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Autore: Fanny Jumping Sparrow    14/06/2014    7 recensioni
Tutti quanti conosciamo l’eccentrico ed affascinante Capitan Jack Sparrow, ma poco o nulla sappiamo delle sue origini.
Chi erano i suoi genitori? Come si sono conosciuti? Quanto hanno inciso i loro caratteri e la loro storia d’amore sul famigerato pirata che ha conquistato i nostri cuori?
Con questa breve long-fic proverò a dare risposta a questi spinosi ed enigmatici interrogativi, usando molta fantasia, qualche dato certo e parecchie speculazioni personali.
Buona permanenza a chi vorrà imbarcarsi!
La terra arsa poteva conciliarsi con l’intemperanza del mare?
Poteva trattarsi di un sofferto addio, oppure del nodo definitivo di un cappio di fuoco che non si sarebbe spento nemmeno con la forza di mille maree future.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Capitan Edward Teague, Jack Sparrow
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Buona sera carissime lettrici :)
Finalmente, dopo mesi di attesa e indecisione, stasera posso avere l'orgoglio (?) di presentarvi il capitolo finale di questa breve long che ha rappresentato per me una bella prova dal punto di vista compositivo, dato che ho tentato di elevare il mio stile e i miei contenuti verso tematiche più adulte, e mi sono cimentata nel trattare dei personaggi che ho in buona parte ideato prendendo spunto da quelle poche informazioni e suggestioni che mi sono state fornite dai film della saga e da ricerche sul web.

Ho deciso di dare a questo epilogo dei toni agrodolci, non riuscendo a mantenermi sulla drammaticità pura quando tratto questa ambientazione, e di lasciare in alcuni passaggi delle frasi un po' enigmatiche, con la speranza di poter catturare la vostra fantasia e la vostra sensibiltà, e di non deludere le vostre aspettative.
Ringrazio sentitamente tutte le persone che hanno scelto di dedicare il loro tempo alla lettura di questa storia, recensendomi, consigliandomi e incoraggiandomi, e in particolare le sempre presenti Spanish_Sparrow, Milletta Sparrow, Proiezioni, gitana90, Harley Sparrow e Cap_Kela che mi ha fatto conoscere il suo parere.
Un mio saluto va ovviamente anche a tutti i lettori che mi hanno spronata mettendo la storia tra le loro preferite, seguite, ricordate o che hanno fatto lievitare le visualizzazioni e i "mi piace".

Molte cose sono successe da quanto ho cominciato Noose, che è stata, come ripeto, una scommessa e un'ulteriore tentativo di esplorare la personalità del nostro amato Capitano, e penso che non mi imbarcherò a breve in un altro progetto di long-fic in questa sezione, perché vorrei dare priorità ad altre storie lasciate ingiustamente in sospeso.

Grazie a chi ha avuto la pazienza di aspettare e leggere fin qui, ora vi lascio alla lettura, impaziente di conoscere il vostro parere.

Al prossimo approdo!)





VII – EVERLASTING BOUND



Un intenso effluvio di eucalipto, menta piperita, rosmarino e pepe nero si era diffuso condensandosi sulle pareti di faggio del cucinino e pungendole le narici. Munendosi di una presina, tolse la teiera dal fornelletto e, soffiando poi sulla fiammella, versò parte del liquido fumante in una tazza, rischiando per poco di bruciarsi con gli schizzi.
Non aveva mai imparato a governare una casa.
Gli aromi dolciastri e speziati del suffumigio avevano saturato il piccolo ambiente, perciò schiuse le persiane permettendo alla frizzante aria mattutina di rinfrescare l’interno, e rimase a rimirare il sonnolento borgo marinaro che stava ravvivandosi dall’ennesima nottata di baldoria, testimoniata dal fumo persistente dei falò, delle torce e delle polveri.
Una leggera cappa di nebbia avvolgeva i tetti irregolari delle abitazioni circostanti, volteggiando sul cinereo specchio d’acqua lagunare punteggiato da una silenziosa selva di alberi spogli che ondeggiavano lievemente nelle luci soffuse dell’aurora.
Sotto quell’aspetto grezzo e anonimo quell’isola le aveva sempre ricordato il povero villaggio di pescatori da cui proveniva, e solo questa somiglianza, molto probabilmente, le aveva consentito bene o male di adattarvisi, pur detestandolo.
Il vapore rigenerante di quella tisana era poco più di un palliativo per i suoi acciacchi, oramai lo sapeva, eppure iniziando a berla la congestione che le occludeva il petto sembrò sciogliersi del tutto, riscaldandole le articolazioni intorpidite dal cattivo riposare.

Almeno lui sarebbe stato veramente libero, ora che aveva tagliato la corda.

Aveva lottato col cuscino per ore, riuscendo a prendere sonno soltanto a notte alta. E lo aveva sentito introdursi di soppiatto nel perimetro inviolabile della loro camera.
Il suo era stato un commiato degno di un ladro.
Anche ad occhi chiusi lei ne aveva percepito ogni movimento calcolato, i pensieri contrastanti, le genuine speranze e i grandiosi sogni che gli facevano tamburellare il giovane cuore, troppo esuberanti per resistere alla tentazione di eludere da quel gramo isolamento.
Era evaso da lì per andare a conquistarsi la sua fetta di mondo, per assaggiare l’avventura.
E non si sarebbe più fermato. Non era più suo.
Dopotutto lo aveva partorito tra mille paure con l’unico auspicio che avesse un’esistenza piena di scopi, da ricordare. Non c’erano state altre vere ragionevoli motivazioni per intestardirsi nel portare avanti quella gravidanza imprevista, in quelle condizioni così disagevoli e inadatte allo sbocciare di una nuova vita. Lo aveva protetto nel suo grembo contro il parere di molti e la carenza di appoggio del suo stesso compagno, ci aveva riversato tutta se stessa e non era stata capace di fare altrettanto successivamente.
Per essere grande avrebbe dovuto anche essere solo, c’era già abbastanza concorrenza in giro.
E lei sognava che il suo nome fosse sulla bocca di tutti.
Forse con le sue speculazioni lo aveva pungolato anche un po’ troppo su quell’ultima questione, sospirò sconsolata, volgendo una smorfia dimessa al blocco di fogli scompaginati che giaceva sulla tavola e gettando un’occhiata atterrita alla mischia che stava aggregandosi per le strade vicine.
Sporgendosi oltre la ringhiera tra la ressa poté discernere delle sagome familiari che blateravano con allarmismo accuse contro un irreparabile atto vandalico, riscuotendo tutto il vicinato e richiamando con loro le poche bande intente a protrarre i bagordi notturni.
Ruth, intuendo che stavano puntando alla porta della loro abitazione, rientrò prima che qualcuno potesse scorgerla affacciata e accostò velocemente le tapparelle. Quindi riempì di nuovo la tazza con la restante infusione di erbe officinali, sedendosi comodamente e attendendo che si intiepidisse, nell’inevitabile attesa che quei labili momenti di quiete casalinga venissero infranti da un’eclatante invasione.
- Per le corna marce di Belzebù!
Con falcate scomposte, visibilmente frastornato da quella brusca sveglia, Edward attraversò la stanza in penombra in cui si era sistemata lei, spalancando le imposte del terrazzino e facendo filtrare la luce crescente del sole all’interno.
- Porco Diavolo! Tutta la Baia è in subbuglio! – strizzò gli occhi scuri mentre, ancora mezzo svestito e assonnato, armeggiava con gli alamari della giacca, osservando impietrito lo sciamare forsennato di gente per le vie sottostanti.
- Che accidenti succede? – esclamò insospettito, scostandosi dalla finestra e cercando risposta nella mattiniera moglie che, impeccabile nella sua vestaglietta di mussolina e con i suoi capelli ben lisci e pettinati, continuava assorta a bere a piccoli sorsi il suo decotto medicinale, senza scomporsi per il putiferio che era giunto a far tremare perfino il ciottolato e le scale adiacenti, come vi fosse una mandria di cavalli selvaggi lanciati al galoppo.
- Quel tignoso menagramo ha sgraffignato il Codice, ecco cosa succede! – comparve di soprassalto a svelare l’arcano un’angariata Grace Sparrow – Hanno riferito al Patriarca di averlo visto sgattaiolare dalla Grande Camera del Consiglio! – proseguì sciorinando il bastone, seguita a ruota dalla ruggente sorellastra Quick Draw e dalla zoppicante cugina Mabeltrude.
Le tre furie, come le avevano in confidenza ironicamente ribattezzate Edward e Ruth, dopo essersi abbattute su di loro accusandoli di non prestare la dovuta sorveglianza alle marachelle dello scapestrato pargolo, incominciarono a riferire ciascuna la propria versione del disdicevole fattaccio, così come l’avevano appresa da più voci e testimoni che dicevano di averne riconosciuto l’artefice.
Capitan Teague non provava neppure più ad ascoltarle, impensierito dall’arroventarsi del pandemonio per le strade della città, che quell’oggi stava destandosi con quella sconcertante notizia.
Da che vi si era stabilito quasi in pianta stabile, trascorrendovi qualche lasso di tempo in più nel periodo degli uragani, il Consiglio di Pirati nobili aveva deciso di omaggiarlo della funzione di Custode del Codice poiché, oltre ad aver dato prova di essere un pirata di parola nel corso delle sue scorribande per i sette mari, durante il suo soggiorno era stato capace di sedare le varie rivolte che scoppiavano di frequente in quel formicaio di banditi d’ogni razza.
Da lì a qualche giorno avrebbe dovuto imbarcarsi alla volta di altri continenti per procurarsi quante più informazioni attinenti usanze, credenze e norme adottate dai bucanieri del globo e raccoglierle così in un unico testo che sarebbe stato la summa della loro identità. Perché in quegli anni le flottiglie di disertori, nomadi e reietti si erano talmente moltiplicate da potersi considerare anche loro una sorta di Stato, le cui leggi dovevano essere precise e incontestabili. L’anarchia altrimenti li avrebbe condotti ad un rapido declino, o peggio allo sterminio.
Edward Teague aveva giurato di proteggere quel manoscritto e impegnarsi solennemente affinché ne fossero rispettate le basilari regole di convivenza, al costo di attirarsi le invidie e le vendette di altre fazioni della loro comunità.
Si era premunito a qualsiasi tranello, ma che fosse stato proprio Jack a tradirlo e coprirlo di disonore costituiva un affronto incomparabile. Il mozzo, tanto ingenuo e imbranato quanto volenteroso e intraprendente, che aveva svezzato e istruito a bordo della stessa nave in cui era nato quel legame imprevisto di cui lui era stato la lampante conseguenza, era riuscito a spillargli uno strano attaccamento. Il suo voltafaccia lo aveva colpito tra capo e collo, una spada nel costato che affondava e rigirava in quello stesso affetto che si era difficilmente formato, stemperando l’antipatia iniziale e la diffidenza con cui l’aveva trattato.
Ruth si avvicinò a lui, raschiandosi la gola e porgendogli una filza di pergamene ingiallite riempite da una fittissima scrittura:
- Veramente Jack non ha rubato quel libro, lo aveva solamente preso in prestito …
La vista dell’antico manufatto parzialmente integro fece traboccare in scurrili esternazioni di ringraziamento le altre Sparrow che se lo passarono di mano in mano sbaciucchiandolo e benedicendolo per poi riaffidarlo al suo Custode.
Il moccioso con quel finto furto aveva provocato un guazzabuglio perché tutti parlassero di lui, si disse Capitan Teague, però, il dispetto in lui permase poiché, sfregandosi il pizzetto, notò che a un dito mancava qualcosa che non avrebbe dovuto mancargli. Uno dei suoi anelli e non uno qualunque: - Il moscerino si diverte a disobbedirmi. Dove si è nascosto? È ora che capisca chi comanda e che deve portarmi rispetto! – decretò vivamente, non sapendo se la stizza che gli arruffava il respiro fosse causata più dal fastidio che il figlio si fosse burlato di lui o che per derubarlo di quel ninnolo magico avesse osato intrufolarsi nella loro stanza da letto, violando la loro intimità senza che lo scoprisse.
- È scappato, temo. – confutò Ruth, travisando con trascuratezza dell’idromele da una caraffa.
A Edward bastò sondare la sua espressione elusiva per supporre che fosse stata in combutta col fuggiasco quindicenne. Lo adorava al di sopra di qualsiasi altra cosa.
Si spostò al suo fianco, afferrandole un gracile polso: - Come? – annaspò inclinandosi verso di lei, scandendo il sospetto con un tono accusante. La moglie non abbassò neppure le palpebre, mentre portava il bicchiere alle labbra e sorseggiava in tutta calma il liquido ambrato, sostenendo il suo sguardo scrutatore.
- Avrà grattato una bagnarola giù al cantiere navale! – si impicciò tra di loro Quick Draw, gettando uno strillo sguaiato alla comparsa della sua indisciplinata prole che la attorniò con girotondi e petulanti richieste.
Per Teague la casa era divenuta sin troppo affollata. Domandò alla zia Quick di andare al porto e avvisare i suoi uomini di tenersi pronti ad armare la Dama di Nebbia, per levarsela di torno, quindi si diresse spedito e infuriato in camera sua.
Ruth gli corse davanti, allungando un braccio verso il suo: - Che intendi fare?
Capitan Teague irrigidì le spalle, indossando il bicorno e la cinta con le armi: - Non può essersi spinto troppo lontano. Lo troverò e lo riporterò qui – assentì con controllata ripicca, benché le sue pupille dilatate promettessero poco di buono nei confronti dello spudorato ragazzo.
- Ed io sarò lieta di dargli il bentornato. – lo assecondò la Capitana Sparrow, scrocchiando le dita con un sogghigno ammiccante, e uscendo trascinò con sé per la collottola la lentigginosa nipote più piccola.
Ruth scorse il marito oscurarsi ed estraniarsi farfugliando frasi smozzicate, ciondolando la testa e tastandosi le tasche in cerca di qualche avana da accendere per quietare i nervi sotto pressione e macchinare sul da farsi. Per un difetto di vanità aveva voluto pensare che si fosse trasferito per starle accanto, ma l’ansia sfibrante di esplorare gli angoli più remoti e sconosciuti del pianeta, di scorazzare, scoprire, superare i propri limiti, inseguire qualcuno, non l’avrebbe mai sconfessata.
La ricerca dell’adolescente fuggitivo era una scusa come un’altra per levare l'ancora di nuovo e non soltanto per riabilitare la sua reputazione.
E lei intanto sarebbe rimasta sola con quell’antagonista invisibile, sopito ma mai debellato, che poco a poco la stava distruggendo. Avvertì un capogiro e poggiò il gomito alla parete: - Edward! Non essere troppo severo con Jack. Cerca solo la tua approvazione – lo supplicò, raccapricciata dalla competizione che si era palesata tra lui e Jack che, a suo giudizio, non aveva fatto altro che onorare la tradizione di quella congrega scombiccherata di avventurieri.
L’uomo rispose con una rauca sbuffata: - Allora ha sbagliato tutto, mia cara – mormorò avvicinandola a sé e sfiorandole appena la fronte con i baffi – Prega che si perda, si confonda e torni indietro a cercar riparo tra le tue gonnelle – si accomiatò con un sorriso mordace, camminando a grandi passi verso l’uscita.
- Certo che non lo conosci – gli rinfacciò lei, delusa e amareggiata – Tuo figlio non lo farà mai.
Edward si voltò per un attimo a fissarla senza riuscire a controbattere. Fu come se la sincerità e la sicurezza disarmante delle sue parole gli avessero spento una cicca sulla lingua.
Il ragazzino aveva visto troppo per poter dimenticare quel che c’era oltre quei faraglioni, e non abbastanza da potersi accontentare di rimanere in quell’esilio dorato che pareva una punizione.
In cima a quelle scale da cui lo salutò con un pizzico di freddezza, la sua Ruth sembrava perfino più alta e forte di quanto non fosse. E forse anche lui stava scappando, da lei e dal terzo incomodo che si era messo tra loro, sperando di allontanare dalla mente quel tarlo.

Così anche in quella circostanza, volente o nolente, era stato via per settimane che si erano trasformate in svariati mesi. Dopo molto navigare per le pullulanti acque dei Caraibi, aveva rintracciato il ribelle Jack ma nessuno scoraggiante discorso era valso per riportarlo indietro. Anzi, a causa della sua infallibile predisposizione a cacciarsi nei pasticci, avevano pure rischiato un’impiccagione in grande pompa, niente meno che su una nave di sua maestà britannica. Si erano divertiti insieme a frodare la legge, e quello era un genere di divertimento che, lui stesso ne era conscio, non soddisfaceva mai abbastanza.
Non l’avrebbe ammesso con nessuno: quello smilzo ragazzino aveva stoffa, probabilmente non quella di un futuro capitano ma sufficiente a destreggiarsi con successo tra gente di malaffare. Era irresponsabile, maldestro, completamente matto, determinato più che mai a perpetrare e sovvertire quei pirateschi insegnamenti che non gli erano stati infusi da lui direttamente, ma erano comunque nel suo sangue. Era il suo ragazzo. Neppure il Demonio in persona sarebbe riuscito a farlo desistere da quella rotta perigliosa in cui si era gettato a capofitto.
Aveva capito che la sua sorte non era più affar suo. Gli aveva donato in pegno il suo anello e lo aveva lasciato ai suoi guai, piuttosto rincuorato, perché dopotutto non si era sforzato chissà quanto a crescerlo, eppure sembrava che, come ogni buon malacarne, stesse ingranando piuttosto alla svelta.

La tempestosa notte di fine anno in cui una scarica di fulmini aveva illuminato lo scafo della Dama di Nebbia al suo ritorno nella baia dell’Isola dei Relitti, Capitan Teague davanti ad un paio di generosi boccali di ponce raccontò alla moglie il suo ultimo tribolato viaggio, tralasciando i dettagli riguardanti le vicissitudini dello screanzato figlio che più l’avrebbero spaventata.
Erano stati presenti anche gli altri invadenti parenti, che non perdevano occasione per ficcanasare e spesso lo interrompevano, rendendo frammentario il suo racconto, ma i begli occhi a mandorla di Ruth, che lui spesso sbirciava, non mostravano particolare attenzione o emozione nell’ascoltarlo.
Si era accomodato sulla fragile ed egoistica illusione che ogni volta in cui si sarebbe allontanato l’avrebbe ritrovata sempre lì dove l’aveva lasciata, disposta ad aspettarlo e a coccolarlo. Era sempre stata di indole radiosa, ora invece, quando tra una spedizione e l’altra ritornava da lei, la sua gioia di rivederlo era quasi impalpabile.
Non c’era più nulla che la trattenesse lì da che Jack se n’era andato per i fatti suoi. Edward si angustiava nello scoprire in lei nuove rughe che non aveva veduto formarsi.
Non avrebbe mai saputo tutto sul suo conto.
Pensò che forse la causa di quell’insofferenza fosse da attribuire alla nostalgia del suo luogo natio, quello di cui lui era ancora formalmente Pirata Nobile e sul quale deteneva perciò un diritto di sovranità rispetto ad altri capitani. Gli parve opportuno, perciò, ritornare ad occupare il suo posto.


A Libertalia gestivano una considerevole rete di scambi, abitavano in una piccola reggia, ricevevano rappresentanze, erano ricchi, serviti e riveriti da tutta l’eterogenea popolazione di indiani, arabi, tedeschi, francesi, inglesi, cinesi, africani che vi si erano trapiantati e che commerciavano con la loro famiglia, pagando loro tratte e diritti di importazione.
Da pirati perseguitati si erano trasformati in uomini d’affari ricercati.
La sua fascia di braccialetti produceva una ritmata melodia, accompagnando il movimento monotono dei suoi polsi mentre rammendava una lacera bandiera, tuttavia quel cambio di residenza o il vivere tra fasti principeschi non aveva rattoppato lo strappo che si era aperto tra di loro.
Ruth attinse un’altra gugliata di filo.
Suo marito discuteva con uno scaltro trafficante d’oppio persiano che tentava invano di truffarlo.
Fingeva di ignorarla, pur avendola seduta di fronte.
Quell’affinità che c’era stata tra loro era stata qualcosa di immediato, naturale, istintivo. Le era sempre bastato guardarlo e toccarlo per capirlo, prima che lui iniziasse sistematicamente a schivarla.
Non si stupiva se il suo stato di perenne convalescente ormai lo ripugnasse. Vivere accanto ad una tisica era come avere al fianco una salma ambulante. Era ancora giovane d’altronde, sebbene profondamente segnato da anni vissuti intensamente, sotto il sole, a contatto col sale e in mezzo a tante battaglie che l’avevano marchiato nella carne e nell’animo.
Avrebbe avuto tutte le ragioni per preferire alla sua straziante macilenza le membra floride di altre donne, che non smettevano di ronzargli attorno, dato il fascino che tuttora sprizzava e che continuava a rapire indecentemente anche lei.
Quel nodo non si era completamente spezzato, ma sentiva che si stava sciogliendo.

Teague ordinò ad un domestico di accompagnare il faccendiere alla soglia, e si rimise a studiare alcune lettere patenti che la moglie aveva falsificato con maestria.
In tutti quegli anni era stato ostinato nel tenersela accanto, e Ruth indubbiamente gli era stata più vicina di chiunque altro, ma l’aveva comunque messa in secondo piano, rifletté sbirciandola.
Non ricordava nemmeno se i molteplici gioielli che indossava fossero stati tutti suoi regali.
Magari qualcun altro le aveva sorriso e l’aveva corteggiata con quel genere di carnierie, mentre lui era diventato solo capace ad ammorbarla con le sue paturnie. Se lo sarebbe meritato che lo tradisse, era così amabile, dolce e comprensiva. Ed era ancora una donna estremamente attraente. Non passava di sicuro inosservata, ne aveva avuto dimostrazione con l’ospite appena congedato, che durante la conversazione le aveva concesso più di un’occhiata interessata.
Conservava quella fisionomia virginea che disorientava e tentava, sebbene negli ultimi tempi fosse diventata eccessivamente filiforme. Non che fosse mai stata prosperosa, ma i suoi stessi vestiti adesso le nuotavano, malgrado li restringesse con fazzoletti e cinture che sottolineavano maggiormente il suo vitino di vespa.

- Io ti piaccio ancora?

L’interrompersi del ripetitivo tintinnio metallico lo fece riemergere da quel sordo e triturante rimuginare.
Sua moglie sembrava avergli letto nel pensiero. Le sue pietre sfolgoranti lo inchiodarono, cogliendolo impreparato, inibendolo. Non era mai stato bravo ad esprimersi. Sapeva arringare alla ciurma o ad altri suoi pari con straordinaria convinzione, ma se la questione riguardava i sentimenti, allora era proprio negato.
Dondolandosi come una bambina, Ruth trotterellò innocuamente verso di lui, facendo ballonzolare le perline, ma uno spasimo che ben conosceva oscurò quel frizzo, costringendola a tapparsi la bocca e a scomparire oltre una tenda con moderata urgenza.
Edward abbandonò le carte che stava esaminando e si mosse per pedinarla.
Ruth avvertì il tentennare dei suoi passi dietro di lei ma tardò a girarsi, per infondersi il coraggio di non crollare. Non avrebbe mai sopportato la sua commiserazione. Si impettì e fece spallucce: - Né il riposo né tutti quei beveroni sono riusciti a curarmi, a quanto pare … – bisbigliò sprezzante, nascondendo il bacile in cui aveva espettorato e coprendolo decorosamente con una tovaglietta.
Non aveva idea di quanto lo spazientisse quella sua indolenza camuffata da umorismo. Accorgersi che quel morbo, di cui nessuno dei due parlava mai, la stava comunque indebolendo era una tortura anche per lui.
La osservava tastarsi lo sterno infiammato restandosene muto e impalato, e Ruth sentiva venir meno le sue resistenze. Le pareva di svenire, doveva allontanarsi. Delle mani irruvidite si infilarono tra le sue trecce spettinate in una confidenziale carezza che la calmò.
Riaprì gli occhi ritrovando sulle labbra sottili di suo marito un sorriso complice e consenziente: - Non potrebbe farci male respirare un po’ d’oceano – propose il pirata, con un mugugno che solo lei poteva comprendere a pieno e che la convinse ad andare contro il suo inutile orgoglio.
Gli si appese al collo, chiedendogli in quel vibrante silenzio di portarla con sé, ovunque avrebbe deciso di andare.
Edward non capiva perché avesse sprecato sin da subito tutta quella fiducia in un soggetto inaffidabile come lui, però capì che ne aveva bisogno e che non voleva perderla.
La abbracciò e avvertì tutta la fragilità del suo fisico provato. Aveva rispettato e subito a lungo il suo dramma restandosene in disparte, al punto da averla codardamente trascurata, condannandola ad affrontarlo da sola.

Da qualche anno si era ritirato da arrembaggi e scorrerie, preferendo il più posato ruolo di mediatore, benché la recidiva tentazione di cannoneggiare qualche mercantile, prendersi qualche pugno o tirare qualche sciabolata, di tanto in tanto era alimentata dagli attacchi di un abietto negriero che aveva la superbia di farsi chiamare Re Samuel e di sfidarlo dentro la sua stessa dimora, costruendosi una fortezza a poche iarde dalla città con il chiaro intento di usurparlo.
Staccarsi per un po’ dalla terra lo allettava davvero. Avrebbero rincorso le correnti più calde, si sarebbero inoltrati nelle regioni meno visitate, o si sarebbero smarriti in quelle ricolme di umanità. Non servivano pepite, rubini, diamanti, smeraldi a renderli felici, piuttosto osservare il levarsi delle stelle dall’orizzonte più buio, immaginare quali ignoti scenari potessero estendersi oltre lo sguardo e sentirsi liberi. Sarebbe stato come tornare ragazzini.
E lo era stato, ma quell’illusione non era durata più di un paio di stagioni.
Quello spasmodico tossire che le straziava il petto non le aveva dato scampo neppure in mare aperto. Sembrava non esistesse alcuna panacea. Qualsiasi rimedio tradizionale si era rivelato inefficace. Ad ogni crisi d’aria pareva che l’anima volesse sfuggirle dal corpo e lui si sentiva come se un’enorme tenaglia lo stesse stritolando. Non voleva essere compatita o contraddetta, non avrebbe saputo in che altro modo aiutarla, se non impugnando il timone e affidandosi a delle soluzioni decisamente alternative.
Con lei aveva iniziato a credere anche in quelle che in passato aveva considerato bazzecole.
Capitan Teague aveva viaggiato per molti paesi, solcato tutti i mari sulle mappe, compresi quelli in cui pochi arrischiavano avventurarsi, e nel corso del suo viaggiare era incappato in alcune leggende marinaresche riguardo dei luoghi introvabili che custodivano l’elisir della guarigione e della vita eterna.
L’immortalità era un concetto da cui curiosamente non era stato ossessionato. A differenza di altri uomini, riteneva che non ci fosse molta audacia nell’inseguirla, all’opposto chi la desiderava, secondo lui, cercava un presupposto per crogiolarsi nel presente, rimandando ad un ipotetico domani quel che avrebbe potuto compiere oggi. Una prospettiva che non combaciava con la sua indole protratta a vivere al massimo delle possibilità e a non tralasciare faccende in sospeso.
Il problema era che tutte quelle ammirevoli premesse e convinzioni erano fallite miseramente da che si era innamorato di Ruth.
Lei lo aveva salvato da se stesso, dall’uomo arido e insensibile che stava diventando, portando una sublime ventata di grazia nei suoi giorni dominati da solitudine e incertezza, facendolo sentire meno brutto e sperduto.
Non avrebbe rinunciato a lei, avrebbe impiegato tutti i suoi sforzi per ripagare quel debito.
Aveva ormai dilapidato gran parte delle sue fortune pur di ottenere le informazioni che gli occorrevano, ma le ricerche, per quanto meticolose e approfondite, si erano rivelate deludenti.
Shangri-La, Abkhazia, Atlantide, Eldorado, la Pietra Filosofale, verosimilmente erano soltanto dei miti, tanto seducenti quanto inesistenti.
Restava infine quell’ultimo luogo da esplorare. L’ultimo abbaglio, forse.
La fitta vegetazione tropicale di quell’isola disabitata ne rendeva appena intuibile la carcassa di legno adagiatasi sulla sommità di quel promontorio roccioso, eppure, al di là delle verdi alture sovrastanti quella spiaggia di un bianco accecante, due secoli prima era naufragato un vascello famoso, pieno zeppo di ricchezze. La Santiago.
Edward Teague era deciso a penetrare in quel relitto putrefatto dal tempo rimasto a picco su una scogliera e rubare il tesoro più inestimabile che si nascondeva nella sua stiva.
Scelse due accompagnatori tra i marinai più robusti, e si accinse a scalare quel percorso impervio, cercando il tragitto più breve, con la speranza, priva di fondamento, che nulla le sarebbe accaduto finché lui si trovava altrove.

Rinvenne accorgendosi che erano arrivati a destinazione e che nessuno si era premurato di informarla.
La mulatta, che per volere di Edward avevano preso a bordo affinché provvedesse ai suoi bisogni, era sparita e non si udivano né il chiacchiericcio né gli strepiti usuali di una ciurma sbarcata sulla terraferma dopo frenetico errare.
Ruth si domandò se non l’avessero già creduta trapassata.
In effetti era raro che quell’affanno le desse tregua. Si alzò con poca fatica e camminò adagio verso la vetrata, percependosi eccezionalmente leggera, nessun muscolo atrofizzato o sapore di fiele nel palato.
Uno splendido tramonto stava tinteggiando cielo e mare di amaranto. Le parve il paesaggio più commovente che avesse mai ammirato. Per un istante la vista si appannò e fu costretta a stropicciare le ciglia.
La porta si sbarrò di colpo: - Glieli ho fottuti, Ruthie!
Il Capitano entrando si buttò direttamente verso la branda, tentennando come davanti ad un’allucinazione nel trovarla invece in piedi, dopo più di due settimane di degenza.
Edward le rivolse un cipiglio comprensibilmente incredulo e sorpreso, oltre che stranito. Aveva sposato una fenice, non una semplice donna, sogghignò tra sé e sé andandole incontro.
- Guarda qui: sono i calici di Cartagena – asserì soddisfatto, mostrandole un modesto scrigno rettangolare da cui estrasse le due coppe d’argento – Erano ancora su quella luridissima caravella, proprio sotto il deretano di Ponce de Leon … o di quel che ne resta – strabuzzò gli occhi bistrati, ridacchiando e offrendoglieli.
Poi si abbassò ad afferrare una bottiglia dal pavimento, consumandone la scolatura: - Se anche gli altri calcoli sono esatti, la fonte dovrebbe essere vicina – proseguì ad esporre, inserendo delle puntine su un mappamondo e snocciolando altri complicati termini nautici.
Ruth soppesò e rimirò i due oggetti impolverati boccheggiando, più emozionata dalla spericolatezza e dall’altruismo della sua azione che dal tenere tra le mani due cimeli tanto ambiti dai cercatori di tesori.
Aveva imparato ad amare quel briccone con tutte le irregolarità del suo estroso temperamento, talvolta incoerente e balordo, ma innegabilmente generoso e leale.
La sua dedizione e la sua arroganza non l’avrebbero fermato dal compiere quel nefando rituale di cui le aveva parlato. Per lei avrebbe sotterrato degli innocenti. Non lo avrebbe tollerato.
Attribuì quell’improvviso senso di soffocamento all’insopportabile afa, nonostante quella fatidica vocina nell’orecchio le suggerisse che si stesse abbindolando con un’altra sciocca bugia.
Poggiò con un fermo rifiuto i calici su un barile e claudicò tranquillamente verso il tavolo, bussandogli sulla spalla per interromperlo dalle sue valutazioni: - Io non sto più male – trillò gioviale, però i polmoni bruciavano di nuovo, le pareti cominciarono a vorticare, le ginocchia a cedere, e lei sbatté il naso contro un aspro odore di tabacco, alcol, muschio e sabbia.
- La tua intuizione era giusta. Il vento ci è a favore. Salpando subito arriveremo entro domattina.– le sussurrò la cadenza profonda e arrochita di Edward, e Ruth, brontolando nel suo dialetto, gli si arrotolò contro, preferendo le sue braccia alle coperte che le stava rimboccando.
- Sto bene – minimizzò riacquistando i sensi, sebbene si sentisse reduce da una colossale sbronza.
Teague le annuì per nulla rassicurato, tentando di separarsi: se non avesse agito in fretta quella testa dura si sarebbe lasciata morire. Continuava a mentire, riusciva a sorridere lo stesso e non voleva essere lui a rovinare la sua fede smisurata. Purtroppo era evidente che la sua raggiante vitalità stesse esaurendosi, ma la sensazione rilassante delle sue iridi lucide e delle sue dita bollenti che accarezzavano i suoi graffi lo irretiva e non riusciva a muovere un ciglio o contraddirla.
- Sai capitano? Alla fine sono contenta di essermi incarnata in una splendida fanciulla in questo ciclo. E soprattutto di averti conosciuto – mormorò scherzosa, intrecciandogli la barba, i movimenti imprecisi e lenti.
Scottava e lui fu convinto che ormai delirasse sotto l’effetto della febbre alta. Nonostante si ritenesse tutto fuorché simpatico, provò ugualmente a sdrammatizzare: - Suvvia! Sappiamo benissimo entrambi che te la saresti cavata infinitamente meglio se non ti fosse successo!
- Non ci sarebbe stato neanche Jackie … - lo rimproverò prontamente Ruth, e le sue pupille tremarono lottando contro un pizzicore ingiusto – Chissà quanto sarà cresciuto il mio bambino …
Edward le prese il mento tra indice e pollice, risollevandoglielo: - Lo rivedrai quel gran farabutto – borbottò caustico, ma Ruth colse nel suo tono monocorde e nelle orbite infossate un’altra verità.
Il suo battito stava rallentando, si sentiva raggelare le viscere ed era ricomparso quel temuto sibilo ad affaticarle il respiro. Erano gli ultimi istanti che condividevano, lo intuì dall’intirizzimento che la stava avviluppando
Non era dispiaciuta di essere lei, tra i due, ad andarsene per prima, solo lui l’avrebbe rimpianta, ma riconosceva nella sua stretta calda ed energica la paura di perderla e di restare solo.
Avrebbe dovuto avere la bontà di dirgli addio molti anni addietro, adesso non poteva più impedirgli di soffrire. Sperava che non gli rincrescesse troppo e che non commettesse qualche gesto insano.
- Io ero già morta quando ti ho incontrato. Ma tu non inseguire più chimere che non ti appartengono – insistette perché lui smettesse di vaneggiare di poterla trattenere ancora – Naan unnai kadalikiren – mormorò con l’ultimo filo di fiato, lasciando scivolare serenamente le palpebre nell’oblio.
Edward non poté soffocare lo sprizzo di terrore che gli sconnesse la lingua dal cervello: - Ma tu appartieni a me! – farfugliò agguerrito, sollevandola a sé e posandole le labbra sulla fronte ancora tiepida – Me lo hai promesso, diamine! – ansimò ottenebrato, accasciandosi su di lei. Baciò il suo viso emaciato, i capelli lunghissimi e le piccole mani, rifiutandosi di accettare che non potesse più rispondergli, abbracciarlo o sorridergli e che per tutto quello non potesse vendicarsi con nessuno.
Era l’unico a doverne pagare lo scotto. L’aveva amata troppo poco e troppo tardi.
Affondò la testa nella concavità del suo grembo. Aveva il cuore in cancrena e tutti gli altri organi dovevano essere andati in malora per solidarietà. Le tempie pulsavano quasi da scoppiare. Sarebbe stato giusto piangere, sfogarsi, cacciare fuori la rabbia e il dolore, ma non ci riusciva.
Non sentiva più nulla, nessuno stimolo, nessuna pulsione o scopo, solo un’inesprimibile vuoto.
Ruth era stata un’onda anomala, un regalo immeritato di cui aveva compreso troppo tardi il valore.
Sospirava, aspettava, si illudeva che massaggiandola e sussurrandole si riavesse, scrutando ininterrottamente quel volto e quel sorriso che l’aveva abbagliato e che non era scomparso nemmeno ora che quella splendida bocca di rosa era diventata viola. Lo aveva sempre avuto un bellissimo sorriso, anche quando gli occhi le si velavano di ombre misteriose. Era sempre adorabile.
Sarebbe stato invidioso perfino dei vermi che si sarebbero saziati del suo corpo marmorizzato nel freddo artiglio della morte ...
La maniglia cigolò e un uomo di grossa stazza invase il vestibolo del suo alloggio. Lo richiamò ripetutamente e, non udendo volare una mosca, avanzò fino alla stanza più interna della cabina:
- Capitan Teague, stiamo aspettando vostri ordini … Oh maledizione! … – balbettò indietreggiando e recitando qualche orazione in arabo.
Molti dei compagni con cui aveva condiviso successi, stenti e cicatrici lo avevano abbandonato, erano passati da un’altra parte o a miglior vita. Ismael, suo secondo e confidente, era rimasto partecipe delle sue follie e non si stupì che fosse il primo ad apprendere la prevedibile tragedia. Anche perché aveva sempre avuto l’abitudine di non rispettare i suoi spazi o chiedere permesso, e con la vecchiaia quel suo odioso vizio stava peggiorando.
Capitan Teague si tirò su dall’esanime moglie notando che la sua camicia di cotone si era bagnata e macchiata. Avrebbe giurato di non ricordarsi più come scaturissero le lacrime, pensò sbalordito, incrociandole le braccia sul seno.
Le carezzò le guance con il dorso della mano. La pelle era divenuta fredda, di creta.
Fuori era quasi notte. Era stata una giornataccia storica.
Strascinandosi verso il turco rimise al loro posto i calici, muovendosi a scatti come una marionetta.
- Edward … mi dispiace, sul serio, compare – tentò di sviarlo Ismael, non trovando altre parole di consolazione o cordoglio e avendo un po’ timore della sua brutta cera.
I lumi a olio proiettavano lunghe e tortuose ombre sulla sua infinita cupezza, incutendogli un aspetto ancora più torvo e impenetrabile.
Il Capitano tacque e, prendendo sotto braccio lo scrigno, si incamminò sul ponte ordinando che preparassero una scialuppa, disprezzando i commenti degli altri pirati che nel frattempo si accodavano alle condoglianze.
Uno solo degnò di considerazione.
- Quella cosa che ti pende dal cinto – apostrofò un muscoloso creolo, riferendosi al cranio rimpicciolito che esibiva insieme ad altri bizzarri amuleti voodoo che l’avevano incuriosito .
- Questa tsantsa? – barbugliò quello, impacciato e intimorito dal suo sguardo trucido.
Il filibustiere accennò dietro di sé, per poi sentenziare risoluto: - Ne voglio una uguale.
Il mezzosangue allibì, non si aspettava una simile richiesta in quel momento: - Ma tsantsa imprigiona spirito di nemico ...
Teague inclinò il capo, soffermandosi con una gamba a metà tra la scialuppa e la murata:- Sì …
Ridiscese e assentì ancora dando al meticcio un leggero colpetto sulla spalla in segno di assenso, e si allontanò non dando retta al vespaio di mormorii che accese in quella superstiziosa ciurmaglia.

Ruth era stata l’unico avversario che non aveva saputo battere. Lo aveva accalappiato, eppure lasciandolo così presto non lo stava liberando. Non era riuscito a sconfiggere quel garbuglio di emozioni che il suo tocco gentile gli aveva suscitato dentro.
Avrebbe voluto avere occasione di confrontarsi con lei ancora, perché era stato lui l’indiano incapace di confessarle abbastanza quanto lo avesse corrotto il suo bene disinteressato.
E poi non voleva che si incarnasse in qualche altra creatura o amasse qualcun altro.
Poco dopo la sua dipartita si era convertito alla sedentarietà. Aveva veleggiato in lungo e in largo per decenni, era stato ovunque e oramai non avrebbe saputo dove altro andare, né avrebbe avuto alcun diletto nel partire se non ci fosse stato qualcuno da cui voler tornare ogni tanto.
A distanza di anni si diceva che forse quell’idea strampalata era stata un ghiribizzo dell’età: era stata la senile angoscia di non avere più qualcuno che gli tenesse compagnia, o con cui poter parlare liberamente.
Poteva anche ingannarsi di non vederne le imperfezioni, quali il colorito ormai grigiastro o l’assenza di qualche frammento che aveva smarrito per strada, come i ciondoli o gli orecchini da cui non si separava mai, ma in verità a mancargli spesso erano soprattutto i suoi occhi puri e ammaliatori.
Non ne esistevano di quella tonalità scura e luminescente, tersi e intrisi di una malinconia che non aveva mai compreso fino in fondo.
A voler essere corretti, da qualche parte ce n’erano un paio somiglianti, solitamente intenti ad interrogare i messaggi delle onde o a circuire degli sprovveduti malcapitati.
E, per una ragione assolutamente estranea ad un’improbabile rimpatriata, dopo quasi vent’anni che non li incrociava, erano ricapitati davanti ai suoi.
Li stava usando per tessere un nuovo astuto raggiro a danno della Fratellanza, consapevole del loro accattivante potere.
Jack Sparrow campava così, da quel che gli avevano riferito. L’arte della menzogna era il suo stile di vita. Aveva perfino rinnegato il suo nome per quel disperato bisogno di piacere e sentirsi ineguagliabile, però aveva preso lo stesso soprannome della detestata bagascia. Quello sgarbo non glielo aveva tanto perdonato, era stato finanche peggiore del suo inqualificabile arruolamento nella Compagnia delle Indie..
Le frottole erano ad ogni modo un’arma a doppio taglio. Sarebbe arrivato un momento in cui avrebbe inavvertitamente abbassato la guardia o non avrebbe più avuto la destrezza di districarsi in quella spessa ragnatela.
La sua rinnovata connivenza con quel figlio di buona madre rispondente al nome di Hector Barbossa, ad esempio, poteva rivelarsi un tranciante trabocchetto. Quello spocchioso individuo, a ragion veduta, non gli era mai andato a genio, ma non si sarebbe intromesso in quell’intricata diatriba. Spettava alla nuova generazione risolverla, lui era intervenuto solo come supremo garante della legge piratesca.
E in verità lo avevano pure scomodato nell’ora in cui si svagava a strimpellare con la sua collezione di strumenti a corda, chitarre, mandole, liuti, banjos ...

Jack gli aveva lanciato più di una compiacente sbirciata mentre, da abile manipolatore, affabulava i componenti del Consiglio assumendo il ruolo di primo attore all’interno della concitata seduta.
Quando tutti gli altri Pirati Nobili con i loro chiassosi seguiti se ne furono andati, gli rivolse uno smagliante sorriso che esprimeva tutta l’incontenibile soddisfazione per aver fatto deviare gli intenti dei colleghi verso ciò che lui intendeva accaparrarsi. Ma da parte del maturo Capitan Teague non ricevette altro che un’occhiataccia austera che gli fece storcere la bocca.
Per quanto probabilmente fosse un rimpianto infantile, non si era ancora rassegnato ad essere per lui un figlio negletto e sgradito.
Non gli aveva mai insegnato niente, suo padre, escluso qualche trucchetto sul come assettare le vele o interpretare il corso degli astri, il che era stato un vantaggio per racimolare il fegato e volatilizzarsi da quel purgatorio in cui l’aveva segregato.
In ogni caso, roba da marinai.
Non era stato il tipo di genitore che invitava il proprio pargolo a sedersi sulle sue gambe e discutere a quattr’occhi, senza filtri, se si accorgeva che non mangiava, teneva il broncio oppure si lamentava di qualche scaramuccia.
In compenso qualche volta aveva alzato i toni contro le sue insubordinazioni, eppure, di quei limitati scampoli di tempo trascorsi insieme, non ricordava i pochi litigi, bensì i molti silenzi che tuttora pesavano fra loro come macigni, difficili da rimuovere.
Era stato parsimonioso di discorsi e gesti, e lui li aveva apprezzati, giudicati, assimilati tutti alla stregua di esempi di buona condotta, quantunque non li avesse sempre saputi emulare.
Capitan Teague era stato il primo vero capitano pirata che avesse conosciuto. Aveva ammirato sin dal principio l’autorità che trasmetteva col solo incedere, l’eleganza con cui si abbigliava, la sobrietà del ragionare, la sua padronanza del comando e di sé, la disciplina nel giudicare e punire.
E poi lo aveva scoperto dotato di letale precisione nell’uccidere i traditori, ma anche incline ad imprevedibili slanci di generosità degni di un vero signore nei suoi confronti.
E, proprio in quegli sprazzi, aveva iniziato a vagheggiare di rappresentare qualcosa di molto più speciale di un qualunque mozzo, per colui che continuava a proclamarsi soltanto un protettore.
Nelle reminiscenze della sua gioventù, vissuta circondato da un manipolo di donne vagamente isteriche e ostili, quel capostipite girovago era stato un faro intermittente, eppure neanche adesso che si considerava un uomo navigato ed era cosciente di dovergli poco e niente, avrebbe respinto un suo consiglio, se avesse voluto darglielo.
Quell’immarcescibile bucaniere era sopravvissuto a cicloni, bordate, traditori, pallottole, sciabolate e ossa rotte.

- Il trucco è riuscire a convivere con se stessi, per sempre.

Lo ammonì sagacemente Edward Teague, quasi che avesse intuito i suoi reali e ambiziosi disegni riguardo alla battaglia contro l’Olandese Volante.

Convivere con se stesso era proprio un bell’inghippo. Jack Sparrow, in coscienza sua, ci provava da sempre a portare avanti quella relazione oltremodo travagliata, in cui la tendenza alla dissolutezza e alla corruzione si scontravano puntualmente con quella fastidiosa punta di onestà e indulgenza. Talvolta bastava alzare il gomito e non pensarci, talaltra avrebbe dato qualsiasi cosa per schiodarsela dal cuore e avere così meno impicci.
Ma la sua preoccupazione maggiore adesso era il tempo. Rinnegare il concetto che esistesse non funzionava più. Lo scorrere delle maree era inesorabile, glielo dimostravano i lineamenti incartapecoriti di suo padre. Invecchiare, ammalarsi, soffrire, lo terrorizzava. Aveva sempre aborrito il dolore: non sopportava esserne vittima, tantomeno infliggerlo.
Le vessazioni di sua nonna e i soprusi della gavetta gli avevano fatto scuola. Si era tatuato schiena e braccia per stigmatizzare quelle memorie, sebbene fossero i dolori dell’anima quelli che lo intimorivano di più, inducendolo a svignarsela da qualsiasi situazione avesse la minima parvenza di procurarne.
Nella vita voleva solo divertirsi, godersela, spassarsela fino a crepare in barba a chi gli voleva male. Non avrebbe saputo decidere se quell’assunto fosse una questione di superiorità o debolezza.
A quel proposito gli sovvenne l’assenza di una persona che, venendo a conoscenza che fosse lì, avrebbe dovuto far capolino. Avrebbe gradito ascoltare cosa avesse da ridire in merito ai suoi grattacapi la sua atipica saggezza zen.
- E la mamma? – domandò in un impacciato borbottio.
Il volto di Capitan Teague si fece lugubre, a lui per poco non schizzarono gli occhi fuori dalle orbite: – Quanto sta bene! – tartagliò esterrefatto, non osando chiedere come, quando e perché sua madre fosse defunta e si fosse trasformata in un macabro feticcio.
La serietà di suo padre per tanti anni l’aveva fuorviato: neanche lui era esente da quella vena di follia che scorreva in tutti i membri della sua stramba famiglia.
- Sì, è lieta di rivederti. – asserì infatti convintamente il vecchio pirata, facendo dondolare quella testolina fossilizzata vicino alla sua – Era da parecchio che non tornavi a farle visita, eh Jackie? – rimbeccò il figlio, vezzeggiando gli stopposi filamenti sbiaditi che pendevano dalla cute della mummietta – Te l’avevo promesso che l’avresti rivisto, Ruthie cara – le bisbigliò complice, e sorridendole la sua faccia si ricoprì di più righe di una carta geografica.
Jack ebbe l’impulso di stirarsi gli zigomi, augurandosi di non ereditare quello spiacevole tratto somatico, mentre meditava su quanto la sua perspicacia avesse toppato. Non aveva inteso che quella donna lunatica, discreta e fragile avesse occupato una posizione tutt’altro che marginale e che lui le fosse stato talmente legato da decidere addirittura di attaccarsela al fianco e continuare ad amoreggiare con i suoi resti mortali, come se non l’avesse mai lasciato.
I suoi genitori gli erano sempre sembrati ognuno per sé, coi pensieri tra le nuvole o per lo più di malumore. Non li aveva mai visti tanto sereni.
- Prendila con te!
Il Custode del Codice gli piantò un dito nodoso al centro del petto, pronunciando quella proposta con la risolutezza propria di un ordine indiscutibile.
Jack barcollò indietro: - Cosa?!
- Lei adora navigare, ed ho l’impressione che tu ancora per un po’ non rinuncerai al mare – concluse l’incontestabile corsaro, sciogliendo i lacci che tenevano la tsantsa annodata alla sua bandoliera e valutando accuratamente il punto migliore in cui fissarla alla cintura del figlio, già traboccante di esotici talismani.
- No! – strillò allora Jack, realizzando che non stesse affatto scherzando – Io … Non voglio dividervi, di nuovo – squittì velocemente, mordendosi un’unghia. Se c’era lui di mezzo bisticciavano, si giustificò tra sé, pur di non accollarsi quel cadaverino, che poteva anche essere stata la sua graziosa mamma, però così conciata gli provocava un certo ribrezzo.
Edward fece tintinnare i disparati monili sparsi nella folta capigliatura: - Ah sì? E in quale occasione osi credere di esserci riuscito, esattamente, giovanotto? – gorgogliò con una specie di risata sarcastica ad attenuare la truce espressione da assassino.
Jack ammutolì per istinto di conservazione. Non era consigliabile opporsi ad un amante cui era saltata qualche rotella, specialmente se il suddetto girava con un cinturone ricolmo di pistole pronte a farlo secco prima ancora che schiudesse la mandibola.
Lasciò che le dita callose dell’arzillo capitano intrecciassero lo spago, soffermandosi a riflettere che lui non era mai stato un tipo da legarsi. Almeno un paio di volte si era impigliato con qualcuna, per sventatezza. Sbrogliarsene non era stato poi così facile come aveva previsto, perciò si era ripromesso di non cascarci più. Aveva ripudiato quel genere di affezione, non era adatto a condividere senza che subentrasse la noia.
Capitan Teague terminò di stringere la gassa, verificando che tenesse, e si abbassò sulle gambe per parlottare ancora con la capoccetta avvizzita: - Fa buon viaggio, tesoro. E riguardati dall’umidità e dal mistral – le raccomandò amorevolmente, imprimendole un bacio che Jack giudicò di una dolcezza tanto rivoltante da solleticargli le narici e gli occhi.
La sua scomparsa doveva averlo addolorato in maniera indicibile, non si creava problemi ad ammettere con schiettezza di averla amata e di non aver mai smesso.
Avrebbe potuto biasimare molte cose di suo padre, l’indifferenza, l’estremo rigore, l’ombrosità, l’incomunicabilità, tuttavia dovette riconoscere che fosse un uomo di rara integrità morale e che fosse stato sempre molto onesto con lui. Non aveva finto un affetto che scarseggiava e non gli aveva risparmiato castighi dolorosi.
L’onestà spesso richiedeva forza e coraggio, e lui si era sempre ritenuto più una volpe che un leone.
Edward rialzò lo sguardo sul suo unico erede, scorgendolo turbato e meditabondo dietro alle marcate linee di kajal che rendevano le sue iridi liquide molto più ambigue e sfuggenti, oltre che maledettamente identiche a quelle della sua Ruth. Forse non aveva saputo essere il padre presente e paziente che un figlio desiderava. Eppure, guardandolo nella sua esteriorità, era indiscutibile che lo avesse considerato un riferimento, perfino nei piccoli vezzi. Era abbastanza stagionato oramai, non si sognava di correggere tutto ciò che aveva sbagliato, perché lui ne aveva tratto giovamento e se l'era sbrigata. Ma, a differenza sua, quello squinternato pareva non riuscisse o non volesse raggiungere un equilibrio tra le sue aspirazioni e il suo potenziale.
Gli sarebbe occorso uno scossone significativo per maturare sul serio e cominciare a rigare dritto.
- E tu? Quando ti lancerai in questa pazzia? – gli domandò lisciandosi le punte dei baffi con un sottile ammiccamento.
Quell’ingenuo non lo afferrò o finse di non afferrarlo, sbattendo le palpebre con atteggiamento svampito: - Hmm?
Teague allargò le braccia e le scrollò per aria: - Tramandare la tua semenza! – chiarì in tono di accusa, e, abbassando la voce: - Ci vai con le femmine, sì? – arricciò il naso, scrutandolo un po’ perplesso in corrispondenza della patta dei pantaloni.
Jack articolò dei suoni vuoti tra i denti. Era raro che restasse privo della sua rinomata favella, ma al suo cospetto ritornava a sentirsi un novellino, si vergognava. Non erano mai stati così intimi per lasciarsi andare a quel tipo di confidenze, che, tra l’altro, secondo la sua eccentrica filosofia, non si addicevano a dei gentiluomini del loro stampo.
- Se proprio vuoi saperlo, non appena metto piede in un porto, vengo letteralmente assalito da stuoli di donzelle vogliose della mia squisita compagnia! – si esaltò superbamente, per dissipare qualunque dubbio sulla sua mascolinità.
Con quell’eccessiva millanteria, invece, si era screditato. Lo comprese dopo che vide screpolarsi il labbro inferiore di suo padre in uno sbuffo trattenuto di tedio e scetticismo, mentre un sopracciglio si inarcava perplesso.
Capitan Teague provò un briciolo di compatimento per quell’incorreggibile farfallone, chiedendosi se fosse possibile che alla sua veneranda età non avesse mai incontrato una donna che gli volesse bene davvero, rendendolo fiero e appagato di essere un uomo, non necessariamente quando si accaldava tra le sue cosce.
- Bene … Come presuppongo tu abbia appreso, sto per andare in guerra. – ciangottò Jack, arretrando come un gambero verso il tavolo, raccogliendo e nascondendo dentro la tasca della giacca un dadino di vetro colorato che aveva adocchiato e che qualcuno doveva aver smarrito durante la baruffa.
- Or dunque devo approntare la mia Perla, sarà lei la nave ammiraglia della nostra flotta – gongolò, mostrandosi insofferente di sottrarsi a quello scomodo confronto.
Il compassato corsaro alzò i pugni, segnandosi con le nocche la fronte, il torace e le gambe, e gli voltò le spalle dandogli l’implicita autorizzazione a licenziarsi da lui senza altre cerimonie.
Jack Sparrow si congedò con una piccola riverenza, e, intanto che ripercorreva le assi cigolanti e calpestava i melmosi ciottoli della città in cui aveva speso la sua infanzia, sentiva ciondolargli a fianco una presenza vecchia e nuova.
Avrebbe potuto abituarsi a considerarla una guida o un portafortuna. Con i mille ed inimmaginabili pericoli che lastricavano la sua rotta gli sarebbero occorse entrambe.

Il ritorno del suo ragazzo dopo molti anni di tranquillità gli aveva fatto rimpiangere quei giorni vissuti in bilico a lottare contro gli imperi, restituendogli l’interesse per il mondo esterno, la voglia di togliersi un po’ di polvere di dosso e risalire sul ponte della sua Troubadour, che da molte lune se ne stava tristemente ormeggiata tra la moltitudine di vecchie navi che ingombravano la cala della Baia dei Relitti.
Capitan Edward Teague si riappropriò del suo trono onorario e imbracciò la sua vetusta chitarra, riprendendo a pizzicarne le corde deteriorate dai suoi stessi polpastrelli e ingannò l’attesa dell’alba componendo una struggente melodia, rammentandosi con nostalgia di aver posseduto un soave sitar.



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* Qualche nota finale:
1) Se non si fosse capito, ho voluto far morire Ruth di tubercolosi, malattia polmonare di lungo corso, con frequente alternanza di riprese e ricadute, ma purtroppo in passato inguaribile. Le parole finali da lei pronunciate "Naan unnai kadalikiren" sono in lingua tamil, il significato sta a voi intuirlo (o cercarlo!).
2) Ho pensato di collegare la storia dei calici e di Ponce de Leon con Edward Teague perché ne "Oltre i confini del mare" mi ha colpita il fatto che fosse a conoscenze della loro presenza, e correggesse Jack assicurandogli che dovesse cercare due calici.
3) L'anello magico rubato da Jack a Teague è al centro dei racconti "La spada di Cortés" e "I peccati del padre". Anche il personaggio di King Samuel compare in alcuni libri relativi alle avventure del giovane Jack Sparrow, in particolare ne "Leggende della Fratellanza" (Legends of the Brethren Court).
5) La Troubadour dovrebbe essere la nave su cui Capitan Teague si vede subito dopo la vittoria della Fratellanza sulla Compagnia delle Indie Orientali.


Se doveste avere altri dubbi, sarò disponibile a chiarimenti ^-^
   
 
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