Okay vi lascio all'epilogo!
Come al solito tanti abbracci, tantissimi abbracci stritolatutto a tutti
buona lettura
Emma ;)
Ps: non ci crederete mai: sono in modalità shuffle dell'iPod ed è cominciata... Story of My Life. T.T .
Epilogo
parte 1 – Story of my Life,
One Direction
Liam
cercò di nascondere il viso
nella visiera del cappellino che si era calcato sulla testa. Era
entrato di
soppiatto, lo sguardo fisso sul pavimento finchè non era
entrato nello stadio e
si era seduto al suo posto. Poi l’attenzione era stata
attratta dalla gara e
lui, finalmente, aveva potuto togliersi il cappellino. Si
riavviò i capelli
aspettando il suo arrivo.
Hope
prese un bel respiro. Mentre
la musica della ragazza prima di lei sfumava nello stadio, il cuore di
Hope
cominciò a batterle nel petto con tutta la sua forza.
Sarebbe toccato a lei.
Hope
aveva superato l’intervento
con successo. Il dottor Colin Cooper aveva rimosso tutto il cancro, che
la
chemio aveva ridotto sensibilmente.
Ci avrebbe impiegato un mese e
mezzo a riprendersi completamente. Tre per riprendere in mano la sua
vita e sei, invece,
per far ricrescere i capelli e
riacquistare i chili che aveva perso. Facciamo cinque, con la
quantità di
gelato che aveva mangiato.
Si
mise in posizione al centro
dello stadio, il braccio alzato verso l’alto, non prima di
aver lanciato
un’occhiata verso il suo allenatore, fuori dalla pista,
dietro la balaustra,
che la guardava con le braccia incrociate. Anche lui era teso. Jean le
rispose
con l’occhiolino.
Dire
che era splendida era poco:
il vestito, disegnato e preparato su misura per l’occasione,
era di un blu
notte con pizzo nero che le disegnava strane figure sulla schiena nuda
e sulle
mani. Sembrava che fosse stato disegnato direttamente sulla sue pelle,
come un
tatuaggio. Il trucco, leggero, le faceva risaltare il contrasto tra i
capelli
rossi, legati in una treccia, la pelle bianca come la luna e il vestito
color
notte.
Hope
guardò verso l’alto e chiuse
gli occhi, pronta.
Aveva
destato un po’ di scalpore
la scelta della sua canzone: non era la classica canzone di musica
classica che
soleva accompagnare le pattinatrici nei loro dolci movimenti. Era
scritta da un
gruppo di cinque ragazzi, una delle più famose e delle
più belle che avessero
mai fatto.
La
relazione tra Harry e Hope era
rimasta nascosta da Giugno a Settembre, quando lei, finalmente, era
uscita
dall’ospedale. Poi i due vennero avvistati insieme un paio di
volte dalle parti
di Sevenoacks, dove lei viveva. Si diceva che avesse fatto la spia una
vecchia
amica della ragazza in questione, una certa Erika. Comunque la loro
storia era
presto diventata di dominio pubblico e Harry non aveva esitato a
procedere per
le vie legali: l’aveva già fatto in passato (con
Pamela) e voleva lasciare in
pace Hope. La sua vita da cantante non doveva nemmeno sfiorarla, almeno
finchè
lei non si fosse ripresa a sufficienza per affrontarla.
Harry
si era sentito talmente
sollevato dal fatto che Hope era sopravvissuta che iniziò a
sognare ad occhi
aperti cosa avrebbe fatto con lei appena si fosse ripresa:
l’avrebbe baciata,
di certo, mille volte e più di mille imprimendosi nella
testa ogni singolo
bacio.
Ma si rese conto ben presto che
non sarebbe stato così facile recuperare da dove avevano
interrotto, quel
pomeriggio, a casa sua, quando Hope era stata male.
"She
told me in the
morning she don’t feel the same about us in her bones
it seems to me that
when i die these words will be written on my stone"
Harry,
per tutta la durata del
loro rapporto, l’aveva amata come si può amare, al
massimo, la propria vita.
Lui lo sapeva. Ne era certo. Ma ogni tanto doveva cantare quella
canzone per
ricordarselo e per cercare di ricordarsi che aveva fatto, davvero,
tutto il
possibile. Ma era il suo, di cuore, che aveva iniziato a soffrire, rimanendo vuoto e arido. Lui aveva speso il suo amore,
finchè, una
mattina, qualcosa in lei si era rotto
definitivamente. Gli aveva detto che non
sentiva più le stesse cose su di loro, sulla loro
storia. Se lo sentiva
nelle ossa che dovevano chiudere. Lui si
sentì come morire. Avrebbe voluto quelle
parole scritte sulla sua tomba.
Serie
di passi.
Ferma.
Serie
di passi.
Piccola
giravolta.
Veloce.
1,2,3…
“The
Story of my Life, I take her home,
I
drive all night to
keep her warm and time…”
Un
flash, sentendo le parole di
lui nella canzone:
Harry
aveva guidato quasi tutta
la notte per giungere a Penzance, che per lei era quasi una seconda
casa. Hope
aveva passato la maggior parte del tempo a dormire, con la coperta
addosso, il
viso voltato verso il finestrino. Ogni tanto Harry si era girato e le
aveva
lanciato un’occhiata per vedere se era ancora viva.
Sua madre, Hannah, non era stata
d’accordo quando Harry le aveva proposto di portare sua
figlia a fare una
piccola vacanza. Harry, le raccontò poi, si era dovuto
letteralmente
inginocchiare sullo zerbino di casa per convincerla.
Era passato quasi un mese
dall’operazione ma sua madre ancora non si fidava.
Soprattutto perché il
viaggio sarebbe stato di notte. E come biasimarla? Due volte sua figlia
aveva
avuto il cancro, due volte aveva dovuto subire l’effetto
straziante della
chemio. Ma due volte aveva sconfitto la malattia, riuscendo a uscirne.
Cambiata, di certo, ma vittoriosa.
Harry aveva guidato
tutta la
notte, organizzando tutto con estrema precisione, per arrivare in tempo a
Penzance e, al contempo, tenerla
al caldo, dato che fuori l’aria era gelata.
Harry
parcheggiò vicino al posto
che più le piaceva: la scogliera a nord della cittadina,
dove il mare colpiva
le rocce, spumeggiando rabbioso. Sotto, il porto. Il padre di lei gli
aveva
dato un paio di preziosi consigli su dove portarla.
“Siamo
arrivati” disse Harry
scendendo dalla macchina, dopo averla svegliata con un bacio sulla
guancia.
“Che
stai facendo?” chiese
assonnata, mentre lui apriva la portiera dalla sua parte e faceva per
prenderla
in braccio. Non sapeva che cosa stava succedendo, Harry non le aveva
detto dove
la stava portando. Semplicemente, le aveva detto di dormire e che
quando
sarebbero arrivati, gliel’avrebbe fatto sapere.
“So
camminare” gli disse più per cortesia.
“Ho
promesso che non ti saresti
stancata” disse Harry, prendendola tra le braccia. Lei gli
mise le braccia al
collo. Poi dando un leggero colpo alla portiera, Harry chiuse la
macchina.
Hope
lo guardò negli occhi. Poi
si rassegnò e appoggiò la testa sul suo petto,
mentre Harry cominciava a
camminare.
Fecero
qualche passo e infine
Harry la posò sulla panchina.
Hope
guardò il paesaggio e le si
dipinse un sorriso vero sulle labbra. Era raro, soprattutto
nell’ultimo
periodo. Aveva riconosciuto il posto. E i suoi occhi furono rapiti dal
colorito
pallido del cielo. L’aveva portata a guardare
l’alba.
Hope
respirò profondamente sentendo
il sapore del sale sul palato. Harry le era accanto, in piedi, ma
anziché
guardare lo splendido spettacolo di luci e di colori, guardava lei, che
era più
bella di qualsiasi panorama. Gli era mancato quel sorriso e fu felice
di
esserne l’artefice ancora una volta. Guardò anche
lui lo spicchio infuocato del sole che
cominciava a nascere dalle onde del mare, in lontananza.
Ce
l’aveva fatta: era arrivato in
tempo.
Capì
perché ad Hope piaceva tanto
quel posto.
Quando il cerchio del sole fu quasi perfetto a qualche centimetro al di sopra dell’orizzonte del mare, Harry si avvicinò al bordo della scogliera, a qualche passo dalla panchina dove aveva lasciato Hope
“Ehi
qui è alto” disse.
“Harry…”
“Ma
qui dici che si buttano?”
“Harry…”
“E’
alto, quindi, secondo me no.
E’ troppo alto!”
Guardò
giù e si avvicinò ancora
di un passo per sentire il brivido dell’altezza.
“Harry
ti prego, allontanati da
lì…”
Bastava
un altro passo. Bastava
un altro passo e lui sarebbe scomparso dalla sua vista. Bastava poco,
bastava
una distrazione.
“Non
ti preoccupare” disse
Harry, più divertito dal dirupo che attento al tono di Hope.
“Cazzo, no sul
serio… E’ alto!”
Harry
fece dondolare un piede nel
vuoto e Hope urlò “HARRY TI PREGO TOGLITI DI
LÌ!”
Quando
Harry si voltò, la ritrovò
in piedi con una mano allungata nella sua direzione. Era spaventata.
Lui
le sorrise, cercando di
rassicurarla.
Le
prese la mano, allontanandosi
dal vuoto e avvicinandosi a lei. Lei lo abbracciò,
tuffandosi tra le sue
braccia.
“Ehi…”
disse lui, avvolgendola
nel suo abbraccio. Lei si staccò, lasciando le
mani appiccicate al suo petto, stropicciandogli la
maglietta. Lo guardò
dritto negli occhi alzando il viso e si prese tutto il tempo necessario
per
studiargli il viso: gli occhi verdi-azzurri, lo sguardo allegro, il
profilo
marcato e quella specie di nido di vespe che aveva al posto dei
capelli.
“Non
farlo mai più” disse Hope
appoggiando di nuovo il viso al suo petto. Il battito del cuore di lui
era
forte e chiaro. Questo, l’aveva sempre tranquillizzata. Era
ancora lì. Per
davvero. “Non voglio perderti” sussurrò.
Sentiva di aver bisogno di lui e della
sua forza.
Harry
la strinse forte “Nemmeno
io, Hope. Mai più.”
Serie
di passi.
Cambio.
Doppio
axel.
“…is froooozen…”
Le loro
poche foto che erano circolate
sui giornali poco prima che Harry facesse quella pazzia di portarla a
Penzance,
guidando tutta la notte, l’avevano spaventata. Harry era una
star, una star
desiderata e parlata. Lei, invece, voleva avere solo pace: pace per
pensare a
lei e a quello che voleva da una vita che per due volte
l’aveva fregata.
Penzance, con Harry, era
stata
fantastica: si era detta che le foto, i giornali ed i concerti
sarebbero stati
solo una fase e tutto si sarebbe risolto. Ma una volta tornati, una
volta che
la loro vita era ricominciata normalmente, si era ritrovata a farsi le
stesse
domande che si era fatta prima: Harry era un cantante, era famoso e
ciò faceva
parte di lui. E lei chi era per pretendere che lui mollasse tutto?
Soltanto per
aver pensato che fosse una misera fase di vita, come se fosse stato
solo un suo piagnoso
capriccio? No. Nessuno dovrebbe rinunciare ai suoi sogni per amore. E
lei non
si sentiva pronta per affrontare quel tipo di vita. Aveva un sacco di
cose da
fare e che voleva portare avanti: niente e nessuno doveva fermarla. E
poi… Poi
era davvero innamorato di lei? E lei lo era di lui? Era stata in
ospedale per
quasi la maggior parte del tempo in cui si erano realmente frequentati.
I
sentimenti verso di lui cominciarono a vacillare paurosamente: Harry
vedeva la
Hope malata, non la Hope vera. Anche lui era rimasto fregato dal
cancro. Hope
non poteva amare una persona che non l’amava per come era
davvero.
Doveva
cominciare ad abituarsi
all’idea che Harry non poteva più far parte della
sua vita.
“...although
i am broken
my heart is untamed still”
Era
riuscito a mantenere un tono calmo e risoluto,
la mattina che lei lo
aveva lasciato, nonostante fosse a pezzi
per ciò che Hope gli aveva appena detto.
L’aveva assecondata, dicendo che
aveva ragione. Che, in effetti, le loro vite erano troppo diverse.
Sequenza
di passi in velocità.
1,2,3…
Triplo
flip, seguito da doppio
toeloop.
Trottola
media seguita da
trottola bassa.
Ma
mai Harry avrebbe potuto mentire a se stesso: non ce l'avrebbe mai
fatta a dimenticare una come Hope. L'aveva capito fin dal primo momento
che l'aveva vista...
Harry fece una corsa pazzesca per arrivare in
tempo. Aveva parcheggiato
in doppia fila, completamente in divieto, ma non gliene fregava niente.
Aveva
deciso all’ultimo secondo. Quel giorno lui non sarebbe
servito a nulla al
gruppo e così aveva fatto la pazzia: avevo preso la macchina
di Louis e aveva
attraversato Londra a tutta velocità. A Hope non
l’avrebbe detto: l’avrebbe
messa in agitazione; gliel'aveva anche detto la sera prima. Era un
giorno estremamente importante per lei. Giurò a se stesso
che si sarebbe limitato ad osservarla da
lontano.
Si fece indicare da un papà in ritardo
quanto lui dove sarebbe stata la
celebrazione per i diplomi. Arrivò in tempo: c’era
ancora una ragazza bionda sul palco,
con le punte troppo rosse per essere naturali, che stava parlando. Era
Olivia,
ne era certo. Ciò significava che era nel posto giusto.
Rimase indietro, dietro la quantità
immensa di genitori, di fratelli,
sorelle, cugini, cugine, zii, zie e amici.
Quando Olivia smise di parlare, applaudì
anche lui per non dare troppo
nell’occhio. Si era messo un cappellino, ma aveva come la
sensazione di non
aver fatto un grande affare visto che si moriva di caldo.
“Abbott Hannah”
chiamò la presidentessa, dopo che ad Olivia fu
consegnato il primo diploma.
Non sapeva come faceva Hope di cognome, in fondo
non l’aveva mai vista.
Ma l’avrebbe riconosciuta. Era sicuro.
Dovette aspettare circa 30 ragazzi prima di
sentire:
“Knight Hope”
Senza capire come, il cuore di Harry
cominciò a battere forte. Era lei,
lo sapeva. La bocca gli si era seccata, non riusciva più a
deglutire.
Vide una ragazza salire sul palco, tirandosi su
appena la tunica blu,
per non inciampare. Diede la schiena al pubblico per cinque miseri
secondi. Ma
a lui sembrarono un’eternità. Poi si
voltò e Harry la vide.
Aveva i capelli rossi, color rame che le arrivavano
fin sotto le
spalle; la pelle del viso era chiarissima, pallida come la luna; gli
occhi
erano profondi, ma pieni fino all’orlo di
felicità. La sua bocca si aprì in un
leggero sorriso e Harry si sentì invadere da una sensazione
potente,
illudendosi, per un attimo, che quel sorriso fosse per lui, che Hope l’avesse
riconosciuto.
Quell’attimo durò troppo poco.
Hope prese tra le mani la tunica e scese
dal palco, raggiungendo gli studenti già diplomati.
Non aveva in fatto in tempo nemmeno ad applaudire.
Era la prima volta
che la vedeva.
Aspettò con pazienza che tutti venissero
diplomati. Poi quando tutti i
parenti si alzarono e andarono a complimentarsi si spostò e
fece lo slalom tra
le persone per andare più vicino a lei.
Sua madre la stritolava, suo papà le
batteva leggero una mano sulla
spalla, mentre altre persone, suppose i parenti, le stavano attorno
aspettando
il loro turno per abbracciarla.
Gli venne una voglia improvvisa di passarle accanto
e associare il
movimento delle sue labbra alla sua voce, quella che aveva sentito
così tante
volte al telefono che l’avrebbe riconosciuta anche a occhi
chiusi. Voleva
avvicinarsi per sentirla…per sentirla viva. Sarebbe andato
contro il suo
giuramento, cioè di starle lontano.
Si calcò il cappellino sulla testa,
facendolo aderire meglio e si
incamminò per passarle appena dietro. Ma quando era
esattamente dietro di lei,
lei si voltò, per vedere dove era un’amica.
“Si mamma, dovrebbe essere là
Alice. Adesso andiamo…”Era la sua voce.
Ne era certo.
Non resistette e la guardò dritta negli
occhi: si teneva la mano sulla
fronte, per contrastare la luce forte del pomeriggio; portava ancora la
tunica blu
e il tocco.
Lei lo guardò per un attimo,
sorpassandolo con lo sguardo: gli occhi di lei
erano marrone chiaro circondati da un’aurea scura, quasi
nera. Avrebbe voluto
che lo guardasse per sempre.
Hope si limitò a lanciargli
un’occhiata veloce, il tempo di capire che
lui non era un suo parente e poi passò oltre.
“Okay, vista.” Disse a sua
madre, dandogli la schiena. “Andiamo?”
chiese al gruppo dei parenti.
Lui continuò a camminare seguendola con
lo sguardo, non guardando dove
andava.
La vide raggiungere Alice, una ragazza da
lunghissimi capelli neri e
lucidi, la quale si staccò velocemente
dall’abbraccio di un parente e si
catapultò su di lei, stritolandola e urlandole nelle
orecchie E’
FINITAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA.
Harry sorrise e fece un giro molto largo per
guardarla ancora un po’.
La raggiunsero altre due amiche, una sicuramente
Olivia e l’altra
doveva essere Tara. La riconobbe dal portamento e dalla bellezza che
Hope gli
aveva descritto.
Alice e Hope si buttarono su Olivia, urlandole che
era stata fantastica
e Tara rise, venendo coinvolta nell’abbraccio e rischiando di
cadere.
Harry fece in tempo a vederle fare la prima foto.
Hope sorrideva radiosa
e voleva ricordarla così. Anche se a malincuore,
staccò lo sguardo e si diresse
alla macchina. Mentre era seduto in macchina, senza cappellino, assorto
nel
ricordo più bello che avesse, una studentessa lo riconobbe e
lo indicò urlando il suo nome. Ma Harry era allenato:
girò la chiave nel cruscotto e partì sgommando.
Sul viso, aveva disegnato un
sorriso nuovo, un sorriso di Adrenalina Dolce.
Ebbe la sensazione di essersi appena innamorato. Sul serio.*
Il
pezzo più difficile:
Serie
di passi.
Doppio
loop.
Passi.
Triplo
toeloop.
Passi.
Triplo
axel.
Serie
di passi.
Trottola.
Più
o meno sei mesi dopo Panzance, Hope
e Harry avevano rotto: una decisione comune e apparentemente senza
nessuna
sofferenza. Ognuno aveva preso la sua strada in modo differente e si
erano
accorti di non appartenere allo stesso mondo, di non potersi amare come
avrebbero voluto.
Entrambi
si erano convinti che era la
cosa giusta per loro. Per motivi diversi da quelli che si erano detti.
Lei aveva
la scusa dell’università e
del pattinaggio, un impegno a tempo pieno dato che Jean puntava a
portarla alle
Olimpiadi. Diceva che aveva visto in lei una forza che poteva avere
solo chi era andato a
tanto così dall’andarsene per sempre da questo
mondo.
Lui aveva la sua vita, le sue
canzoni,
il suo gruppo e la sua popolarità che molto presto
l’avrebbero portato a girare
il mondo. I Manager dicevano che il loro era ormai diventato un
fenomeno
globale.
Trottola
bassa.
Ultimo
salto.
Ce
la poteva fare.
Trottola bassa.
“The
Story of My Life, I give her hope,
I
spend her love until
she broke inside…”
Harry
aveva dato speranza alla
loro storia, facendo aggrappare il suo cuore a qualsiasi suo segno di
amore,
negando a se stesso cosa stesse realmente accadendo. Aveva sopportato
il fatto di non averla mai baciata come si deve, di non aver mai
assaggiato il sapore della sua pelle e del suo corpo, di non aver mai
potuto svegliarsi con lei dopo una notte passata insieme. Si era fatto
bastare i pochi baci a stampo, ripetendosi che era solo una questione
di tempo, non c'era fretta, e che tutto si sarebbe risolto.
“the
way that I been
holdin’ on too tight
with nothing in between…”
Ma
forse l’aveva sempre saputo:
aveva tenuto duro, per lei, l’aveva abbracciata forte,
l’aveva tenuta al caldo
e al sicuro, facendo di tutto per farsi amare; ma aveva tenuto
duro con troppa forza, con troppo amore, senza
ricevere niente in cambio.
“And
I been waiting
for this time to come around
but
baby running after
you is like chasing the cloud…”
Harry
aveva sentito la distanza
che era si era creata tra i due non molto tempo dopo che erano stati a
Penzance. Non aveva mai capito perché. Cosa potesse mai aver
fatto di
sbagliato. Hope non sembrava essere più la stessa, faceva
fatica a starle
dietro, era lontana, distante e… sempre un passo avanti a
lui, in tutto: andarle dietro sembrava come
rincorrere le
nuvole.
Trottola
alta.
Fine,
quasi di colpo, il braccio
alzato, nella stessa posizione di partenza.
Il
cuore le batteva a mille: per
lo sforzo, per l’emozione e per l’adrenalina dolce
che le scorreva al posto del
sangue.
Ringraziò
i giudici e il
pubblico, inchinandosi verso i quattro lati dello stadio, poi
uscì dalla pista.
Jean
la abbracciò forte “Sei
stata perfetta, sei stata un angelo per davvero.” Hope
avrebbe voluto piangere
perché sapeva in cuor suo di aver fatto una prestazione
stupenda. Ma c’era
qualcosa di più: mentre ballava, l’aveva sentito
vicino, quasi come se fosse
stato lì con lei, ad un passo da prenderla per mano e
portarla con sé. Quella
canzone l’aveva ballata centinaia di volte, non prestandoci
mai per davvero
alcuna attenzione. Ma ora... ora era diverso. Aveva sentito il suo
profumo, le
sue parole sussurrate, le sue labbra sulla sua pelle.
L’Adrenalina dolce
l’aveva guidata e le aveva aperto gli occhi. Alice aveva
sempre avuto ragione.
Ma
lui, ormai, non c’era più.
Dopo
Hope Knight, fu il turno
della russa. Il punteggio di Hope era stato il più alto:
male che andava si
sarebbe presa l’argento.
Hope
era nello spogliatoio quando
si seppe il risultato.
Le
telecamere corsero
immediatamente a cercare il suo viso, incredulo: la nuova stella del
pattinaggio dell’Inghilterra.
Non
aveva fatto in tempo nemmeno
a rendersi conto che Jean l’aveva presa di nuovo tra le
braccia e l’aveva
stretta, mozzandole il fiato. Sua madre, presente anche lei, fu la
seconda a
stritolarla in un abbraccio-spremuta. Suo padre, per la prima volta da
quando
sua figlia era nata, piangeva commosso: Hope ce l’aveva
fatta, contro tutte le
aspettative.
Harry
aveva cercato di rimanere
indifferente: rimanere indifferente al fatto che Hope era tra la
finaliste del
pattinaggio alle Olimpiadi di quell’anno, tenutesi a Londra;
che avesse
costruito la sua coreografia su una loro canzone, sulla canzone che
tutti e
cinque avevano scritto per lei; e che fosse stata fantastica. Ma
rimanere
impassibili di fronte al suo risultato fu quasi impossibile.
Alice,
con accanto Olivia e Tara,
che MAI si sarebbero perse uno spettacolo del genere, stava guardando
la gara
in diretta da Parigi dove avevano trovato un tirocinio da fare tutte
insieme in
una famosa casa di moda, grazie ai contatti del nonno di Tara.
Tutte
e tre urlarono di gioia,
saltando, quando sullo schermo apparve il punteggio della russa,
più basso di
quello della loro amica.
Tutte
e tre piangevano, ridendo,
abbracciandosi strette.
Le
misero in fila, una dietro
l’altra, dal terzo al primo posto, pronte per la premiazione.
Hope
aveva ancora gli occhi
umidi, le guance bagnate e le gambe molli. Non poteva crederci.
Quando
le fecero passare sotto
gli spalti di un pubblico delirante, automaticamente guardò
tra gli spettatori.
E lo riconobbe.
Quando
Hope si staccò dalla fila
delle vincitrici, facendo due scalini per raggiungere qualcuno tra gli
spalti,
Alice si commosse: Liam era davvero andato a vederla.
Liam
l’abbracciò forte mentre
Hope piangeva tra le sue braccia.
“Sei
stata bravissima” le sussurrò.
Non gli importava se adesso tutto il mondo si era reso conto che uno
degli One
Direction era presente nello stadio.
“Vi
amo.” Gli rispose Hope. “Era
per me.” Liam fece di tutto per non piangere pure lui.
Finalmente Hope aveva
capito che quella canzone era stata scritta per lei.
Harry
rimase scioccato nel vedere
Liam tra il pubblico. Che cazzo ci faceva lì?
Perché non gliel’aveva detto?
Perché non gli aveva detto che aveva ripreso i contatti con
Hope? Perché lei
sembrava sapere che lui sarebbe venuto da come Hope l’aveva
raggiunto sugli
spalti.
Louis
gli mise una mano sulla
spalla e tentò di trovare un sorriso sul viso
dell’amico.
Harry
in un primo momento avrebbe
voluto incazzarsi: andare a prenderlo per i capelli (un po’
inutile dato che
Liam se li era appena tagliati), sbatterlo contro il muro e urlargli
addosso che non si sarebbe mai dovuto
permettere di avvicinarsi alla sua Hope. Poi, pensò a
ciò che era successo mesi
prima.
“Non
ditele niente. NIENTE.
Riguardo a tutto questo.” Avevano appena finito di registrare
la canzone. A
quel tempo erano quasi due settimane che Harry e Hope si erano
lasciati. “Non è
per lei. E’ per me.”
“Harry io penso che lei debba sapere
quanto tu ci sia rimasto di
merda” aveva detto Niall.
“No” aveva risposto lui
categorico. “Non voglio più sentire parlare di
lei. Non voglio nemmeno pensarci. E’ finita. Punto. Devo
farmene una ragione.
Questa è l’ultima volta che ne parliamo.”
Ed
era stata effettivamente
l’ultima volta che ne avevano parlato. Ma tutti, con il
tempo, si erano resi
conto che Harry non se ne era mai fatto completamente una ragione,
cantando quella
canzone in ogni concerto, come finale. Se ne erano resi conto solo
guardandolo
in faccia mentre cantava la sua parte, con il cuore in mille pezzi,
l’anima
lacerata da un amore non corrisposto: gli occhi assumevano una
sfumatura
brillante ma tremendamente nostalgica. Come a tentare di convincersi,
ogni
volta, che lui aveva fatto di tutto, che ci aveva messo
l’anima e il cuore nell’amarla, ma
che qualcosa, che lui non aveva potuto controllare, si era spezzato.
Hope
si staccò da Liam, prendendo
completamente coscienza delle parole della canzone. Era la seconda
volta che le
accadeva.
“L’ha
voluta lui, vero? E’ stato
lui.”
Liam
non seppe mentirle. Non ne
era mai stato capace da quando avevano ripreso i rapporti, qualche mese
prima.
Si erano incontrati per caso in una
libreria-caffè vicino a Cambridge.
Lui, con in testa il solito cappellino per nascondersi, era entrato per
prendere
un regalo a sua sorella; lei era ad un tavolo a qualche metro di
distanza con
un libro di studio a farle compagnia e una tazza di cioccolata nelle
mani.
“Liam?” l’aveva
chiamato. Lui si era voltato, pronto a schizzare fuori
dal pub se qualche fan...
“Hope?” aveva chiesto lui
riconoscendola a fatica: i
capelli, di un rosso un po’ più scuro, le
erano ricresciuti fin sotto le spalle, il colorito della sua pelle era
molto
più rosea e i suoi occhi più luminosi. Era
sbocciata come un fiore, in pochi
mesi. “Ma
che ci fai qui?”
“Io studio” rispose lei
sorridendogli. Si, era bellissima, come se la
vita avesse davvero cominciato a scorrerle nelle vene. Se solo Harry
avesse
potuto vederla… “Tu che cosa ci fai qui, se mai!”
continuò Hope. “Non dovresti
essere in qualche città di qualche paese lontano a fare uno
dei vostri
fantastici concerti?”
Si erano seduti a prendere un caffè lui,
un’altra cioccolata lei e
avevano chiacchierato per tutto il pomeriggio. Poi lei lo aveva aiutato
nello
scegliere il libro per la sorella.
Prima di salutarsi, gli aveva detto che le
dispiaceva per come era
andata con Harry. “Ma non dirgli niente. Niente, riguardo a
tutto questo.” Liam
si era morso la lingua nel sentire quelle parole. “Non
è per me. E’ per lui.”
Successivamente le aveva scritto un messaggio
dicendole che il suo
consiglio era stato azzeccatissimo e la sorella era stata entusiasta
del regalo.
Era stata dura nascondere a Harry il fatto che era
di nuovo in contatto
con Hope. Non l’aveva detto agli altri ad eccezione di Louis.
E lui gli aveva
proibito di farne parola con Harry, se non voleva la fine degli One
Direction.
Liam non seppe mai dire se il suo amico stesse scherzando.
Liam
la guardò negli occhi e
impercettibilmente annuì. Lei, in un altro impeto di pianto,
lo abbracciò. “Che
stupida. Che stupida. Sono stata una stupida. L’ho lasciato
andare…”
Liam
la strinse forte di nuovo
tra le braccia. Avrebbe pagato qualsiasi cifra per scambiarsi con Harry
in quel
momento.
Le
due ragazze del terzo e
secondo posto si portarono, una prima e l’altra dopo, sui
gradini più bassi del
podio, non prima di aver fatto un giro dello stadio salutando il
pubblico.
Quando
Hope fece la sua entrata,
lo stadio esplose, quasi come il suo cuore.
Harry
era in piedi. Non se ne era
nemmeno reso conto. Louis lo guardò: gli occhi di Harry
erano fatti per
guardarla. La luce che li illuminava non c’entrava niente con
il sole o con le
luci della stanza.
Le
premiarono con fiori, peluches
e medaglie. Un attimo prima che le luci si abbassassero, Hope
guardò il
peluches: era un orsetto bianco. Le vennero le lacrime agli occhi. Poi le prime note dell’inno inglese si
diffusero all’interno dello stadio e sollevò lo
sguardo.
Harry
aveva visto il peluches e la reazione di Hope. Sul suo viso comparve un
altro tipo di sorriso, quello che riservava solo a
lei: Hope stava pensando a lui.
* dal
Capitolo 7 - La
Prima volta (che l’ho vista) -