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Autore: Horan princess II    13/06/2014    1 recensioni
Tempest assiste ad una strage.
Trenta uomini adulti uccisi da se giovani ragazzi, com'è possibile?
Notata dal "capo" del gruppetto, viene rapita e portata nella casa degli assassini, dove trascorrerà molto tempo.
------I primi capitoli sono leggermente confusi, ma i dubbi verranno chiariti nei capitoli successivi.
La storia non è mia, ma ho piacere di pubblicarla su questo sito per la prima volta. ©--------
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Violet.
 
Premessa: Il nome è stato cambiato da "Tempest" a "Violet" per comodità di copiatura. 
 
Ci allontanammo dalla piazza a una velocità incredibile. Kaspar mi teneva stretta per il polso trascinandomi nella sua scia.
Le unghie affondavano nella mia carne, sentivo la pelle spaccarsi e lacerarsi.
Sussultai- era come cadere e tagliarsi a rallentatore-, ma non dissi nulla. Non gli avrei mai dato questa soddisfazione. Passammo da un vicolo all’altro, Kaspar, sempre in testa al gruppo, ci guidava lungo strade di cui ignoravo l’esistenza.
Ormai sentivo echeggiare le sirene della polizia: le vie vicine erano inondate di luci lampeggianti blu.
-Maledetti sbirri.- Sbottò Kaspar. –Aspettate qui.-.
Mi spinse conto uno dei suoi. –Fabian, tieni d’occhio la ragazzina.-Per la seconda volta in quella sera andai a sbattere contro qualcosa di duro. Anche Fabian era freddo. Balzai indietro come se fossi stata punta e persi l’equilibrio. Stavo per cadere nella canaletta di scolo accanto al marciapiede, ma non toccai mai terra. Mi guardai il braccio, trattenuto a mezz’aria da una mano bianca quasi quanto la mia.
-Attenta.- disse una voce sommessa. Seguii quel braccio con lo sguardo e stupita trovai il viso sorridente del ragazzo che aveva spiccato il salto sopra la mia testa a Trafalgar Square.
I suoi occhi blu cielo avevano un’espressione quasi divertita.
Per un breve, grottesco momento osservai i suoi capelli e il torace muscoloso, appena visibile sotto il colletto sbottonato della camicia. Poi mi ripresi e ritrassi il braccio, terrorizzata dai miei stessi pensieri.
-Mi chiamo Fabian.- disse, tendendo la mano verso di me.
Mi ritrassi per pulirmi le mani e i polsi sul cappotto nei punti in cui mi aveva toccato con le dita sporche di sangue.
Fabian aggrottò le sopracciglia, la mano destra ancora sospesa in aria.
-Non ti faremo del male, tranquilla.-
Altri occhi ci squadravano, controllando che non riprendessi la mia fuga. Ma ormai avevo perso ogni speranza. Piuttosto, speravo che Kaspar stesse via abbstanza da dare il tempo a un’auto della polizia di vederci.
-Quello che è successo..- Fabian indicò in fondo alla strada –era necessario. Ouò non sembrare così, ma devi credermi, dovevamo farlo.-
Mi bloccai. –Necessario? Non è necessario, è sbagliato. E non trattarmi in questo modo, non sono una bambina.-
Le parole mi uscirono di bocca prima che mi venisse in mente una strategia per prendere tempo.
Smisi di pulirmi le mani e mi strinsi i polsi. Parevano tutti stupiti che avessi ritrovato la parola e vidi Fabian che lanciava occhiate alle mie spalle.
-Quanti anni hai, visto che sei così esperta di morale?- Piegò la testa di lato.
Restai in silenzio, indecisa su cosa rispondere, ma allo stesso tempo sollevata che avesse ignorato il resto del mio commento. –Allora?-
Mi morsi il labbro. –Diciassette.-
-Non pensavo che oggi le ragazze di diciassette anni si mettessero vestiti così corti.-
Una voce arrogante alle mie spalle mi fece trasalire.
Mi girai di scatto facendo ondeggiare i miei capelli neri e la frangia mi ricadde sugli occhi.  Kaspar era accanto ad un lampione con le mani in tasca e i pollici fuori.
Di nuovo quel ghigno grottesco. Mi squadrò da capo a piedi ed io mi strinsi nel cappotto cercando di coprirmi.
Il suo sorrisetto si fece più ampio. –Quel rossore non si intona per niente al viola dei tuoi occhi, ragazzina.-
Sobbalzai a quel commento sui miei occhi. Tra gli occhi di un colore strano, il nome e il fatto di essere un’inflessibile vegetariana, ero abituata a schivare le frecciate.
Aprii e chiusi la bocca diverse volte. Appena distolsi lo sguardo, il sorriso di Kaspar svanì.
-Andiamo!-
Gli altri erano già spariti, inghiottiti nell’oscurità di un vicolo. Fui scaraventata con violenza contro una fila di bidoni della spazzatura e mi guardai intorno, frastornata.
L’unica fonte di luce era una bettola poco lontana, stretta tra una scala antincendio e un grosso cassone dei riufiuti.
Cercai di riprendere fiato e ancora ansimante feci per rialzarmi, ma una mano mi tappò di nuovo la bocca mentre un’altra mi tirava su con forza, un po’ sollevandomi, un po’ trascinandomi lungo il vicolo, i piedi sudici dalla sporcizia della strada.
Appena voltammo l’angolo in fondo al vicolo le luci blu illuminarono il muro di mattoni. Un ubriacone buttato contro il cassone della spazzatura ci schivò lanciando imprecazioni che mi fecero arrossire.
Ma i suoi lamenti non riuscivano a coprire il suono sempre più forte delle sirene, ormai a poche strade di distanza.
-Devi correre più veloce.- mi disse Kaspar. Nella sua voce non c’era traccia di panico, ma lo riconobbi distintamente sul suo viso. E su quello dei suoi compagni.
Indietreggiai. –Sei fuori di testa? Dovrei correre più veloce solo perchè me lo dici tu? Sei un assassino!- Le parole mi uscivano dalle labbra senza nessun controllo. L’adrenalina era tornata, e stava scacciando la paura.
I suoi occhi brillarono di una luce pericolosa e per un momento pensai che avessero perso il loro bagliore color smeraldo.
-Non siamo assassini.- Anche se non aveva alzato la voce nè cambiato il tono, riuscì comunque a farmi rabbrividire.
Avevo la pelle d’oca.
-Allora cosa siete? E perchè avete ucciso quella gente?-
Nessuno rispose, la mia domanda rimase nell’aria mentre mi trascinavano ancora avanti. Cambiavamo spesso direzione, continuando a muoverci per i vicoli e ad allontanarci dal centro a mano a mano che la polizia, ormai vicinissima, presidiava le strade alle nostre spalle.
Londra si stava risvegliando.
Ogni finestr rifletteva il blu intenso dei lampeggianti mentre il cordone delle forze dell’ordine si allargava.
-Sbrigati.- Sibilò Kaspar, tirandomi per la manica.
-Non ce la faccio.- Gridai in risposta.
Non ce la facevo davvero, avevo una fitta alle costole e il respiro, sempre più corto, era diventato quasi un rantolo.
-Peggio per te.- Ribattè lui con freddezza.
-Non rie..non riesco a respirare.- mormorai, cercando ossigeno. Mi scese qualche lacrima, ma l’asciugai in fretta.
-Finirò per svenire, morirò.-
-Oh, che gran perdita sarebbe.- borbottò Kaspar alzando gli occhi al cielo.
-Io non c’entro niente!- Barcollavo, sentivo le ginocchia cedere. Mi chiesi perchè avesse deciso  di tenermi in vita se la mia morte non lo preoccupava minimamente.
-No, ma adesso di sei dentro anche tu, ragazzina.- urlò lui. –Non hai scelta. Quindi. Ora corri.-
Non mi mossi e continuai a massaggiarmi il petto. –Non mi chiamo “ragazzina”! Il mio nome è Violet!-
In un istante, rapido come un proiettile, Kaspar fu a pochi centimentri da me.
Mi sbattè contro ad un muro, le mani strette attorno al mio collo. E teneva un dito premuto sulla mia giugulare.
-E io sono il principe, cazzo!- mi ringhiò addosso.
Cercai di divincolarmi, ma la sua presa si fece più forte. Chiusi gli occhi, non volevo vedere la sua faccia così vicino alla mia.  Puzzava di sangue.
Un’immagine mi attraversò la mente: il corpo tumefatto e senza vita di Claude Pierre, riverso sui lastroni di pietra della piazza.
-Ci metto meno a spezzare questo bel collo che tu a strillare.- mi sussurrò all’orecchio.
-Quindi ti suggerisco di fare quello che ti dico. Non riuscirai a correre più veloce di noi e la polizia non può fermarci.-
Non sapevo cosa intendesse con “io sono il principe”, ma per il resto gli credetti sulla parola. La sincerità nella sua voce era pari alla malvagità. Chinai il capo, sconfitta.
-Così va meglio.- Mormorò lui. Mi afferrò la mano e tirò.
Mentre rincominciavo a correre scorsi un uomo scattare in fondo alla strada.
Il suo completo di un baige scialbo stonava decisamente in quelle stradine strette piene di locali sordidi e di quart’ordine.
L’uomo rallentò e si fermò, ora guardava dritto verso di noi, le braccia alzate sopra la testa come in gesto di resa.
Presi una boccata di ossigeno: lo conoscevo, lavorava con mio padre. O, meglio, lavorava per mio padre.
Esitò, poi fece qualche timido passo avanti, gli occhi fissi su di me.
Per un istante incrociai il suo sguardo, ma lui subito lo distolse e indietreggiò di nuovo. Indicò un punto alle sue spalle nel momento stesso in cui la polizia compariva da dietro l’angolo. Kaspar si girò e gli agenti rallentarono per poi fermarsi, osservandoci terrorizzati. Kaspar fece scorrere lo sguardo sui poliziotti, quasi sfidandoli. Respirò a fondo e raddrizzò le spalle, tirandomi contro di se.
Provai a divincolarmi e a gridare aiuto, ma lui mi torse il braccio dietro alla schiena.
Fu come se mi avessero conficcato una spada nel fianco e gemetti. Kaspar indietreggiò di qualche passo e tenendomi un braccio intorno alla vita mi trascinò con sè.
Si accostò al mio orecchio e ringhiò: - Vai troppo piano.-
Senza aggiungere altro mi sollevò di peso e mi caricò sulle spalle. Mi ribellai e presi a colpirlo con pugni sulla schiena ma lui non sembrava nemmeno accorgersene.
Poi tutto divenne confuso. Gli edifici mi sfrecciavano velocemente accanto e, quando alzai lo sguardo, non c’era più nessuno intorno a noi. A dire il vero, non eravamo più nemmeno nella stessa strada. Il mio cuore mancò un battito: Kaspar aveva ragione, non ci avevano inseguito. Perchè non hanno provato a fermarci?
In pochi minuti ci eravamo lasciati tutto alle spalle. Non volevo sapere a quale velocità stessimo andando; sapevo solo che mi girava la testa.
Chiusi gli occhi per fermare le vertigini e tenere il respiro sotto controllo, ma qualche istante dopo sentii che toccavo terra e ricaddi come un sacco ai piedi di Kaspar, accanto  due auto di lusso.
Battei le palpebre un paio di volte convinta di vederci doppio. Le due macchine erano identiche, dalla carrozzeria nera e lucida ai finestrini oscurati, persino i numeri di targa erano simili, salvo per una lettera.
Chi diavolo è questa gente? Belli e pieni di soldi. Peccato che siano assassini, un punto debole.
Deglutii e questi pensieri si dissolsero. Conoscevo Londra abbastanza bene da saper cogliere i segni caratteristici del crimine organizzato.
Eppure la polizia non ci ha fermato.
Il suono delle sirene in lontananza ruppe la quiete di quella via laterale. Qualcuno dietro di me mi sollevò e mi spinse sul sedile posteriore dell’auto più vicina; sbattè la portiera e fece il giro della vettura per sedersi dall’altra parte.
Era il ragazzo con gli stessi occhi smeraldo di Kaspar.
Quest’ultimo di mise alla guida e Fabian prese posto accanto a lui.
-Mettiti la cintura.- Mi ordinò il tizio vicino a me.
Lo ignorai, rigida come una tavola di legno, le braccia incrociate al petto. Gli sfuggì un sospiro esasperato, quindi si sporse e mi allacciò la cintura.
-Mostro.- mormorai. Il ragazzo ridacchiò.
-Mi chiamo Cain, non “mostro”. Sono suo fratello minore.- Mi rivelò, indicando Kaspar. Ecco spiegata la loro inquietante somiglianza. –Come hai detto che ti chiami?-
-Violet, Violet Lee.- balbettai.
Poi cadde il silenzio. Fuori dal finestrino vidi passare altre auto della polizia. Un agente guardò nella nostra direzione e mi si strinse lo stomaco per la speranza. I suoi occhi si agganciarono ai miei per un breve istante, poi lui distolse lo sguardo, come se non si fosse accorto di me.
La città era ormai alle nostre spalle, il centro lontano. Una volta sulla strada principale, l’auto prese velocità.
Controllai il tachimetro; segnava i centosessanta.
Sentii un fremito nella pancia, ma questa volta non era affatto gradito.
La testa pulsava, e avevo anocra dolorose fitte al fianco.
Premetti le mani sulle costole e provai un po’ di sollievo, ma non molto.
Mi raggomitolai sul sedile, stringendomi le ginocchia al petto e appoggiai la testa sul finestrino fresco.
Le palpebre cedevano e tutto il mio corpo implorava riposo, ma io non volevo nemmeno pensare a cosa sarebbe successo se mi fossi concessa un po’ di sonno.
Cercai di trattenere le lacrime e provai ad analizzare la situazione con il maggior distacco possibile. Ero appena stata testimone del massacro di trenta uomini nel centro di Londra. Ero stata rapita da sei ragazzi, forti e velocissimi, che sembravano non  avere intenzione di uccidermi. Almeno non subito. Non avevo idea di dove diavolo mi stessero portando, di chi diavolo fossero o di cosa sarebbe successo, nè di quanto ci avrebbero messo i miei ad accorgersi della mia scomparsa.
Cominciai a valutare l’idea di saltare giù dalla macchina in corsa, ma nel momento stesso in cui formulai il pensiero sentii un clic e lo scatto della chiusura centralizzata.
Dalle labbra mi sfuggì un gemito disperato.
Eravamo sulla M25, ora deserta; la città che amavo era ormai lontana dietro di noi. Il paesaggio intornò cambio gradualmente; piano piano la metropoli lasciò il posto alla periferia e poi all’aperta campagna, punteggiata qua e la di paesini e villaggi.
Superammo il cartello che indicava l’inizio del Kent, e cominciai a chiedermi se fossimo diretti al porto di Dover per raggiungere la Francia.
Nel mio cuore si accese un barlume di speranza. Non ce la faranno mai a lasciare l’Inghilterra. Poi anche quella speranza svanì non appena l’auto puntò non a sud, ma verso nord, in direzione Rochester.
Mi sfuggì un altro gemito e vidi Kaspar lanciarmi un’occhiata dallo specchietto retrovisore. Suo fratello Cain mi mise una mano sulla spalla e io lo fissai, gli occhi spalancati. Non sembrava affatto un assassino, era solo un ragazzo.
Mi sorrise e nella mente sentii le grida di un uomo.
Mi liberai dalla sua mano e mi raggomitolai ancora di più nel sedile, i capelli davanti al viso per proteggermi dai loro sguardi.
Tornai ad appoggiare la fronte sul finestrino e le lacrime iniziarno a scendere incontrollate, scivolando sul vetro e rigando l’alone del mio respiro sulla superificie trasparente.
Mi strinsi nelle spalle e provai a cercare risposte dentro di me.
Sapevo cosa mi ero lasciata alle spalle. La domanda era un’altra adesso: a cosa stavo andando incontro? 

 
Angolo autrice: (Sotto questo troverete le gif dei personaggi).
Ho continuato la storia nonostante mancasse una recensione, aggiornerò a tre recensioni. 


Kaspar: 



Cain: 


Fabian: 


HPII.

 
  
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