Sapevo che sarebbe stata una settimana densa di avvenimenti, ma sinceramente sono successe più cose in questi 7 giorni che negli ultimi mesi! Sono commossa, veramente: ci sono così tante persone che vorrei ringraziare per tutti i momenti speciali e le bellissime sorprese... (a volte ho il bisogno di fare un po' di rambling anche io, che volete farci) Vista la sede però, posso ringraziare anche voi, che trovate il tempo di leggere le mie storielle; e tanto per dirne una non avrei mai pensato che lo scorso capitolo potesse suscitare tanto successo: grazie di cuore (ora la Ache si commuove sul serio, non badatele: è una sentimentalista).
Ok, prima che voi andiate avanti ci tengo a informare di una cosa importante: non ho idea di come funzioni una seduta dalla psicologa, non ci sono mai stata. Perdono quindi per tutte le inaccuratezze e le stupidaggini che potrei aver scritto: bear with me,
Buona lettura!
“Allora,
avete finito il vostro siparietto? Perché io qui ho un sacco
di cose da fare e
alla fine dell’ora di appuntamento io me ne vado: ho il
pranzo, e non
intenzione di trovare la pasta tutta incollata al piatto
perché voi dovevate
capire cosa pensava la mamma”.
“Sì,
sì, proceda pure, non ci saranno più
interruzioni, glielo garantisco” la
rassicurò cortesemente Yugi. La donna, che finalmente poteva
esercitare il suo
mestiere senza intoppi, sembrò cambiare umore.
Inforcò gli occhiali e si risedette
a gambe incrociate sulla poltrona, il taccuino ben saldo in mano.
“Allora,
cominciamo questa seduta con le domande di rito, tanto per restare sul
facile.
È la prima volta che venite dallo psic- sì, direi
di sì” si rispose prima che ancora
potessero aprire bocca. “Io sono la dottoressa Lawren, ma
chiamatemi pure
Susan, e lei sarebbe?” disse rivolta ad Atem, come se fosse
la prima volta che
lo incontrava e non avessero passato gli ultimi dieci minuti a
bisticciare.
Quello rimase un po’ interdetto, senza contare il fatto che
Yugi aveva
pronunciato il suo nome diverse volte: possibile che la donna non lo
avesse
ancora imparato?
“Su,”
fece Yugi dandogli una leggera spallata “Rispondi”.
“Atem”
disse secco. Il minimo indispensabile: il primo nome.
“E
io
mi chiamo Yugi, Yugi Mutou. Molto piacere, Susan”.
“Bene,
almeno a questo la risposta è stata più o
meno” terminò la frase rivolta ad
Atem “esauriente”.
“Ma
cominciamo. Allora, raccontatemi un po’ di voi: da quanto
tempo vi conoscete?”
“11
anni!”
“4
anni!” risposero quasi all’unisono. La donna
sgranò gli occhi.
“Perdonate:
e voi quanti anni avreste?”
“19”
rispose prontamente Yugi.
“3000
e qualcosa, mi scusi se ho perso il conto. Ma me li porto piuttosto
bene no?
Sembra quasi che non abbia se non qualche annetto di più
della prima volta che
sono morto: e lì erano solo 16.” Fece Atem tutto
fiero “Insomma,
lei quanti me ne dà?”
“U-una
ventina” balbettò quella.
“Vedi
aibo, l’ho detto che invecchio bene”.
L’altro roteò gli occhi.
“Ahem,
ok, allora diciamo che siete coetanei” deglutì la
dottoressa “E... come vi
siete conosciuti?”
“Beh,
è una cosa piuttosto inusuale” disse Atem
sorridendo dolcemente. Poi si girò
verso il suo Yugi.
“Io
e
aibo eravamo destinati, sin da quel lontano giorno di tremila anni fa,
sin nel
momento in cui venni rinchiuso nella mia prigione di buio e solitudine.
Sapevo
che qualcuno mi avrebbe salvato, sapevo che prima o poi avrei sentito
quelle
mani delicate e tenaci scorrere sulla superficie liscia e lucente del
puzzle.
Era questione di tempo, era stato scritto dagli dei che noi due ci
incontrassimo, che Yugi fosse la mia luce, la mia salvezza, la mia
ancora per
tornare nel regno dei vivi”. Yugi prese la mano del
faraone fra le sue.
“E
io
non potrò mai dimenticare la felicità immensa che
ho provato quando ho inserito
l’ultimo pezzo nella piramide. È stato per forza
il destino a guidare la mia
mano quella sera, impietosito dai miei otto anni di tentativi a vuoto
di
ricomporre quel rompicapo. E non dimenticherò mai la prima
volta che ho potuto parlarti
veramente, che ho potuto vedere i tuoi bellissimi occhi scintillare
come pozze
di rubini infuocati, che ho potuto sentire la tua voce così
melodiosa e antica,
toccare la tua mano e sapere che le nostre anime erano una
sola”.
I
due
avevano preso a guardarsi con occhi dolci e languidi, le loro mani
erano
intrecciate l’una nell’altra e i visi di entrambi
stavano già pericolosamente
avvicinandosi quando la psicologa decise di intervenire.
“A-hem”
tossicchiò.
Subito
i ragazzi si bloccarono e rivolsero la loro attenzione di nuovo a lei.
“Non
sono sicura di aver capito bene come vi siete conosciuti, ma mi sembra
una cosa
decisamente carina, sì”. Atem stava per avventarsi
contro di lei: come osava
quella donna definire carina la sua
prigionia millenaria e gli otto anni di sforzi terribili del suo aibo?!
“Andiamo
avanti allora” continuò scribacchiando qualcosa
sul suo taccuino. “Vi chiederei
quando vi siete resi conto che eravate innamorati l’uno
dell’altro, ma mi pare
di aver capito che il vostro è stato un colpo di
fulm-“
“Oh
no, tutt’altro!” la interruppero
all’unisono.
“Come,
prego?” fiatò allibita. Possibile che non
riuscisse a indovinare nulla su
quella strana coppia di eccentrici?
“Yugi
era terrorizzato da me” prese la parola Atem. “E
anche io lo sarei se dovessi
conoscere il me stesso di qualche anno fa. Voglio dire: ho
mandato a fuoco
una persona! Certo, era un ergastolano, ma sempre di fuoco si trattava.
Per non
parlare di quella volta che ho fatto esplodere nitroglicerina in faccia
a uno studente
la notte prima della fiera scolastica...” continuò
il suo elenco. “Poi c’è
stato il tizio degli orologi, i bulletti nel labirinto in fiamme, il
ragazzo
quasi avvelenato dal cloroformio, Kaiba- o santo Ra: Kaiba! Quella
volta per
poco non lo uccidevo. Di nuovo! Non che la prima volta, con il
mindcrush
intendo, fosse proprio morto eh, ma vede: un anno di coma in fondo
è molto
simile alla morte, e se aibo quella volta sulla torre del castello di
Pegasus
non mi avesse fermato, non so proprio come sarebbe andata a finire.
“La
verità è che sono un’anima terribile,
marcia e scellerata. Solo Yugi poteva
vedere la piccola scintilla che brillava ancora tenue al di sotto di
tutte
quelle ombre, avere fiducia in lei e coltivarla. È solo
grazie a lui che sono
diventato quello che sono oggi.” Fece una pausa. Yugi lo
guardava sbattendo le
ciglia.
“Eppure
tutte quelle vendette e quei delitti erano solo per lui,
perché, vede signorina
psicologa” disse mettendosi comodo sulla sua poltrona, con le
gambe incrociate,
gesticolando eloquentemente: “In effetti un colpo di fulmine
c’è stato: il mio.
Provi lei a immedesimarsi in me: rinchiuso per tremila anni, dico: tremila,
mica un paio di giorni, in un oggettino grande più o meno
come una tazza per la
minestra, completamente circondato da ombre e spettri, privo di
qualunque
ricordo e cognizione di sé stesso e del mondo, in completa e
assoluta
solitudine. Per tre millenni interi! Senza sapere neanche il proprio
nome,
senza neanche poterlo gridare e maledire all’interno di quel
carcere fatto di
porte e scale infinite che non conducono da nessuna parte e in cui
l’unico
suono udibile è il grido straziante di un’anima
disperata e persa, completamente
persa.” Yugi si stava
asciugando una lacrima, la psicologa gli passò un
fazzolettino di carta.
“G-grazie”
mormorò soffiandosi il naso.
“Allora,
riesce a immaginarselo?”. Lei annuì un
po’ forzatamente: il tipo era
evidentemente pazzo da legare e si sa che i matti vanno sempre
assecondati. Ora
la donna provava pena per il suo fidanzato. Tuttavia come racconto era
senz’altro suggestivo. Privo di senso, ma suggestivo.
“Ecco,
poi all’improvviso, quando ogni speranza è ormai
svanita, oh Ra, neanche sapevo
cosa fosse la speranza: un sentimento così remoto e
lontano... Quando ogni
illusione e ogni sogno ormai sono talmente distanti, dicevo, da non
essere più
neanche un ricordo o una chiazza confusa, s’immagini un
sottile e flebile
raggio di luce squarciare le tenebre. E questo raggio si allarga, si
allarga
sempre di più, giorno dopo giorno e anno dopo anno: dapprima
sottile come un
capello, poi abbastanza ampio da poter ardire sbirciare fuori, in un
mondo che
neanche si credeva esistesse, un mondo popolato e in cui regna la luce.
E sa
cosa vidi in quel mondo per me nuovo ma che in realtà
avrebbe dovuto sembrarmi
antico? Vidi due occhi viola, gli occhi di un bambino che con una
tenacia e una
forza di volontà prive di paragone per una persona di
quell’età, tentavano disperatamente
di rimettere insieme i pezzi infranti della mia anima.”
Yugi
tirò su col naso.
“E
quando finalmente, dopo otto anni di attesa, quel bambino, ormai un
ragazzo,
posò finalmente l’ultimo pezzo del puzzle al suo
posto e io vidi finalmente la
luce, conobbi di nuovo cosa voleva dire vivere, e tutto questo grazie a
lui, al
mio salvatore. Che altro avrei potuto fare se non innamorarmi di lui,
signorina?
E quando si ama si fa di tutto per rendere l’altro felice,
non è così? È per
questo motivo che ho fatto quello che ho fatto: ho fatto del male a
delle
persone è vero, ma persone che avevano fatto del male al mio
aibo, al mio altro
me stesso, che lo avevano fatto soffrire. E finché mi
resterà un briciolo di
fiato in questo mio nuovo corpo, io giuro che non lascerò
mai, mai e poi mai
che il mio
Yugi soffra, farò tutto quanto è in mio potere
per impedirlo”
concluse trionfalmente.
La
donna era scossa. Quel ragazzo era tanto squilibrato quanto eloquente
era il
suo modo di parlare. Dovette controllarsi: una lacrimuccia stava per
fare
capolino anche dal suo di occhio, rischiando di scioglierle il mascara.
Che
racconto bellissimo e intenso. Un amore così profondo...
“Beh,
dovete amarvi davvero molto allora” commentò
“così tanto che non avete bisogno
di essere gelosi l’uno dell’altro...”
“Ah,
e qui si sbaglia” fece Yugi passandosi una mano sugli occhi
ancora lucidi. “Non
si lasci ingannare dai racconti strappalacrime e terribilmente dolci
del mio
mou hitori no boku, anche se sa che mi stringe il cuore ogni volta che
dice
queste cose: mi sento così fortunato ad averti con
me...” disse tirando su col
naso “Ma anche lui ha i suoi difetti, parecchi anzi. E uno di
questi è appunto
la gelosia”.
“Ora
non esageriamo” borbottò Atem.
“Non
esageriamo?” rimbeccò Yugi.
“Sono
solo protettivo, ecco tutto: non voglio che ti succeda niente di male,
non ci
vedo nulla di sbagliato”.
“Ah
sì? Beh, lasci che le spieghi, signorina Susan, cosa vuol
dire per il mio 'dolce
tesorino' essere protettivo. Deve sapere infatti che la gelosia di Atem
è
piuttosto diversa da quella normale”.
La donna annuiva piano, decisamente curiosa, pronta ad annotare altre stramberie.
End of part two! Preparatevi a un terzo capitolo all'insegna del demenziale (ho aggiunto un paio di gag, masy) anche se mi tocca sperare che i prossimi sette giorni siano un po' più tranquilli o il breackdown emotivo sarà tale che non riuscirò ad aggiornare xD (ok, ancora una volta non badatele). Spero comunque che quest'altro capitoletto vi sia piaciuto: a mercoledì (studio e feelings permettendo)!