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Autore: Persej Combe    14/06/2014    2 recensioni
Un giorno, tanto tempo fa, ho incontrato un bambino. Non lo dimenticherò mai. È stato il giorno più emozionante di tutta la mia vita. Nessuno potrà mai avere la stessa esperienza che ho avuto con lui. Ciò che abbiamo visto, è precluso soltanto a noi.
...In realtà, non ricordo neanche il suo nome. Non ricordo nemmeno se ci siamo presentati, a dire il vero. Però non smetterò mai di cercarlo. Un giorno so che le nostre mani si uniranno di nuovo, come quella volta. Perché noi siamo destinati a risplendere insieme per l’eternità.

[Perfectworldshipping]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan, Serena
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eterna ricerca'
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7 .  Ascesa alla Torre Maestra
III


 

 Un raggio di luce sfolgorante si diramò dall’anello. Alexia dovette coprirsi gli occhi con le mani per non rimanere accecata. Si alzò un forte vento che formò un turbine di sabbia di fronte al Pokémon, celandone le sembianze fin quando non si fu evoluto del tutto. Il mare era in tempesta. Platan non aveva mai immaginato che la Megaevoluzione fosse capace di sprigionare un potere così grande. Sentì il sangue ribollirgli nelle vene e il desiderio di combattere con il suo Pokémon farsi sempre più pressante.


   «Un giorno, tanto tempo fa, ho incontrato un bambino. Non lo dimenticherò mai. È stato il giorno più emozionante di tutta la mia vita. Nessuno potrà mai avere la stessa esperienza che ho avuto con lui. Ciò che abbiamo visto, è precluso soltanto a noi.
   «...In realtà, non ricordo neanche il suo nome. Non ricordo nemmeno se ci siamo presentati, a dire il vero. Però non smetterò mai di cercarlo. Un giorno so che le nostre mani si uniranno di nuovo, come quella volta. Perché noi siamo destinati a risplendere insieme per l’eternità», diceva il ragazzino accarezzando la testa del suo piccolo Gible. Il Pokémon alzò il muso verso di lui. Ogni volta che era demoralizzato o assorto in qualche pensiero, tirava fuori quella storia per farsi un po’ di coraggio.
   «Io non so che cosa sia la morte. Eppure, in qualche modo, sento come di averla già vissuta», continuò. Si avvicinò alla finestra e rimase a scrutare il cielo. La luna brillava, chiara e pallida.


   La luna brillava, chiara e pallida, e illuminava con la sua luce la spiaggia silenziosa.
   «MegaLucario, usa Crescipugno!» esclamò il misterioso Allenatore. Il Pokémon ubbidì subito ai suoi ordini. Le sue zampe s’incendiarono di un rosso che si faceva sempre più acceso mentre correva velocemente contro il suo avversario. MegaGarchomp si spostò prima che potesse essere colpito, alzando un’alta parete di sabbia.
   «Vai con Dragartigli!».
   Si udì un sonoro stridio di lame. Il frastuono dei due Pokémon che lottavano fra di loro rimbombava per tutta la costa, rompendo bruscamente il silenzio che aveva regnato fino a pochi istanti prima.
   «Però, devo dire che non te la cavi male!» disse l’uomo, ancora nascosto nell’ombra.
   «Mi impegnerò al massimo per raggiungere il mio obiettivo! Riuscirò a entrare nella Torre Maestra!».
 

   «Diventerò un grande Professore di Pokémon! Mi impegnerò al massimo per raggiungere il mio obiettivo!» esclamò il ragazzo, sistemandosi gli occhiali rotondi sul naso.
   «Gible!» ruggì il Pokémon, emozionato quanto il suo padroncino.
   Si voltarono e diedero un’occhiata all’entrata della foresta. Non si riusciva a intravedere nulla al suo interno. Sembrava così buio. Si percepiva una strana e inquietante calma provenire da lì dentro. Gible si accostò alle gambe del giovane, un po’ impaurito.
   «Andiamo, Gible, non avere paura!» lo incitò «Pensa quanti Pokémon potrebbero esserci là! Voglio vederli e studiarli tutti! E poi potresti incontrare dei nuovi amici, no?».
   «Gib... Gible...».
   «Uff, ho capito...» sbuffò. Si chinò e lo prese in braccio, stringendolo a sé mentre entravano nella foresta. Il vento faceva frusciare le foglie con un suono sinistro. Gible era tremendamente spaventato. Il ragazzo lo sentiva tremare fra le sue braccia. Ad un tratto il Pokémon si dimenò e saltò a terra.
   «Gible!! Gible!!» esclamò.
   «Certo che sei proprio un pauroso, tu, eh?» disse, mettendosi i pugni sui fianchi e rivolgendogli un’occhiata seccata. Sospirò. A quanto pareva non c’era modo di tranquillizzarlo. Improvvisamente si sentì qualcosa strisciare fra l’erba. Gible sobbalzò per lo spavento, stringendosi nuovamente alle gambe del ragazzo. Lui stava con lo sguardo fisso su quel punto dell’erba da cui proveniva il suono. Si avvicinava sempre di più.
   «Bulbasaur!» ruggì con aria amichevole un Bulbasaur, sbucando da quel prato.
   «Ehi, ma è un Bulbasaur! Visto, Gible? Non c’era nulla di cui aver paura!» fece l’occhiolino al suo Pokémon e si avvicinò al nuovo arrivato «Ciao, piccolino, come stai?».
   «Bulba!» esclamò con un sorriso. Gible si avvicinò timidamente a lui e lo osservò.
   «Gible...?».
   «Bulba, bulbasaur!».
   «Gible, gible-gi!».
   Cominciarono a saltellare intorno al ragazzo. Sembrava che si fossero subito presi in simpatia! Il giovane sorrise e disse: «Gible, io vado avanti. Se non vuoi andare oltre, puoi rimanere qui a giocare con Bulbasaur».
   «Gib!» scosse la testa in segno negativo «Gib, gible!».
   «Coraggio, non perderti d’animo! Tornerò presto, te lo prometto!».


   «Coraggio, Professor Platan, non si perda d’animo! Faccio il tifo per lei!» urlò Alexia.
   MegaGarchomp era allo stremo delle forze. MegaLucario, invece, nonostante ne avesse prese abbastanza anche lui, sembrava molto più fresco. Scoprì i denti minacciosamente, mettendosi in posizione d’attacco. Era il suo turno.
   «Non hai ancora rinunciato?» chiese l’uomo «Guarda, il tuo Garchomp è praticamente esausto. Credi forse di riuscire a farlo combattere ancora? Resisterà?».
   «Garchomp...» sibilò il Pokémon, innervosito. Certo che avrebbe resistito. Avrebbero resistito assieme. Eppure Platan iniziava a ricredersi. Osservava il suo Pokémon e lo vedeva ansimare, affaticato dalla lotta.  Lucario era ancora pieno di energie, competitivo al massimo. No. Sapeva che Garchomp non sarebbe stato in grado di reggere un suo ulteriore attacco. Non poteva chiedergli di fare l’immane sacrificio di sopportare ancora. Andava ben oltre i suoi limiti, di questo ne era consapevole. Non era mai stato in grado di sfruttare le sue potenzialità in modo giusto. Dopotutto era un Professore, non un Allenatore. Si guardò attorno, cercando di trovare qualcosa che potesse far scendere la calma sui suoi pensieri. La luna si rifletteva sull’acqua formando tanti nastri d’argento.


   Il sole si rifletteva sull’acqua formando tanti nastri d’oro. In mezzo alla foresta, il ragazzo aveva trovato un fiumicello. Rimase a guardarne il fondo per almeno mezz’ora. Non c’erano Pokémon in quel torrente. Non c’erano Pokémon in quella foresta. Ma allora da dove era venuto quel Bulbasaur? Si era forse perso ed era entrato nel bosco giungendo da qualche percorso lì vicino? Più il giovane camminava, più il sentiero si riempiva di alberi e piante. Si smarrì più volte, non riuscendo più a ritrovare la strada. Decise che era il momento di tornare indietro, altrimenti avrebbe rischiato di perdersi veramente. Tuttavia, mentre stava per fare dietrofront, venne incuriosito da una strana luce che si era posata sul suo viso. Si girò nella direzione verso cui proveniva. Scansò una manciata di arbusti per vedere di che cosa si trattasse. Sgranò gli occhi. In basso, al centro di un burrone, sopra un’alta montagna di roccia, stava il più incredibile albero che avesse mai visto. Da esso si diramavano tutte le radici degli alberi che popolavano quel bosco e poi prati verdi, fiori rigogliosi e dai colori sgargianti. Al centro dei suoi rami vi era un punto luminoso. Il ragazzo si avvicinò, affascinato sempre di più. E mentre muoveva i suoi passi sentiva come una strana sensazione. Una sensazione provata in un tempo molto lontano. “Sono già stato qui...?” si chiese. Si fermò sul ciglio del precipizio. Era profondo. Profondissimo. Non riusciva a vedere dove finisse.
   Che in realtà non avesse fine? ...Era possibile una cosa del genere?
   Sentì il terreno sotto ai suoi piedi farsi improvvisamente instabile. Gridò. Mentre cadeva nel vuoto riuscì fortuitamente ad aggrapparsi con le mani ad una delle radici che provenivano da quell’albero. Guardò in basso. No, non c’era una fine. Se avesse mollato la presa sarebbe stato condannato a cadere in eterno. E se invece ci fosse stato un ipotetico fondo, sarebbe morto schiacciato dopo lunghi attimi in cui avrebbe rivisto tutta la sua vita scorrere davanti ai suoi occhi. Ripensò a quel giorno, tanto tempo fa. Quella volta era sopravvissuto alla morte grazie a quel bambino. Quel bambino. Si era promesso che prima o poi lo avrebbe ritrovato. Non poteva darsi per vinto, non prima di averlo incontrato di nuovo. Cercò di raggiungere il bordo di terreno scalando le grosse radici. Tuttavia spesso scivolava e ritornava al punto di partenza. Dopo un po’ sentì quella radice cominciare a perdere robustezza. Stava rischiando di cadere di nuovo. Gridò ancora, sperando che qualcuno lo sentisse e lo venisse a salvare. Ma chi, chi poteva sentirlo? Quel bosco era vuoto.
   Ad un tratto udì dei passi accorrere nella sua direzione.
   «Gible!!!» strepitò il Pokémon vedendolo in pericolo.
   «Bulbasaur!!!» esclamò l’altro.
   I due si scambiarono un’occhiata d’intesa. Bulbasaur allungò i suoi lacci d’erba e Gible ci si legò il corpo. Poi saltò nel burrone fino ad arrivare all’altezza del ragazzo.
   «Gib!» disse, tendendogli le sue zampe.
   «Oh, Gible!» allungò una mano e gliene afferrò una. Poi l’altra. Bulbasaur intanto faceva il possibile per sorreggere il peso di entrambi, nonostante fossero molto più pesanti di lui. Nel momento in cui temeva di non farcela più, un bagliore di luce si diffuse nella foresta. E finalmente erano tutti e tre sani e salvi.


   «Gabite, per favore, aspetta!» il giovane correva dietro al proprio Pokémon, cercando di raggiungerlo. Luminopoli era così grande, non si ricordava nemmeno che ci fossero tutte quelle strade. Si fermò e si appoggiò a un muro con una mano per riprendere fiato. Alzò la testa. Si lasciò scappare uno sbuffo esaurito. Ormai non lo sarebbe più riuscito a raggiungere, era arrivato troppo lontano.
   «Pazienza, dai... Prima o poi si deciderà a tornare indietro... Spero... E pensare che una volta era un Pokémon così pauroso, invece adesso non si fa fermare da niente...» disse. Fece per andarsene, ma un’occhiata al locale lì vicino lo fece fermare. Si avvicinò al vetro della finestra e guardò dentro. Ciò che vide gli fece sussultare il cuore e provare un immenso calore nel petto. Come quel giorno, tanto tempo fa.  Un ragazzo con i capelli rossi stava seduto a un tavolo in fondo alla caffetteria e stava compilando dei fogli. Sentì le lacrime scivolargli dagli occhi.
   «Ti ho... Ti ho ritrovato...».


   «Usa Forzasfera!».
   MegaLucario raccolse le ultime energie che gli erano rimaste. Fra le sue zampe si formò una sfera azzurra. Sul campo di battaglia si alzò un vento ancora più forte di quello che si era creato all’inizio della lotta. Lanciò il suo attacco, ma qualcosa gli fece perdere l’equilibrio e la sfera di energia cambiò traiettoria. Alexia si lasciò scappare un grido spaventato: «Professore, stia attento!!! Si sposti!!!».
   Il Professor Platan si era perso nei ritagli del passato. Sentendo la sua voce tornò immediatamente al presente, ma fu troppo tardi. Venne colpito con forza. Sentì un forte dolore su tutto il corpo e perse conoscenza. Il suo ultimo pensiero prima di chiudere gli occhi fu: “Eppure, l’unica cosa che non riesco a ricordare è... Che cosa ho visto veramente quel giorno, tanto tempo fa...?”.


   Due occhi azzurri e limpidi.
   Era forse un cervo? Una creatura celestiale?
   Un arcobaleno di luce gli sfiorò il viso, e subito tornò il buio.


   «Elisio, ti chiedo ancora scusa, non avevo intenzione di far tardi. Durante la lotta mi sono distratto un attimo e...».
   Elisio gli fece cenno di star tranquillo.
   «Platan, non devi scusarti. L’importante è che tu stia bene. Come ti senti adesso?».
   «Meglio. Però mi fa ancora un po’ male schiena... Oh, Elisio, non avrei mai immaginato che la Megaevoluzione fosse in grado di sprigionare una potenza così forte! L’ho provato sulla mia pelle, è incredibile!».
   «Tu riesci sempre a trovare il lato positivo di ogni cosa, non è vero?» rise.
   «Comunque», disse ancora, sdraiandosi a letto «vedi di non sforzarti troppo. Riposati, altrimenti domani mattina non riuscirai ad affrontare le prove che ti sottoporranno nella Torre Maestra».
   «Non preoccuparti, Elisio... Tanto non ce ne saranno...».
   Il rosso lo guardò sorpreso: «Come?».
   «Domani mattina alle nove salgo sul treno per Luminopoli. Torno a casa. Dovrebbe arrivare lì alla stazione verso le undici. Mi verrai a prendere?».
   «Certo che ti verrò a prendere, ci mancherebbe altro, ma...» mentre parlava gli rivolgeva un’occhiata turbata. Platan abbassò la testa. Il suo sguardo era così intenso, distogliere gli occhi non gli era bastato per sfuggire a quel senso di dispiacere. Che poi in realtà non era neanche là con lui, eppure se lo sentiva addosso in una maniera impressionante.
   «...Hai deciso di rinunciare?» chiese Elisio.
   «Sì», rispose «Non credo di essere all’altezza di un potere così enorme».
   «Eppure stamattina eri così entusiasta... E’ un vero peccato».
   «Penso che sia meglio per ognuno rimanere al posto che ha. E io dietro a una scrivania sormontato da montagne di libri sto bene».
   Platan vide formarsi un’espressione crucciata sul suo viso. Si abbracciò al cuscino e sorrise all’ologramma dell’amico.
   «Non temere, i miei studi li continuerò, sans nul doute!» esclamò cercando di rincuorarlo «Ma lo farò nella veste del Professore, che è quella che mi si addice di più».
   «Certo».
   Elisio sorrise a sua volta e si tirò un pezzo di coperta addosso. Per qualche minuto rimasero in silenzio a guardarsi l’un l’altro.
   Eccolo, un altro di quei silenzi.
   Per la prima volta Platan si rese veramente conto di quanto fosse bello rimanere semplicemente così. Sia lui che l’altro si sentivano invasi da una grande tenerezza.
   «Elisio...?» disse Platan dopo un po’, portandosi il pollice sinistro alle labbra in un attimo di riflessione.
   «Mh?».
   «Secondo te noi due eravamo destinati a incontrarci?».
   Il ragazzo lo guardò perplesso.
   «Beh, ma chi può sapere quale sia il volere del destino?» rispose. Platan restò a pensare per qualche istante.
   «È vero, ma se pensi a quella volta di quel giorno, tanto tempo fa... Insomma, come è possibile che sia una coinciden... Elisio? Elisio, mi senti?».
   No, non lo sentiva più. Si era addormentato. Il Professore sorrise intenerito. Avvicinò l’Holovox a sé e diede un piccolo bacio all’ologramma.
   «Buonanotte», sussurrò.
 
   Quella notte dormirono insieme, lontani, ma allo stesso tempo vicini.



***
Angolo del francese.
    * Sans nul doute = Senza alcun dubbio

 

  
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