Fanfic su attori > Tom Hiddleston
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Autore: elokid78    13/06/2014    6 recensioni
Anna è una diffidente ed intransigente giovane avvocatessa londinese che deve occuparsi di redigere il contratto per il nuovo film della star inglese del momento. Una serie di imprevisti ed equivoci la porterà a dimenticare il suo passato.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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~~Cap. 14. HA MAI AMATO IL MIO CUORE?


Mi ci volle qualche secondo per reagire alla vista di Tom che mi guardava accigliato sulla porta della cucina.
Lanciai un ultimo sguardo a Benedict prima di sottrarmi alla sua stretta e dirigermi verso di lui.

- E’ tutto a posto. Andiamo a ballare.

Lo presi per un braccio e lo trascinai letteralmente nel salone, abbandonando Ben in cucina.

- Cosa è successo là dentro?

Tom non si arrese e, approfittando di una musica più lenta, continuò con le sue domande mentre mi stringeva.

- Cosa gli hai raccontato di me? – gli rigirai la domanda, un po’ astiosa.
- Come?
- Sapeva del mio passato.
- Non gli ho detto niente, te lo giuro! – si allontanò appena un poco da me, per guardarmi dritto negli occhi e dimostrarmi così l’autenticità delle sue parole.
- Qualcosa devi avergli raccontato.
- Gli ho solo detto che all’inizio abbiamo avuto dei problemi, ma ti assicuro che non ho detto..
- Sì, lo so. L’ho fatto io.
- Cosa?
- Sa tutto. – feci io, laconica.

Lui ammutolì e mi guardò sgranando gli occhi.
Non riuscii a capire se era stupito per il fatto che avessi trovato il coraggio di confidarmi con qualcun altro che non fosse lui, oppure se gli seccava non essere più l’unico depositario del mio segreto.
Decisi di non approfondire la questione, lasciando cadere l’argomento.
Anche io ero in preda a sentimenti contrastanti. Da un lato mi rimproveravo mentalmente e mi davo dell’idiota per essermi lasciata andare a tale genere di confessioni con Benedict, dall’altro lato, però, istintivamente mi fidavo di lui ed evidentemente, magari inconsciamente, avevo lasciato che accadesse.
Però non potevo uscire da quella casa senza essermi assicurata che Benedict non rivelasse a nessuno quello che sapeva.
Con la coda dell’occhio lo vidi ritornare nel grande salone e chiacchierare amabilmente con Martin ed Amanda.
Sembrava sereno e le preoccupazioni che lo avevano rattristato tutta la sera parevano un lontano ricordo. O forse stava solo recitando.
Improvvisamente incrociò il mio sguardo.
Mentre Tom mi faceva volteggiare, vidi che scambiava qualche parola con Martin, lasciando poi il gruppo di amici e colleghi.
Mi accorsi allora che si stava avvicinando a noi che continuavamo a ballare in silenzio.
Tom non parve accorgersi di nulla finché Benedict non fu tanto vicino da sussurrargli poche parole nell’orecchio.
Per un attimo un cieco terrore mi avvolse. Temevo che volesse parlargli subito, senza por tempo in mezzo.
Invece Tom si scostò dolcemente da me, mi baciò piano la mano e consentì all’amico di prendermi tra le braccia, sostituendosi a lui.
Così Tom si allontanò da noi e si avviò verso il bar.

- Volevo parlarti. – cominciò Ben, tenendomi stretta e parlando a pochi centimetri dal mio orecchio.
- Anch’io.
- Io.. volevo.. ecco, scusarmi per il mio comportamento.

Questo proprio non me lo aspettavo.
Credevo che avrebbe cercato di convincermi a rivelare a Tom il nome del mio aggressore, pensavo che mi avrebbe biasimato per non averlo ancora fatto e che mi avrebbe minacciato di farlo lui stesso se io mi fossi rifiutata.
Ma proprio non ero preparata a ricevere delle scuse.
Non ricevendo da me alcuna risposta, lui proseguì.

- Sono proprio un idiota. Non dovevo costringerti a parlare e non era mio diritto mettere in dubbio la tua sincerità. Quando sono di pessimo umore a volte mi comporto da stronzo. Mi dispiace. Non volevo mancarti di rispetto. Non succederà più.
- Va.. va bene. – ero sempre più stupita.
- Non interferirò tra Tom e te. Il tuo segreto è al sicuro.
- Grazie. Era quello che volevo sentire – tirai un sospiro di sollievo.
- Questo non significa che sia d’accordo con la tua decisione.
- Ti ho spiegato le mie motivazioni.
- Non è abbastanza per mentirgli. Tom è un uomo adulto e ritengo sia in grado, e soprattutto abbia il diritto, di conoscere la verità senza che ciò abbia ripercussioni sulla sua carriera.
- Ma..
- Se anche gli offrissero un lavoro insieme a Bean, Tom è un attore abbastanza affermato da poter scegliere di rifiutare, oppure di affrontarlo. Non saperlo non aiuterà di certo. E anche se capitasse di incontrarlo..
- E’ già successo.
- Cosa?
- Lo abbiamo incontrato ad una premiere.
- E tu? E lui?
- Non so come, sono riuscita ad evitare il peggio, nonostante lui..
- Cosa ha fatto? Ti ha importunata?

Si scostò per guardarmi con gli occhi sbarrati. Abbassai lo sguardo ed accennai un lieve movimento di assenso.

- Che gran bastardo. - Sibilò lui, gli occhi turchesi ridotti ad una fessura.
- Già.
- Perché non lo hai denunciato? Come è successo?

Così raccontai anche a lui i dettagli della mia aggressione. E le minacce. Ormai non aveva senso avere ulteriori scrupoli. Aveva promesso di mantenere il segreto e sapevo che lo avrebbe fatto.

- Brutto figlio di puttana! – fu la sua reazione alla fine del mio racconto.

Lo vidi serrare la mascella e lanciare lampi da quei suoi occhi magnetici.

- Pensare che continua ad essere impunito mi fa andare fuori di testa. – proseguì.
- E’ proprio per questo che non lo dico a Tom. Se manda fuori di testa te, pensa cosa potrebbe fare a lui.

Nel frattempo ci eravamo fermati e seduti al lato del salone, fuori della pista da ballo.

- Ti rendi conto che potrebbe averlo fatto altre volte? Si è garantito non solo l’impunità con le sue minacce, ma anche la possibilità di rifarlo tutte le volte che vuole. Potrebbero esserci altre ragazze che hanno subito o che potrebbero subire in futuro quello che hai sopportato tu.

Certo che ci avevo pensato. Quando avevo riflettuto se denunciarlo o meno quella possibilità l’avevo vagliata. Però ero troppo fragile in quel momento per prendere una decisione altruistica. Affrontare un processo, una tempesta mediatica e tutto quello che sarebbe seguito, per non parlare delle chiare minacce che mi erano state indirizzate.. sarebbe stato troppo duro da affrontare.

- Lo so. Hai ragione. È un peso che ho sulla coscienza. All’epoca ero troppo spaventata.
- Ma ora sei una persona diversa.
- Lo credevo anche io. Ero convinta di avere dimenticato, di aver superato tutto. Ma non è così. Ne ho avuto la conferma alla premiere. Sono crollata..
- Francamente non vedo come potessi aspettarti il contrario. Però sei andata avanti. Hai il tuo lavoro, hai Tom..
- Non posso far finta che questa cosa che mi è capitata non abbia creato e tuttora non crei problemi nel nostro rapporto. Lui ce la mette davvero tutta, ma non è facile. E non riesco a sopportare di non riuscire a dargli quello che merita per colpa di.. qualcun altro.

Lo guardai cercando forse comprensione, temendo che le mie parole lo persuadessero che non ero assolutamente la persona giusta per il suo amico, a cui lui teneva tanto.
Invece lessi nei suoi occhi qualcosa di più della comprensione.
Tenerezza. E anche ammirazione.

- Tu ti preoccupi di non dargli quello che merita? Guardalo! È felice, di più, è raggiante. Sei davvero una persona speciale e più ti conosco più penso che Tom sia veramente un uomo fortunato ad averti incontrata.

Gli sorrisi, incoraggiata e lusingata dalle sue parole.  Lui d’impulso mi attirò a sé per abbracciarmi, stringendomi forte.

Proprio in quel momento Tom venne verso di noi ed entrambi scattammo in piedi come due molle.

- Ragazzi, va tutto bene?  - Chiese lui, un po’ interdetto.
- Certo. Mi accompagni a casa? – feci io.
- Va bene, prendo i cappotti e saluto gli altri.

Ero effettivamente un po’ stanca ed erano ormai le tre del mattino.

- Grazie di tutto, Benedict, è stata una strana serata, ma comunque.. grazie, davvero. – salutai il padrone di casa, non sapendo bene come esprimere a parole tutto il vortice di sentimenti che mi frullava dentro.
- Grazie a te.

Mi salutò con una potente stretta di mano, seguita da un affettuoso bacio sulla guancia.
Salutai anche io gli ultimi ospiti rimasti e sgattaiolai verso l’uscita, dove Tom mi aspettava.
Gli diedi un rapido bacio sulle labbra e mi avviai fuori, verso la sua auto.

- Stai bene? – mi chiese, immaginando che ciò di cui avevo discusso con Benedict mi avesse in qualche modo scosso.
- Sì. Sto bene. Devo dormirci su, ma sono a posto.

In auto calò il silenzio.
Io avevo molto su cui riflettere.
Sembrava che Tom volesse parlarmi, ma non osasse riscuotermi dai miei pensieri.
Quando me ne accorsi lo spronai a comunicare.

- Vorresti farmi delle domande?
- Sì. – rispose timidamente.
- Dimmi.
- Come.. come è successo?
- Cosa?
- Perché ti sei confidata con lui?
- Oh. È successo perché lui pensava che io mentissi. Ed io non potevo sopportarlo.
- Come? Perché avrebbe dovuto pensare una cosa simile?
- Perché ti vuole bene e temeva che io volessi approfittarmi della tua buona fede.
- Che idiota!
- Non è un idiota, anzi. Non è uno sprovveduto. Voleva testare l’autenticità dei miei sentimenti per te, dato che sei un suo caro amico e vuole proteggerti.
- Vuole proteggermi da te?
- Beh, sì. O almeno così pensava. Sa cosa significa la fama e che genere di persone ronzano intorno a ragazzi come voi due.
- E’ comunque un idiota.
- Perché ti da così tanto fastidio?
- Cosa?
- Che io mi sia confidata con lui.
- Non mi da fastidio, solo mi stupisce. Se posso essere schietto con te, devo dirti che non è stato affatto facile fare in modo che ti aprissi con me, ma mi è sembrato che con lui sia stato molto più facile.
- Mi ha provocato. Ed io ho ceduto alla sua provocazione. Tutto qui.
- Sembra semplice.
- Lo è. Comunque poi si è scusato.
- Almeno.
- Già.

Non era stato calcolato. Era successo e basta.
Inutile rimproverarsi o pentirsi.
E comunque innegabilmente mi fidavo di Benedict.
Non ne avevo motivo, lo conoscevo a malapena, ma istintivamente era così.
Anche lui aveva parlato con me come si fa con una cara amica, dopotutto.
A proposito, perché non parlare chiaramente anche con Tom?

- Posso farti io una domanda? - Gli chiesi.
- Certamente.
- Non ti va che veda casa tua? – ormai eravamo lanciati, tanto valeva affrontare anche quell’argomento.
- Come? – era sempre più stupito.
- Non che la cosa mi turbi particolarmente, però non ho potuto fare a meno di notare che ci vediamo sempre a casa mia oppure fuori.
- Non c’è un motivo, è capitato così.
- Devo ricordarti come qualcuno di nostra conoscenza abbia più volte sottolineato che le coincidenze non esistono..
- Benedict ti ha messo in testa queste sciocchezze?
- In un certo senso.
- Lo sapevo.
- Suvvia, deve esserci un motivo, hai qualche scheletro nell’armadio? – scherzai.
- No.
- Allora qual è il problema? Hai paura che rimanga scioccata dall’opulenza ed ostentazione della tua ricchezza? Guarda che so perfettamente chi sei e immagino che ti puoi permettere di vivere nel lusso e…

Improvvisamente accostò l’auto e si fermò ai bordi della strada.
Non ebbi il tempo di chiedere spiegazioni che lui, dopo aver segnalato correttamente la manovra, fece una rapida inversione ad “U” nella via deserta a quell’ora notturna e si diresse nella direzione opposta.

- Che succede? – domandai un tantino interdetta.
- Andiamo a casa mia. – fece lui, con tono neutro.
- Oh. Non è necessario, posso venire con calma un altro giorno..
- Andiamo a casa mia. – continuò, stesso tono indifferente.

Cominciavo a preoccuparmi.
Nessuno parlò fino a che l’auto non arrestò la sua corsa.
Allora lo guardai, ma lui, senza proferire verbo, scese dall’auto con un unico gesto fluido, lasciandomi lì imbambolata ad osservare la sua schiena (ed il suo glorioso fondoschiena) mentre usciva.
Non feci in tempo a riscuotermi che Tom aveva già fatto il giro della sua vettura ed aveva aperto la mia portiera, allungando una mano per aiutarmi ad uscire.
Mi guidò verso un ampio portone di quella che pareva una villetta circondata da alte siepi.
Evidentemente gli era cara la privacy.
Erano almeno le quattro del mattino, ma comunque lui si guardò intorno prima di aprire e farmi strada all’interno.
Mi ritrovai in un ampio salone, con una grande scalinata che portava al piano superiore.

- Fai come se fossi a casa tua, io torno subito.

Mi disse, prima di abbandonarmi in quella grande casa sconosciuta.
Che subito presi ad esplorare con viva curiosità.
L’arredamento era sobrio, ma elegante e pareva che il proprietario prediligesse la comodità e la funzionalità all’inutile sfarzo. Gli si addiceva molto.
Arrivai in cucina. Era bianca e luminosa con un isola al centro e tutti gli accessori in bella vista. Notai con piacere il bollitore per il tea e soprattutto la macchina per il caffè espresso, davvero indispensabile!
Mi chiesi per quale motivo mi avesse portato a casa sua proprio quella sera, quando per settimane non mi aveva mai invitato.
Forse la risposta più ovvia era perché io stessa glielo avevo chiesto.
La domanda giusta era perché non mi ci avesse portato prima, ma non avevo ottenuto una risposta soddisfacente.

Ero appoggiata all’isola della cucina quando percepii una presenza alle mie spalle e, prima che potessi voltarmi, un bacio sul collo che mi provocò un intenso brivido lungo la schiena.

- Mmh.. . – mugolai di piacere, mentre lui proseguiva nella sua lenta discesa dal collo verso spalla e scapola.
- Allora ti piace?
- Mmh, certo… Cosa? – mormorai confusa.
- La mia casa!
- Oh. È molto bella. Ti si addice.
- Trovato scheletri nell’armadio?

Sogghignai lievemente, voltandomi per poter allacciare i miei occhi nei suoi, che quella sera avevano una sfumatura più scura del solito, quasi blu. Poteva lasciarmi senza fiato con un semplice sguardo, ma era stata la sua anima gentile a conquistarmi.

- Non ho ancora guardato – replicai, fintamente severa.

Si allontanò appena da me, lentamente, e mi si parò davanti con braccia e gambe allargate, esibendo un sorrisetto sornione e malizioso.

- Puoi perquisirmi, se vuoi..

Si era tolto la giacca e la cravatta ed aveva un paio di bottoni della camicia slacciati.
Una visione.

< Non provocarmi, tesoro – pensai - un solo bicchiere di champagne potrebbe essere sufficiente ad annientare le autocensure di una donna, di fronte ad un tale spettacolo >.

- Credevo che fossi un bravo ragazzo, Hiddleston, ma evidentemente mi sbagliavo..

Avanzai lentamente verso di lui, restituendogli la stessa espressione provocante.

- A volte sono un bravo ragazzo, in altre occasioni sono un cattivo ragazzo. – replicò lui, allusorio.

Continuò a fissarmi, occhi negli occhi, sapendo perfettamente che effetto avesse su di me.
Stava senza dubbio giocando, con maliziosa eleganza, poiché non c’era alcuna volgarità né arroganza in lui, ma sembrava anche che stesse testando quanto potesse spingersi oltre, prima di turbare il mio fragile equilibrio.
Lo rassicurai restituendogli uno sguardo di puro desiderio e decisi di stare al gioco.
Mi avvicinai piano e posai entrambe le mie mani sul suo petto, cominciando ad accarezzarlo lentamente.
Poi passai al ventre e in seguito alla schiena, tastando sotto le mie dita la perfezione della sua muscolatura,  incurante del fatto che sotto quella camicia non avrebbe potuto nascondere neppure uno stuzzicadenti, tanto era attillata.
Non abbandonai il contatto visivo, neppure quando scesi, molto delicatamente verso il fondo schiena, agguantando le natiche con entrambe le mani.

- La cosa comincia a farsi interessante, avvocato, tuttavia potrei denunciarla per abuso di potere – mi prese in giro lui, ammiccante.
- Sto svolgendo una perquisizione autorizzata, Mr. Hiddleston, ma se la metto a disagio posso smettere.

A dispetto delle mie parole, languidamente mi spostai sul davanti, sfiorando appena il cavallo dei suoi pantaloni.
A quel punto si lasciò sfuggire un gemito ed abbandonando ogni spirito goliardico, le sue braccia, che fino ad allora erano rimaste allargate per permettermi quella sorta di eccitante perquisizione, mi afferrarono e mi spinsero contro di lui.
Ci baciammo a lungo, avidamente, appassionatamente finché lui si staccò per un momento, per cercare di dirmi qualcosa.

- Cosa c’è? – domandai, delusa da quel distacco.
- Sì, volevo.. ecco.. rispondere alle tue domande..
- Cosa? Quali?
- Perché non ti ho invitato qui finora.
- Oh. Certo. Dimmi. – non avevo molta voglia di parlare in quel momento. Tuttavia gli avevo chiesto un chiarimento e mi pareva opportuno ascoltarlo.

A malincuore mi staccai completamente da quel contatto e con un piccolo balzo mi sedetti sull’isola della cucina, facendo roteare fanciullescamente sotto di me le gambe, che non potevano contare più  sull’appoggio del terreno.

- Ecco.. io.. pensavo che non ti saresti sentita a tuo agio. – proseguì lui.
- Perché?
- Visto.. ecco.. le tue esperienze passate temevo che se fossi venuta qui ti saresti in qualche modo sentita costretta o comunque non completamente .. serena, sicura, insomma.
- Oh.
- Credevo che ti saresti sentita più al sicuro a casa tua o in situazioni, diciamo, più neutre.  
- Ho capito.
- Per questo non ti ho mai chiesto di venire qui. Volevo che fossi pronta, che ti sentissi sicura e ti fidassi di me completamente.

Quanto poteva essere adorabile ?
Aveva pensato che se mi avesse chiesto di andare a casa sua, probabilmente mi sarei sentita in obbligo di accettare e che magari, una volta lì, avrei potuto non essere completamente a mio agio, forse sentendomi costretta a fare qualcosa di cui non fossi assolutamente convinta.
Quell’uomo mi rispettava e soprattutto considerava i miei sentimenti e aveva a cuore il mio benessere. Cosa si può chiedere di più?

- Ora perché piangi?

Non mi ero neppure accorta che una lacrima dispettosa mi era sfuggita e correva lungo la guancia. Le sue premure mi avevano commossa.
Tom si allungò e la prese dolcemente con il pollice, facendola scivolare via.
Avvicinai la guancia alla sua mano, socchiudendo gli occhi e godendo di quel rinnovato contatto.

- Mi fido di te, Tom. Completamente – gli confidai, mantenendo gli occhi chiusi.

Mi abbandonai docile tra le sue braccia, finalmente consapevole che quell’uomo aveva fatto il miracolo.
Le mie difese stavano crollando di fronte alla sua paziente e scrupolosa attenzione ad ogni più piccola sfaccettatura del mio essere.
Avrei potuto affrontare qualsiasi prova con lui al mio fianco.
Non avevo più paura.
Lo abbracciai stretto, mi aggrappai a lui con ogni fibra del mio corpo, desiderando solo essere sua.
Completamente.
Affondai il viso nell’incavo del suo collo, inspirando piano il suo profumo, solleticando appena con le labbra quel punto così delicato.
Tom prese il mio viso tra le mani ed iniziò a baciare prima gli occhi e le guancie, ancora umide a causa della mia commozione di poco prima.
Cominciai a sbottonargli delicatamente la camicia, ma lui mi bloccò la mano, trattenendola all’altezza del suo cuore.

- Vieni – mi disse semplicemente.

Mi condusse al piano di sopra, in quello che pareva un salottino e che fungeva, supponevo, da anticamera rispetto alla sua stanza da letto, poiché potevo scorgere dalla porta aperta un grande letto bianco con lenzuola scure.
La casa era tutta in un ordine perfetto, per cui mi chiesi se avesse una domestica e che aspetto avesse.

- Puoi aspettarmi un momento?

Chiese lui, distraendomi dal mio soliloquio.
Avevo atteso talmente a lungo, pensai, che qualche minuto non faceva grande differenza.
Annuii, sedendomi sull’ampio divano.
Vidi che lui si allontanava, regalandomi uno dei suoi sorrisi migliori, sparendo verso la sua camera.
Mi tolsi le scarpe (i piedi cominciavano a dolermi dopo 10 ore sospesi su un tacco 15) e mi accomodai il più possibile sul divano.
Mi accorsi solo allora con vivo stupore che ero perfettamente a mio agio.
Non avevo alcuna paura, nessuna paranoia, assolutamente alcun ripensamento.
Al contrario non vedevo l’ora di averlo tutto per me.
Completamente mio.

 

 


Sono seduta contemplando lo schermo illuminato del mio portatile.
La stanza è buia.
Solo una piccola abat-jour diffonde la sua luce nella fredda camera d’albergo.
Avverto improvvisamente una presenza alle mie spalle.
Tom.
Sorrido appena mentre mi volto verso di lui.
Ma non è lui.
Osservo con sgomento un viso conosciuto.
Sento che mi solleva di peso ed avvicina la bocca al mio orecchio.
Io sono come paralizzata. Non posso muovere un muscolo.
Sono totalmente in balia di quest’uomo che mi terrorizza e rabbrividisco.
Percepisco il suo respiro affannoso contro il mio orecchio, mentre mi sussurra parole volgari che io neanche capisco.
Ora è sopra di me e mi sovrasta.
La nausea mi invade, ma comunque non posso muovermi. Sono immobilizzata nella sua morsa.
Non esce neppure un lamento dalla mia bocca.
Al contrario lui continua a parlare, a parlare, incessantemente. Insulti a me ed incitamenti a se stesso, che a malapena distinguo.
- Ti piace, puttana!
Io non fiato. Sento solo dolore e lacrime e paura e senso di soffocamento.

- Anna? Anna!

Aprii gli occhi e per un momento non riconobbi il luogo dove mi trovavo.
Istintivamente mi ritrassi e mi raggomitolai su me stessa, ancora scossa.
Poi capii.

- Anna, stai bene? - Tom mi guardava, preoccupato.
- Sì, sì. Solo un incubo.

Odiavo quell’incubo. Ovviamente non era la prima volta che dovevo affrontarlo.
Ma ogni volta, per un attimo, ero di nuovo quella quasi adolescente indifesa, terrorizzata e piena di vergogna.
Il sudore sembrava ghiaccio sulla mia pelle.
Ma quella volta non ero sola.
Tom era lì con me e capii che non sarei mai più stata indifesa.
E che non avrei più provato vergogna.


 


N.d.A.
 

Ed eccomi di nuovo tra voi!
Scusate per l’assenza, ma a volte gli impegni prendono il sopravvento.
Siamo ad un punto di svolta, come immaginerete.
Manca moooolto poco al sospirato grande passo..
Abbiate fede e continuate a seguirmi!
Grazie a tutti quelli che seguono, preferiscono e recensiscono, quante belle parole!
Appena riesco mi metto in pari e rispondo a tutte!
Un bacio, a presto!
E.

 

 

 

  
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