Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Vanoystein    12/06/2014    1 recensioni
Seguito della fanfiction ''Half''
Jill, sta fuggendo dal buio, fuggendo dalla notte per andare verso il giorno.
Ma ormai, non c'è più tempo. Ormai sono tutti in trappola.
Apocalisse. Dal greco apokalypsis. Sta arrivando.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Jill era chiusa in camera sua, lo sguardo chiaro perso fuori dalla finestra e la noia che la divorava da più di un’ora.
Per un motivo o per un altro-in ogni caso-alla fine si ritrovava sempre da sola chiusa in camera a far nulla.
Era così che ormai trascorreva le giornate.
O a esercitare i suoi poteri per qualche ora, di nascosto dal fratello, oppure a fissare il cortile e poi il viale fuori dalla finestra.
E quindi, quando sentì uno stridio arrivare dal piano inferiore della casa era da sola.
Appena si mosse, per andare ad aprire la porta della sua stanza ed andare a controllare, il vetro della finestra della camera esplose verso l’interno.
I cornicioni di legno caddero a terra, sfasciandosi.
Lei si voltò di colpo, l’unica cosa che riuscì a vedere fu un fascio di luce bianco, seguito da una mano ferrea che si strinse attorno alla sua spalla.

Le prigioni delle creature sovrannaturali erano enormi.
Vecchie e buie. Si trovavano tutte sottoterra, una di fianco all’altra.
I muri erano fatti di pietra scura, quasi come la pece.
Le sbarre di metallo delle celle chiuse con una serratura che poteva essere aperta solo con un incantesimo, nessuna chiave.
L’aria era umida, impestata di un odore più che sgradevole, un vero e proprio tanfo fastidioso per l’olfatto.
Il silenzio regnava, la quiete era spezzata solo ogni tanto da dei gocciolii di acqua formatasi dalla troppa umidità.
Quando Jill riaprì gli occhi, fu questo lo scenario che l’accolse.
Non ricordava come ci fosse finita lì, ne quello che era successo a casa sua, ricordava solo una voce nella testa che continuava a ripeterle che doveva essere punita.
Punita per lo sterminio di angeli che aveva fatto parecchi mesi prima.
Si era completamente bagnata la felpa nera continuando a restare con la schiena poggiata contro il muro umido.
Le celle erano separate da strettissime ma enormi barre.
Nelle due celle in parte a lei c’erano dei ragazzi.
A sinistra una ragazza sdraiata per terra, incurante dello sporco e della polvere sul suolo.
Aveva i capelli corti completamente bagnati che si erano appiccicati alla nuca e alla fronte.
La ragazza aveva un’aria triste, malinconica e ferita, Jill riusciva a leggerglielo chiaramente in faccia.
Invece, nella cella alla sua sinistra c’era un ragazzo.
I capelli rossi spiccavano persino nell’oscurità, gli occhi blu elettrici le erano quasi sembrati familiari.
Lui continuava a lanciare sassolini verso la parete di pietra.
Era ovvia la rabbia, racchiusa in quei continui lanci tanto forti.
Jill era riuscita a scorgere le macchie di sangue sui suoi vestiti, macchie ormai secche, da tanto anche.
Le celle erano per la maggior parte piene di giovani, tutti avevano fatto qualcosa di sbagliato, infranto le rigide regole del Consiglio, fatto degli sbagli ritenuti catastrofici.
Avevano peccato.
- Che cosa avresti fatto tu, uhm? – La voce del ragazzo rimbombò nell’intera galleria di pietra.
Jill girò lo sguardo verso di lui che ancora non aveva smesso di lanciare sassolini contro il muro.
Lo fissò in silenzio con aria interrogativa, non aveva capito se si stesse rivolgendo a lei. Lui si fermò. – Sì, parlo con te, occhi di ghiaccio. – Disse voltando il viso verso di lei.
‘’Occhi di ghiaccio’’ Si, gli occhi di Jill erano di un azzurro tanto chiaro e bello che ricordavano spesso il ghiaccio.
E solo in quel momento, quando incrociò lo sguardo di lui, le parve di averlo già visto da qualche parte.
Aveva un viso familiare, ma, lei non ricordava dove poteva averlo visto. - Ho ucciso degli angeli, suppongo sia per questo che sono qui. – Rispose solamente, senza sprecarsi in troppi dettagli.
- Jillian, giusto? Tutti vorrebbero vederti. Onorato di fare la tua conoscenza. – Ridacchiò lui passandosi una mano tra i capelli rossi e lisci.
- Tutti mi vorrebbero morta. – Lei lo corresse, sbuffando.
- Ti vedono solo come un pericolo. –
Lei gli lanciò uno sguardo fulmineo. Lo guardò per pochi secondi e poi parlò ancora, cambiando discorso: - E tu invece cosa hai fatto per finire qui? – Domandò con una punta di curiosità.
- Non ho rispettato le regole, ti basta sapere questo. – La voce del ragazzo assunse di colpo un tono freddo.
Anche lui non voleva dare troppi dettagli del perchè si trovava lì, in quel postaccio. Non voleva parlarne.
Calò di nuovo il silenzio.
Jill tornò nuovamente a fissare il suolo ma il rosso riprese la parola. – Sono Cameron. –
Jill gli rivolse di nuovo uno sguardo, allargando leggermente l’angolo della bocca.
– Metà angelo, metà umano. Proprio una sfiga. – Si lamentò lui acquistando un tono scherzoso facendo sparire completamente l’acidità di pochi attimi prima.
Jill non riuscì a trattenere una risatina.
- Mio padre era un angelo. Un vero bastardo. E’ sparito quando avevo due anni. – Continuò lui.
- Stessa storia. Beh, lo sai immagino. Avere come madre la figlia di Lucifero non è proprio il massimo e anche mio padre è scomparso nel nulla a quanto ne so. Non l’ho mai conosciuto. – Rispose Jill rimanendo seria. – Ma forse è meglio così. –
Lo pensava davvero.
Sperava di non doverlo mai incontrare. In un certo senso stava ‘’bene’’ senza suo padre.
Non aveva bisogno certo di altri problemi.
Cameron si morse l’interno del labbro. - Quanto tempo dovrai stare qui? – Domandò cambiando discorso.
- Non lo so. – La voce di Jill si riempì di insicurezza. – Tanto, credo. –
Era sicura che suo fratello avrebbe cercato di tirarla fuori di lì.
Aspettava solo che arrivasse a portarla via.
Sperava che il suo viso angelico spuntasse da un momento all’altro davanti alla sua cella, doveva solo aspettare.
– Tu? – Riprese Jill. - Sono qui da due mesi. Credo che ne avrò ancora per molto. – Cameron si alzò in piedi sbuffando con un’aria scocciata.
ill si rese conto di quanto fosse alto.
Notò i jeans scuri con degli strappi sulle ginocchia che mettevano ancora più in risalto le cicatrici che gli segnavano le gambe.
Distolse lo sguardo da lui appena sentì un tonfo in lontananza. In pochi attimi vide arrivare davanti a lei Alec e Vincent.
Il viso di Jill si illuminò. – Come avete fatto ad entrare? – Scattò in piedi.
- Beh, abbiamo dovuto far saltare qualche testa. – Rispose Alec mollando un calcio alla serratura.
- E’ inutile. Non si aprirà. – Intervenne Cameron, fissando i due e stringendo le mani attorno alle sbarre della sua cella.
Alec si fermò spostando lo sguardo verso di lui. Restò completamente spiazzato. – Cameron. Cosa ci fai qui? –
Il ragazzo ghignò. – Quello che ci fa lei. – Rispose indicando Jill con lo sguardo.
- Sì, va bene, le chiacchere possiamo rimandarle a dopo? – Finalmente Vincent parlò, infastidito. – Come diamine si apre questa cella? –
- E’ chiusa con un incantesimo. Non potete aprirla. Nessuno può, a parte le guardie. – Rispose Cameron, squadrando Vincent da capo a piedi. – Ed ecco che finisce qui il magnifico piano. Già smesso di fare gli eroi per salvare la principessa prigioniera. – Ridacchiò divertito.
- Lo sai, l’incantesimo? L’hai sentito pronunciare? – Gli domandò Alec, ignorando la sua frase.
Aveva un’idea. Cameron annuì poco convinto. Alec sorrise trionfante. - Beh, non è detto che solo le guardie magari siano in grado di usare quell'incantesimo. Credo di avere la persona giusta per provare a recitarlo. – Disse facendo ricadere nuovamente gli occhi azzurri su Jill.
  
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