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Autore: Hermione Weasley    12/06/2014    7 recensioni
Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.
Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.
[Clint x Natasha] [Slow Building] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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And I am done with my graceless heart
So tonight I'm gonna cut it out and then restart
'Cause I like to keep my issues drawn
It's always darkest before the dawn

(Florence + the Machine – Shake it Out)

 

 

Sei invecchiato.”

 

Gli ci volle un secondo di troppo per riprendersi dallo stato di semi-catatonia in cui era precipitato. La donna taceva, l'ombra di un sorriso ad incresparle le labbra: sembrava divertita dallo shock che – Clint non aveva dubbi – riusciva a leggergli su tutta la faccia.

“A-Anche... ahm... w-woah?” Ommerda, Clint, sta' zitto, si maledì, mentre supplicava i suoi muscoli, nervi, cervello, organi interni, di tornare al loro dannato posto.

Va bene, la ragazzina per la quale si era tuffato dalla sommità della cattedrale di Saint Paul aveva fatto un brusco ritorno nella sua vita sotto forma di... donna mozzafiato, ma questo non giustificava lo stupore.

Oppure sì?

La Vedova Nera sbocconcellava il croissant, prestandogli disinteressata (o presunta tale) attenzione con aria curiosa e annoiata insieme (la coesistenza di estremi nella sua persona cominciava a diventare una costante).

“Non ti ricordi di me o la demenza senile galoppa più rapidamente del previsto?” Gli chiese, mentre Clint continuava a fissarla, inebetito.

Afferrò la tazza e bevve un lunghissimo sorso di caffè, come se il gesto potesse riportarlo coi piedi ben piantati per terra (nonché dimostrargli di essere ancora nel pieno possesso delle proprie facoltà psico-motorie e non, piuttosto, abbandonato sullo scomodissimo letto della sua cabina a cercare di prendere sonno).

“Oh... oh mi ricordo. Bene,” puntualizzò, prima che gli venisse inspiegabilmente da ridere. Che cazzo ti prende? Fece schioccare la lingua e cercò di richiamarsi nuovamente all'ordine. “Non credevo che saresti rimasta... nel campo.”

La donna si strinse nelle spalle: l'aria annoiata lasciò il posto a qualcosa di non meglio definito, qualcosa che stonava con tutto il resto. Un'anomalia, magari. Forse lo stava studiando, forse... forse neppure lei sapeva come comportarsi.

Eppure la postura, il modo in cui l'aveva avvicinato, tutto suggerivano tranne che imbarazzo. Anzi, si accorse che c'era come un'aura di confidenza e sicurezza che emanava da ogni singolo centimetro del suo corpo. Un alone invisibile ed impalpabile che la rendeva intoccabile, irraggiungibile, inscalfibile. Nonostante tutto, si sentiva decisamente messo in soggezione.

Non gli rispose, facendolo risprofondare in un acutissimo disagio che non tardò a palesarsi. Mi sudano le mani, realizzò, trovando il tutto esilarante in modo vagamente patetico. Quanti anni hai, Barton, dodici?

“Avevo chiesto di poterti far visita, ma... non me l'hanno permesso.”

“Non volevo vederti,” la replica stavolta fu schietta e sincera.

“Ouch,” e così la sua. Si portò una mano al cuore come per sottolineare la teatralità del momento, un gesto che gli venne talmente spontaneo da non avere il modo (o il tempo) di poterselo impedire.

“Mi hai fatto fallire la missione. Se ti avessi visto, avrei anche provato ad ucciderti.”

“Già, ho sentito dire che ci hanno messo un po' a convincerti a collaborare.”

“Non avevo altra scelta,” decretò in tono asciutto.

No, Clint realizzò, non per chi è tanto spassionatamente votato all'auto-conservazione (e il tentato suicidio, in un certo senso, non aveva fatto altro che confermarglielo: piuttosto che compromettersi aveva preferito farla finita).

“Da quanto sei operativa?”

“Da circa tredici mesi.” Clint si accigliò: perché lo scopriva solo adesso? Perché nessuno gli aveva detto niente? “Sono appena rientrata.” I punti sulla guancia non mentivano.

“Ho sentito dire che hai una percentuale di successo del cento per cento,” origliare la conversazione di Kevin-l'idiota non era poi stato del tutto inutile.

“Qualcosa del genere,” confermò, facendo fatica – stavolta – a nascondere l'orgoglio che le aveva improvvisamente acceso lo sguardo.

“Sicuro hai ottenuto un successone nel rubarmi la colazione.”

“Non avresti finito tutto comunque,” dichiarò, “e non ci sono abbastanza tavoli sotto cui calciare gli avanzi.”

Gli sembrò che l'aria gli fosse improvvisamente venuta a mancare: allora qualcuno l'aveva visto! (Ma era solo una mezza fetta di pane... nient'altro! Ci aveva pure messo sopra poca marmellata e poco burro, non era poi così grave... no?)

“Non ti preoccupare,” riprese la donna con fare confidenziale e canzonatorio insieme, “non lo dirò a nessuno.”

“Wow... meno male che mantieni segreti per professione.”

La Vedova aveva finito il croissant, e adesso lo osservava curiosamente, le braccia conserte appoggiate sul tavolo.

“Ti ricordavo completamente diverso,” confessò dopo una pausa fin troppo prolungata.

“Più alto? Me lo dicono in tanti,” le fece eco, trovando del tutto superfluo esprimere persino a se stesso quanto diversa la ricordasse a sua volta.

“Siamo anche in ritardo.”

Il pezzo di bacon che stava masticando gli andò di traverso. “In 'itardo 'er 'osa?” bofonchiò mentre cercava disperatamente di non morire soffocato. La donna si era già alzata.

“Per il briefing della nostra prossima missione.”

Buttò giù il boccone, ma non lo stordimento che le parole di lei si portarono dietro.

“Esiste una nostra prossima missione?”

Gli scoccò un'occhiata storta, come a redarguirlo per quella domanda di troppo. Gli sembrava forse il tipo che si inventa fandonie per destabilizzare i suoi poveri interlocutori? Sì, mi sembra esattamente quel tipo. Lasciò perdere l'elucubrazione inutile, rimettendosi in piedi col vassoio in mano ancora stracolmo di ogni ben di dio. Si guardò attorno con aria valutativa, decidendo sul da farsi. Che cazzo. Intercettò un'agente che arrivava nell'area refettorio proprio in quel momento, consegnandoglielo con aria solenne. “Con i complimenti della casa,” declamò, senza darle il tempo di accorgersi dell'assurdità dello scambio.

Quando si voltò la Vedova Nera era sparita. Eccoci, lo sapevo. L'ho sognata. Oppure stavo solo allucinando. La cercò con lo sguardo, individuandola in procinto di imboccare il corridoio di sinistra (non seppe dire se la visione gli procurasse sollievo o panico). Si prodigò in una mezza corsa per poterla raggiungere e affiancare.

“Il nome è Romanoff. Natasha Romanoff,” si presentò senza neppure voltarsi per prendere atto della sua rinnovata presenza.

“Clint Barton, ma tu puoi chiamarmi Clint,” ricambiò, trovando il tutto a dir poco surreale.

“Se non ti dispiace mi limiterò al Barton.”

“Cosa c'è che non va in 'Clint'?”

“Niente.” Natasha si fermò davanti ad una delle stanze per i debriefing delle missioni in arrivo o in partenza dall'helicarrier. Aprì la porta senza bussare o chiedere permesso, rivelando – Clint non aveva dubbi – una certa familiarità con l'ambiente. Si soffermò su di lui per qualche istante: sembrava stesse decidendo se dirgli qualcosa o meno.

Dopo quella che gli parve una lunghissima pausa, gli concesse un mezzo sorriso (che lo inquietò... un poco), decidendosi ad oltrepassare la soglia senza una parola di più.

Più tardi si sarebbe accorto di aver condotto l'intera riunione (e quindi quella loro prima conversazione dopo otto anni) con una macchia di marmellata di more spalmata sul naso.

 

*

 

“La ragazza si è comportata esattamente come aveva preventivato.”

L'agente Phil Coulson stava finendo di raccogliere i file e i documenti relativi all'imminente missione in Alaska, mentre il direttore Fury, poco distante, fissava un punto non meglio identificato oltre la finestra.

“Quella era la parte semplice,” constatò dopo un lunghissimo attimo di pausa, voltandosi finalmente verso Phil, i fascicoli già sistemati sotto braccio, pronto alla partenza.

“Se è davvero sicuro che sia stata l'idea giusta, dobbiamo solo aspettare e vedere,” si strinse nelle spalle, “potrebbero sorprenderci.”

“O deluderci,” lo corresse il direttore. Quando aveva deciso di muovere contro la Vedova Nera, ormai quasi dieci anni prima, non aveva esitato a metterle alle calcagna Occhio di Falco: intimo e vicino contro distante ed impersonale. Nonostante le circostanze fossero radicalmente cambiate, Fury era ancora più che convinto che quel particolare binomio potesse riuscire a smussare gli angoli dei suoi due agenti, preziosissimi sul campo eppure cronicamente impossibilitati a seguire gli ordini o a lavorare bene in squadra.

“Con le dimissioni di Jenkins sarò costretto a scegliere il nuovo vice-direttore nei prossimi dieci mesi,” riprese, vistosamente seccato da quell'incombenza. “Il consiglio insisterà perché scelga uno dei loro tirapiedi,” sospirò prima di guardare Phil dritto negli occhi. “Ho bisogno di persone di cui mi possa fidare al livello sette. Fidare sul serio. Se pensi che Barton e Romanoff non siano in grado di darmi certezze...” lasciò la frase in sospeso.

Coulson sapeva fin troppo bene quanto il direttore avesso investito in Natasha, quanto le fosse stato dietro durante gli anni dell'accademia, nonostante non rientrasse nelle sue mansioni. Eppure, adesso, non esitava a mettere in discussione la sua inadeguatezza: per quanto fossero abili nel loro campo, non c'era posto per individualismi allo SHIELD.

“Sarà fatto, signore.”

Fury annuì, congedandolo con un rapido cenno del capo.

 

*

 

Il chiacchiericcio fu la prima cosa che registrò quando salì a bordo del quinjet che era stato loro assegnato per la missione. Riconobbe senza troppi problemi le voci di Clint Barton, il suo nuovo partner sul campo, e Phil Coulson, l'agente che avrebbe supervisionato quella particolare operazione. Aveva identificato quest'ultimo come l'uomo che l'aveva diligentemente attesa all'ingresso dell'allora sede dello SHIELD a Washington, per riportarla nell'ufficio dove il direttore Fury le aveva illustrato quell'unica opzione che le rimaneva. Prendere o lasciare.

“Continuo a non capire perché cavolo non me l'hai detto!”

“Non te l'ho detto perché non lo sapevo.”

“Non ci credo che non lo sapevi. Lo sai quanto mi aveva,” una pausa, alla ricerca delle parole giuste, “... impressionato quella missione!”

“Ti dico che non lo sapevo. Il direttore Fury non è tenuto a ragguagliarmi su ogni singolo caso in corso allo SHIELD,” Coulson sembrava sul punto di cominciare a spazientirsi.

“Cazzo, ma l'hai vista? Mi è preso un colpo.”

“L'ho vista, sono provvisto di occhi, nel caso non te ne fossi accorto.”

“Non mi sei d'aiuto, Phil.”

“Stai facendo il bambino.”

“Ci credo, mi odia! Ha lasciato che facessi la figura del coglione con la marmellata sul naso... se n'era accorta, ne sono sicuro. Stava per dirmelo, ma ha cambiato idea. E' sadica.”

Bè, Natasha doveva ammettere che almeno su quel punto aveva ragione: no, non era sadica, ma gli aveva accuratamente taciuto quel piccolo particolare giusto per godersene le conseguenze.

“Non ti odia.”

“No, lo so,” Barton suonava sul punto di arrendersi. Doveva aver fatto qualche gesto per esprimere la sua frustrazione e chiudere lì il discorso perché Natasha non riuscì a sentire nient'altro.

Non era per niente sicura di sapere che cosa gli avesse dato quell'impressione: no, ovvio che non lo odiava. Certo, l'aveva fatto, un tempo: durante tutto il suo primo mese di permanenza all'accademia dello SHIELD aveva accuratamente programmato e studiato la morte dell'uomo che le aveva sconvolto la vita. Sapeva dove l'avrebbe ucciso (in casa sua), con cosa (col suo stesso arco), perché (perché se lo meritava). Ma tra un allenamento, una lezione, un test e l'altro, aveva finito per rimandare l'omicidio a data da destinarsi, per poi dimenticarsene del tutto, semplicemente.

Appoggiò il suo zaino a terra, chinandosi per ricontrollarne il contenuto per la terza volta, mentre la conversazione tra Barton e Coulson riprendeva nello spazio adiacente. Non si erano ancora accorti della sua presenza.

“Ha ottenuto il punteggio più alto nei test fisici nella storia di tutta l'accademia,” l'agente supervisore sembrava leggere qualcosa, probabilmente la sua scheda nel database dello SHIELD. Barton gli fece eco con un fischio d'apprezzamento.

“La migliore in tutte le classi che ha frequentato, con una nota di merito in informatica.”

“Forse facevi prima a dire in cosa non eccelle.”

“Nei test attitudinali... sembra non sia granché incline al lavoro di squadra.”

“Ci credo, con gli idioti che girano per lo SHIELD, ultimamente.”

L'inaspettata lancia spezzata in suo favore, la costrinse a bloccarsi mentre controllava che la sua trasmittente funzionasse.

Erano dovuti passare anni, di nuovo, perché il ricordo di quell'assassino professionista armato in modo tanto primitivo, ritornasse tra i suoi pensieri. Era successo per caso, a dire il vero, durante una visita guidata alla sede dello SHIELD a New York: l'avevo visto nei pressi di una macchinetta del caffè qualunque, in un corridoio qualunque, intento a ridere di gusto per una battuta dell'uomo che l'accompagnava e che Natasha non conosceva. Fu solo in quel momento – mentre scivolava silenziosamente in fondo alla fila, nascondendosi discretamente dietro chi la precedeva – che si ricordò dell'esistenza di Clint Barton, l'agente che era stato mandato ad ucciderla e che avrebbe potuto farlo se non avesse deciso altrimenti. Più tardi, quella stessa notte – trascorsa insonne in fissa dello spoglio soffitto della sua camera nel dormitorio dell'accademia dello SHIELD – aveva anche realizzato che l'unico motivo per cui era passata dall'uccidere a sangue freddo, all'impegnare il suo tempo in gite scolastiche con quelli che aveva imparato a pensare in termine di miei compagni, era che lui l'aveva salvata. Contro ogni buon senso e contravvenendo agli ordini che aveva ricevuto: tutto ciò che a lei non era mai riuscito fare. Confessò a se stessa, non senza un certo sollievo, che non avrebbe mai e poi mai compromesso se stessa per salvare uno sconosciuto. Uno sconosciuto che avrebbe dovuto essere una sua vittima, tanto per cominciare.

Sapeva fin troppo bene di essere in debito con lui. Un debito che la faceva sentire – inspiegabilmente, se ne rendeva conto – in una posizione di scomoda subalternità. Era anche per questo che aveva insistito affinché le fosse concesso il compito di informarlo della missione, solo qualche ora prima. Voleva avere il pieno controllo del loro primo incontro, approfittare della sua inconsapevolezza per imporre le proprie regole, per accertarsi di avere il coltello dalla parte del manico. Nel tentativo, probabilmente, di poter manipolare il modo in cui l'uomo l'avrebbe giudicata.

Codarda, non mancò puntualmente di auto-accusarsi.

Un colpo di tosse le fece rialzare bruscamente lo sguardo sull'agente Coulson che, adesso, la osservava placidamente dall'alto in basso. Barton, sullo sfondo, stava armeggiando con quello che le sembrava un telefono cellulare.

Natasha trasalì senza neppure accorgersene, come se il supervisore avesse potuto leggerle nel pensiero, carpirle ogni più intimo segreto per correre ad informarne il suo protetto. Si preoccupò di riedificare accuratamente la facciata più schiettamente disinteressata di cui fu capace, cancellando dalla propria espressione qualsiasi traccia di incertezza.

“Ci conviene partire. Siamo già in ritardo di dieci minuti sulla tabella di marcia,” commentò asetticamente, scivolando di nuovo in un'abitudine di cui credeva di essersi abbondantemente liberata ai tempi dell'accademia.

Si allontanò prima che l'uomo potesse formulare una risposta.

 

*

 

Finì di ricontrollare le cinghie del paracadute mentre Coulson aiutava una recalcitrante Natasha ad indossare il suo.

“Il complesso è a dieci minuti esatti di cammino dal punto in cui atterrerete,” l'agente supervisore riprese con la solita litania che ormai Clint conosceva a memoria.

“Io mi occuperò di mettere fuoriuso le guardie appostate all'esterno per permettere all'agente Romanoff di penetrare all'interno,” continuò per lui, lanciando un'occhiata a Natasha affinché facesse altrettanto: ricevette in cambio uno sguardo particolarmente perplesso.

“Phil ci tiene a ricordarmi con esattezza i parametri della missione. Ogni santa volta.”

“L'agente Barton è quello che definirei una testa calda.”

“Grazie dell'ottima pubblicità, agente Coulson.”

Il supervisore stava per ribattere, ma Natasha intervenne, senza dubbio per zittirli tutti e due passare rapidamente alla fase successiva.

“Starò attenta ad evitare le telecamere di sicurezza ed entrerò nell'edificio. Raggiungerò l'ufficio del direttore nell'ala est...”

“... mentre io mi occuperò di inserire una cimice nel pannello di controllo della torre di comunicazione,” Clint proseguì.

“Bypasserò il sistema, copierò il contenuto del loro database e cercherò informazioni riguardo la sezione segreta del laboratorio di ricerca.”

“Dopodiché vi ritroverete al punto d'incontro nei pressi dell'ala est e procederete in direzione della casa sicura a mezz'ora di cammino in direzione nord-ovest,” Coulson completò.

“Bene. Adesso che ci hai fatto fare la figura degli psicopatici, possiamo cominciare?”

L'agente supervisore lo liquidò con uno dei suoi soliti sorrisetti incomprensibili, allontanandosi per premere un grosso pulsante sulla parete di destra del velivolo. Il portellone sul retro del quinjet si aprì, lasciando che l'aria gelida di quella notte d'Alaska li raggiungesse.

“Ci vediamo tra quattro ore esatte,” Coulson li congedò, impostando il cronometro del suo orologio da polso. Clint gli rivolse un cenno affermativo e affiancò Natasha mentre si dirigevano entrambi verso quell'uscita obbligata, il vento fortissimo a scompigliarle i capelli (si era sorpreso di scoprire quanto fossero rossi da asciutti).

“Ti sei mai buttata da un aereo?” Le chiese, la voce altissima per farsi sentire al di sopra dell'ululato dell'aria.

“No.”

Clint annuì, come prendendone atto.

“Non è difficile,” la rassicurò non richiesto, “e la botta di adrenalina aiuta, se sei nervosa.”

“Non sono nervosa,” lo contraddisse prontamente, apparentemente più divertita che scocciata dal suo appunto. “Non ti preoccupare, se sei nervoso ti terrò la mano,” aggiunse a sorpresa, cogliendolo alla sprovvista. Osservò con aria perplessa (e ammirata, doveva ammetterlo) la mano che la donna gli stava veramente tendendo e che lui era del tutto intenzionato a prendere (a quel gioco sapeva giocare benissimo).

“Bè, Nat -”

O almeno l'avrebbe fatto se ne avesse avuto il tempo.

asha.

Il resto del suo nome gli morì sulle labbra: per la seconda volta nel giro dei due giorni – distanziati di otto anni – in cui l'aveva conosciuta, la donna si era gettata nel vuoto senza esitazioni. Si sporse leggermente, guardandola mentre spariva nel cielo scuro, impressionato.

“Tende a farlo un tantino spesso,” commentò per nessuno in particolare, voltandosi verso Phil per rivolgergli un frettoloso saluto prima di seguire la Vedova Nera giù dal quinjet.

La discesa durò solo pochi secondi. La consistenza soffice della neve l'accolse al suo atterraggio, di poco distante dal punto in cui era approdata Natasha. Si preoccupò di nascondere a dovere il suo paracadute, praticamente alla cieca nel buio della notte, prima di raggiungere la donna che aveva già fatto altrettanto. Il nero delle loro divise si confondeva con l'oscurità tutt'intorno, il che non gli impediva comunque di apprezzare come la tuta d'ordinanza dello SHIELD le stesse meglio di quanto avesse solo intuito in precedenza. Se al loro primo incontro, aveva avuto non pochi dubbi riguardo l'appellativo di “Vedova Nera”, non poteva fare a meno di constatare che era cresciuta per guadagnarselo a pieno titolo.

Attivò i suoi occhiali per la visione notturna, facendo strada. Il rumore degli stivali nella neve e il soffiare insistente del vento li accompagnò per tutto il tragitto, fino a quando il complesso non si palesò davanti ai loro occhi, disteso su una piccola valle incastonata tra le montagne tutt'intorno. Clint aveva già dispiegato il suo arco, tenendolo pronto all'uso. Guadagnarono una posizione leggermente appartata, approfittando della fitta trama degli abeti che circondavano la valle per nascondersi.

Si scambiarono un muta conferma: tempo di entrare in scena. La seguì con lo sguardo mentre si allontanava agile e silenziosa in direzione dell'ingresso dell'ala est del complesso.

Rimasto solo, scelse la postazione più adatta per quella prima fase, preparandosi all'azione imminente.

“Inizia lo spettacolo,” decretò a se stesso, procedendo con l'atterrare silenziosamente, una ad una, le guardie appostate all'esterno dell'edificio, stando ben attento a che nessuno di quegli uomini si accorgesse del momentaneo fuoriuso dei colleghi prima di poter ricevere lo stesso trattamento.

“Le guardie sono al tappeto,” annunciò nella trasmittente, soddisfatto della celerità con cui aveva concluso quella prima parte. “Mi sposto alla torre.”

“Ricevuto,” Natasha non aggiunse nient'altro.

Si mosse rapidamente in direzione dell'esile obelisco di ferro che si alzava di fianco ai blocchi di cemento che formavano il gruppo di edifici. Oscurò un paio di telecamere prima di procedere a scalarla. Dalla trasmittente, nel frattempo, non gli arrivavano altro che rumori attutiti e tonfi sordi. Approfittò della visione termica dei suoi occhiali, concedendosi uno sguardo in direzione dell'ala est, quella in cui, se tutto era andato per il verso giusto, doveva trovarsi Natasha in quel momento. Le sagome rosse e in movimento di una dozzina di uomini percorrevano i corridoi sui tre piani della costruzione. Raggiunse in fretta e furia la sommità della torre, facendo fatica a star dritto per la furia con cui il vento soffiava a quell'altezza. La torre, dalla quale si dipartivano fasci di cavi sospesi a mezz'aria, oscillava fastidiosamente. Tirò fuori un coltello per svitare il coperchio del pannello dei contatti, scambiando gli occhiali con una minuscola torcia.

“Natasha,” la chiamò, sperando in un aggiornamento.

Individuò senza difficoltà il collegamento giusto, sistemandovi una cimice che avrebbe permesso allo SHIELD di spiare tutte le conversazioni telefoniche e i messaggi in entrata e uscita dal laboratorio. Richiuse e riavvitò il coperchio, rinfilando la torcia in una delle tasche del cappotto che indossava.

“Hai bisogno di una man -,” si voltò verso il lato dell'ala est che fronteggiava la torre, bloccandosi di colpo: le sagome rosse erano riverse a terra. Tutte e dodici.

“Sono nell'ufficio del direttore, ho quasi finito.”

L'informazione non aiutò ad attenuare la sorpresa. Controllò l'orologio: doveva essere passato, quanto, un minuto? Era riuscita ad atterrare più di dieci uomini nel giro di sessanta secondi?

“Come diavolo ci sei riuscita?” Domandò, incapace di nascondere il proprio apprezzamento.

“Magari un giorno te lo mostrerò,” gli rispose, permettendogli di cogliere l'ironia nella sua voce.

“Era una minaccia?” Le fece eco, mentre riscendeva dalla torre con agilità. “Io qui ho finito, ti aspetto al punto di ritrovo.”

“Non credo sia necessario,” gli sembrò di cogliere un impercettibile spostamento nel tono della donna. Non ci fece caso.

“Sei già lì?” Ora stava decisamente cominciando ad esagerare.

Le lamentele del suo amor proprio si spensero di colpo: le sirene dell'allarme risuonarono tutt'intorno, accompagnate dall'accensione dell'intero impianto elettrico esterno del laboratorio.

“Oh, cazzo.”

 

****************
 

Stavolta nessun salto dal passato al presente. Prima missione insieme per i nostri agenti SHIELD preferiti... ma non volevo che le cose fossero tutte facili tutte insieme :P anzi. Nel prossimo capitolo vedremo come Natasha si comporterà intorno a lui e cos'avrà da dirgli... (e ovviamente come si concluderà l'operazione in Alaska). Mi piaceva tenere il lato un po'... da ragazzina che abbiamo visto su Natasha in CATWS (e vabbè, dare per scontato quello di Clint! XD), nonostante il suo lato essenzialmente dark (e un passato - in questa storia - molto oscuro).
Ma insomma, staremo a vedere. Grazie come sempre alla mia beta Eli perché c'è sempre nei momenti di bisogno (ultima emergenza in primis XD), per aver betato la storia e per l'incoraggiamento.
Grazie a tutti coloro che hanno letto, specialmente a chi ha commentato (DalamarF16 & missgenius) <3
Alla prossima!
S.

 

  
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