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Autore: Atticus 182    17/06/2014    1 recensioni
"L'aria bruciava la pelle, il silenzio teneva con cura tutto il Giacimento nelle sue mani e il dente di leone era appassito."
Questa è la storia vista dalla prospettiva di Primrose, e racconta tutto ciò che succede durante l'assenza di Katniss nella vita di Prim. Ricordi, sensazioni, amori, luce e oscurità.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Primrose Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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La in fondo al prato c'è un salice ombroso 
un manto d'erba che culla il riposo 
il capo tuo posa e chiudi gli occhi stanchi 
quando li riaprirai, il sole avrai davanti. 
Qui sei al sicuro, qui sei al calduccio, 
qui le margherite ti proteggon da ogni cruccio, 
qui sogna dolci sogni che il domani farà avverare 
qui è il luogo in cui ti voglio amare. 

Là in fondo al prato, nel folto celato c'è un manto di foglie di luna illuminato. 
Scorda le angustie, le pene abbandona. 
Quando verrà mattina, spariranno a una a una. 
Qui sei al sicuro, qui sei al calduccio, 
qui le margherite ti proteggono da ogni cruccio. 

Qui sogna dolci sogni che il domani farà avverare qui è il luogo in cui ti voglio amare.


La mano trasparente e impercettibile del vento mi sfiorò i capelli e le sue dita mi sciolsero i nodi; quel prato era strano, l’erba aveva sfumature nere e il cielo pareva sporco di un’aurora rossastra, come macchiato di una colpa indelebile. Mia sorella era distesa a pochi metri da me sotto un albero, e mio padre le era vicino. L’albero sembrava lo stesso della nostra canzone. All’improvviso entrambi mi vennero incontro, un sorriso si fece largo tra le mie guance, entrambi allargarono le braccia come a volermici far sprofondare dentro, poi sul volto di Katniss vidi il terrore, il cielo sereno negli occhi di mio padre si dissolse in un liquido nero che si espanse per tutto il bulbo oculare, poi lievemente le palpebre si chiusero portandosi via la vita di quell’uomo, le sua labbra si trasformarono in una forma piatta e priva di colore e in un attimo il suo corpo si accasciò a terra in un movimento fin troppo lento, sembrava di guardare tutto a rallentatore. Katniss spalancò la bocca, in un urlo, ma non sentivo niente, vedevo mio padre morto in terra e le lacrime che solcavano il viso di mia sorella e io da spettatore li guardavo, adesso dall’alto, immobile, senza un corpo con cui poter correre sulla scena del crimine. Ciò che restava di mio padre svanì e rimase Katniss, inginocchiata al suolo e persa nel suo dolore, con le mani semi-aperte quasi prive di vita lungo le gambe. Il suo vestito era macchiato da schizzi di sangue, sangue di mio padre, resti umani le giacevano intorno e nonostante fossi solo uno spettatore senza corpo né anima, potevo sentire il mio cuore accelerare nell’impeto dell’inquietante scena , non riuscivo a muovere nemmeno un muscolo. L’incredulità si fece spazio nella mia mente, quelli erano i resti di mio padre e Katniss aveva smesso di piangere, adesso stava lì, si dondolava, con le ginocchia premute sul petto e gli occhi fissi in un punto lontano che solo lei riusciva a scorgere.  La scena si dipinse di rosso, sangue caldo colava sulla pellicola e tutto venne ricoperto da quel liquido denso. Ero terrorizzata, e con uno scatto aprii gli occhi. Avevo la fronte imperlata di sudore, fissai il soffitto, la prima cosa che i miei occhi inevitabilmente poterono vedere, notai delle crepe e qualche ragnatela alla luce della luna, l’odore del tempo notturno mi riempì i polmoni, la finestra era socchiusa, mia madre dormiva. Non riuscii a rimanere a letto, mi alzai e mi diressi velocemente alla porta correndo in giardino. Assaporai tutto il freddo di quella nottata sulla pelle e nella bocca e negli occhi, con ogni centimetro di pelle, dovevo rinfrescare la mente, era stato un sogno, un incubo, ma le gambe mi tremavano ancora, le mani non volevano stare ferme, mi buttai a terra e iniziai a strappare dei fili d’erba, nella mia testa quella canzone ..Verrai, verrai, all'albero verrai, cui hanno appeso un uomo che tre ne uccise, o pare? Strani eventi qui si son verificati e nessuno mai verrebbe a curiosare se a mezzanotte ci incontrassimo all'albero degli impiccati. Respirai tutto, l’aria, il profumo dei fiori della mamma, l’essenza della rugiada sui loro petali, e nella mia mente le parole si formulavano da sole .. Verrai, verrai, all'albero verrai, là dove il morto implorò l'amor suo di scappare. Strani eventi qui si son verificati e nessuno mai verrebbe a curiosare se a mezzanotte ci incontrassimo all'albero degli impiccati. Il viso di mio padre prese forma tra le note e schiudendo le labbra iniziai a canticchiare la melodia della canzone. Ritornai a respirare, il mondo si stava ricostruendo e i pezzi sotto i miei piedi presero a ricomporsi quasi attirati da una forza che li ricomponeva, li raggruppava tutti insieme. Il battito decelerò e i miei muscoli si stirarono ..... Verrai, verrai, all'albero verrai, di corda una collana, insieme a dondolare. Strani eventi qui si son verificati e nessuno verrebbe a curiosare se a mezzanotte ci incontrassimo all'albero degli impiccati. La melodia si interruppe, la canzone era finita così come la vita di mio padre, eppure le persone dicevano che con il tempo le ferite si rimarginano e il dolore svanisce. Ma piu’ il tempo passava piu’ la voragine che avevo nel petto veniva mangiata e dilaniata dalla perdita, e il respiro mi mancava ogni volta che pensavo il suo nome.

17 giorni. Erano passate ben 2 settimane e 2 giorni dall’inizio degli Hunger Games. In tutto 17 giorni. In quell’arco di tempo ogni tanto in televisione trasmettevano pezzi presi dalle telecamere presenti nell’arena. Erano molto interessati a mia sorella, mostravano in particolare gli spostamenti di lei e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12. Quel giorno Seneca Crane, il primo stratega, aveva emanato il cambiamento delle regole previste dai giochi, i due tributi dello stesso distretto, ancora in vita, potevano entrambi vincere i giochi una volta fatti fuori tutti gli altri. Vidi negli occhi di Katniss un barlume di speranza, seguito da un sussurro in cui pronunciò il nome di Peeta. Mi sentivo così bene per lei, certo non per quello che le stava capitando, ma.. era innamorata e stava combattendo per quel ragazzo con tutte le sue forze ed era così strano vederla impegnata in qualcosa che non era tenere in vita me e la mamma. Mi colpiva il modo in cui lo baciava e il modo in cui combatteva, non l’avevo mai vista uccidere così una preda. Una volta mi portò nel bosco, ero terrorizzata e quando colpì un cervo, provai così tanta pena che le chiesi se potevamo portarlo a casa e curarlo. La sua espressione fu quasi come per dire ‘Mi prendi in giro? Quella è la nostra cena!’. Ma appena scorse la mia tristezza nel vedere quella povera creatura abbattuta, mi tranquillizzò e mi fece allontanare chiedendomi di raccogliere qualche erba curativa o commestibile. La televisione si oscurò e io e la mamma ci guardammo apprensive, sapevo cosa stava pensando ‘Magari può farcela, sono rimasti in pochi e lei è una delle piu’ brave’. Ma io sapevo che Cato, il favorito del 2, non era così facile da eliminare. Così spostai lo sguardo a terra e lentamente mi diressi fuori, invasa dallo scetticismo, ma quasi felice, Katniss me lo aveva promesso e ce la stava mettendo tutta, ‘ci vuole bene’ pensai e al suo ritorno le parlerò di quel ragazzo, si lo farò.
Quella mattina un ennesimo giorno di pioggia si apriva lungo la strada verso scuola, condurre una vita normale senza pensare a tutto ciò che avevo dentro non era semplice, e l’incubo della scorsa notte mi aveva scosso la carne e gli organi facendoli mescolare dentro di me. Il ragazzo con cui avevo trascorso gli ultimi giorni non si faceva vedere, problemi con suo padre o con la sua vita in generale. Quando stavamo insieme ogni problema o dolore si annullava e non valeva solo per me. Notavo come i suoi occhi riprendevano colore e il suo viso cambiava espressione nei giorni in cui disegnavamo al cimitero. Avevamo stabilito questo legame a cui non bisognava dare un nome ben preciso, non eravamo sconosciuti, né amici, né qualcosa di piu’. Eravamo semplicemente la ragazza che ha perso il padre e il ragazzo che ha perso la madre e il fratello. E quando stavamo insieme eravamo semplicemente noi, delle lucciole nel buio che emanavano luce a tratti e si spegnevano nei momenti di tempesta. Mentre questi pensieri mi invadevano anima e corpo, la mattinata stava scorrendo in fretta e le mie azioni si svolgevano quasi meccanicamente. Uscì da scuola e il pomeriggio mi sembrava così lungo, il modo in cui l’avrei occupato era ancora offuscato da un grande punto interrogativo. Abbandonai le braccia lungo i fianchi e toccai qualcosa di tagliente, riemersi dai miei pensieri spezzati da quella strana sensazione, vidi la punta di un pezzo di carta fuoriuscire dalla tasca e sorrisi. Era il suo disegno, me ne ero dimenticata, quella mattina l’avevo trovato nel quadernetto di mio padre ed ero rimasta lì a fissarlo, quando mia madre mi chiamò e lo scaraventai nella tasca del pantalone, adesso era un po’ stropicciato, ma con le mani lo aprii e lo stesi per bene. Non mi accorsi che mi ero fermata lungo il vialetto per ammirare quella piccola opera d’arte , qualche ragazzo piu’ grande passando mi fece cadere a terra e accidentalmente il foglio si strappò, non era grave mi trovai in mano un pezzo di sfondo, ma ero dispiaciuta. Li ripiegai con cura e stavo per infilarlo di nuovo nella tasca quando una voce mi sfiorò l’orecchio, sussurrando «Stai bene? » Il mio corpo si impietrì, il sangue si concentrò esclusivamente sulle guance e ormai non sentivo piu’ il cuore battere sotto il mio petto. Girai la testa di scatto e cercai di sorridere, mascherando ciò che era rimasto dei miei sentimenti, mi consumava ad ogni nostro incontro. «Sto bene, grazie » Risposi timidamente. «Ho visto che quei ragazzi ti sono venuti addosso, hanno tutti perso le buone maniere ormai. » Aveva un’espressione così dannatamente indifferente verso il mondo, ma quando mi guardava io lo vedevo, il fuoco che gli colorava le guance, lo sguardo nervoso e le mani frenetiche. «Cosa vuoi fare oggi? » Mi chiese dolcemente. «Potremmo andare al prato vicino casa mia, lì il pomeriggio si sta bene e ci sono delle farfalle coloratissime da poter dipingere. » Non sapevo cosa rispondergli, così mi ricordai di quando mia sorella, dopo aver saputo della morte di nostro padre, mi prese per mano e mi portò, correndo, nel prato vicino casa a guardare le farfalle colorate del Giacimento, dalle nostre parti non avevamo grandi cose per cui andare fieri o comunque bei posti in cui perdersi, ma lì sembrava che il tempo potesse fermarsi e potesse fotografare quei momenti per renderli immutabili. Quel pomeriggio trascorse all’insegna di sorrisi e sguardi, ci faceva bene averci a vicenda, la vita ci aveva puniti, ma facendoci incontrare stava guadagnando punti per essere perdonata. I nostri dialoghi erano poveri come sempre, si riducevano a piccole frasi o domande e risposte, ma da quando l’avevo incontrato una domanda in particolare picchiettava insistentemente la mia mente come un pettirosso che picchietta la corteccia di un albero. Qual’era il suo nome ? Lui conosceva il mio grazie alla Mietitura, Effie Trinket aveva quasi urlato il mio nome come a spiattellarmelo in faccia, ma lui, sempre così silenzioso, si limitava a parlare di disegni e poesie e a volte di sua madre, senza rendermi partecipe a pieno della sua vita. Così mentre piccole pennellate si prestavano a comporre un altro magnifico disegno, dissi «Ci conosciamo da qualche settimana e ancora non so il tuo nome. » Sorrisi, alzando leggermente le punte della bocca e guardandolo fisso. Continuò a disegnare come se non avesse ascoltato nemmeno una parola, dopo qualche minuto si staccò dal disegno, mi guardò negli occhi, inchiodandomi a terra, si avvicinò a pochi centimetri dal mio viso.. « Isaac Feistmann, la nostra famiglia ha origini ebraiche, il mio cognome è ebraico, mia madre era Angelique Lennox » Le sue labbra sfiorarono le mie, il gesto fu così impercettibile che lui non se ne rese conto, ma io si, avevo assaporato il profumo di quella bocca, ero frastornata dalla sensazione che sentivo nello stomaco, e per la prima volta non era fame. Così era quello il suo nome, Isaac. Adesso quel ragazzo mi era totalmente entrato dentro, aveva scavato la pelle e si era infilato nelle ossa, penetrando gli organi in un lasso di tempo così breve, nessuno era riuscito mai a toccarmi il cuore così, la morte ci aveva fatti incontrare, sarebbe riuscita, la morte, a separarci ?
   
 
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