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Autore: EmmaEvans    16/06/2014    2 recensioni
Hope aveva un disperato bisogno di ricominciare una vita normale: per capire chi era davvero e per chi poteva diventare, lasciando perdere il proprio passato. Era stata segnata dall’Ombra e tutti glielo ricordavano appena la guardavano. Sapevano, anche se non c’erano più segni visibili del suo passaggio. E lei non ne poteva più: voleva qualcuno di naturale, qualcuno che non sapesse del suo passato e che la giudicasse per come era adesso, non per come era stata. E Noah, un ragazzo conosciuto su internet e mai visto, è esattamente ciò che cerca. Più o meno.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ecco qui, come promesso, l'epilogo diviso in due parti. Inutile dirvi che sono molto triste per il fatto che sia finita, però, insomma, prima o poi doveva succede e doveva finire... in qualche modo. Penso che sia altrettanto inutile dirvi che se siete solite ascoltare musica mentre leggete, in questo caso vi consiglio vivamente Story of My Life degli One Direction, come suggerisce il titolo.
Okay vi lascio all'epilogo!
Come al solito tanti abbracci, tantissimi abbracci stritolatutto a tutti

buona lettura
Emma ;)
Ps: non ci crederete mai: sono in modalità shuffle dell'iPod ed è cominciata... Story of My Life. T.T .


Epilogo parte 1 – Story of my Life, One Direction

 

Liam cercò di nascondere il viso nella visiera del cappellino che si era calcato sulla testa. Era entrato di soppiatto, lo sguardo fisso sul pavimento finchè non era entrato nello stadio e si era seduto al suo posto. Poi l’attenzione era stata attratta dalla gara e lui, finalmente, aveva potuto togliersi il cappellino. Si riavviò i capelli aspettando il suo arrivo.

Hope prese un bel respiro. Mentre la musica della ragazza prima di lei sfumava nello stadio, il cuore di Hope cominciò a batterle nel petto con tutta la sua forza.
Sarebbe toccato a lei.

 

Hope aveva superato l’intervento con successo. Il dottor Colin Cooper aveva rimosso tutto il cancro, che la chemio aveva ridotto sensibilmente.
Ci avrebbe impiegato un mese e mezzo a riprendersi completamente. Tre per riprendere in mano la sua vita  e sei, invece, per far ricrescere i capelli e riacquistare i chili che aveva perso. Facciamo cinque, con la quantità di gelato che aveva mangiato.

 

Si mise in posizione al centro dello stadio, il braccio alzato verso l’alto, non prima di aver lanciato un’occhiata verso il suo allenatore, fuori dalla pista, dietro la balaustra, che la guardava con le braccia incrociate. Anche lui era teso. Jean le rispose con l’occhiolino.

Dire che era splendida era poco: il vestito, disegnato e preparato su misura per l’occasione, era di un blu notte con pizzo nero che le disegnava strane figure sulla schiena nuda e sulle mani. Sembrava che fosse stato disegnato direttamente sulla sue pelle, come un tatuaggio. Il trucco, leggero, le faceva risaltare il contrasto tra i capelli rossi, legati in una treccia, la pelle bianca come la luna e il vestito color notte.

Hope guardò verso l’alto e chiuse gli occhi, pronta.

 

Aveva destato un po’ di scalpore la scelta della sua canzone: non era la classica canzone di musica classica che soleva accompagnare le pattinatrici nei loro dolci movimenti. Era scritta da un gruppo di cinque ragazzi, una delle più famose e delle più belle che avessero mai fatto.

 

La relazione tra Harry e Hope era rimasta nascosta da Giugno a Settembre, quando lei, finalmente, era uscita dall’ospedale. Poi i due vennero avvistati insieme un paio di volte dalle parti di Sevenoacks, dove lei viveva. Si diceva che avesse fatto la spia una vecchia amica della ragazza in questione, una certa Erika. Comunque la loro storia era presto diventata di dominio pubblico e Harry non aveva esitato a procedere per le vie legali: l’aveva già fatto in passato (con Pamela) e voleva lasciare in pace Hope. La sua vita da cantante non doveva nemmeno sfiorarla, almeno finchè lei non si fosse ripresa a sufficienza per affrontarla.

Harry si era sentito talmente sollevato dal fatto che Hope era sopravvissuta che iniziò a sognare ad occhi aperti cosa avrebbe fatto con lei appena si fosse ripresa: l’avrebbe baciata, di certo, mille volte e più di mille imprimendosi nella testa ogni singolo bacio.
Ma si rese conto ben presto che non sarebbe stato così facile recuperare da dove avevano interrotto, quel pomeriggio, a casa sua, quando Hope era stata male.

 

"She told me in the morning she don’t feel the same about us in her bones
it seems to me that when i die these words will be written on my stone"

Harry, per tutta la durata del loro rapporto, l’aveva amata come si può amare, al massimo, la propria vita. Lui lo sapeva. Ne era certo. Ma ogni tanto doveva cantare quella canzone per ricordarselo e per cercare di ricordarsi che aveva fatto, davvero, tutto il possibile. Ma era il suo, di cuore, che aveva iniziato a soffrire, rimanendo vuoto e arido. Lui aveva speso il suo amore, finchè, una mattina, qualcosa in lei si era rotto definitivamente. Gli aveva detto che non sentiva più le stesse cose su di loro, sulla loro storia. Se lo sentiva nelle ossa che dovevano chiudere. Lui si sentì come morire. Avrebbe voluto quelle parole scritte sulla sua tomba.

 

Serie di passi. 

Ferma.

Serie di passi.

Piccola giravolta.

Veloce.

1,2,3… Lutz.

The Story of my Life, I take her home,
I drive all night to keep her warm and time…” 

Un flash, sentendo le parole di lui nella canzone:

Harry aveva guidato quasi tutta la notte per giungere a Penzance, che per lei era quasi una seconda casa. Hope aveva passato la maggior parte del tempo a dormire, con la coperta addosso, il viso voltato verso il finestrino. Ogni tanto Harry si era girato e le aveva lanciato un’occhiata per vedere se era ancora viva.
Sua madre, Hannah, non era stata d’accordo quando Harry le aveva proposto di portare sua figlia a fare una piccola vacanza. Harry, le raccontò poi, si era dovuto letteralmente inginocchiare sullo zerbino di casa per convincerla.
Era passato quasi un mese dall’operazione ma sua madre ancora non si fidava. Soprattutto perché il viaggio sarebbe stato di notte. E come biasimarla? Due volte sua figlia aveva avuto il cancro, due volte aveva dovuto subire l’effetto straziante della chemio. Ma due volte aveva sconfitto la malattia, riuscendo a uscirne. Cambiata, di certo, ma vittoriosa.
Harry aveva guidato tutta la notte, organizzando tutto con estrema precisione, per arrivare in tempo a Penzance e, al contempo, tenerla al caldo, dato che fuori l’aria era gelata.

Harry parcheggiò vicino al posto che più le piaceva: la scogliera a nord della cittadina, dove il mare colpiva le rocce, spumeggiando rabbioso. Sotto, il porto. Il padre di lei gli aveva dato un paio di preziosi consigli su dove portarla.

“Siamo arrivati” disse Harry scendendo dalla macchina, dopo averla svegliata con un bacio sulla guancia.

“Che stai facendo?” chiese assonnata, mentre lui apriva la portiera dalla sua parte e faceva per prenderla in braccio. Non sapeva che cosa stava succedendo, Harry non le aveva detto dove la stava portando. Semplicemente, le aveva detto di dormire e che quando sarebbero arrivati, gliel’avrebbe fatto sapere.

 “So camminare” gli disse più per cortesia.

“Ho promesso che non ti saresti stancata” disse Harry, prendendola tra le braccia. Lei gli mise le braccia al collo. Poi dando un leggero colpo alla portiera, Harry chiuse la macchina.

Hope lo guardò negli occhi. Poi si rassegnò e appoggiò la testa sul suo petto, mentre Harry cominciava a camminare.

Fecero qualche passo e infine Harry la posò sulla panchina.

Hope guardò il paesaggio e le si dipinse un sorriso vero sulle labbra. Era raro, soprattutto nell’ultimo periodo. Aveva riconosciuto il posto. E i suoi occhi furono rapiti dal colorito pallido del cielo. L’aveva portata a guardare l’alba.

Hope respirò profondamente sentendo il sapore del sale sul palato. Harry le era accanto, in piedi, ma anziché guardare lo splendido spettacolo di luci e di colori, guardava lei, che era più bella di qualsiasi panorama. Gli era mancato quel sorriso e fu felice di esserne l’artefice ancora una volta. Guardò anche lui lo spicchio infuocato del sole che cominciava a nascere dalle onde del mare, in lontananza.

Ce l’aveva fatta: era arrivato in tempo.

Capì perché ad Hope piaceva tanto quel posto.

Quando il cerchio del sole fu quasi perfetto a qualche centimetro al di sopra dell’orizzonte del mare, Harry si avvicinò al bordo della scogliera, a qualche passo dalla panchina dove aveva lasciato Hope 

“Ehi qui è alto” disse.

“Harry…”

“Ma qui dici che si buttano?”

“Harry…”

“E’ alto, quindi, secondo me no. E’ troppo alto!” 

Guardò giù e si avvicinò ancora di un passo per sentire il brivido dell’altezza.

“Harry ti prego, allontanati da lì…”

Bastava un altro passo. Bastava un altro passo e lui sarebbe scomparso dalla sua vista. Bastava poco, bastava una distrazione.

“Non ti preoccupare” disse Harry, più divertito dal dirupo che attento al tono di Hope. “Cazzo, no sul serio… E’ alto!”

Harry fece dondolare un piede nel vuoto e Hope urlò “HARRY TI PREGO TOGLITI DI LÌ!”

Quando Harry si voltò, la ritrovò in piedi con una mano allungata nella sua direzione. Era spaventata. 

Lui le sorrise, cercando di rassicurarla.

Le prese la mano, allontanandosi dal vuoto e avvicinandosi a lei. Lei lo abbracciò, tuffandosi tra le sue braccia.

“Ehi…” disse lui, avvolgendola nel suo abbraccio. Lei si staccò, lasciando le  mani appiccicate al suo petto, stropicciandogli la maglietta. Lo guardò dritto negli occhi alzando il viso e si prese tutto il tempo necessario per studiargli il viso: gli occhi verdi-azzurri, lo sguardo allegro, il profilo marcato e quella specie di nido di vespe che aveva al posto dei capelli.

“Non farlo mai più” disse Hope appoggiando di nuovo il viso al suo petto. Il battito del cuore di lui era forte e chiaro. Questo, l’aveva sempre tranquillizzata. Era ancora lì. Per davvero. “Non voglio perderti” sussurrò. Sentiva di aver bisogno di lui e della sua forza.

Harry la strinse forte “Nemmeno io, Hope. Mai più.”

 

 

Serie di passi.

Cambio.

Doppio axel.

…is froooozen…”

 

Le loro poche foto che erano circolate sui giornali poco prima che Harry facesse quella pazzia di portarla a Penzance, guidando tutta la notte, l’avevano spaventata. Harry era una star, una star desiderata e parlata. Lei, invece, voleva avere solo pace: pace per pensare a lei e a quello che voleva da una vita che per due volte l’aveva fregata. Penzance, con Harry,  era stata fantastica: si era detta che le foto, i giornali ed i concerti sarebbero stati solo una fase e tutto si sarebbe risolto. Ma una volta tornati, una volta che la loro vita era ricominciata normalmente, si era ritrovata a farsi le stesse domande che si era fatta prima: Harry era un cantante, era famoso e ciò faceva parte di lui. E lei chi era per pretendere che lui mollasse tutto? Soltanto per aver pensato che fosse una misera fase di vita, come se fosse stato solo un suo piagnoso capriccio? No. Nessuno dovrebbe rinunciare ai suoi sogni per amore. E lei non si sentiva pronta per affrontare quel tipo di vita. Aveva un sacco di cose da fare e che voleva portare avanti: niente e nessuno doveva fermarla. E poi… Poi era davvero innamorato di lei? E lei lo era di lui? Era stata in ospedale per quasi la maggior parte del tempo in cui si erano realmente frequentati. I sentimenti verso di lui cominciarono a vacillare paurosamente: Harry vedeva la Hope malata, non la Hope vera. Anche lui era rimasto fregato dal cancro. Hope non poteva amare una persona che non l’amava per come era davvero.

Doveva cominciare ad abituarsi all’idea che Harry non poteva più far parte della sua vita.

 

“...although i am broken my heart is untamed still”

Era riuscito a mantenere un tono calmo e risoluto, la mattina che lei lo aveva lasciato, nonostante fosse a pezzi per ciò che Hope gli aveva appena detto.
L’aveva assecondata, dicendo che aveva ragione. Che, in effetti, le loro vite erano troppo diverse.

 

Sequenza di passi in velocità.

1,2,3…

Triplo flip, seguito da doppio toeloop.

Trottola media seguita da trottola bassa.

Ma mai Harry avrebbe potuto mentire a se stesso: non ce l'avrebbe mai fatta a dimenticare una come Hope. L'aveva capito fin dal primo momento che l'aveva vista... 

Harry fece una corsa pazzesca per arrivare in tempo. Aveva parcheggiato in doppia fila, completamente in divieto, ma non gliene fregava niente. Aveva deciso all’ultimo secondo. Quel giorno lui non sarebbe servito a nulla al gruppo e così aveva fatto la pazzia: avevo preso la macchina di Louis e aveva attraversato Londra a tutta velocità. A Hope non l’avrebbe detto: l’avrebbe messa in agitazione; gliel'aveva anche detto la sera prima. Era un giorno estremamente importante per lei. Giurò a se stesso che si sarebbe limitato ad osservarla da lontano.

Si fece indicare da un papà in ritardo quanto lui dove sarebbe stata la celebrazione per i diplomi. Arrivò in tempo: c’era ancora una ragazza bionda sul palco, con le punte troppo rosse per essere naturali, che stava parlando. Era Olivia, ne era certo. Ciò significava che era nel posto giusto.

Rimase indietro, dietro la quantità immensa di genitori, di fratelli, sorelle, cugini, cugine, zii, zie e amici.

Quando Olivia smise di parlare, applaudì anche lui per non dare troppo nell’occhio. Si era messo un cappellino, ma aveva come la sensazione di non aver fatto un grande affare visto che si moriva di caldo.

“Abbott Hannah” chiamò la presidentessa, dopo che ad Olivia fu consegnato il primo diploma.

Non sapeva come faceva Hope di cognome, in fondo non l’aveva mai vista. Ma l’avrebbe riconosciuta. Era sicuro.

Dovette aspettare circa 30 ragazzi prima di sentire:

“Knight Hope”

Senza capire come, il cuore di Harry cominciò a battere forte. Era lei, lo sapeva. La bocca gli si era seccata, non riusciva più a deglutire.

Vide una ragazza salire sul palco, tirandosi su appena la tunica blu, per non inciampare. Diede la schiena al pubblico per cinque miseri secondi. Ma a lui sembrarono un’eternità. Poi si voltò e Harry la vide.

Aveva i capelli rossi, color rame che le arrivavano fin sotto le spalle; la pelle del viso era chiarissima, pallida come la luna; gli occhi erano profondi, ma pieni fino all’orlo di felicità. La sua bocca si aprì in un leggero sorriso e Harry si sentì invadere da una sensazione potente, illudendosi, per un attimo, che quel sorriso fosse per lui, che Hope  l’avesse riconosciuto. 

Quell’attimo durò troppo poco. Hope prese tra le mani la tunica e scese dal palco, raggiungendo gli studenti già diplomati.

Non aveva in fatto in tempo nemmeno ad applaudire. Era la prima volta che la vedeva.

 

Aspettò con pazienza che tutti venissero diplomati. Poi quando tutti i parenti si alzarono e andarono a complimentarsi si spostò e fece lo slalom tra le persone per andare più vicino a lei.

Sua madre la stritolava, suo papà le batteva leggero una mano sulla spalla, mentre altre persone, suppose i parenti, le stavano attorno aspettando il loro turno per abbracciarla.

Gli venne una voglia improvvisa di passarle accanto e associare il movimento delle sue labbra alla sua voce, quella che aveva sentito così tante volte al telefono che l’avrebbe riconosciuta anche a occhi chiusi. Voleva avvicinarsi per sentirla…per sentirla viva. Sarebbe andato contro il suo giuramento, cioè di starle lontano.

Si calcò il cappellino sulla testa, facendolo aderire meglio e si incamminò per passarle appena dietro. Ma quando era esattamente dietro di lei, lei si voltò, per vedere dove era un’amica.

“Si mamma, dovrebbe essere là Alice. Adesso andiamo…”Era la sua voce. Ne era certo.

Non resistette e la guardò dritta negli occhi: si teneva la mano sulla fronte, per contrastare la luce forte del pomeriggio; portava ancora la tunica blu e il tocco.

Lei lo guardò per un attimo, sorpassandolo con lo sguardo: gli occhi di lei erano marrone chiaro circondati da un’aurea scura, quasi nera. Avrebbe voluto che lo guardasse per sempre.

Hope si limitò a lanciargli un’occhiata veloce, il tempo di capire che lui non era un suo parente e poi passò oltre.

“Okay, vista.” Disse a sua madre, dandogli la schiena. “Andiamo?” chiese al gruppo dei parenti.

Lui continuò a camminare seguendola con lo sguardo, non guardando dove andava.

La vide raggiungere Alice, una ragazza da lunghissimi capelli neri e lucidi, la quale si staccò velocemente dall’abbraccio di un parente e si catapultò su di lei, stritolandola e urlandole nelle orecchie E’ FINITAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA.

Harry sorrise e fece un giro molto largo per guardarla ancora un po’.

La raggiunsero altre due amiche, una sicuramente Olivia e l’altra doveva essere Tara. La riconobbe dal portamento e dalla bellezza che Hope gli aveva descritto.

Alice e Hope si buttarono su Olivia, urlandole che era stata fantastica e Tara rise, venendo coinvolta nell’abbraccio e rischiando di cadere.

Harry fece in tempo a vederle fare la prima foto. Hope sorrideva radiosa e voleva ricordarla così. Anche se a malincuore, staccò lo sguardo e si diresse alla macchina. Mentre era seduto in macchina, senza cappellino, assorto nel ricordo più bello che avesse, una studentessa lo riconobbe e lo indicò urlando il suo nome. Ma Harry era allenato: girò la chiave nel cruscotto e partì sgommando. Sul viso, aveva disegnato un sorriso nuovo, un sorriso di Adrenalina Dolce.

Ebbe la sensazione di essersi appena innamorato. Sul serio.*  

 

 

 

Il pezzo più difficile:

Serie di passi.

Doppio loop.

Passi.

Triplo toeloop.

Passi.

Triplo axel.

Serie di passi.

Trottola.

 

 

Più o meno sei mesi dopo Panzance, Hope e Harry avevano rotto: una decisione comune e apparentemente senza nessuna sofferenza. Ognuno aveva preso la sua strada in modo differente e si erano accorti di non appartenere allo stesso mondo, di non potersi amare come avrebbero voluto.

Entrambi si erano convinti che era la cosa giusta per loro. Per motivi diversi da quelli che si erano detti.

Lei aveva la scusa dell’università e del pattinaggio, un impegno a tempo pieno dato che Jean puntava a portarla alle Olimpiadi. Diceva che aveva visto in lei una forza che poteva avere solo chi era andato a tanto così dall’andarsene per sempre da questo mondo.

Lui aveva la sua vita, le sue canzoni, il suo gruppo e la sua popolarità che molto presto l’avrebbero portato a girare il mondo. I Manager dicevano che il loro era ormai diventato un fenomeno globale.

 

 

Trottola bassa.

Ultimo salto.

Ce la poteva fare.

Trottola bassa.

 

 

The Story of My Life, I give her hope,

I spend her love until she broke inside…”

Harry aveva dato speranza alla loro storia, facendo aggrappare il suo cuore a qualsiasi suo segno di amore, negando a se stesso cosa stesse realmente accadendo. Aveva sopportato il fatto di non averla mai baciata come si deve, di non aver mai assaggiato il sapore della sua pelle e del suo corpo, di non aver mai potuto svegliarsi con lei dopo una notte passata insieme. Si era fatto bastare i pochi baci a stampo, ripetendosi che era solo una questione di tempo, non c'era fretta, e che tutto si sarebbe risolto.

 

“the way that I been holdin’ on too tight

with nothing in between…”

Ma forse l’aveva sempre saputo: aveva tenuto duro, per lei, l’aveva abbracciata forte, l’aveva tenuta al caldo e al sicuro, facendo di tutto per farsi amare; ma aveva tenuto duro con troppa forza, con troppo amore, senza ricevere niente in cambio.

 

“And I been waiting for this time to come around

but baby running after you is like chasing the cloud…”

Harry aveva sentito la distanza che era si era creata tra i due non molto tempo dopo che erano stati a Penzance. Non aveva mai capito perché. Cosa potesse mai aver fatto di sbagliato. Hope non sembrava essere più la stessa, faceva fatica a starle dietro, era lontana, distante e… sempre un passo avanti a lui, in tutto: andarle dietro sembrava come rincorrere le nuvole.

 

 

Trottola alta.

Fine, quasi di colpo, il braccio alzato, nella stessa posizione di partenza.

Il cuore le batteva a mille: per lo sforzo, per l’emozione e per l’adrenalina dolce che le scorreva al posto del sangue.

Ringraziò i giudici e il pubblico, inchinandosi verso i quattro lati dello stadio, poi uscì dalla pista.

Jean la abbracciò forte “Sei stata perfetta, sei stata un angelo per davvero.” Hope avrebbe voluto piangere perché sapeva in cuor suo di aver fatto una prestazione stupenda. Ma c’era qualcosa di più: mentre ballava, l’aveva sentito vicino, quasi come se fosse stato lì con lei, ad un passo da prenderla per mano e portarla con sé. Quella canzone l’aveva ballata centinaia di volte, non prestandoci mai per davvero alcuna attenzione. Ma ora... ora era diverso. Aveva sentito il suo profumo, le sue parole sussurrate, le sue labbra sulla sua pelle. L’Adrenalina dolce l’aveva guidata e le aveva aperto gli occhi. Alice aveva sempre avuto ragione.

Ma lui, ormai, non c’era più.

 

Dopo Hope Knight, fu il turno della russa. Il punteggio di Hope era stato il più alto: male che andava si sarebbe presa l’argento.

 

Hope era nello spogliatoio quando si seppe il risultato.

Le telecamere corsero immediatamente a cercare il suo viso, incredulo: la nuova stella del pattinaggio dell’Inghilterra.

Non aveva fatto in tempo nemmeno a rendersi conto che Jean l’aveva presa di nuovo tra le braccia e l’aveva stretta, mozzandole il fiato. Sua madre, presente anche lei, fu la seconda a stritolarla in un abbraccio-spremuta. Suo padre, per la prima volta da quando sua figlia era nata, piangeva commosso: Hope ce l’aveva fatta, contro tutte le aspettative.

 

 

Harry aveva cercato di rimanere indifferente: rimanere indifferente al fatto che Hope era tra la finaliste del pattinaggio alle Olimpiadi di quell’anno, tenutesi a Londra; che avesse costruito la sua coreografia su una loro canzone, sulla canzone che tutti e cinque avevano scritto per lei; e che fosse stata fantastica. Ma rimanere impassibili di fronte al suo risultato fu quasi impossibile.

 

 

Alice, con accanto Olivia e Tara, che MAI si sarebbero perse uno spettacolo del genere, stava guardando la gara in diretta da Parigi dove avevano trovato un tirocinio da fare tutte insieme in una famosa casa di moda, grazie ai contatti del nonno di Tara.

Tutte e tre urlarono di gioia, saltando, quando sullo schermo apparve il punteggio della russa, più basso di quello della loro amica.

Tutte e tre piangevano, ridendo, abbracciandosi strette.

 

 

Le misero in fila, una dietro l’altra, dal terzo al primo posto, pronte per la premiazione.

Hope aveva ancora gli occhi umidi, le guance bagnate e le gambe molli. Non poteva crederci.

Quando le fecero passare sotto gli spalti di un pubblico delirante, automaticamente guardò tra gli spettatori. E lo riconobbe.

 

Quando Hope si staccò dalla fila delle vincitrici, facendo due scalini per raggiungere qualcuno tra gli spalti, Alice si commosse: Liam era davvero andato a vederla.

 

Liam l’abbracciò forte mentre Hope piangeva tra le sue braccia.

“Sei stata bravissima” le sussurrò. Non gli importava se adesso tutto il mondo si era reso conto che uno degli One Direction era presente nello stadio.

“Vi amo.” Gli rispose Hope. “Era per me.” Liam fece di tutto per non piangere pure lui. Finalmente Hope aveva capito che quella canzone era stata scritta per lei.

 

 

Harry rimase scioccato nel vedere Liam tra il pubblico. Che cazzo ci faceva lì? Perché non gliel’aveva detto? Perché non gli aveva detto che aveva ripreso i contatti con Hope? Perché lei sembrava sapere che lui sarebbe venuto da come Hope l’aveva raggiunto sugli spalti.

Louis gli mise una mano sulla spalla e tentò di trovare un sorriso sul viso dell’amico.

Harry in un primo momento avrebbe voluto incazzarsi: andare a prenderlo per i capelli (un po’ inutile dato che Liam se li era appena tagliati), sbatterlo contro il muro e urlargli addosso che non si sarebbe mai dovuto permettere di avvicinarsi alla sua Hope. Poi, pensò a ciò che era successo mesi prima.

 

“Non ditele niente. NIENTE. Riguardo a tutto questo.” Avevano appena finito di registrare la canzone. A quel tempo erano quasi due settimane che Harry e Hope si erano lasciati. “Non è per lei. E’ per me.”

“Harry io penso che lei debba sapere quanto tu ci sia rimasto di merda” aveva detto Niall.

“No” aveva risposto lui categorico. “Non voglio più sentire parlare di lei. Non voglio nemmeno pensarci. E’ finita. Punto. Devo farmene una ragione. Questa è l’ultima volta che ne parliamo.”

Ed era stata effettivamente l’ultima volta che ne avevano parlato. Ma tutti, con il tempo, si erano resi conto che Harry non se ne era mai fatto completamente una ragione, cantando quella canzone in ogni concerto, come finale. Se ne erano resi conto solo guardandolo in faccia mentre cantava la sua parte, con il cuore in mille pezzi, l’anima lacerata da un amore non corrisposto: gli occhi assumevano una sfumatura brillante ma tremendamente nostalgica. Come a tentare di convincersi, ogni volta, che lui aveva fatto di tutto, che ci aveva messo l’anima e il cuore nell’amarla, ma che qualcosa, che lui non aveva potuto controllare, si era spezzato.

 

 

Hope si staccò da Liam, prendendo completamente coscienza delle parole della canzone. Era la seconda volta che le accadeva.

“L’ha voluta lui, vero? E’ stato lui.”

Liam non seppe mentirle. Non ne era mai stato capace da quando avevano ripreso i rapporti, qualche mese prima.

 

Si erano incontrati per caso in una libreria-caffè vicino a Cambridge. Lui, con in testa il solito cappellino per nascondersi, era entrato per prendere un regalo a sua sorella; lei era ad un tavolo a qualche metro di distanza con un libro di studio a farle compagnia e una tazza di cioccolata nelle mani.

“Liam?” l’aveva chiamato. Lui si era voltato, pronto a schizzare fuori dal pub se qualche fan...

“Hope?” aveva chiesto lui riconoscendola a fatica: i capelli, di un rosso un po’ più scuro,  le erano ricresciuti fin sotto le spalle, il colorito della sua pelle era molto più rosea e i suoi occhi più luminosi. Era sbocciata come un fiore, in pochi mesi.  “Ma che ci fai qui?”

“Io studio” rispose lei sorridendogli. Si, era bellissima, come se la vita avesse davvero cominciato a scorrerle nelle vene. Se solo Harry avesse potuto vederla… Tu che cosa ci fai qui, se mai!” continuò Hope. “Non dovresti essere in qualche città di qualche paese lontano a fare uno dei vostri fantastici concerti?”

Si erano seduti a prendere un caffè lui, un’altra cioccolata lei e avevano chiacchierato per tutto il pomeriggio. Poi lei lo aveva aiutato nello scegliere il libro per la sorella.

Prima di salutarsi, gli aveva detto che le dispiaceva per come era andata con Harry. “Ma non dirgli niente. Niente, riguardo a tutto questo.” Liam si era morso la lingua nel sentire quelle parole. “Non è per me. E’ per lui.”

Successivamente le aveva scritto un messaggio dicendole che il suo consiglio era stato azzeccatissimo e la sorella era stata entusiasta del regalo.

Era stata dura nascondere a Harry il fatto che era di nuovo in contatto con Hope. Non l’aveva detto agli altri ad eccezione di Louis. E lui gli aveva proibito di farne parola con Harry, se non voleva la fine degli One Direction. Liam non seppe mai dire se il suo amico stesse scherzando.

 

 

Liam la guardò negli occhi e impercettibilmente annuì. Lei, in un altro impeto di pianto, lo abbracciò. “Che stupida. Che stupida. Sono stata una stupida. L’ho lasciato andare…”

Liam la strinse forte di nuovo tra le braccia. Avrebbe pagato qualsiasi cifra per scambiarsi con Harry in quel momento.

 

Le due ragazze del terzo e secondo posto si portarono, una prima e l’altra dopo, sui gradini più bassi del podio, non prima di aver fatto un giro dello stadio salutando il pubblico.

Quando Hope fece la sua entrata, lo stadio esplose, quasi come il suo cuore.

Harry era in piedi. Non se ne era nemmeno reso conto. Louis lo guardò: gli occhi di Harry erano fatti per guardarla. La luce che li illuminava non c’entrava niente con il sole o con le luci della stanza.

 

Le premiarono con fiori, peluches e medaglie. Un attimo prima che le luci si abbassassero, Hope guardò il peluches: era un orsetto bianco. Le vennero le lacrime agli occhi. Poi le prime note dell’inno inglese si diffusero all’interno dello stadio e sollevò lo sguardo.

 

Harry aveva visto il peluches e la reazione di Hope. Sul suo viso comparve un altro tipo di sorriso, quello che riservava solo a lei: Hope stava pensando a lui.

 

* dal Capitolo 7 - La Prima volta (che l’ho vista) -

  
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