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Autore: Misaki Ayuzawa    12/06/2014    5 recensioni
Chi è Tessa Gray? Ve lo dico subito. Tessa Gray è una povera sedicenne in crisi. Perchè, non solo frequenta il terzo anno di liceo, e si sa, il liceo è un problema per tutti, ma anche perchè non riesce a trovare il libro giusto... si avete capito, è una lettrice appassionata che non riesce a trovare un libro appassionante e questo è un problema per qualunque lettore che si rispetti! Questa, signori è la storia di Tessa Gray e della sua caccia alla "trama perfetta" ma non solo la sua perchè compariranno, con la stessa importanza, gli altri personaggi che fanno di Shadowhunters il ciclo di romanzi che è!
Dal 7° cap.: Il blu si fuse col grigio per diventare tempesta.
Dal 9° cap.: "E che cosa cerchi?"
"Romanzi. Ce ne sono pochissimi. O poesie ... Ci sono soltanto enciclopedie e storici!"
Will si sentì ferito nell'orgoglio. Quella era la sua biblioteca e nessuno la poteva offendere!
Dal 13° cap.: "Ah non preoccuparti! In caso scacciamo via Will!"
"Chissà perchè non credo prenderebbe la cosa con diplomazia ..."
"Mmmm ... forse no" Rise.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Theresa Gray, William Herondale
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 38: Fuga

Charlotte si stava massaggiando le tempie pulsanti con i polpastrelli, quando qualcuno irruppe nel suo ufficio.
“Bussare non è più buon costume?” Chiese, senza neanche alzare lo sguardo.
Una voce a lei ben nota le rispose. “Credevo che ormai non fosse più necessario. Dato che si tratta di me.”  
Woolsey se ne stava appoggiato allo stipite della porta, i capelli biondi ordinatamente pettinati all’indietro e le lunghe gambe avvolte in un paio di pantaloni di alta sartoria. La camicia bianca, con i primi bottoni sbottonati, lasciava intravedere la clavicola e il petto.
“Accomodati.” Disse soltanto la donna.
Woolsey si adagiò sulla poltroncina, di fronte alla scrivania.
Calò un silenzio che fu Charlotte a rompere, dopo essersi massaggiata le tempie ancora un po’.
“Che c’è, Woolsey?”
Il biondo scosse la testa. “Sembri stanca.” Non c’era traccia di ironia nella sua voce.
“Lo sembro e lo sono … Allora, hai novità per me?”
Woolsey annuì piano.
“I miei agenti hanno mostrato in giro la foto di Lilith che mi hai fornito. Nonostante fosse abbastanza datata, le guardie dell’ospedale l’hanno riconosciuta. L’hanno lasciata entrare. Credevano che fosse una semplice visitatrice.”
“Quindi non sai effettivamente dove si trova, ora come ora?” Chiese Charlotte, sconsolata. Non aveva conosciuto Lilith di persona, ma Jocelyn Fairchild, sua cugina e madre di Clarissa, le era stata molto amica; proprio grazie a Jocelyn, Charlotte era riuscita a procurarsi la foto.
Le persone non si aspettano mai che, quando qualcosa di terribile accade, i responsabili sono proprio i più vicini a noi e per questo Jocelyn era rimasta profondamente scioccata, nell’apprendere la notizia.
Woolsey si toccò il naso con la punta dell’indice e l’ombra di un sorrisetto affiorò sulle labbra.
“Se non lo sapessi non sarei qui. Alaric l’ha vista di persona e l’ha seguita dall’ospedale fino al luogo in cui abita. Ha cambiato completamente identità: si fa chiamare Adele Rainway e gestisce una lavanderia a Whitechapel. Al momento Alaric e Gretel” Charlotte suppose che si trattasse degli investigatori di Woolsey “la stanno tenendo d’occhio. Non possiamo fare niente, finchè non la cogliamo con le mani nel sacco.”
Charlotte sgranò gli occhi, sbalordita e ammirata contemporaneamente. Si alzò in piedi, improvvisamente rinvigorita, e lo stesso fece Woolsey. La donna gli strinse calorosamente la mano, mantenendo però una certa distanza: la scrivania avrebbe di certo fatto da scudo, nel qual caso a Woolsey fosse passato in mente di fare qualcosa di strano.
“Grazie mille. Davvero, tu e i tuoi … avete fatto qualcosa di incredibile. Saremo per sempre in debito con voi, io e Will.” Aggiunse, meno convinta.
“E’ sempre un piacere, chèrie, lo sai.”
Le mani si staccarono e negli occhi di Woolsey balenò un lampo di malinconia, che Charlotte però non notò, prese com’era a preoccuparsi per un’altra persona …

Se fuori la temperatura rasentava i cinque gradi, dentro la camera di Jem il caldo era soffocante, eppure, nonostante i caloriferi, il ragazzo continuava a tremare, scosso dai brividi.
“Jem” sussurrò Emma, temendo che un suono troppo alto potesse ferire il cugino. “Vuoi un’altra coperta?” Il capo di Jem, sotto la zazzera argentea scompigliata, scosse la testa.
“Jem” ripeté Emma, incapace di mantenere gli occhi asciutti, nonostante si fosse ripromessa di non piangere davanti a Jem. Lui non stava davvero morendo. Perché la droga, o la medicina, non era veramente finita. Perché non era vero che la casa farmaceutica aveva chiuso. Era solo un brutto sogno da cui Emma si sarebbe svegliata presto. Probabilmente sarebbe stato Julian, seduto accanto a lei in una qualsiasi aula, a darle un pizzicotto per ridestarla, prima che il professore la beccasse a sonnecchiare. “Jem, perché non c’è nient’altro che ti possa guarire?” Emma, in quel momento, sapeva di apparire come una bambina piagnucolona e non come una sedicenne, ma non poteva farci nulla; per lei, Jem non era mai stato un cugino, ma un fratello.
La voce di Jem rispose flebile ma calma, come se non ci fosse ragione di preoccuparsi, o essere ansiosi. “Lo yin fen non è mai stata una cura, lo sai benissimo. Serviva a ritardare l’inevitabile. Dopotutto, la ruota non si può ingannare a lungo.”
“Non me ne frega niente della ruota! Ci saranno altre centinaia di persone che dovrà far reincarnare, no? Perché dovrebbe interessarsi a te?” Sbottò Emma. Talvolta il carattere di Jem, così diverso dal suo, la faceva infuriare.
“Non è qualcosa che ti compete.” Jem socchiuse gli occhi e cambiò discorso. “Come stanno Will e Tessa?”
Emma rimase a bocca aperta. Come poteva Jem preoccuparsi di Will e Tessa, quando stava per andare, irrimediabilmente, incontro alla morte? Sapeva, però, quanto Will fosse importante nella vita del cugino, così lo rassicurò, dicendogli che stavano meglio entrambi e che nel giro di una settimana sarebbero tornati all’Istituto.
“Quindi tu non puoi morire prima che lui arrivi.” Concluse Emma.
“Non oserei mai, Will darebbe il mio corpo in pasto alle anatre …”

Sophie se ne stava in punta di piedi sull’ultimo piolo della scala di legno, tentando disperatamente di passare il piumino sulla cima della libreria. Da quando non c’era più Will ad occuparsi dei libri, per Sophie, in biblioteca, c’era il doppio del lavoro da fare. William Herondale era schivo, nei suoi confronti, ma la cameriera aveva imparato a conoscerlo, piano piano, alla totale insaputa del ragazzo.
La sua mania di sistemare ogni minuscola pieghetta del più antico dei libri, il bancone all’entrata costantemente stipato di liste ed elenchi che avevano un ordine soltanto per lui … Aveva capito fin da subito che William Herondale era un ragazzo particolare.

Dopo essersi ripulita, Sophie andò in cucina. Erano le cinque meno dieci e, in perfetto orario, gli scones per il signor Lightwood erano pronti.
Trasportando il carrello lungo il corridoio, Sophie si chiese perché mai Lightwood desiderasse gli scones proprio alle cinque, dato che era l’orario in cui terminava la lezione; ma d’altronde, non erano affari suoi. Forse gli piaceva mangiare subito dopo l’allenamento, con le focaccine ancora fumanti, eppure, ogni volta che Sophie entrava, dopo avere educatamente bussato, Gideon se ne stava in piedi, rigido come uno spaventapasseri e con il fiatone.
Questa volta Sophie non ricevette risposta, quando bussò. Provò ad aprire la porta e rimase sorpresa quando, sotto il suo tocco, questa si aprì. Che razza di incosciente teneva la porta del proprio appartamento aperta?
Sophie terminava il turno alla cinque e, non volendo aspettare sulla soglia l’arrivo del professore, entrò nella stanza, trascina dosi dietro il pesante carrello.
Lasciò il carrello in mezzo alla stanza e ritornò alla porta. Questa, contro ogni previsione, si spalancò verso l’interno colpendole con violenza il volto.
Il colpo non era stato abbastanza forte da tramortirla, ma ugualmente la ragazza cadde indietro, prontamente afferrata da Gideon, giustamente sorpreso di trovarla lì.
“Dobbiamo decisamente smetterla di incontrarci così, o per la fine dell’anno entrambi ci saremo procurati diversi traumi celebrali.” Constatò Gideon.
“Non potrei essere più d’accordo.” Assentì Sophie, alzandosi in piedi, aiutata dall’uomo. Nel movimento notò qualcosa sotto il letto. Un’enorme montagna di … “Scones?” Sophie strabuzzò gli occhi.
Gideon parve preso in contropiede. “Ne volete uno?” E, dopo averne presa una dal carrello, offrì la focaccina alla cameriera, la quale la allontanò con un gesto della mano.
“Perché, signor Lightwwod, ci sono degli scones sotto il suo letto?” Gideon impallidì, il sangue defluito completamente dal volto.
“Ecco, io …”
“Se non le piacevano avrebbe semplicemente potuto dirmelo! Ne avrei fatti altri!” La voce di Sophie tremava di rabbia. Sprecava del tempo, ogni giorno, a preparare quei dannatissimi scones, e le sembrava una mancanza di rispetto, quella, e Sophie, ormai da tempo, mal le sopportava, le mancanze di rispetto. Nella sua vita ne aveva ricevute troppe.
Gideon fece per afferrarle le spalle, ma Sophie si scostò.
“Il fatto è che a me gli scones non piacciono. Non mi sono mai piaciuti e mai mi piaceranno.”
Il volto di Sophie era una maschera di rabbia e stupore. “Allora perché mi ha chiesto di portaglieli ogni giorno?”
Il viso di Gideon si tinse di una sfumatura rosso acceso. “Mi sembrava il modo migliore per vederla …” biascicò. Solo ora, incapace di muoversi sotto lo sguardo accusatorio di Sophie, Gideon si rendeva conto di quanto stupido fosse stato, con quella messinscena. E tutto per vedere una ragazza che viveva sotto il suo tetto, facilmente raggiungibile. Il problema, pensò dopo, era un altro, in effetti. Sophie non lo incoraggiava affatto e, al contrario, lo allontanava.
“E io cosa dovrei fare?” Replicò Sophie, con voce ferma. “Mi dovrei sentire lusingata?”
Gideon non ebbe il tempo di ribattere, perché la ragazza uscì a passo veloce dalla stanza.

 “Maia, tienilo fermo!”
“Provaci tu, se ci riesci!”
“Lasciatemi andare! Lasciatemi!” Gridò Will, la mano aggrappata al pomello della porta e il petto e le braccia bloccate da Maia.
“Dove credi andare, Will?” Lo rimproverò Tessa.
“Dove credo di andare?” Will la guardò incredulo.”Da Jem!”
“Will, non puoi andartene da solo.” Anche per Tessa era difficile pronunciare quelle parole, ma sapeva che non avrebbero potuto andare in giro da soli, non con Lilith alle calcagna. “Chiameremo la preside Fairchild,” continuò “o il professore Branwell, e ci faremo portare da Jem.” Poi si rivolse a Maia. “Puoi lasciarlo, Maia.” La ragazza lasciò lentamente la presa e pescò dalla tasca il cellulare. Mentre digitava il numero, Will zoppicava, il piede ingessato, verso la poltroncina vicino.
“Chi stai chiamando?” La sua voce era tetra e la paura (Tessa lo notò forte e chiaro: Will non era preoccupato per Jem, aveva proprio paura di perderlo) appannava i suoi occhi, solitamente brillanti.
Maia si portò un dito alle labbra, pregandolo di non fare silenzio. La ricezione non era un granché, in quella parte dell’ospedale.
“Pronto Jordan? Sono io.” Disse finalmente, quando il ragazzo rispose all’altro capo del telefono.
“Prendi la moto e vieni all’ospedale. Porta un casco per Will.” Maia interruppe la telefonata prima che Jordan potesse dire alcunché.
Tessa era a dir poco arrabbiata. “Vuoi far andare Will in moto … con Jordan?”

“Su, amico, non è un salto troppo alto.” Will, dalla finestra, lanciò un’occhiata assassina a Jordan che se ne stava in giardino, incoraggiandolo a saltare.
“Forse non lo sai, ma ho un piede ingessato, cretino!” Sussurò Will con l’intonazione che avrebbe messo in un urlo, ma non poteva permettersi di fare rumore. Quella era una fuga in piena regola.
Maia se ne era andata subito dopo aver telefonato a Jordan e ora, nella stanza ospedaliera, c’erano solo Will, che tentava disperatamente di issarsi sul cornicione della finestra trascinando la gamba dal piede ingessato come un peso morto, e Tessa che, volutamente, fingeva di non vederlo né sentirlo. Capiva perfettamente le ragioni di Will. Sapeva che Jem era il suo migliore amico e anche lei avrebbe voluto vederlo immediatamente, ma non avrebbe aiutato Will ad acciaccarsi ancor di più o, nel peggiore dei casi, a precedere l’amico nella tomba, sebbene Tessa stesse cercando di convincersi che Jem non sarebbe veramente morto. Miliardi di persone malvagie, a questo mondo, meritavano la morte, perché mai avrebbe dovuto essere Jem, ad andarsene?
Finalmente Will riuscì a sedersi sul cornicione, le gambe penzolanti nel vuoto.
“Jordan Kyle, se tu non mi prendi al volo ti strapperò a mani nude quei capelli di cui ti vanti tanto.” E dopo questo annuncio, saltò.
Tessa lo aveva già visto saltare, una volta, dal loft di Magnus, ma nonostante questo sentì le budella attorcigliarsi, quando i capelli neri di Will scomparvero dal suo campo visivo.
La ragazza scosse la testa e poggiò sul comodino il libro che stava leggendo. Si avvicinò alla finestra e vi si arrampicò sopra. Guardò giù.
Will era atterrato proprio tra le braccia di Jordan, il quale, ora, lo stava mettendo a terra e gli faceva passare il braccio di Will sulle spalle, per aiutarlo a camminare.
Al diavolo, pensò Tessa.
E saltò anche lei.

Angolino dell'autrice: Ecco qui, un capitolo di transizione, lo so, ma che mi serve per arrivare ai capitoli finali! Spero vi sia piaciuto lo stesso, nonostante la ben poca "azione". Probabilmente in molti mi odieranno, per la piega che sto facendo prendere alla malattia di Jem, ma qui non siamo nel mondo degli Shadowhunters e quindi l'unica cura potrebbe essere di derivazione scientifica. Chi lo sa come finirà!
Okay, non ho molto altro da dire se non invitarvi, se volete, a lasciare una recensione, e a dare un'occhiata, se ancora non l'avete fatto, alla mia altra long "L'angelo". A presto!

 

  
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