Titolo: Arigatou
Sottotitolo: Al buio, due gemme spente
Autrice: _E n s e i_
Fandom: Inazuma Eleven
Protagonisti: Sun Garden
Stato: One Shot – NON CE
L’HO FATTA T-T, 650 PAROLE TT-TT -
Note: allora, mi divertisco (?) a usare, come
tonalità per gli occhi, gemme mai viste né sentite. Opali, questa volta, ma non
normali: opali del Pacifico –non credo sia la giusta traduzione, vi conviene
cercare Pacific opal- e
opali bianchi, scelte derivanti da diverse fanart
dove, da bambino, Suzuno ha gli occhi più tendenti
all’aqua ((NON STO SBAGLIANDO, solo che “verde acqua”
non mi piaceva, e nei pastelli Giotto la tonalità, in inglese, viene scritta
così)). Ah, e pubblico ora, nonostante mi infastidisca pubblicare ogni giorno, perché mi è venuta l’ispirazione e ho deciso di
rendere quella Flashfic una raccolta di Flashfics/One Shots. Spero sia di vostro gradimento~
Arigatou
˜Al buio, due gemme spente™
Il bambino sollevò le palpebre con lentezza,
cercando di proteggere le iridi color opale del Pacifico dalle frecce di luce
che filtravano debolmente attraverso le persiane socchiuse. Era il suo ultimo
giorno di scuola, e aveva la mamma aveva impostato la sveglia per le sette, in
modo da avere tutto il tempo di prepararsi. Eppure nell’aria non vibrava alcuno
squillo, soltanto tuonavano voci agitate che si mescolavano nella sua mente.
Fece per muoversi un poco, per stropicciarsi gli occhi ed eliminare una piccola
lacrima di sonno che aveva preso a inumidirgli la gota destra, quando un grido
più distinto e comprensibile degli altri lo strappò dal torpore del sonno
appena interrotto.
«Stronza! “Con chi hai scopato?” mi chiedi? Sei
solo una stronza!»
Otō-san?
Il bambino attese ancora, mentre la confusione e
lo stupore appannavano i suoi occhi spalancati. L’aria sembrò acquisire
improvvisa pesantezza, opprimendolo e impedendogli di riempire i polmoni sino
in fondo, togliendogli il respiro. Per un istante, l’idea di non voler essere
visto vivo dal mondo che lo aveva generato gli attraversò la mente, gelandolo
sin nelle ossa. Sentì il cuore accelerare con i propri battiti, il fiato farsi
più corto, non si mosse; tese le orecchie, costringendosi a fissare un punto
buio della stanza per non distrarsi.
«Bastarda! Non stai parlando con uno preso dalla
strada, puttana! Mi chiedo cosa mi abbia spinto a sposarti, quel giorno!»
Fu come una lama che trapassava il cuore, i
polmoni, lo stomaco. Il dolore, prima smorzato dall’incomprensione, si
addensava nel corpo come fosse fisico, tramutandosi ora in scariche elettriche,
ora in fitte atroci alle tempie. Da una crepa impercettibile che gli squarciava
il petto, dettata dalla paura, si era estesa sino a raggiungere le dimensioni
di una voragine nera che inghiottiva tutto.
Okaa-san?
Non voleva più ascoltare, non voleva più stare a
sentire tutte quelle grida; anche senza conoscerne il significato, aveva capito
che qualcosa non andasse bene, che l’atmosfera tranquilla della casa al mattino
era stata distrutta brutalmente da rabbia e incomprensioni che non si sarebbero
disciolte nella tolleranza.
La gola serrata dal terrore di vedere tutto finire, come nei film, dove il
bambino rimaneva senza mamma e papà per colpa di un litigio. Fuus’ke smise di ascoltare, lasciò che un flusso di
pensieri misti e incomprensibili gli si riversassero in testa, colmassero il
vuoto lasciato dal sonno, dall’inconsapevolezza. In trance portò le dita
davanti al viso, riuscendo a distinguere il leggerissimo bagliore riflettuto
dalla propria pelle, come per avere la certezza di non stare vivendo un incubo.
Tornò a fissare il soffitto, immerso nel nero, in cerca di una spiegazione per
quello che aveva sentito, senza trovarla. La sfumatura smeraldina scomparve,
per la prima volta, da quelle iridi opalescenti, lasciando che assumessero la
imperturbabile tonalità del bianco niveo. Tutto sembrò gelarsi, nel buio della
stanza; il silenzio che aleggiava, pesante, nell’aria venne spezzato dallo
stridio delle gomme sull’asfalto, lasciando intendere al bambino che il padre
se n’era andato. Sentì i passi familiari della madre nel corridoio, ma non si
mosse; semplicemente si limitò a nascondere gli occhi dietro le palpebre,
bloccando le lacrime bollenti che, altrimenti, avrebbero invaso le gote ceree,
infiammandole di un fuoco che si sarebbe spento troppo difficilmente.
Calore, un’improvvisa carezza alla mano sinistra,
sfiorata dalle dita di Haruya, lo riportarono
indietro. Le immagini di quel mattino ormai lontano si dissolsero nella sua
mente, lasciando posto a quella nitida e brillante del tramonto. Il riverbero
dorato sullo specchio d’acqua che fronteggiava tutti loro non feriva lo
sguardo, ma lo soddisfaceva con dolcezza, donando bagliori di ogni sfumatura
rossa e aranciata. Fuus’ke voltò il viso verso il
compagno, che aveva allontanato la mano con fare imbarazzato: probabilmente non
era sua intenzione disturbarlo, ma era un bene che l’avesse distratto.
Con un filo di riluttanza, seppur tutta apparente, l’albino intrecciò le
proprie fredde con quelle tiepide del rosso, puntando le iridi nuovamente color
aqua davanti a sé.