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Autore: J_Jace    16/06/2014    2 recensioni
Vi fu una persona nella vita di Camriel a Gerusalemme, che riuscì a sconvolgere la sua intera esistenza.
Ostacolata dalle avversità del destino e del tempo, riuscì a fargli capire quanto fosse importante l'amore, prima che Lilith glielo donasse al suo posto.
Come può evolversi il tutto, se il cuore giovane della protagonista ha i giorni contati?
Battito dopo battito, la gioia minaccia di spezzarsi.
Chi ha detto che l'unico amore complicato è quello di Luce e Daniel?
E se nemmeno il nostro angelo biondo sapesse tutto del passato suo fratello?
La terra di Israele ha visto più cose - E più angeli e demoni - di quanto chiunque si possa immaginare.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cameron Briel, Daniel Grigori, Lilith, Luce Price, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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-Questa mortalità umana-
 


II
Oxymoron
-
Ossimoro


 
L'umorismo è il più potente meccanismo di difesa.
Permette un risparmio di energia psichica e con una battuta blocchiamo l'irrompere di emozioni spiacevoli.


Gerusalemme, Israele
(24 Aprile 1002 A.C.)

"Il sole filtrò dalla finestra, e la luce che proiettava mi destò dal mio sogno ristoratore. Un'altra bella giornata da spendere con le altre persone del villaggio; un giorno in più da vivere con chi amavo.

Mi piacerebbe continuare.
Ma le mie speranze, i miei programmi per il futuro, consistono solo in questo: avere la consapevolezza di potermi svegliare ogni giorno, dopo aver sognato qualcosa che non sia un eterno sfondo nero privo di colori e passare il resto del giorno a bearmi della luce solare.
E non ho mai portato a termine nessuno dei tre obiettivi.
Quale futuro, devo dunque descrivere, senza sfiorare l'irrealtà?
Non ho forse già scritto ciò che non accadrà mai?"

 
Sospirai, portandomi una mano davanti agli occhi, privandomi della visuale di quel foglio di pergamena e, soprattutto, delle parole che avevo appena versato su di esso.

Che compito ingrato quello di affidarmi un tema sui miei desideri per il mio domani ideale. Non erano forse dolorosamente scontati?
E io, d'altra parte, perché avevo permesso alla mia mano di rispondere con frasi così crudeli, colme di malinconia e rassegnata disperazione?
Benché fossero vere, tali parole non dovevano essere pronunciate o rese note.
Non mentre tutto ciò che stavano cercando di ottenere gli anziani del villaggio, era una dimostrazione della mia bravura nel comporre racconti. Mi avevano insegnato a scrivere e a leggere, e ora - giustamente - pretendevano che mettessi in atto tali abilità, per non dimenticarle inutilmente.

Non mi avevano posto quella traccia per cattiveria.
Lo sapevo.
Ma ciò non rendeva meno difficile affrontare i miei sentimenti.
Come potevo - anche solo lontanamente - fingere un futuro pieno di vita e progetti, quando non sapevo neanche se mi era permesso viverne uno? Esisteva?
Non ne ero sicura.
Ma avevo bisogno di credere che fosse così.

Tenni gli occhi serrati ancora per qualche secondo, prima di togliere il mio palmo dal viso e posarlo di nuovo sul pavimento della capanna.
Ero nella stessa stanza di cinque anni prima - quella in cui, se fossi rimasta per giocare, avrebbe ritardato il mio destino - e non era cambiata di molto.
Stesse pareti dai colori vivaci; stessa impressione di un calore e di una luce, che in verità la dimora non aveva mai avuto il beneficio di ospitare. Stesse finestre chiuse da drappeggi pesanti; stesso sole che cercava di penetrare ugualmente.

Solo io non ero più la stessa. Ero peggiorata, sì.

Cose che capitano.
Ma a tutti? Tutti hanno la stessa probabilità di riscontrare il problema?
Sarebbe problematico.
Quindi. Altri erano più a rischio che alcuni?
No. Solo io.

-"Sus...?"-
Levai il capo, in ascolto. Fu in quel momento che mi accorsi del leggero ticchettio, il quale persisteva contro il legno della porta, accompagnando la voce infantile. Qualcuno stava cercando di richiamare la mia attenzione. Ed era facile intuire chi fosse. Mi alzai, lisciando l'abito dalle tonalità chiare. Abbacinata da colori neutri come il bianco, era meno probabile che la mia pelle venisse bruciata dal sole.

Socchiusi l'uscio con delicatezza, badando a non far filtrare i raggi solari all'interno. Il grazioso viso a cuore, incorniciato da una cascata di ricci scuri di Lucinda, mi fece sorridere. Le iridi nocciola abbandonarono l'aria pensierosa appena scontrarono la mia figura, abbandonandosi ad un'espressione più dolce e serena.

-"Susan! Tutto a posto?"-, mi domandò, un sorriso sulle labbra carnose. Annuii, senza proferire alcuna parola, prima di tirarmi di lato. Quando l'uscio venne aperto dalla quindicenne, le ombre della casa non si diradarono dall'angolino in cui mi ero celata. -"Sicura? Sai, iniziavo a preoccuparmi! Era da cinque minuti che bussavo... non è che hai avuto... sì, insomma. Mi hai capito."-

Incespicò nell'imbarazzo, verso la fine della frase. Non le piaceva nominare la mia malattia, così come io non apprezzavo che venisse tirata in ballo. Finché non se ne parlava, potevamo entrambe nutrire l'illusione che non esistesse.

-"Tutto a posto, davvero. Non preoccuparti."-, cercai di tranquillizzarla, con un mezzo sorriso. Ma, tutto sommato, se mi rivolgeva simili domande era solo perché ci teneva a me e non voleva che mi affaticassi eccessivamente. Mi avviai nuovamente verso il soggiorno, dove si svolgeva la maggior parte della mia giornata tipo. Che meraviglia... Sospirai sottovoce, cercando di non farmi sentire. -"Stavo scrivendo una sorta di storia, per questo non ti ho sentita."-, mi giustificai, indicando il materiale sparso sul pavimento, il mio abituale tavolo da lavoro.

Lei ridacchiò - ritrovando la sua solita vivacità -, mentre cercava di non spiegazzare il suo abito celeste prendendo posto su una sedia. -"I soliti compiti affibbiati dagli anziani?"-, chiese con leggerezza, protendendosi di poco, nel vano tentativo di sbirciare i fogli di pergamena. Li raccolsi frettolosamente per impedirglielo, lanciandole un'occhiata severa. -"Sì. Ma sono vietati, presente? Non puoi leggerli. Sono loro possono"-, l'avvertii.

A quel punto si lasciò andare ad una vera e propria risata liberatoria. Aveva capito che scherzavo, ovviamente. Questo perché non aveva compreso il mio tormento tra le righe di ciò che avevo detto.

-I miei sogni sono vietati. Non puoi realizzarli. Solo gli angeli possono.-

Quale modo migliore per far preoccupare a morte la propria migliore amica, se non quello di raccontarle la verità?

Dopo aver posato calamaio e inchiostro sul tavolo vicino, e preso posto su un'altra sedia, nascosi la prova incriminante della mia probabile depressione sedendomici sopra. Mi schiarii la gola, prima di riprendere il discorso. -"Ehm. Sì. Non che non sia felice della tua visita, ma... ecco, che ci fai qui?"-

Cercare di non offendere le persone mentre si cercavano delle risposte, era proprio un lavoraccio.

Sorrise, mentre distendeva le affusolate gambe, completamente a suo agio e priva di alcuna preoccupazione. Beata lei, mi ritrovai a invidiarla. E non era la prima volta che desideravo essere al suo posto. Non per prenderne le caratteristiche fisiche o caratteriali, l'amore famigliare o gli occhi espressivi. Semplicemente perché lei; lei poteva vivere - vivere e sperare - come qualunque persona normale.

-"Beh. Mi sembra ingiusto che tu resti sola finché il sole non va a dormire. Ti pare? Quindi sono venuta qui per farti un po' di compagnia."-, l'ennesimo sorriso genuino, e l'atmosfera si fece più placida, rilassata.

Mi risultò semplice ricambiarla. Restava sempre Luce. Luce, che si preoccupava per me. Luce che non coglieva di proposito alcuni miei stati d'animo, per permettermi di capirli e superarli da sola. Luce che rideva. Luce che aveva un'intera vita davanti.


Così era sempre sembrato. Così non era mai stato.


-"Non lo so... ma mi pare comunque strano!"-, fui costretta ad ammettere alla fine. La frustrazione dentro le mie parole donava un tono lamentoso alla frase appena detta. Non era propriamente irritazione verso ciò che non capivo, più che altro ero innervosita dai sentimenti che suscitava in me quel che era illogico. Il fatto che fossi  gelosa di Lucinda l'avevo accettato. Costituiva una conseguenza al mio desiderio d'avere un futuro da vivere. Possedere ciò che lei invece aveva di diritto, aveva preso a consumarmi dalla scoperta; ma era logico. Sì, normale. Trovatemi un essere un umano che non abbia mai voluto avere ciò che era di un'altra persona: impossibile. 

Quel che invece non comprendevo era l'invidia che portavo verso mia sorella minore. Perché mai la piccola Noemi Maryam, tenera nei suoi quattro anni e mezzo, avrebbe mai dovuto suscitare un simile sentimento in me?

Oh. Forse la frustrazione era anche dovuta al fatto che alla fine, chissà come, eravamo finite ugualmente a conversare nel mio pezzo mancante.

-"Beh. Anche i tuoi genitori hanno gli occhi azzurri."-, osservò in quel momento Luce, tranquilla, cercando di conseguenza di acquietare anche me. -"Non vedo perché tua sorella non dovrebbe averli dello stesso colore."-, concluse.
Appunto. Era assolutamente consueto un fenomeno simile. Il problema non era lei, no. Ero io, appunto. Sempre, e solo, io. La inchiodai con uno sguardo, cercando di non far trasparire il mio disaccordo. -"I miei sono scuri. Neri. Nerissimi."-, le feci notare. Obbligata a fissarmi in faccia, non avrebbe certo potuto avere la sfacciataggine d'accusarmi di mentire. Così, fu costretta ad annuire mestamente.

Il fiore del dubbio l'aveva minimamente sfiorata?
-"E con ciò?"-, insistette.
No.
Non l'aveva nemmeno visto da lontano, il dilemma bello e buono che stavo cercando di affrontare. Troppo sole accecava le persone?

Presi un profondo respiro. -"Beh. Mi stavo chiedendo... se la mia malattia renda l'iride di un colore scuro. Sarebbe plausibile pensare, se ciò fosse vero, che mia sorella non ne sia affetta."-, ragionai, tranquilla. Lei sbatté le palpebre, chiedendomi con i suoi enormi occhi da cerbiatta di continuare. Ma nemmeno sulla linea dell'orizzonte, eh? Andiamo! Ragionaci... Devo avercelo scritto in fronte. Dai, che lo capisci. Basta guardare attentamente dentro di me, cercare di comprendermi...

-"Non capisco."-, mi rese partecipe, dopo quasi due minuti di silenzio in cui non avevo accennato a proseguire. La sua aria dispersa e confusa, parlava da sé. -"Intendevo dire..."-, ripresi il filo, cercando di non lanciarle un'occhiataccia. Era colpa mia. Non mi ero spiegata bene. Questo, almeno, era quello di cui andavo cercando di convincermi. -"Che il difetto al mio organo interno potrebbe non essere trasmissibile per vie ereditarie come pensano gli anziani. Altrimenti, si sarebbe riscontrato lo stesso disturbo in Noemi, con una probabilità quasi assicurata. Invece lei può stare al sole. E ha gli occhi chiari. Mentre io non... insomma. Ora hai capito dove intendevo parare?"-

Ovvio che aveva compreso il succo della questione. Questo però, non le impedì di prendere qualche minuto per ragionarci sopra. Assurdamente snervante, ecco cosa mi provocava quel comportamento. Probabilmente ciò era dovuto al fatto che fossi io quella che attendeva un giudizio e non il contrario. -"Come hai detto tu potrebbe non trattarsi di qualcosa inerente alla genetica. Insomma! Tua sorella sta che è una favola"-, s'interruppe un secondo per rivolgermi un sorriso, senza accorgersi che con quella frase rischiava di farmi diventare verde d'invidia. Adoravo mia sorella - Come avrei potuto fare diversamente? -, ma mi chiedevo sempre più spesso perché io sì, e lei no. Aveva avuto io una sfortuna diabolicamente perversa riscontrando una malattia rarissima e mai vista nel nostro villaggio, o era lei che aveva ricevuto una grazia sfacciata sfuggendo a una caratteristica ereditaria persa da tempo e ritrovata con la mia nascita? Speravo davvero che fosse la prima. Altrimenti, ero quasi certa, che ne sarei stata così gelosa da poter arrivare a detestarla. -"Oppure sì, e lei l'ha scampata per miracolo"-, concluse, in perfetta linea coi miei pensieri.

Dio. Spero proprio di no.

-"Ah."-, commentai, fingendomi disinteressata. Avevo calcolato quella possibilità, e se si fosse verificata veritiera quella che più temevo... avrei avuto qualcuno da incolpare. Sì. I miei genitori. In quel caso non sarebbe stato meglio continuare a puntare il dito contro il cielo, invece che verso le persone a cui tenevo, accusandole di avermi dato alla luce con aspetti fisiologici sbagliati, senza che questi però intaccassero la loro seconda figlia? Li avrei odiati, tutti e tre, corrosa da un invidia impossibile da controllare, e mi sarei consumata nel mio stesso disprezzo fino a diventare una persona spregevole.

La mia malattia non mi è stata indotta attraverso vie genetiche-ereditarie. Voglio credere che sia così, e così sarà. E' strano che io non abbia le iridi azzurre proprio perché la mia disfunzione è stata provocata da un agente esterno. Altresì avrei mantenuto un colore degli occhi chiaro. Non vi è nulla che lega me e mia sorella. Lei può bearsi della luce solare poiché non ha riscontrato sulla sua via questa infezione.

Lucinda tossicchiò, cercando di attirare la mia attenzione, in quel momento tutto fuorché concentrata sulla ragazzina che avevo di fronte. Quando levai il capo, trovai la sua espressione divertita ad osservarmi. Dovevo essere stata zitta per parecchio tempo, persa nei miei ragionamenti, per averla spinta a richiamarmi. -"E comunque..."-, trillò, provando a portare un po' di allegria, trovando probabilmente l'aria gravosa, plumbea perfino rispetto i miei standard. -"I tuoi occhi non sono 'nerissimi'"-, mi scimmiottò, piuttosto malamente.

Le scoccai un'occhiata incuriosita. "Obbligata a fissarmi in faccia, non avrebbe certo potuto avere la sfacciataggine d'accusarmi di mentire", avevo pensato precedentemente. E guarda caso, invece, era proprio ciò che stava facendo in quel momento. Oh, Luce. Devi cercare di screditarmi sempre? Quel suo comportamento, se prima mi avrebbe alterato, in quel momento mi fece nascere un lieve sorriso. -"Ah sì? Illuminami, allora, Lucinda cara, e dimmi un po' che meravigliose tonalità d'azzurro possiedono. Perché sai, io proprio non le ho mai viste!"-

Sbuffò, spazientita dal mio sarcasmo tutto tranne che velato, e mi fissò con finta aria superiore. Dietro i suoi occhi nocciola, tuttavia, s'intravedeva una luce: era felice di avermi smossa dall'espressione tenebrosa che dovevo aver assunto. -"Contrariamente a quanto voi pensiate, mia carissima Susanna, le vostre iridi non sono totalmente madri di tenebre."-, incominciò, ostentando fin troppo una signorina civettuola. Dopo aver scorto il mio, più che plausibile, sconcerto si affrettò a cambiare i toni prima adottati: -"Certo, non nascondono sprazzi di cielo, sia chiaro! Ma non sono scurissime, come pensi, ecco. Se guardi bene, alla luce del sole..."-

Mi schiarii la voce, per sottolineare un errore piuttosto rilevante - e grossolano - nel suo discorso. Arrossì, e dimostrando di avere un minimo di tatto, si corresse velocemente: -"Ehm... s-sole, sole invernale, ovvio. Ecco, dicevo... si vede qualche traccia di rosso dentro il nero."-, concluse alla svelta.

Strabuzzai gli occhi, colta di sorpresa. -"Io... avrei gli occhi rossi? Prego!?"-, esclamai. Tutto mi aspettavo, eccetto quel colpo di scena. Lucinda, perplessa dal mio semi-grido, si spostò a disagio sulla sedia, quasi cascando a terra in un volo rovinoso. -"H-hey hey hey! Ho detto tracce!"-, si difese subito, riuscendo ad apparire anche offesa dal mio scatto. -"Pagliuzze, insomma. E solo quando hai la luce del sole che ti colpisce direttamente il viso, sia chiaro! Non è che appena viene giorno vai in giro con gli occhi che sembrano assatanati..."-, borbottò.

Scossi la testa, cercando di chiarirmi le idee. Assurdo. -"A parte il fatto che io, in giro, proprio non posso andarci, soprattutto se è dì... ma, m-ma ti sembra una cosa normale, scusa?"-, osservai, compita, sinceramente ferita nel profondo. Ci mancava solo che quelli del villaggio pensassero fossi devota a Satana e avessi preso i suoi occhi iniettati di sangue! Incredibile la capacità innata di Luce nel far venire i colpi al cuore alle persone. Soprattutto a quelle che magari ne farebbero a meno, onde evitare problemi ancora più gravi di quelli che stavano affrontando!

-"Ma che ne so io! Sarà un altro aspetto di... ehm, sì, capito, no? Infondo l'hai detto pure tu che potrebbe essere essa stessa la causa del diverso colore nell'iride tra te e il resto della tua famiglia. Le piccole, minuscole, tracce di rosso dovrebbero solo confermare la tua teoria di una malattia non trasmissibile ereditariamente parlando. Dovresti gioirne"-

Forse... era la prima cosa semi-sensata e vagamente di aiuto che mi diceva quel giorno. E per questo dopo averla fissata stralunata per un minuto buono, le corsi incontro e l'abbracciai. Davvero. Non era perché le volessi bene. Oh, beh. Magari, giusto un pochino, a quella scema ci tenevo.


-"Scusami tanto Susan. Ma non avevi detto che avevi iniziato a lavorarci?"-, indagò Lucinda, indicando pacatamente i rotoli di pergamena sparpagliati per il tavolo. Dopo esserci sciolte dal nostro abbraccio - O meglio, dopo che l'ebbi spintonata via quando realizzai il significato del gesto istintivo che avevo compiuto -, avevo accennato al compito degli anziani. Per questo ora, eravamo sedute l'una di fianco all'altra, cercando di unire le nostre idee per un bel racconto. Ovviamente, quella sistemazione non mi piaceva. Ma non potevo stravaccarmi sul pavimento con un ospite in casa. Così la pensava mia madre... così, ero costretta a comportarmi. Stupide etichette. Avevo appena appurato che Luce era davvero - stranamente - la mia migliore amica... non potevo essere me neanche con lei?

-"Io, in realtà, avrei detto che ero impegnata a pensare a sta... cosa. Non che l'avessi effettivamente iniziata."-, obiettai, leggermente a disagio. Di certo non le avrei fatto leggere quello su cui ero seduta. -"Altrimenti, non avrei chiesto il tuo aiuto. Cioè, dai. Lo sai."-, continuai, assumendo un'aria da saputella. -"Eh? So cosa?"-, -"Che... due persone non pensano alla stessa maniera, e hanno idee differenti. Se avessi iniziato a lavorarci, le tue trovate sarebbero state troppo discordanti per essere effettivamente affiancate dalle mie, e quindi di conseguenza non ti avrei chiesto un suggerimento in principio"-, spiegai al volo, quasi mangiandomi le parole dalla fretta. Ma che razza di bugie mi ero tirata una dietro l'altra?!

Lei mi scoccò l'ennesima espressione confusa, prima di illuminarsi di un sorriso ironico. -"In questo caso, non vedo in che modo potrebbero esserti utili i miei pensieri su questa storia. Differirebbero ugualmente con i tuoi concetti, no? Quindi non troveremmo mai un punto in accordo."-

Ma perché - perché, cavolo? - doveva essere sagace in argomenti in cui sarebbe stato meglio vederla annuire e basta? Boccheggiai due secondi, prima di ritrovare qualcosa da dire su ciò che aveva affermato. -"Hai ragione"-, mi costrinsi a osservare, placida. Non le concessi il tempo di gioire della propria vittoria, che conclusi: -"Quindi perché non ci pensi direttamente tu, a tutto il racconto, senza dover subire le mie interferenze? Grazie in anticipo, Luce. Sei un angelo!"-, un occhiolino e via di filato verso la cucina.

Quando la raggiunsi, stavo già, inevitabilmente ridendo a crepapelle, per la faccia inebetita che aveva assunto Lucinda. Semplicemente impagabile.
Dopo che mi fui calmata a sufficienza e aver preso qualche cibaria varia per sbollire una probabile Luce fuchsia - esilarante, certo, ma anche una potenziale minaccia per la mia traballante salute - osai tornare sui miei passi.

Come immaginato, la quindicenne in preda all'ira da me provocata, aveva assunto un colorito piuttosto acceso. Si era rifiutata categoricamente di concludere per me il lavoro da svolgere, ma non fu questo certo a paralizzarmi. Davanti a lei, svettava sopra la montagna di pergamena immacolata, un foglio vergato di qualche scritta nera. 

Ommiodio ma si può essere più sfigati di me?

Ovviamente quella squilibrata di Lucinda che non sapeva farsi i suoi beati affari - E che io accusavo, poiché non volevo di certo darmi da sola dell'idiota sprovveduta, cosa che effettivamente ero, e a ragion di logica, sarei sempre stata -, mi notò immediatamente, e mi riservò uno sguardo di ghiaccio, coi suoi bellissimi e caldissimi occhi nocciola. Come può un colore così caldo, essere capace di gelare sul posto una persona?

-"Direi che non potremmo avere opinioni più incompatibili. Decisamente. Quindi... beh, complimenti. Avevi ragione. E non pensare che mi riferisca a ciò che hai scritto su questo pezzo di pergamena stropicciata, Susanna. Sto alludendo al fatto che due identità prese a caso abbiano, quasi sicuramente, scostanti pensieri in merito a  argomenti simili, poiché tali idee sono generate da due entità differenti."-

Freddata. Oh, altroché!

Dovetti schiarirmi la gola circa una decina di volte, prima di riuscire a trovare la voce. Diciamo che se pure lei si era ghiacciata nella trachea e proprio non aveva voluto saperne di sciogliersi per un po'. -"Beh, a parte il fatto che ho quasi sempre ragione..."-, diciamo che stavo proprio iniziando bene. Sì. Infatti assunse un colore quasi cadaverico dopo aver sentito le mie prime parole di "scuse". Finalmente potevo dire addio a quel delizioso fuchsia! E il merito era grazie a cosa? Il mio tenero carattere, ovvio. Quanto sapevo essere arrogante? Quanto ero spregevole? Quanto poco le volevo bene? No. L'ultima non c'azzeccava un piffero. Appunto perché ci tenevo a lei, cercavo di essere il più intrattabile e scontrosa possibile. Così, quando me ne sarei andata... le sarei mancata di meno, no? Oh, già-già. La mia speranza per un bel futuro gioioso era proprio andata a benedirsi! Si trattava di quando, e non se. Era totalmente sicuro che sarei sparita prima di lei da questo mondo. -"Più due persone sono diverse... e più si completano a vicenda."-

...

Ma che diavolo di frase del cavolo avevo tirato fuori?

"Sono proprio una scema!", avanti dillo Miss A-parte-il-fatto-che-ho-quasi-sempre-ragione. Che aspetti? Non è forse vero?

-"Sono proprio una scema"-, osservai neutra, fissando con sguardo vuoto il soffitto, in viso un'espressione pensierosa. E lo sono ancora di più adesso che l'ho ammesso ad alta voce. Sentii uno sbuffo divertito. -"Ma direi proprio di sì!"-, sbottò acidamente Lucinda. Però, quando la fissai, mi saltò subito all'occhio il mezzo sorriso che avevano dipinto le sue labbra.


-"Sai cosa trovo insensato?"-, me ne uscii di colpo.
E il 'di colpo' era incredibilmente consono, perché non è normale esclamare una frase del genere mentre si sta conversando di una probabile giornata-tipo. Non per niente Luce mi guardò inespressiva per una manciata di secondi, pensando con tutta probabilità se classificarmi come 'demente assoluta' o 'psicopaticamente unica'. E non sapevo quale fosse la categoria migliore. Probabilmente la seconda. L'unicità doveva pur essere premiata, no?

-"Ehm... te stessa? Oppure... il fatto che non ti ho ancora tirato qualcosa in testa? No, perché sai, questa è la... tipo, ventitreesima volta, che mi interrompi a metà discorso in meno di dieci minuti."-, sospirò esausta, massaggiandosi le tempie. -"Sì proprio que..."-

Un attimo... mi stava prendendo in giro?

-"Aspetta. Che hai detto?"-, -"Ho detto che sei insen..."-, -"No, quello l'ho sentito. E stavo appunto dicendo che non mi riferivo a quello e nemmeno alla seconda opzione."-, l'interruppi. Ignorai la sua occhiata beffarda, e proseguii: -"Intendevo: cos'hai detto in questi dieci minuti? Non mi ero accorta che stessi parlando, sai."-

La sua bocca bella spalancata e le sopracciglia che facevano su e giù mi rasserenarono. -"Ah. Ovviamente stavo scherzando."-, affermai, con voce annoiata, un attimo prima che partisse per una predica coi fiocchi. Questo la fece imbestialire ancora di più. -"Hey, non guardarmi così! Dovresti essere contenta! Così non ti devi ripetere."-

-"Oh. Sto. Saltando dalla... contentezza, davvero"-, mi giurò a denti stretti, consapevole di non poter smentire la mia ultima frase. -"Quindi è vero che le apparenze ingannano...! Non avrei mai detto."-, la sbeffeggiai ancora un po'. Lei incassò - limitandosi a stringere i pugni - e poi prese la parola, con ancora le guance arrossate. -"Dicevi...? Prima dello scherzo?"-

-"Ah. Sì."-, ritrovai il discorso. -"Dicevo che trovo insensati gli ossimori."-

Ecco. Questo la sorprese ancora di più.

Tanto che dimenticò di essere irritata con me.
-"Non stavo parlando di ossimori."-, borbottò sorpresa, non trovando di meglio da dire. -"Lo so. Te l'ho detto: scherzavo, ti ho sentita."- Okay, forse mi voglio proprio male, pensai tra me. E infatti, quasi istantaneamente, mi lanciò uno sguardo infuocato. Probabilmente stava cercando di ridurmi in cenere, ma purtroppo per lei ero super resistente al calore. Certo, non da tutte le fonti che lo producevano, ma... da lei, per fortuna, sì. -"Ah. Ah. Ah. Sto morendo dalle risate. E non provare a tirare di nuovo fuori che anche in questo caso le apparenze ingannano! No, non ci provare!"-

-"Oh... sono così prevedibile?"- Delusione fittizia e costruita? Ma, a dir la verità, pensavo sinceramente che l'unicità fosse da premiare. Quindi non era neanche particolarmente finto il mio dispiacere. -"Proprio no! Ma ti conosco, ecco. Su. Continua."-, m'incitò, senza riuscire a nascondere l'ennesimo sorriso.

-“E' che... non ho la più pallida idea di come iniziare per spiegartelo.”-, confessai, perplessa. Come facevo a non sapere in cosa consistevano i miei pensieri stessi? Lei sospirò alzando gli occhi al cielo. -“Perché non cominci col dirmi da dove ti è venuta questa idea?”-, mi suggerì. Ma che grandissimo genio era quella ragazza! Davvero. Faceva impressione. No, perché, se una persona ti dice che non sa da dove è partita per arrivare ad una determinata riflessione, tu le vai subito a chiedere da dove le è spuntata l'idea. Ovviamente... no. Si era persa le basi o cosa?

-“Mah. Che vuoi che ti dica?”-, incominciai, cercando di risolvere il problema. Ai pensieri irrazionali era possibile dare uno scopo, una partenza? Beh, magari anche no. -“In pratica ho incontrato un ossimoro vivente. Tu.”- Scusa, scusa, scusa? Avevo indirettamente dato dell'insensata alla mia – presunta – migliore amica sul serio o l'avevo solo immaginato? -“E perché io sarei una contraddizione vivente?”-, mi chiese stupita.

Ah. Perché tu ti stupisci prima di questo e poi, forse, ci pensi un po', capisci che ti ho dato dell'insulsa – giustificatamente o meno? - e ti arrabbi. Hai capito Lucinda... Per fortuna quella volta, pensai solamente invece di proferire verbo e firmare la mia condanna a morte. -“Oh, ma è difficile spiegarlo! Insomma... hai presente prima? Ecco. L'ho notato quando eri arrabbiata con me”-. Si schiarì la gola. -“Oggi credo di essermi irritata con te circa un centinaio di volte. Ti dispiacerebbe indicarmi quale di queste tu ti riferisci?”-

Effettivamente...

-“Ops. Sì, comunque, mi riferivo a quella della pergamena, in cui eri tale e quale ai miei occhi. Nera di rabbia e rossa di faccia. O qualcosa del genere.”-, -“Oh. Quella.”-, il tono gravoso in cui accompagnò l'avverbio era piuttosto... beh, da me. Non da lei. Ero io quella tetra, che si crogiolava nella malinconia e che poteva quasi dirsi depressa. Di certo non lei, quella che aveva tutti i motivi per essere felice, e spesso me li sbatteva in faccia senza neanche accorgersene. -“Oh, sì! Quella.”-, calcai, ma con tono meno funeralesco. Più colorato. Vivace. Che metteva voglia di spiccare il volo, e non di sotterrasi. Tagliamo, e diciamo che mancava poco e mi sarei messa a ballare sulle note di Oh Quella, e a quel punto il tono con cui Luce aveva parlato avrebbe avuto un buon motivo per persistere. Perché a un funerale non ci si esaltava come avevo appena fatto io... vero?

-“Questa sarebbe “Quella la vendetta”? Perché non ho voglia di alterarmi ancora.”-, mi avvertì, irrigidita. Tirare in ballo l'argomento non l'aveva di certo rallegrata. -“Mettere 'questa' e 'quella' nella stessa frase sembra esattamente qualcos'altro che potrei trovare insensato – e non lo metto in dubbio – ma per ora resterei su quella volta in cui ti sei arrabbiata e basta.”- Fu brava. Si limitò a cercare di colpirmi con la piuma invece di lanciarmi direttamente tutto il contenitore d'inchiostro. -“Che dolce. Anche se avrei evitato, tra parentesi. In ogni caso... se non sbaglio devo ancora spiegarti perché diamine ti considero in quel modo, vero?”-, cercai di distrarla.

Prima avevo scherzato... ma in effetti il suo sguardo stava puntando il calamaio. A questo punto preferivo rimanere nel mio bianco abito immacolato. Per cui grazie e arrivederci. -“E allora fallo, per piacere, fallo!”-, mi aggredì, e dire che stava per dare in escandescenza sarebbe riduttivo considerato il color bordeaux che aveva assunto.

Un profondo respiro e: dai che ce la faccio a non fare danni!

-“Quando ti sei arrabbiata”-, mi trattenni, evitando appositamente la parola quella seguita da volta. -“Mi hai lanciato uno sguardo infuocato dall'ira che mi ha reso una statua di ghiaccio. Possibile? Dico, i tuoi occhi sono di un colore caldo - che ricorda l'autunno, la stagione in cui si sente ancora il calore estivo – e quando mi hai incenerito con essi, erano come freddi, totalmente inespressivi nella loro espressione pietrificata. Ghiacciata, appunto. Come possono coesistere due cose così differenti nello stesso istante, senza minacciare di cancellarsi a vicenda? Sono dipendenti e indipendenti al contempo? In effetti... il fuoco può sciogliere facilmente il ghiaccio, come esso può imprigionare il calore in una morsa gelida capace di estinguere la fiamma più tenace. Prova ad accendere un falò quando piove, e al contempo a non far sciogliere la neve dopo un po' di tempo che la tieni nella tua mano calda. Questo è ciò che rende le due cose differenti, una cosa a parte. Non possono sopravvivere entrambe le cose, una delle due viene annientata irrimediabilmente dall'altra. Eppure in un ossimoro i due elementi sono effettivamente legati.”-, mi fermai un attimo, per permetterle di immagazzinare tutte le parole che le avevo riversato addosso in, forse, nemmeno un minuto.

Più che altro, poi, il mio sembrava uno sfogo insensato su qualcosa di altrettanto insulso. Una valanga di parole vomitate addosso a quella povera disgraziata che ora mi fissava stralunata, pensando con tutta probabilità se prima tirarmi uno schiaffo e sommergermi d'insulti o fare il procedimento inverso.

-“E... cos'è che li... rende uniti?”-, ebbe la forza di chiedermi. Non era più viola. Sembrava solo estremamente presa dal discorso. Ma voleva suicidarsi? Non ci mettevo nulla a spiegarle i miei pseudo ragionamenti... però, ecco, avevo contato che il suo amor proprio le avrebbe impedito una richiesta simile. Dovetti prendere una boccata d'aria, e riorganizzare i pensieri prima di provare a motivare ciò che avevo proferito prima: -“Beh... un ossimoro è anche l'unione di bene e male.”-, mormorai, quasi avessi paura di essere sentita. Pure lei, l'ingenuità fatta persona, c'arrivò in poco tempo: -“Ma come fanno due cose così diverse ad essere anche solo minimamen... oh! Dipendenti.”-, -“Proprio così. Il bene ha bisogno del male per esistere, e viceversa. La luce deve avere delle ombre da cacciare, altrimenti non avrebbe un significato la sua permanenza. Le tenebre devono avere dei bagliori di vita da sopraffare, poiché se dominassero semplicemente tutto il pianeta, esso smetterebbe di esistere. E allora notte e giorno si susseguono da che mondo e mondo. Legati incondizionatamente. Il fuoco deve avere dell'acqua da scaldare, il sole del ghiaccio da sciogliere, il vento – quello caldo, che ti culla nel sonno quando dormi all'aperto d'estate – delle gocce di rugiada da disperdere. E nello stesso momento le nuvole devono piangere per spegnere le fiamme innestate da qualche fulmine nei boschi, le cascate devono riversarsi nei fiumi per permetterci di abbeverarci con essi spegnendo le fiamme delle nostre gole riarse, così come la grandine abbatte perfino i nostri animi violenti, raffreddandoli. Ossimori. Incomprensibili poiché impossibili. Eppure, esistono. Ci sono. Tu me ne hai dato la prova oggi stesso. Ma restano così insensati, che mi chiedo come possano non farsi sopraffare.”-

Era forse il primo discorso che affrontavo così angosciosamente e al contempo con serietà e ironia. Quel giorno doveva essere votato come quello più ricco di eventi.

Primo: non mi stavo deprimendo – cosa assurdamente complicata da ottenere e di breve durata se raggiunta – né crogiolando a pensare al mio non-futuro.

Secondo: Nessuno era scoppiato a piangere – se si prendeva in considerazione un'emotiva come Lucinda, era davvero un traguardo difficile – o morto, anche se – devo ammetterlo – più di una volta ho rischiato, soprattutto quando mi è stata lanciata la piuma con cui stavo per scrivere il mio bel compito – ancora incompiuto ma: dettagli – affibbiatomi dagli anziani.

Terzo: Ero riuscita a spiegarmi, parlando seriamente e senza battutacce, su un argomento più complicato di quelli affrontati normalmente.

I miei standard – piuttosto elevati, certo – erano stati superati, in un solo singolo giorno. E, ora che ci pensavo, le mie aspettative di vita le avevo completate. Avevo qualcosa su cui scrivere per il racconto. Mi girai, sconvolta, verso Lucinda.
-“Non ci crederai... ma ho appena avuto un'idea per il testo!”-, la resi partecipe. La sua risata arrivò, cristallina, ad alleggerire l'atmosfera. -“Questa è la conferma di cui avevo bisogno: dio esiste”-, conclusi, scioccata dal mio stesso pensiero condiviso ad alta voce.


Quattro ore e mezza, varie lamentele da parte mia, risatine made in Luce dopo, l'estenuante compito degli anziani era stato concluso. Quasi un'ora prima del calar della sera. C'era bisogno di dire che mi sentivo un mito?

-“Oh, era ora!”-, sospirai, gratificata, lanciandomi all'indietro e procurandomi quasi sicuramente un bernoccolo. Alla fine l'avevo vinta io la guerra contro l'etichetta, e mi ero sistemata bella comoda per terra, con Lucinda che mi fissava divertita dalla sedia. Lei, ovviamente, non voleva rovinare il vestito che indossava, quindi: no, grazie. Un pochettino mi ero offesa. Manco vivessi sommersa da venti centimetri di polvere! Oh. Beh, in quel caso l'avrei accettato. Però la capanna era piuttosto pulita: le pareti quasi sicuramente avrebbero luccicato se avessero mai visto il sole.

O forse no.

-“Non mi hai detto che fine ha fatto Lilith”-, rimuginai ad alta voce. Lei sbatté le palpebre, presa in contropiede. -“Eh? Che c'entra adesso?”-, nella sua perplessità un pizzico di amarezza.

Ah, bella domanda. Le avrei anche risposto. Certo. Se avessi saputo una replica da dare. Da dove era spuntata la rossa? Praticamente non avevo speso due secondi per pensare a lei, quel giorno, e ora toh! Sono stata folgorata dal un lampo di genio, mi sono ricordata come si conta, e mi sono accorta che invece di essere tre, stranamente, oggi eravamo in due. Perché me ne uscivo con assurdità simili? Perché volevo una sua conferma, prima di arrivare alla conclusione più giusta e sbagliata al contempo?

-“Veramente... non lo so. Allora?”-

Scrollò le spalle, con nonchalance. Ovviamente non aveva notato il mio tono d'urgenza. Lei non notava mai nulla di quello che mi turbava. Meglio così. -“Mi ha detto che sarebbe andata dalle sue amiche più grandi. Non l'ho capita.  Noi tre siamo praticamente coetanee.”-, si sentiva dalla sua voce. Luce era rattristata dal comportamento della “capo-squadra”. Che poi, se abbandonava Lucinda – Io non contavo: era comprensibile se non voleva passare tutto il giorno chiusa in casa, solo per tenermi compagnia – non vedevo dove si meritava il titolo della leader. -“E così, hai deciso di venire da me.”-, constatai apaticamente, guardando il soffitto. Il tono era indifferente. Ma le parole nascondevano un piccolo grande dolore pronto a scoppiare e ad inondarmi da un momento all'altro. Ho appena pensato che è normale... ma essere la seconda scelta fa ugualmente male.

-“In realtà...”-, incominciò con tono leggero: di nuovo tranquilla, ignara di tutto. Che meraviglia la sua innocenza. Adesso che ci penso, forse le invidio anche questo: l'avere il dono di non notare le cose cattive. -“Ero andata a chiederle se volesse venire assieme a me a trovarti. Ma si vede che aveva un altro impegno più urgente.”- Piccola ingenua Luce. -“No.”-, tagliai corto, alzandomi sui gomiti per fissarla meglio da sotto le ciglia. Sussultò sotto il mio sguardo. Troppo intenso anche per me. Non l'avevo mai inchiodata con un'occhiata. Non mi piaceva farla sentire in soggezione. Almeno lei, no. -“Si è stancata di noi. E' diverso. Non ti sei accorta che sempre più spesso s'inventa scuse? Non gradisce più la nostra compagnia, non è difficile da capire. Anzi. Non gradisce più la mia compagnia. Scommetto che il problema non sei tu, Lucinda. Come potresti? Sei gentile, fin troppo, e permissiva. Guardi sempre il lato buono delle persone. Anche lei ti apprezza. Sono sempre io quella che non va. Visto che sono sbagliata dentro, a quanto pare, continuo a sbagliare fuori.”-

Presi un profondo respiro, prima di continuare, con gli occhi serrati. Il cuore avrebbe retto? Dio, delle volte è così difficile cercare di ottenere il meglio per gli altri. Senza farsi male, ovviamente. -“Vai pure. Non ce l'avrò con te. Tu che hai una vita davanti non devi sprecare il tuo tempo con me. Certo, io ne ho poco, e sarebbe bene che lo passassi nel migliore dei modi... ma se si tratta di un futuro a lungo termine, allora è meglio se io assapori nell'amarezza quel poco che mi resta invece di rovinare tutta la tua lunga e piena vita. Perché, dopo che me ne andrò, dovrai pur passarlo con qualcun altro no? E allora, è meglio se lo spendi subito con chi ci sarà permanentemente per te, o per la maggior parte, che con una che potrebbe lasciarti sola da un momento all'altro.”-

Sentii il distinto rumore della sedia mentre veniva scostata. Stava per andarsene?

Occhi del cavolo... se ora mi fate piangere, giuro che vi cavo prima ancora di aver stabilito se davvero diventate semi-rossi alla luce. E tu, mio meraviglioso cuore difettoso... perché non mi fai il favore di smettere subito di battere all'impazzata e proprio arrestarti per sempre?

-“Susanna.”-, la voce decisa e perentoria della quindicenne mi fece percorrere da un tremito. Oh, dillo e basta. Va a farti una bellissima vita del cavolo e lasciami morire lentamente e  dolorosamente dentro, ma almeno in pace. -“Altro che scema...”-, borbottò. E parlò così piano che quasi sicuramente fraintesi. O forse, magari, anche no! -“SEI COMPLETAMENTE PAZZA, TU!!”-, strillò usando tutta la voce che doveva avere. E, oddio, forse mi trafisse un timpano quell'urlo isterico sparato a una decina di ottave. Altrimenti perché, all'improvviso, da un orecchio sentivo solo uno strano ronzio?

A quel punto mi alzai, semi-frastornata, e da brava ragazza qual ero – Perché si sa cosa fanno le ragazze quando si arrabbiano, no? -, la prima cosa che mi venne spontanea quale fu? Esatto. Cercare di gridare ancora più forte! -“E lo veni a dire a me?! Ma ti senti quando urli!?”- Ovviamente... fallii miseramente. Non ero proprio abituata ad alzare la voce in situazioni normali, figurarsi in un momento in cui avevo un timpano sfondato e un martello pneumatico nella testa! -“Dimmi tu! Ho appena rinunciato alla mia, quasi sicuramente, unica amica per permetterle una vita dove non verrà isolata solo perché frequenta Susan-la-ragazza-sbagliata, e mi vieni a sgridare perché penso prima a te che a me? Ma ti sembra sensato?!”-

Spiattellare in faccia ad un'altra persona le proprie ragioni, ci fa pensare automaticamente che questa non possa far altro che dare atto a tali argomentazioni. Così, ogni volta, si finisce per dare scontato le basi su cui reggono, ma sono quelle, in verità, a cui si mira sempre per far cedere un dato di fatto, e sono quelle che risultano essere sempre le più vulnerabili. Luce non fu da meno.

-“E dimmi la tua amica ti ha forse detto che avrebbe preferito Lilith e il suo nuovo gruppo a te?! Eh!? No! No, no e no. NO! Quindi perché dovresti mai preoccuparti per lei, me lo vieni a spiegare? Non è forse capace di scegliere da sola? SPIEGAMELO!”- Lei sì invece che aveva una voce perfetta per le grida. Sembrava nata per sbattere la verità dritta sul naso alla gente, puntando a colpire laddove si credeva di non aver nulla da proteggere.

E in quel momento non importava più se da una parte non riuscivo a sentire un'emerita “h”, e quel poco che capivo dall'unico orecchio superstite venisse sopraffatto da un mal di testa assurdamente insistente. Pure il cuore passava in secondo piano. Diavolo, stavo per dire per la prima e forse unica volta una cosa senza precedenti. Strinsi i pugni, irrigidendo le braccia lungo i fianchi, e nell'improvviso silenzio libero dalle urla si sentì chiaramente il mio profondo ispirare. -“Perché ci tengo alla mia amica. Le voglio bene. E ho capito che, per il suo meglio, sono disposta ad affrontare il mio peggio. Per la sua felicità, pagherò con la mia infelicità. E farò così con tutte le persone che amerò nella mia vita. E quindi, è meglio che lei si dimentichi volontariamente di me, prima che sia io a sparire portandole via un pezzo.”-, le mie parole si persero nella stanza, seguiti da un'altra inspirazione da parte mia. -“Io e te. Luce non hai capito? Siamo un ossimoro anche noi. Per il bene di una, l'altra deve soccombere. Nella fattispecie, tu sei la prima, io la seconda. Ed è giusto così.”-

Come eravamo finite a litigare? Come era possibile che di colpo, poi, le avessi confessato di volerle bene? Perché, tutto in quel giorno? Mi sarebbe venuto un esaurimento nervoso. Sarei crollata. Il mio cuore non poteva reggere tutti i battiti che stava affrontando. E poi, se ognuno di essi mi avvicinava alla fine, in pratica stavo sprecando secondi preziosi, così. Per lei. Lucinda. Come avevo potuto permetterle di diventare così importante? La mia migliore amica. Assurdo. Come se mi servisse una motivazione in più per perdere il poco di tempo che avevo. E io lo stavo consumando - eccome se lo stavo consumando – per cercare di salvare lei, quando non potevo nemmeno salvare me stessa.

-“Chi ti dice che la mia felicità è da trovarsi altrove? Io sono contenta quando passo il tempo con te, sai, Susan? Altrimenti perché starei ancora qui? Perché mi sarei irritata, dandoti della pazza? Ci tengo a te, quanto tu tieni a me. Anch'io ti voglio bene. Molto di più di quanto ne abbia mai voluto a Lilith. Quindi perché dovrei andare con lei, quando sto meglio con te? Otterremmo solo l'infelicità di entrambe, in questo modo.”- La sua voce era troppo convincente. Mi ritrovai a pensare che avesse ragione, ma non era vero. L'aveva detto lei prima, e l'avevo ribadito io, dopo. Avevo quasi sempre ragione. Quella volta si trattava come ogni giorno del “sempre” e non del “quasi” come invece la sua voce stava cercando di convincermi. Avrebbe portato solo dolore, lancinante dolore, eppure non le fregava niente e mi stava istigando a pensarla come lei.

Sorrise. Come trovava la forza di piegare la labbra all'insù? Come faceva ad essere così forte, ad essere così convinta di quel che diceva? Mentiva, e non se ne accorgeva. Mi raccontava bugie, credendo che fossero verità. E io ero troppo propensa ad avere fede in quelle menzogne. Davvero troppo, troppo propensa. -“E... se non sbaglio gli ossimori sono dipendenti.”-, aggiunse. Giusto per farmi sentire uno schifo ancora più grande vero? Sto per sbagliare, commettere il più grande errore della mia vita, e lei se ne usciva così. Tranquilla. Come se non potesse essere altrimenti. Come se non esistesse un'alternativa.

E se io avevo quasi sempre ragione, quasi sicuramente l'avevo avuta quando avevo detto quella frase. Così, mi ritrovai a combattere tra due ragioni nello stesso momento. Parole che avevo pronunciato io stessa, in circostanze differenti e che, in base all'angolazione in cui si guardavano, erano entrambe vere e false, giuste e bugiarde, veritiere e confusionarie. -“Certo che però... ci staresti a braccetto con Lilith, davvero. A quanto vedo, pur di ottenere quel che volete, siete disposte anche a distorcere pensieri altrui”-, sorrisi e lei ebbe la certezza di aver vinto. Quella volta almeno.

Lei lo ricambiò, rasserenata. Qualche secondo dopo arrivò la sua domanda: -“Vuoi sapere perché invece io trovo che gli ossimori abbiano una bellezza sconvolgente?”-


Ci sono quelle frasi... che ti rimangono impresse a vita nella mente, come scritte su un foglio. Per cancellarle, devi aspettare che esso venga consumato dal tempo.


-“Susanna, oggi non mangi?”-

La domanda - posta in un tono zuccherato e amorevole, che mal sopportavo abitudinariamente – arrivò distinta mentre mi pettinavo con le dita la chioma. Capelli di un oro sbiadito dal sole, come se fosse stato consumato da esso, corroso, che non si accostavano così malamente al resto della mia figura. Erano sciupati come il resto di me... che c'era di male?

-“Ho già mangiato con Luce”-, sorrisi, benché mia madre non mi potesse vedere, rintanata in cucina. Noemi si era fortunatamente fermata da una sua amica. Fortunatamente perché, tutti i discorsoni fatti con Lucinda, non mi avevano comunque fatto dimenticare una delle mie più grande angosce. E proprio non mi andava di fissare quella piccola, innocente, creatura dagli occhi chiari e trasparenti come la sua anima, e pensare che probabilmente l'avrei odiata se avessi scoperto di essere l'unica delle due a essere stata vittima di qualcosa che avrebbe dovuto intaccare anche la sua perfezione. Perché volevo il suo male? Perché non potevo essere una brava sorella maggiore senza essere invidiosa di qualcosa su cui lei non aveva voce in capitolo?

A quella  risposta, mio padre – che stava tranquillamente passeggiando per la capanna, come se non avesse nulla di meglio da fare - mi lanciò una più che eloquente espressione interrogativa. -“E da quando voi due sapete cucinare?”-, inquisì sospettoso. -“Allora... nel giorno Mai dell'anno Immagina abbiamo imparato questa meravigliosa arte. Non l'abbiamo mai messa in pratica perché... beh, non volevamo dar accidentalmente fuoco alle rispettive dimore con la nostra passione per la cucina”-, lo resi partecipe, con voce fin troppo annoiata, mentre afferravo lo scialle color panna posto lì vicino. La risata di mia madre non risultò affatto soffocata dal rumore degli utensili. -“Dì piuttosto fuoco e basta.”-, mi riprese tranquillamente lui, rivolgendomi un ultimo sorriso, prima di incamminarsi verso il profumo di carne arrostita.

-“Dimmi un po', cara, le galline continuano a rivolgerti spiritose battute anche da morte? No, perché avrei giurato di sentirti ridere.”-, -“Oh, devi aver sentito male, caro. Ti assicuro che sono belle stecchite. Non parlerebbero neanche sotto tortura”-

Mi sembra di aver udito ciò mentre mi accingevo ad uscire. Ma chissà... magari era un'altra spiritosaggine creata da qualche animale più burlone del solito.


-“Beh, non ne ho la più pallida idea. Quindi dimmi, Luce, perché gli ossimori posseggono una bellezza sconvolgente?”-
-“Perché non possono essere insensati quando ciò che ideano è pura magnificenza.”-
-“Ah. Sì. Credo. Ma tu... cosa intendi precisamente con ossimoro e pura magnificenza? Non riesco a legare le due cose.”-
-“I tuoi occhi”-
-“Ooooh, sì. Ora ho capito tutto.”-
-“Smettila e ascoltami, capito? E'... è una cosa profonda, piena di significato... qualcosa che ti farà battere forte il cuore e ti riempirà la vita per molto, molto tempo!”-
-“Pff... ahahahahahahah! Sei in vena di gaffe pure tu?”-
-“DICO SUL SERIO, SUSAN!”-
-“Ho capito, ho capito, sto muta! Ma non gridare! Oddio il timpano...-
-“Zitta. Bene. Allora, dicevo... i tuoi occhi. I tuoi occhi mandano lampi ogni volta che sorridi. Il sole nero che celi nel tuo sguardo, dopo averlo accidentalmente raccolto in te, illumina le tenebre, con migliaia di raggi d'ombra. Non hanno calore, queste braccia di tenebra che si estendono dal nero infinito delle tue iridi... e come potrebbero, essendo generate in un luogo dove non v'è luce? Ma, quando vengono concentrate nel tuo sguardo ridente e le vedi illuminare il luogo ombroso da cui provengono... Capita che mi senta scaldare il cuore da questi tuoi raggi ghiacciati. Lampi distruttori e ammaliatori, che portano con loro luce, dove prima vi era tenebra. Per questo... i tuoi occhi sono uno di quei ossimori pieni di bellezza sconvolgente.”-
-“...”-
-“Cos'hai da guardarmi con quella faccia beffarda?!”-
-“...”-
-“Rispondi!”-
-“...”-
-“Si può sapere perché ti stai colpendo la testa con un palm- aaaah!”-
-“...”-
-“Tira giù quelle mani! Non devi mica accogliere la grazia dal cielo per questo!! Uff... Puoi parlare”-
-“Era ora! Beh, dicevo, o meglio, pensavo... che devi esserti proprio rincretinita tanto tempo dietro i miei occhi, per arrivare a comporre una specie di poesia! Cioè, lo so che sono affascinante e non puoi resistermi neanche tu... ma proprio con tutto quello che ho da offrire tu vai  a pensare ai miei oc-”-
-“Susan.”-
-“Dimmi tutto!”-
-“IO TI UCCIDO!! TI HO DETTO CHE PARLAVO SUL SERIO! MA MI HAI ASCOLTATA?!”-
-“Anch'io ti voglio bene, Luce. In effetti la tua dimostrazione d'amicizia era più originale, ma vabbeh. Mi limito a dirti questo.”-
-“SEI UNA SCEMA! UNA SCEMA SENZA RITEGN- Cos'hai detto?”-
-“Che sto morendo di fame.”-
-“...”-
-“Tu no?”-
-“E io che pensavo... oh, ti ucciderò. Eccome se ti ucciderò un giorno di questi!”-
-“Prima mi dichiari il tuo amore e ora mi minacci di morte? Deciditi, Lucinda.”-
-“No, non posso aspettare. Adesso. Sì, morirai decisamente ora. Quindi... MUORI!!”-
-“...”-
-“...”-
-“Oh. Scusa. Stavo aspettando la stella cadente. Deve essere già passata e io non l'ho vista. Infondo è ancora giorno. Comunque... sei consapevole, vero, che se sveli ad alta voce i tuoi desideri essi sono destinati a non realizzarsi mai?”-
-“In realtà... aspettavo che iniziassi a correre, scema.”-
-“Non siamo un po' troppo grandi per rincorrerci...?”-
-“Non se una cerca di accoppare l'altra.”-
-“Oh, non farei mai una cosa simile! Non avrei più nessuno da irritare a morte, poi!”-
-“Hai capito male la disposizione dei ruoli, Susanna cara.”-
-“Mmm... Spegneresti i miei bei occhi? E poi come faresti a vivere senza di essi?”-
-“... Prepariamo questa cena che è meglio.”-
-“Finalmente l'hai capito! Accidenti, hai dovuto girare in tondo per un bel po', eh?”-

In effetti, però... mancava poco, e la casa rischiava di andare davvero a fuoco
, pensai. Ne sarebbe stata capace, quella squilibrata di Luce. Era piuttosto irritata. Cioè... l'avevo - volutamente - piuttosto irritata. Quando s'arrabbiava non distingueva più l'emozioni che cercavo di dissimulare. Era stato più semplice nasconderle le lacrime di commozione e i sorrisi inteneriti. Tutto sommato... era una buona migliore amica. Ero io che ero pessima.

Quando il venticello serale m'investì, si portò via i ricordi di quella giornata, permettendomi di riempirmi i polmoni della sua freschezza. Per svuotare la mente mi bastava quello: entrare di nuovo in contatto con il mondo reale, dopo un'intera giornata in cui mi ero isolata da tutto; da tutti. Il crepuscolo era calato da tempo, e ora non vi era nemmeno più la traccia del sole morente. Le nuvole erano come sparite, lasciando lo spazio ad una notte serena, priva di luna, ma piena di stelle. Milioni di stelle. Per ogni puntino luccicante che notavo appeso a quel mantello blu, mi sembrava di aver un amico al mio fianco a farmi compagnia.Certo, ormai non c'era già più nessuno del vilaggio a camminare per le sue strade. Ma quei milioni di amici lassù c'erano sempre, invece. Erano lontani, tanto. Perfetti nella loro bellezza, troppo. Però erano i miei tanti troppi amici inavvicinabili  e preziosi. I miei punti di luce, in un mondo di oscurità.

Sospirai, serena, riabbassando il capo. Meglio vedere dove mettessi i piedi per non rotolare rovinosamente. Mi strinsi nello scialle.

Anch'io ero bianca, pronta a raggiungerli da un momento all'altro. Ma per ora, per quanto mi attirasse la compagnia di quelle algide stelle, preferivo restare coi piedi a terra, sentirne la consistenza sotto le piante dei piedi e la durezza sulle ginocchia quando sarei caduta in balia alla mia malattia. Fissavo il percorso che stavo consumando e pensavo a quanta strada avrei ancora potuto fare prima di giungere al traguardo. Quando l'avrei oltrepassato avrei gioito poiché mi sarei congiunta coi miei amici stellari, o mi sarei rattristata considerato che avrei lasciato quelli terresti?

Soltanto quando raggiunsi il fiume in cui avevo rischiato di annegare e mi arrestai, levai il capo.

Quel giorno d'estate, alla luce del sole, quel luogo era sembrato meravigliosamente ricco di vita, colmo di speranza per il futuro. Tutto era bello. Tutto era possibile. Bastava desiderare una cosa, per ottenerla. Voglio volare come i petali di giglio, ti ritrovavi a desiderare. E allora chiudevi gli occhi, e al sicuro, dietro le palpebre serrate, ti sentivi leggera, libera come le farfalle che sorvolavano i dintorni. A quel punto era come essere trasportati tra le nuvole dal vento gentile, diventare luce e illuminare il proprio io interiore, scoprendo quanto fossero potenti le emozioni che la natura ti può donare.

Da cinque anni a questa parte, la notte era diventata quasi completamente il mio regno. Mi risultava difficile anche solo sopportare il sole pallido dell'inverno, e così, da quel giorno la sera divenne la miglior compagna di viaggi. E la notte cambia le cose: le trasforma. 

All'inizio avevo tremato di fronte all'arrivo delle ombre: cacciavano via il sole e prendevano il dominio su tutto il villaggio e delle lande circostanti - fino all'orizzonte – in un paio d'ore. E i colori cambiavano. Il verde diventava di un grigio quasi smorto, e ti chiedevi come fosse possibile che i rami degli alberi sembrassero braccia d'uomini che si dimenavano nella loro agonia.  I fiori si chiudevano, come per proteggersi dall'oscurità, e la luce creata dalla luna e dalle sue compagne stelle donavano a tutto il paesaggio un'aria misteriosa. Sotto quella minacciosa luminosità metallica azzurra-bianca, gli animali all'improvviso tacevano, e ogni folata di vento portava con sé sussurri lontani percepibili nel completo silenzio che regnava all'improvviso.

Il sole è morto, aiuto. Si è dissanguato un'ultima volta, e ora il lutto della notte mi inghiottirà indisturbato, prima che io possa cercare la luce in questo labirinto di ombre.

Poi mi ero accorta che lui tornava sempre a risplendere, costringendomi a farmi correre ai ripari. Non ci volle molto... e iniziai ad odiare il suo sorgere, il suo rinascere. L'oscurità divenne un'amica, che sapeva ascoltare e mantenere segreti. Il giorno la mia condanna, che mi portava a rifugiarmi in attesa del crepuscolo.

Sospirai, raggiungendo il carrubio e sedendomi alle sue radici.

-“Tutti pensano che il sole cacci i turbamenti dell'animo. E io sono convinta che la notte porti pace e serenità alle angosce. Assurdamente contraddittorie ma entrambe vere. Un altro caso di ossimoro? Ma poi... mi chiedo se sia solo io che vado sempre contro corrente.”-

Non ottenni risposta al mio ragionamento, e la notte inghiottì anche quelle parole, pronta a farle annegare e dimenticare dentro le sue coltri scure. Che rintronata che ero. Parlavo al vento, e pretendevo pure che mi rispondesse.

-“Io non ci trovo nulla di male nell'essere unici di proprio genere. Sfidare le convinzioni degli altri, trovando nuove vie è una conseguenza che può essere vista in malo modo, ma che in verità porta solo a vedere nuovi orizzonti”-

Quello, decisamente, non poteva non essere che un sussurro trasportato fino a me. Piccolo dettaglio: la sua fonte era piuttosto vicina, poiché ne avevo afferrato il contenuto.

La stella cadente di Lucinda è venuta per accontentare il suo desiderio?
 


 
 
 
 
Note dell'autore:
"Ehm. Non faccio promesse, perché ogni singola volta - ma non ne manco una - che giuro qualcosa in campo scrittura-lettura-commenti non riesco a mantenere gli impegni per forze maggiori ._.
Mah. Spero di riuscirci prima che volino via 2 settimane :]", DISSI.
Pff...
AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH.
Sono giusto un tantino in ritardo. Ma solo un tantino, cazzo. [Niente parolacce, dai. Dopo tre anni di disintossicazione da queste, proprio ora ritorno nel giro? Però ci stava! Caaaa-volo se ci stava.]
Non so che scrivere qui. Compilo il resto, va.
Non uccidetemi.
Non ancora, almeno.
Prima devo finire gli esami e vedere se tutta la mia fatica è valsa qualcosa.
Grazie :3

1. Susaaaaaa
~n [Okay. No. u_u]
Direi che la sua personalità inizia a prendere forma ^____^
In TEORIA dovrebbe risultare incazzata col mondo, gelosa di sua sorella stessa - e questo la fa arrabbiare con se stessa -, ma abbastanza altruista da arrivare a pensare che, se deve scegliere tra il salvaguardare la sua stessa vita e quella della sua pseudo migliore amica, preferisce salvare Lucinda, poiché è convinta che una lunga vita meriti il sacrificio di una più breve.
Assurdamente dark *_*
Poi, volevo aggiungerle quel filo - MOLTO SPESSO - di auto-ironia e un piccolo accenno - questa volta dovrebbe essere DAVVERO piccolo xD - di arroganza. Le battute le escono così, per smorzare i suoi stessi pensieri.
Ah!
Odia il silenzio.
Se l'avete notato è nei momenti in cui è sola che pensa con maggior isistenza al destino che l'attende, e questo, ovviamente, la spaventa a tal punto da ripudiare qualsiasi speranza per un futuro migliore. Luce in questa Fic servirà soprattutto per non far deprimere Susan - che poi, un capitolo tutto malinconico e triste è davvero difficile da digerire se aggiunto al contenuto privo di senso! -, e donare qualche sprazzo di vivacità. ^___^ Detto questo resta una FF assurdamente malinconica ugualmente - per motivi inerenti alla trama.
Questo capitolo è centrato soprattutto sul legame che Sus sta instaurando con il tempo con Luce, e al distacco di Lilith - che odiavo in Passion, odio in questo cap e odierò quando ne parlerò ancora -, ma come avrete notato il rapporto tra L e S è piuttosto altalenante xD Ciò è dovuto principalmente al mio pseudo odio verso Price, ma del resto, anche Susanna adora far irritare Miss Luce, per non farle capire quanto tiene a lei in realtà.
Susan odia i sentimentalismi. O almeno, quando è lei a doverli manifestare verso una persona ;]
Spero sia capito tutto questo almeno in parte ç__ç

2. La citazione, giusto - la mia croce, in questo c. xD -:
Freud.
Credo sia superfluo specificare che è rivolto a Susan.
Il motivo è piuttosto evidente ;D

3. La malattia di Susan - frutto di dieci pagine salvate tra i "preferiti" LOL -:
Da cosa comincio? Come lo spiego? Cioè è brutto. Oddio ma è azzeccato a questa storia?! Non è che mi sono informata male...? Forse è meglio se leggo meglio tutte le informazioni che ho, perché... ohccavolo, non ci sono dei riscontri!! Posso modificare qualcosa e addattarlo alla FF?
E' una cosa di cui non vedevo l'ora di parlare poiché sono sicurissima di ciò che sto per dire ^________^
Il fatto è che sono indecisa tra due cose :| QUINDI HO DECISO DI FARE UN MISTO PERCHE' IO OVVIAMENTE NE CAPISCO DI PIU' DEI MEDICI E UNA COSA SIMILE E' POSSIBILE MUAHAHAHAHAHAHAH
No. u____ù
Scusate devo fare ambarabàciccicoccò. Sì perché vi pare che una malattia dia il riscontro perfetto per la situazione di Susan ma al contempo sia riscontrabile principalmente in uomini di mezz'età accanitori di fumo, e l'altra non sia abbastanza? No ecco.
Vabbeh, vado lo stesso per l'Aritmie.

 

L'aritmia cardiaca è un’irregolarità del battito del cuore, che batte troppo lentamente, troppo velocemente o comunque in modo irregolare. Esistono differenti tipi di aritmia e la maggior parte non è particolarmente pericolosa; ma alcune potrebbero invece essere rischiose per la vita.
La ragione per cui alcune forme sono pericolose è che un battito cardiaco irregolare può compromettere la capacità del cuore di pompare abbastanza sangue, questo potrebbe determinare una bassa pressione sanguigna, che potrebbe anche portare alla morte.


-Ehm, benché prima non mentissi quando ho detto che non sapevo bene quale malattia fosse più adatta ad appioppare a Sus, era una specie di "smorzatura", insomma... stavo cercando di farvi prendere con un po' più leggerezza questo problema al cuore che invece é MOLTO IMPORTANTE, e su cui non si deve scherzare. Freud, ricordatevi.-

Ma non è finito qui. Eggià ù-ù
Vi ricordate che la nostra Susan ha manifestato questo "difetto" al cuore in un momento specifico? Ecco, ora, non solo ho fatto in modo - perché io posso! Assi sisi si - che ella sia una di queste "particolarità" che si verificano nell'aritmia, ma ho anche manipolato il corso degli eventi in modo che questa malattia sia legata ad un'altra particolarità della nostra protagonista ^.^

Ebbene. Ora vi spiego con calma. u3u - COME SE QUALCUNO LEGGESSE QUALCOSA DI QUELLO CHE SCRIVO, certo certo u_u -

Albinismo. - Non vi rifilo la pagina di Wikipedia perché non CI interessa xD -


 

Albinismo, un gruppo di malattie ereditarie, provoca poca o nessuna produzione del pigmento melanina. Il tipo e la quantità di melanina che il corpo produce determina il colore della tua pelle, i capelli e gli occhi. La maggior parte delle persone con albinismo sono sensibili all’esposizione al sole e sono ad aumentato rischio di sviluppare il cancro della pelle. La melanina gioca anche un ruolo nello sviluppo di alcuni nervi ottici. Tutte le forme di albinismo causano problemi con lo sviluppo e la funzione degli occhi.

Occhi: 
La mancanza di pigmento nella parte colorata degli occhi (iridi) li rende alquanto traslucido. Ciò significa che le iridi non possono bloccare completamente la luce di entrare nell’occhio. A causa di questa traslucenza, occhi molto chiari possono apparire rosso in qualche illuminazione. Ciò si verifica perché si sta vedendo la luce riflessa dalla parte posteriore dell’occhio e passando di nuovo fuori attraverso il diaframma di nuovo – simile a occhi rossi che si verifica in una fotografia del flash.


Traduzione? Beh, per me questo è praticamente l'invito a poter rendere gli occhi di Susan speciali ^___^
Neri - Nerissimi come dice lei - e alla luce del sole con qualche traccina di rosso :3
Okay, l'articolo non dice proprio questo, ma mi facevo comodo, ecco u_u
Che volete da me? E' così difficile far combaciare le cose! D:


4.Lunghezza di questo capitolo:
Odio con tutto il cuore questo cap xD

E' un mattone O___O
Un mucchio di parole buttate lì, quasi a caso.
Anzi, la prima parte ancora un po' va, ma da un certo pezzo in poi ci si accorge di un notevole picco... verso il basso ç_ç


5. Nomi (?):
Un po' di precisazioni - che voi evitereste volientieri ma pazienza TwT Servono u.u - e curiosità ^_^
Susanna: 
Questo nome deriva dall’ebraico “sushan”, che vuol dire giglio, simbolo di purezza. - L'ho preso dal Dizionario di Plasmon "Scegliere il nome per il proprio bambino-o-qualcosa-del-genere-comunque" ^O^ E non guardatemi male, eh TT3TT Sono uno schifo nei nomi, e schiacciando qua e là è uscito quello, quindi mi son detta: perché no? Inoltre, la descrizione del presunto carattere di coloro che si chiamano Susanna mi ha fatta schiattare dal ridere perché conosco una che è l'esatto contrario xD Quindi ho detto: ma facciamo questa gaffe!
Noemi Maryam: [La sorella minore di Susan a cui ho dato due nomi perché ero assurdamente indecisa e_e] Noemi: Il nome ha origine ebraica ed è tratto da Noam e significa 'gioia, delizia oppure DOLCEZZA MIA - me gusta l'ultima *^* - '. E' il nome della matrigna di Ruth. Maryam: sempre di origine ebraica, significa "Principessa, signora" :3 Perfetto, no? "Dolezza mia principessa", il nome dovrebbe già far pensare a qualcosa di dolce, meravigliosamente delicato, da invidiare ^____^

6. Una ragazza. Boh, chi sarà? O.O :
Due parole. Ma proprio DUE! Non mi spreco, ma spero lei capisca

 

Grazie, Chloe 


Ma... il cuore si conta come carattere?! <___<"
Coooooooomunque. Più grande non ci stava x"D Spero le faccia piacere ugualmente ^^"
Chissà se legge queste note... mah! :,3


-JJ

 









 






 
 
 
  
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