Sento la porta
aprirsi e chiudersi
immediatamente dopo.
-“Revy?
Sono a
casa!”-
Lo raggiungo in
cucina correndo ma
appena lo vedo rallento il passo e poi mi fermo.
Non vi era
neanche un rumore; il
silenzio era l’unico intruso in casa nostra e Gabriele si
è già tolto la
giacca, la camicia è sbottonata e lui ha i capelli arruffati.
Mi guarda.
Ho fatto bene a
prendere questo
completo, era da tanto che non vedevo quello sguardo famelico.
Si avvicina a me.
-Dio…
Neanche la ricordo l’ultima
volta che ti ho vista così!-
-E’
stato fin troppo tempo fa..-
-Io…
Amore non ce la faccio! Sono
esausto.-
-Come esausto?
Ho cucinato per più di
due ore!-
-Lo so, tra
l’altro te l’avevo detto
io..-
-Appunto! Lo
avevi detto tu! Sono
uscita prima da lavoro per preparati qualcosa di carino!-
Continua a
spogliarsi dirigendosi
verso la camera da letto.
-Non so come
scusarmi ma non ho fame
e sono stanco, davvero! Domani ti porto a pranzo, te lo prome..-
-No!
No… Va bene così, è il tuo
compleanno. Trascorrilo come vuoi.-
-Perché
ti stai vestendo?-
-Vado a prendere
Jared, è da tua
sorella. Non mi sembra giusto lasciarlo lì senza alcun
motivo.-
-No, dai.. Si
starà divertendo con
Thomas o addirittura starà anche dormendo.. Revy! Dai Revy
aspetta!-
Prendo le chiavi
della macchina e
quelle di casa ed esco dalla porta.
Mi fermo,
respiro e conto fino a
dieci.
Rientro.
E lui
è lì appoggiato al muro.
-Piccola…-
Si avvicina a me come un
cane rimproverato torna dal suo padrone.
Mi bacia. Mi
spoglia. Mi sveglia.
Lo vedo quando
apro gli occhi ed è
bello come il primo giorno, mi tiene con una forza che quasi avevo
dimenticato.
Al mattino mi
sveglio e sorrido; mi
alzo e vado in cucina. Vuota.
-Gabry?- dico ad
alta voce.
Non
c’è. Neanche un biglietto.
Mi pento di aver
sorriso.
Decido di
sfruttare il mio giorno
libero per sbrigare alcune commissioni e magari fare un po’
di spesa e
soprattutto non pensare.
Chiamo Anna e le
chiedo come sta Jay,
se è sveglio e se ha dato problemi e come immaginavo, si
è comportato
benissimo: solo a casa mi da mille problemi, ma meglio così!
Faccio una
doccia velocissima,
sistemo il bagno e poi via a vestirmi.
La giornata
è fresca, c’è anche un po’
di sole, e non sembra affatto che vada peggiorando.
Vorrei che anche
il mio matrimonio
fosse così. Ho sposato Gabriele a 27 anni, poco prima di
trasferirci a Londra, e
un anno dopo è arrivato Jared.
Mi sono fatta
portare via, rapire da
Gabriele che mi ha intrappolato nella città che
più di tutto mi ricorda la mia
vecchia vita.
Il supermercato
è sempre affollato di
sabato mattina, soprattutto da casalinghe annoiate che conoscono tutte
le
cassiere e i loro turni!
Mi metto in fila
al banco del pesce,
controllo le email e ci sono solo due comunicazioni
dall’ufficio della casa
editrice.
Sarei voluta
diventare una scrittrice
ma per varie vicissitudini, mi sono affacciata al mondo della scrittura
dalla
porta sul retro. Mi va bene così, mi piace leggere ed
aiutare i nuovi talenti.
-47- il commesso
chiama il mio numero
ed io faccio un passo avanti urtando una signora.
-Scus..-alzo la
testa ed incrocio il
suo sguardo. I suoi occhi li avevo dimenticati. Avevo fatto posto solo
per lui
nei miei ricordi, lei l’avevo completamente ignorata.
-Rebecca? Sei
tu?- rimango a bocca
aperta. -Oh mio dio! Rebecca, come stai?-
-I-io.. sto
bene. Benissimo! E tu?-
in quel momento speravo mi rispondesse allo stesso modo
perché se lei fosse
stata felice lo sarebbe stato anche lui.
-Benissimo, ci
siamo trasferiti qui
da una settimana circa! Luca ha finalmente ottenuto il trasferimento.-
gira la
testa. – Ah, eccolo. Luca?! Vieni guarda chi
c’è!-
Sento il suo
odore, i polmoni si allargano
e il cuore sta per scoppiare. Ho i muscoli paralizzati e sento i suoi
passi
avvicinarsi.
-Non ci credo!-
esclama –Revy!-
La prima volta
che mi ha chiamata
così, ho promesso a me stessa che nessun’altro
oltre lui l’avrebbe fatto. Poi
ho incontrato Gabriele che ,non so come né
perchè, ha iniziato a chiamarmi con
lo stesso soprannome ed io l’ho odiato e lo odio
tutt’ora e non potrò mai
perdonarglielo ma lasciarmi chiamare “Revy”
è il mio modo di ringraziarlo per
avermi portata via.
Appoggia una
mano sulla mia spalla,
si mette di fronte a me e mi sorride.