al solito!, pensò dando uno sguardo alla cartina. Ma per esserne sicuri, usiamo il vecchio metodo.
Chiuse gli occhi ed espanse il proprio Cosmo, cercando di captare la presenza di Ikki. 
Seiya? Dove sei?
Risposta chiara e nitida. 
Alla stazione e tu?
A Nerima, e tu?
Alla
stazione di Hikariga Oka! Senti, mantieni costante il tuo Cosmo, proverò a seguirlo!
«Signore, signore, che hai?»
Si sentì tirare per i pantaloni: un bambino di sei, sette anni anni lo stava fissando preoccupato, lo zainetto sulle spalle.
«Stai male, signore?»
«No, piccolo. Stavo solo cercando di ricordarmi dove abitasse un mio amico», rispose abbassandosi al livello del bambino.
«Seiji, non dar fastidio al signore!»
Una donna con le sporte della spesa piene, probabilmente la mamma del bambino l’aveva preso per mano e portato accanto a sé. «Lo scusi, è un gran chiacchierone. Non la stava importunando, vero?»
«No, signora, si figuri», rispose imbarazzato di trovarsi davanti una donna tanto giovane e con un figlio accanto a sé.
Avrà sì e no un paio di anni più di Shaina, pensò automaticamente notando che la donna indossava un impermeabile nero avvitato, come quello della sua adorata ex ragazza. Notò poi qualcosa, o meglio qualcuno, passare dietro la donna: una ragazza alta, un’europea con una stretta coda di cavallo e grandi occhiali a goccia calati su quel naso antipatico che lei si ostinava a definire alla francese, e che per lui assomigliava alla pista per il salto con gli sci.
«Mi scusi, signora, ma devo andare…»
Salutò svincolandosi dalla donna, che riprese a camminare per fatti suoi mentre il piccolo Seiji continuava a salutarlo con la manina: «Ciao, signore che pensa!».
Seiji… È proprio un bel nome!, pensò gettandosi all’inseguimento della ragazza, che attraversò un incrocio e si diresse verso la collina che sovrastava la stazione della Linea Gialla. 
Percorse un centinaio di metri lungo la strada panoramica, chiedendosi che cosa ci facesse lei in quel quartiere fatto di piccoli muri di cinta che custodivano casette a due piani. La ragazza entrò dentro uno di questi giardini assieme alle buste della spesa. 
La targa in legno all’esterno del cancello recitava Maison des Etolies: era una palazzina a due piani, probabilmente una vecchia casa riadattata a pensionato, tetto di tegole ocra, camminatoio di lastroni grigi e grande orologio nel sottotetto che batté le sei del pomeriggio. 
Si fece coraggio e decise che tentare era sempre meglio che restare fuori a fissare l’abitazione come se fosse un ladro: percorse il camminatoio, aprì le grandi porte a vetri e notò subito un paio di stivali rossi dalla punta stondata all’interno del genkan.
Avrebbe riconosciuto quell’orrore ovunque! 
Ancora ricordava la discussione avuta con Shaina la primavera precedente quando lei gli aveva mostrato in anteprima il suo prossimo acquisto, acquisto fatto già dalla coinquilina estrosa della sua principessa. 
Se non è lei, io sono Susanoo!, pensò dimenticandosi per un istante di Ikki che stava mantenendo stabile il proprio microcosmo.
«Buongiorno, desidera?» 
Si accorse solo in quel momento della donna bassa e grassottella che gli stava davanti con una sigaretta tra le mani.
«Sto… sto cercando un’amica! È un’europea, capelli castani, alta quanto me, accento francese…»
«Sì, abita qui. Vuole che gliela chiami?»
«Preferirei farle una sorpresa, grazie!»
La donna lo guardò attentamente – lo squadrò socchiudendo gli occhi – e poi disse: «Certo, certo, capisco… Troverà Sophie di sopra, nella stanza numero sette, quelle sono le sue scarpe. E se si sta chiedendo come lo sappia, è semplice. Solo un’europea potrebbe indossare stivali rossi!».
Sophie? La mente di Seiya vacillò per un istante. Chi diamine era, adesso, questa Sophie? Possibile che in tutti gli universi possibili e ipotizzabili, lui avesse trovato la sua sosia speculare a Nerima? Ringraziò con un inchino, deciso a fugare ogni dubbio, e, liberatosi delle scarpe, salì rapidamente la rampa di scale che conduceva al piano superiore. 
Ah, la gioventù!, commentò tra sé e sé la donna guardandolo sparire oltre i gradini. Rientrò nel proprio appartamento ed uscì per sempre da questa storia assieme ad una boccata acre di fumo.
Seiya raggiunse la porta con un vetrato smerigliato e il numero 7 che vi campeggiava sopra in nero; bussò e sentì la sua voce chiedere: «Chi è?», con il suo caratteristico suono nasale.
«Sono Pierre», rispose appoggiandosi allo stipite con il braccio sinistro. Sentì un tramestio, cassetti aprirsi e chiudersi al volo e poi vide la sua sagoma apparire dietro il vetro. «Apri, Sophie», l’incoraggiò con voce suadente; la porta si aprì e Françoise apparve dietro di essa.
«Che ci fai tu qui?»
«Ti ho vista alla stazione e ti ho seguita, Sophie…»
«Entra!», fece brusca prendendolo per il bavero della camicia.
Seiya si trovò immerso nell’anticamera del Regno del Caos primigenio, la cui unica sovrana lo stava fissando in piedi sul tatami: buste della spesa ancora da svuotare, il futon che minacciava di sventrare l’armadio a muro dentro cui era stato frettolosamente arrotolato, la cesta straripante di panni sporchi da lavare e i resti di cibi precotti accatastati nell’acquaio.
«Oddio…», si lasciò sfuggire Seiya guardandosi intorno. «È più grave di quel che pensassi!»
«Non mi sono abbrutita in seguito allo choc, sia chiaro!», precisò Sophie chiudendo la porta.
«Ah no? E questo come lo chiami?»
«Lavori in corso…», rispose incrociando le braccia. «Che ci fai qui?»
«Ti ho vista scendere dal treno e ti ho seguita.»
«Come un maniaco! Ecco perché non ti sei fatto la barba!»
«Sto cambiando il mio look», rispose accarezzandosi i peli ispidi che facevano capolino sul suo mento. Si sedette a gambe incrociate sul tatami e Françoise aprì il piccolo frigorifero che ronzava placido in un angolo, estraendone due lattine.
«Questo è il meglio che offre la casa», disse porgendogliene una. Si sedette accanto a lui, lo sguardo fisso alla finestra ad ovest, gustandosi una birra fresca in religioso silenzio, mentre il cicalino dell’addetto ai rifiuti non biodegradabili risuonava nella sera.
«Perché Sophie?»
«Dovevo pur usare un nome, no?»
«Sì, ma perché Sophie? Perché non il tuo?»
Lei si strinse nelle spalle. «Quando si sceglie un nom de plume, si cerca qualcosa di facile, qualcosa che resti in mente.»
«E Sophie sarebbe un nome facile, secondo te?»
«Più di Victoire, sicuramente.»
«Chi?»
«Lascia perdere...»
Tacquero. Lei bevve un’altra sorsata di birra, poi disse: «Non penserai che creda alla balla della visita di cortesia, vero?».
Posò lattina accanto a sé e stese le gambe.
«Assolutamente no. Sto andando a prendere Ikki, vogliamo tentare un’irruzione per salvare Shun. Sei dei nostri?»
«Athena lo sa?»
«Lo immagina.»
«Oh, non lo metto in dubbio! Così come io immagino anche che vi sguinzaglierà dietro Milo e Hyoga in un battibaleno.»
Seiya schiacciò la lattina nella mano destra, mentre la birra schiumò sulla sua mano e sul pavimento. «E che cosa pensi possa farmi una zanzara come lui?»
«Il solletico», ribatté lei osservando la birra penetrare nella trama del tatami. Sollevò la manica sinistra e gli mostrò il braccio.
«E quelli cosa sono?», chiese Seiya indicando con lo sguardo le cicatrici sulla pelle chiara.
«Un ricordino della zanzara», rispose lei.
«Ne ho ricevute un paio, anche io.»
«Mi ha usata come un puntaspilli. Se permetti, ne so qualcosa in più», disse lei. «Seiya, non sto scherzando. Milo sa fare molto male, anche quando vuole solo fermarti. E non massacrarti. Non cercare mai lo scontro diretto, con lui.»
«Senti, inutile girarci intorno!», disse Pegaso stornando lo sguardo dalle cicatrici. Françoise si coprì il braccio. «Milo non l’ho mai sopportato, adesso meno che mai, per cui prima se ne torna in Grecia, meglio sarà per tutti.»
«E non hai pensato che Shaina potrebbe seguirlo, se le cose stanno come dici tu?»
«Ma lui non ha qualcuno che lo aspetta a casa?»
Lei abbassò lo sguardo. «Te l'ho detto. Non so più cosa pensare. E non intendo chiamare quella persona. Non è affare mio.» Silenzio. «Non credi che Shaina potrebbe volerlo seguire?»
«Non ci voglio pensare, non adesso! Adesso ho solo voglia di salvare Shun e di farla finita con tutta questa storia. E la soluzione è quella di prendere il toro per le corna.»
«Già, sei un esperto, tu… »
Seiya scattò in piedi. Furioso. «Fa’ quello che ti pare. Non è affar mio!», sibilò sbattendosi la porta dietro di sé. Uscì dall’edificio sbattendo anche la porta d’ingresso e lasciandosi la casa alle spalle in quattro falcate rabbiose. Era inutile pensare che quella decidesse di collaborare con lui; anche ora che avrebbero avuto un motivo ben valido per fare fronte comune, Françoise continuava e avrebbe a remargli contro. Per puro spirito di contraddizione.
Decise di gettare la spugna e di seguire il cosmo di Ikki.


La villetta dal tetto verde appariva silenziosa e anonima, incassata in una schiera di case tutte uguali e tutte altrettanto silenziose. Il cosmo di Ikki giungeva da quella all’estremità nord della strada. Poco prima che suonasse il campanello, riconobbe la sua voce discutere animatamente con un’altra persona.
«Lasciami ho detto!»
«Sei impazzito? Le tue ferite non si sono ancora rimarginate, dove vorresti andare?»
Una voce di donna!, pensò Seiya scavalcando il cancelletto bianco e arrivando in un paio di passi davanti alla porta verde, la maniglia tra le mani.
«A salvare mio fratello. Lo capisci questo?»
«Ma non puoi andarci da solo!»
La porta si aprì e Seiya si trovò faccia a faccia con un Ikki malconcio e bendato.
«Era ora! Sto espandendo il mio Cosmo da una vita!», lo salutò cercando di togliersi una lunga fasciatura dalla fronte.
«Come stai?»
«Bene, bene, ma adesso non abbiamo il tempo di prenderci un tè con i pasticcini!»
Seiya annuì. «Sai dove tengono prigioniero Shun?»
«No. Ma possiamo provare a tornarci», rispose Ikki quando due mani sottili si aggrapparono al suo braccio destro.
«Non crederai che sia lo tengano nello stesso luogo da cui sei fuggito? Lascia stare, aspetta che torni Andrew…»
Ikki si voltò e la prese per le spalle.
«Ascolta Fiona, ascoltami bene. I miei fratelli sono prigionieri di quella stessa gente che mi ha torturato. Se prima avevo dei dubbi e potevo basarmi solo su ciò che mi diceva l’istinto, dopo la rivelazione che mi avete fatto nei giorni scorsi devo andare a salvarli, non posso certo starmene qui con le mani in mano mentre loro vengono spremuti come limoni! Capisci?»
Fratelli?, pensò Seiya. Poi glielo chiese: «Fratelli?»
Ikki sospirò. «Quei bastardi hanno rapito anche Shiryu.» Vide lo sguardo di Pegaso allargarsi e farsi più cupo. Tornò a fissare la ragazza. «Shun è tenuto prigioniero nel grattacielo F. a Minato? Diccelo! Jimena potrebbe rientrare da un momento all'altro. Non abbiamo molto tempo, Fiona!»
La ragazza lo fissò intensamente negli occhi, quindi abbassò la testa e la gran massa di capelli rossi che le ricadevano fin sotto le spalle scese a coprirle il viso.
«Forse», sussurrò arresa. Sapeva che quel forse era per Ikki la più granitica delle certezze e vi ci si sarebbe appeso. Con le unghie e coi denti. «Vi do un’ora di vantaggio, una sola, poi avvertirò Kido Manor, intesi?»
«Grazie!», rispose Ikki con gli occhi sorridenti, quelli di un bambino che è riuscito a strappare un altro giro di giostra. «Grazie di tutto…», aggiunse prima di accostarsi a Seiya e di catapultarsi giù per la discesa.
Speriamo di aver fatto la cosa giusta, si augurò Fiona rientrando e dicendosi che sì, lei capiva perfettamente cosa significasse avere un fratello in pericolo di vita e non poter muovere un solo dito per aiutarlo. E l’ansia di arrivare tardi, troppo tardi per salvare una vita. Patrick, proteggili tu, pregò impugnando la croce che pendeva oltre lo scollo della camicetta.


Dio, che stronza, che sono!
Françoise era rimasta seduta sul tatami, la lattina che stava versando il suo liquido nella trama del bambù, andando a mischiarsi con quella rovesciata da Seiya. Si teneva la testa tra le mani, chiuse ad artiglio attorno ai capelli.
Seiya voleva collaborare. Non era quello che lei stessa gli aveva proposto, una manciata scarsa di giorni prima?
Sì, che lo era. E questo sarebbe stato un bene, per tutti. Prima avrebbero trovato Shun, prima lei se ne sarebbe ripartita per Atene. E poi avrebbe pensato a cosa dire ad Athêna. Sempre se fosse stato il caso di dirle qualcosa, ovvio.
L’espressione di Seiya era quella del gatto che riceve una secchiata d’acqua ghiacciata sulla testa.
Sì, collaborare era la soluzione. Lo era sempre stata, fin dall’inizio. E forse era finito il tempo dei cincischiamenti, del io vorrei, non vorrei, ma se vuoi. E a lei aveva sempre fatto orrore Battisti.
Sentiva il Cosmo di Seiya chiamare quello di Ikki, e quello della Fenice rispondere costante, come un faro che segnali ai naviganti la via d’accesso al porto durante la tempesta.
Anche Athena li starà sentendo. E non tarderà a prendere provvedimenti, pensò, stringendo un po’ più forte le dita.
Adesso o mai più!
Gettò fuori l’aria, come una specie di urlo strozzato. Lasciò andare i capelli, raccattò il pacchetto di radici di liquirizia ed uscì.
 

«Dove vai? Minato è dall’altra parte!», lo chiamò Ikki ad un crocicchio.
«Piccola deviazione, andiamo a prendere qualcuno che sembra averci ripensato», rispose seguendo una sorta di pista nota soltanto a lui: giunsero sino ad una vecchia casa dal tetto d’ardesia ed entrarono nel cortile recintato da un muro che aveva visto anni migliori. Ikki lo seguì come un automa, pensieroso. June non abitava a Kido Manor? Aveva capito male?
«Seiya, chi…», domandò. Un’ora era troppo breve per sprecarla fermandosi qua e là. Ma Ikki tacque vedendo Françoise seduta nel genkan, sul gradino d’accesso alla casa, un legnetto marroncino tra le labbra.
«Toh, chi si rivede, il desaparecido numero due! La gramigna non muore mai, vero?», lo salutò strizzandogli un occhio. 
Ikki guardava ora lei, ora Seiya, che fissava la ragazza dagli stivali rossi con un sorriso soddisfatto. 
«Ci hai per caso ripensato?»
«Ho un paio di chili da smaltire, e un po’ di moto è proprio quello che mi servirebbe…», rispose, tenendo il legnetto tra le dita. Ikki notò che lo stava mangiucchiando. La sua lingua era annerita.
«Che roba è quella?»
«Liquirizia», rispose lei mostrandogli il legnetto. Come se fosse una cosa normale. «Dove si va?»
«Minato ti piace?»
Annuì e sorrise. «Bien sûr que oui! Conosco una scorciatoia, andiamo!», disse uscendo dalla casa sotto gli occhi di un confusissimo Ikki, il quale si affiancò a Seiya e gli sussurrò ad un orecchio: «Lei la mandiamo a salvare il professore, vero?».
«Certo. Vorresti lasciarle Shiryu? Non sai che non si mette mai la candela accanto alla paglia?», rispose seguendo la ragazza per la discesa verso la stazione.


Note:
Veloci, rapide ed indolore.

Hikariga Oka è una stazione della metropolitana nel quartiere di Nerima, che si trova a Nord Ovest all'interno dei 23 quartieri speciali in cui è suddivisa Tokyo. Nel 1943 ci fu una fusione tra la città di Tokyo e la prefettura a lei assegnata, creando, così, l'odierna capitale del Giappone. I ventitré quartieri storici (lista completa qui) che costituivano la capitale divennero dei quartieri speciali, parzialmente autonomi, mentre si iniziò a chiamare il resto della prefettura Area di Tama.

Minato è un altro dei ventitré quartieri speciali di Tokyo, che ospita le sedi di rappresentanza di svariate industrie e reti televisive e ben quarantanove ambasciate.

Il pensionato Maison des Etoiles è spudoratamente ispirato alla Maison Ikkoku, dell'omonimo manga di Rumiko Takahashi, così come la donna che incontra Seiya strizza l'occhio a quella pettegola avvinazzata di Ichinose san. Situando parte della storia a Nerima, non potevo non fare quest'omaggio. Sentito e dovuto.

Susanoo (nome completo Susanoo-o-no-Mikoto) è uno dei principali Kami, le divinità dello shintoismo. È il dio delle tempeste e degli uragani, ed il suo carattere non semplice costrinse gli dei ad isolarlo sulla terra, nella regione di Izumo. Qui Susanoo divenne il difensore dell'umanità, sconfiggendo i vari mostri che infestavano quella regione. Per tutto il periodo Heian, si fece risalire a Susanoo la composizione della prima poesia giapponese in assoluto, contenuta nel Man'yoShu:

Yakumo tatsu
Izumo yaegaki
tsumagomi ni
yaegaki tsukuro
sono yaegaki o

(Otto nubi si innalzano
E l'ottuplice recinto di Izumo
Forma un ottuplice recinto
In cui ritirarmi con la mia sposa.
Ah, quell'ottuplice recinto)


Sophie e Victoire, sono un riferimento all'attrice Sophie Marceau, protagonista del film La Boum (Il tempo delle Mele) pellicola in cui interpretava una ragazzina tredicenne di nome Victoire Berreton.

E al solito, grazie a chi passa, a chi legge, a chi commenta. E anche ai lettori silenziosi. Grazie di cuore.
F
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Francine