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Autore: Francine    17/06/2014    2 recensioni
«Una sorta di super soldato?», chiese un giovane, dai capelli biondi e dall'accento sguaiato, con una cravatta da vaccaio al collo. «Come nei fumetti?»
«Esatto, mister Griffith», intervenne Volonskij, «solo che, questa volta, potreste ottenere dei dati concreti, invece che pagine disegnate per bambini delle elementari.»

Prima Pubblicazione: Settembre 2004
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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15.



  Rispetto a molti dei suoi parigrado, Jimena Peñareal era disposta ad ignorare i privilegi derivati dalla casta pur di portare a termine con successo la missione che le era stata affidata. Perché Jimena era una persona pragmatica, pratica e realista. Una di quelle che, davanti ad un bicchiere d’acqua, non avrebbe perso tempo a chiedersi se fosse mezzo pieno o mezzo vuoto, ma l’avrebbe visto per quel che era realmente: un bicchiere d’acqua. Che avrebbe bevuto senza pensarci se avesse avuto sete.
La missione innanzitutto, questo solo contava per lei; e cooperare coi propri sottoposti era il primo passo per creare quel rapporto di armoniosa collaborazione che avrebbe portato al raggiungimento del traguardo agognato. E se avesse dovuto svolgere quei compiti più ingrati, pazienza. Anzi, nell’ottica di Jimena, erano proprio gli aspetti più indigesti quelli che garantivano il successo dell’operazione. I mattoni su cui fondare la buona riuscita della missione. E rientravano nei precisi doveri di chi era a capo della missione stessa. Che non poteva, no, restarsene in disparte e delegare il lavoro ai propri sottoposti, e vigilare. Perché se qualcosa fosse andato storto, sarebbe stata responsabilità sua – e solo sua – il non essere intervenuto al momento opportuno. Due o tre passi prima del punto di non ritorno.
Ecco perché quella mattina Jimena era uscita a fare la spesa, lasciando Fiona a giocare a fare l’infermiera e affidando ad Andrew il compito di guardare, ascoltare ed osservare le mosse del nemico. Lei avrebbe fatto altrettanto, aprendo occhi e orecchie ma restando nel quartiere, per comprendere se li stessero ancora cercando; se Nerima potesse considerarsi ancora una zona sicura; se non fosse il caso di spostarsi a Kido Manor. Tutti. E da lì, riorganizzare le operazioni, con Athena e altri due suoi parigrado. Anche a costo di vedersi soffiare la missione da sotto il naso.
O se, come temeva, il nemico non fosse già arrivato a loro. E non stesse per bussare all'uscio gragnuolandolo di calci.
A questo pensava la porteña dai capelli nerissimi mentre acquistava la carne. Perché una bella bistecca ai ferri era quello che ci voleva per rimettere in sesto la Fenice. E perché anche lei aveva voglia di addentare un churrasco sugoso e morbido, dopo due settimane passate a mangiare cibi precotti oppure riso bollito e pollo lesso.
Ma Jimena non sapeva che quel giorno, solo per quel giorno, avrebbe fatto meglio a ridistribuire i compiti in maniera diversa. E a restare lei, a casa, una volta tanto.
 
 
«Il palazzo è quello.»
«Sembra un normalissimo palazzo di rappresentanza.»
«Mai sentito il detto l’apparenza inganna
Erano seduti al tavolino di un caffè all’angolo di fronte al grattacielo F, che svettava alto nel cielo serale, con tre tazze di caffè americano oramai fredde davanti a loro.
«È un’ora che siamo qui. Vogliamo aspettare che ci mettano i bastoni tra le ruote? Mahoney avrà già chiamato Saori, ammesso che Mena o Andrew non siano rientrati e abbiano dato l’allarme…»
E Jones, Tackleberry e Hightower quando arrivano? Avremmo giusto bisogno di loro, pensò Françoise prima di rispondere : «Vogliamo vedere che cosa accade davvero in quel palazzo prima di entrare e spaccare tutto?».
«Abbiamo visto a sufficienza», rispose la Fenice alzandosi. «Entriamo, adesso! Non ho la minima voglia di essere legato di nuovo ad un letto!»
«Sia messo a verbale. Alla Fenice non piace il bondage», lo sfotté lei prima di svuotare la propria tazzina tutto d’un fiato. Come se fosse una medicina amarissima.
Ikki l’incenerì con lo sguardo, dicendo a Seiya:«Andiamo! E smettila di ridere!».
«OK, ma chi paga?», chiese Seiya, rammentando di essere uscito senza un soldo in tasca, con solo la tessera della metropolitana.
«Non guardare me», ribatté Ikki.
«E nemmeno me», disse lui. Restava solo Françoise.
«La cavalleria è proprio morta!», commentò la ragazza mentre cercava i soldi nelle tasche dei jeans.
«Portiamoci sul retro», propose Seiya avvicinandosi al semaforo. Ormai erano quasi le otto e un quarto di sera: le luci del grattacielo erano spente, fatta eccezione per l’insegna del ristorante sulla terrazza e quelle dell’ultimo piano.
«Entriamo e proviamo a dirigerci al ristorante. Poi scenderemo.»
«Ma ti sei visto? Non ci faranno mai entrare vestiti così in un posto simile!», commentò Ikki. Ancora con questa storia? Cos’hanno i miei vestiti che non va?, pensò Seiya rabbuiandosi. «Meglio passare per la porta del personale.»
Attraversarono la strada e girarono intorno all’edificio, sbucando in un vicolo illuminato da un lampione solitario. Si acquattarono dietro due cassonetti semivuoti, studiando la facciata secondaria: c’era una sola porta, probabilmente quella antincendio, ed un’uscita riservata alle vetture.
«Richiamiamo le armature ed entriamo. Se funziona come nell’altro palazzo, lì dentro sarà impossibile usare il Cosmo. E se hanno fatto la stessa cosa anche a loro, avranno un cerchio metallico sulla fronte», disse Ikki espandendo il proprio potere.
«Un congegno per bloccare il Cosmo?», chiese Seiya perplesso. «Basta toglierselo, allora.»
«Non è così semplice. Quei bastardi ti impiantano un chip sotto pelle che reagisce alla minima manomissione dell’inibitore. Con delle scariche elettriche difficili da sopportare per dei Santi in buona salute, figuriamoci per loro…»
«Figli di puttana!», imprecò Seiya vestendosi della propria armatura. «Ma tu riuscivi a percepire i nostri cosmi? Abbiamo provato e riprovato…»
Ikki annuì. «Sì, vi sentivo, eccome! Ma non potevo assolutamente rispondere al vostro richiamo, quell’arnese infernale bloccava la trasmissione del fattore C nel sangue», aggiunse mentre la sua mente gli ricordava il Cosmo di chi più di tutti l’aveva cercato. Dovrò chiarirle come stanno le cose… Assolutamente!
«Il fattore C?»
«Te lo spiegherò dopo.»
«Così come dovrai spiegarmi come hanno fatto a prenderti.»
«Semplice. Hanno tolto per un istante l’inibitore a Shun e ho sentito che era nei guai, così l’ho raggiunto, ma loro mi hanno fregato col gas.»
«Gas?»
«Sì, dello stupido, semplice gas soporifero, sparato all’improvviso in una stanza chiusa a tenuta stagna. Deluso? È andata così, inutile girarci intorno. Quando mi sono risvegliato avevo addosso il cerchio ed ero in una fetentissima cella che puzzava come un letamaio.»
«Ho capito, il cattivone supremo lo lascio a te…»
«Bravo ragazzo! E adesso che ho colmato le tue lacune, vogliamo entrare o gradisci anche due pasticcini con il tè?»
«Aspettiamo Françoise. Dobbiamo dire tutto anche a lei.»
«Dirmi cosa?», chiese la ragazza acquattandosi dietro di loro. «E perché avete le armature?»
Ikki e Seiya si scambiarono uno sguardo d’intesa. «Non andiamo ad una festa in maschera, bellezza», tentò di sviare Pegaso, sapendo che la ragazza non avrebbe mollato l’osso tanto facilmente.
«Bellezza, lo dici a qualcun altro. O vuotate il sacco qui, adesso e subito, o vi tratterrò fino all’arrivo della cavalleria», li minacciò lei guardandosi le unghie laccate di nero. «Allora? Io sto aspettando, e anche Shun, mi pare.»
«Stiamo andando a liberare Shun», le disse Ikki. «Credevi che avremmo portato due cioccolatini, un mazzo di fiori ed avremmo suonato alla porta?»
«No», rispose lei. «Ma sarebbe utile un maggior sangue freddo, se volete riportare a casa tuo… vostro fratello.»
«Ho capito», disse Seiya. «Vuoi metterti a capo della missione…»
«Non hai capito un accidente!», sbuffò lei. «Meno avrò a che fare con quest’alzata d’ingegno e meglio sarà. Per tutti, credimi.»
«Avrai comunque dei problemi se entrerai lì dentro con noi», rispose Ikki indeciso se raccontarle tutto o tacerle la parte relativa a Shiryu.
«No, tesoro, non credo. Io ho disperatamente cercato di fermarvi, ma visto che non c’è stato verso di farvi desistere dal vostro piano suicida, ho dovuto seguirvi per evitare che vi cacciaste in casini ancora più grandi», rispose richiamando le vestigia dorate con uno schiocco delle dita.
«Lo sai che non ti crederanno neanche per un secondo, vero?»
«La verità è una questione di prospettive.»
«Ho già sentito questa storia. Non finisce bene, sai?»
«Lo so. Ma è meglio avere una scusa assolutamente idiota che nessuna, non credi Ikki? Allora? Sto iniziando ad esaurire la mia limitata riserva di pazienza…»
«Forse lì dentro potrebbero esserci anche Shiryu e il professor Asamori», sputò fuori Seiya.
«E perché volevate tenermi all’oscuro di questa cosa?»
«Questa, poi! Hai quasi cercato di ammazzare Shiryu, non te lo ricordi?», digrignò Ikki tra i denti.
«Errore. Non ci sono arrivata a toccare il tuo Shiryu», rispose mentre Seiya pensò tra sé e sé E meno male!. «E comunque, siete ragionevolmente sicuri che li tengano tutti e tre lì dentro?»
«Non ne ho la certezza, ma lo ritengo plausibile.»
«Perché?»
«Come sarebbe a dire perché? Tu dove terresti le tue… cavie?», chiese Ikki. L’ultima parola sembrava una goccia di veleno sulla lingua.
«Tutte assieme», concesse lei. «Ma se puoi lavorare in tranquillità. È di questo che non sono sicura. Dopo tutto stiamo pestando loro i calli da un bel po’…»
«E in che modo?», chiese Ikki.
«Rompendo le palle ai Bloody Roses, ad esempio.»
«I chi?»
«Bloody. Roses. Davvero non gli hai detto nulla della meravigliosa carriera da cantante di suo fratello?», disse Françoise a Seiya con un sorrisetto ironico.
«Seiya, che sta dicendo questa pazza?»
«Te lo spiego dopo, adesso entriamo», rispose Pegaso aprendo la porta di servizio e scivolando nell’edificio.


«Come sarebbe a dire che li hai lasciati andare?!»
Andrew era fuori di sé: era rientrato a casa dopo una giornata passata a tenere sott’occhio il nemico ed il luogo dove potesse essere rinchiuso Shun e al suo ritorno Ikki era sparito. Aveva cercato Fiona per tutta la casa, senza ottenere risposta, trovandola infine inginocchiata in camera sua a recitare il rosario in latino stringendo tra le mani una croce celtica.
«Fiona? Sei impazzita?», le disse strappandole di mano il rosario. «Ti ha dato di volta il cervello? Quei due adesso sono nella merda fino al collo e tutto grazie a te! E sai che ti dico? Non appena Jimena e lady Saori sapranno che c’è il tuo zampino in tutta questa storia, ti ritroverai anche tu nei casini!»
Senza ribattere, Fiona raccolse la croce e riprese là dove si era fermata.
«Ave Maria, gratia plaena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui, Iesus…»
«Fiona Mahoney! Sei sorda?», le urlò scuotendola per le spalle, mentre lei velocizzava la litania. «Non ci posso credere…»
Andrew si arrese lasciandosi cadere in poltrona e mettendosi le mani tra i capelli. «Che devo fare con te, darling
Si massaggiò le tempie cercando una soluzione al problema che si era manifestato come un fulmine a ciel sereno, mentre lei era arrivata a recitare il Padre Nostro.
«Ok, ok… Adesso ne ho abbastanza! Io chiamo Athena!», disse portandosi in corridoio e alzando la cornetta. «Kido Manor, please», scandì lentamente nel suo accento inglese alla centralinista dall’altra parte del filo.
«Mi spiace, ma il numero richiesto non risulta nell’elenco.»
«Come sarebbe a dire?»
«Mi spiace. Le augurò una buona giornata», e attaccò.
«E allora come diavolo ha fatto Ikki a chiamare Athena?», urlò sbattendo la cornetta.
«Che succede qui?»
Jimena era apparsa sulla soglia di casa, carica di buste e bustine in cui teneva la spesa che Fiona le aveva scritto su un foglietto un paio d’ore prima. Era rientrata lasciando le commissioni a metà, perché il suo sesto senso le diceva che la Fenice non stava mantenendo il proprio cosmo costante per esercizio. E aveva percepito altri due cosmi, attorno a loro. Uno d’oro. E l’altro molto vicino a quello di Ikki.
Andrew sospirò ammettendo:«Ikki è andato a salvare Shun. Fiona mi ha detto che è arrivato qui un certo Seiya e che…»
«E chi avrebbe detto a Ikki dove si trova il palazzo? Non sarà stata Fiona, vero?», chiese Jimena con gli occhi socchiusi posando le buste sul tavolo della cucina, e Andrew non poté far altro che annuire.
«Jimena, cerca di capirla», disse il ragazzo trattenendola per un braccio. «Lo sai anche tu che Patrick…»
«Ti ha dato di volta il cervello?» Il Capricorno si liberò dalla stretta del compagno con un gesto deciso del braccio. «Adesso mi sente quella pazza! E tu fila a Villa Kido ad avvisare Athena! E strada facendo espandi il tuo Cosmo per richiamare tutti i Santi presenti in Giappone alla villa!»
«Ma…», esitò incerto.
«È un ordine!», urlò la ragazza con gli occhi fuori dalle orbite.
Andrew si riprese e corse verso villa Kido seguito dalla luce della propria armatura, mentre Jimena raggiunse la stanza che divideva con Fiona salendo i gradini quattro a quattro. 
La trovò inginocchiata davanti al suo letto, le labbra che si muovevano velocemente in silenzio e le dita che tormentavano un rosario d’argento.
«Fiona, basta pregare!», disse strappandole di mano il rosario: la catenella si ruppe in due parti, una più lunga che rimase ben salda nella mano di Fiona, ed una più corta che la ragazza lasciò cadere sul pavimento.
«Che hai fatto?», le chiese Fiona guardando incredula le proprie mani e la catenella inerte sul pavimento. «Era un regalo di Patrick, lo sai questo?», ruggì. Scattò verso Jimena, le afferrò lo scollo della maglia e la tirò a sé.
«E tu lo sai che immane stronzata hai appena fatto?», chiese a sua volta la porteña, liberandosi. «Lo sai che per colpa tua saranno ammazzati come cani?»
«Ma che dici? Patrick…»
«Patrick è morto, capito? Morto! È morto due anni fa! Vuoi fartene una ragione? Quello è Ikki!», le disse scuotendola energicamente per le spalle. «Svegliati, Fiona!»
Fiona si staccò da lei e indietreggiò di un paio di passi, portandosi le mani al viso. 
«Lo so, cosa credi?», sussurrò piano piano. «Era mio fratello, il mio gemello!», terminò urlando a gran voce tutta la sua angoscia. «Era mio fratello…», continuò a singhiozzare mentre Jimena teneva le mani strette a pugno. Per non strozzarla.
«Non sei la sola che ha perso qualcuno», tentò di ribattere.
«Non era tuo fratello!»
Jimena espanse il proprio Cosmo. Schiacciandola al suolo.
«Forse non siamo usciti dallo stesso utero. È vero. Ma per me, era come un fratello. E non azzardarti mai più, ripeto mai più a dire il contrario. Sono stata chiara?»
Silenzio.
Il Capricorno alzò lo zoccolo e la Lucertola ne approfittò per riprendersi.
«E adesso?», singhiozzò Fiona asciugandosi le lacrime.
«Adesso vai a lavarti gli occhi che sembri un panda, e ti calmi. Andrew è corso a Villa Kido ad avvisare Milady. Probabilmente dovremo fare un’azione di recupero. Avremo bisogno di gente con la testa sulle spalle. Se non te la senti, dillo.»
Fiona annuì. «Me la sento», ribatte. «Mi sembra il minimo, ho causato io tutto questo casino e devo rimediare. E dovrò farmi perdonare anche da Andrew…»
«Quello sarà la parte più semplice», le disse vedendola andare in bagno. Il complesso del fratello maggiore, pensò Jimena raccogliendo le due parti della catenina e mettendole in un cassetto. Ruy, aiutaci tu.


«Milady, io sarei propenso ad affidare ad un solo Santo d'Oro il recupero dei dispersi…»
Saori osservava il cielo nuvoloso stretta nelle spalle. «Capisco perfettamente il tuo punto di vista, Milo; tuttavia devo anche tener conto dei sentimenti dei Santi di Bronzo. Sono fratelli, e anche se sono le persone meno ligie a seguire il protocollo, devo comunque rispettare la fiducia che ripongono in me.»
«Fiducia?»
Saori annuì. «Sì, è un discorso che vale sia per me che per voi. Io confido che voi sarete sempre al mio fianco e mi proteggerete sempre da ogni pericolo, mentre voi avete fiducia in me, sapendo che capisco i vostri sentimenti, le vostre ansie e le vostre angosce.»
Saori osservò la ragazza dai lunghi capelli che la stava fissando riflessa sul vetro: aveva un’espressione stanca e preoccupata. Eppure, non poteva contare su Seiya, nonostante fosse una testa calda e agisse sempre di propria iniziativa? Non l’aveva forse salvata dai ripetuti attacchi portati dai Santi d'Argento? Non si era gettato in un crepaccio, salvandola dalle grinfie di Jamian del Corvo e Shaina, nonostante avesse una gamba spezzata ed un polso rotto? Non si era parato davanti a lei all’ultimo momento, un secondo prima che il Lightning Bolt di Aiolia arrivasse a sfiorarla? Non si era trascinato con le unghie sino alla Statua nell’adyton per raccogliere lo scudo e cancellare dal suo petto la Freccia d’Oro? 
E gli altri Santi di Bronzo non erano certo stati da meno, durante tutte le lunghe battaglie che li avevano visti ergersi come ultimo baluardo contro il male. 
Contro Poseidone, che avrebbe voluto inondare il mondo per punire i troppi peccatori che ne calpestavano la superficie.
Contro Eris, che voleva gettare la Terra in un mondo in preda alla guerra continua.
Contro Apollo, che degno amico del Dio dei Mari voleva purificare gli uomini con il suo sacro Fuoco.
E contro Loki, che avrebbe voluto scatenare in anticipo il Ragnarok raccogliendo il sangue di una dea vergine in un ciborio.
Milo l’osservò a lungo dalla sua posizione, inginocchiato a pochi passi da lei. Saori aveva chiesto loro di lasciarla da sola per un po’, ma dopo una mezzora abbondante lo Scorpione le aveva chiesto udienza: era arrivato il momento di mettere Athena di fronte ad una scelta. Bisognava agire o ritardare all’infinito, attendendo non si sa quale manna dal Cielo?
E Athena, aveva deciso di assecondare il suo sesto senso, quello che la portava sempre e comunque a scegliere i Santi di Bronzo, quei cinque Santi di Bronzo, come fattore risolutivo. 
Ponderava a lungo le sue scelte, ma una volta prese, pensare di farle cambiare idea era come pretendere di combattere contro i mulini a vento.
E io non sono così rincoglionito come Don Qijote!, si disse il ragazzo pensando che avrebbe dovuto pagare ad Aiolia quella birra che avevano scommesso, una volta tornato in patria.
Vecchio volpone, tu lo sapevi perfettamente ancor prima di scommettere che Athena avrebbe deciso a priori di dare la precedenza ai Santi di Bronzo! Non dovrei pagare pegno, quasi quasi!
«Dobbiamo aver fiducia in loro, Milo. Tuttavia…», disse Saori riemergendo dai propri pensieri quando Tatsumi caracollò nella stanza come un tornado.
«Milady, è successa una cosa gravissima! Ah, quel ragazzo è una vera calamità!»
«Tatsumi, che succede?», chiese Saori stupefatta dal suo comportamento, di solito tanto compassato.
«Milady, milady!», continuò a pigolare l’uomo, sudando per il nervosismo.
«Smettila di farfugliare e spiegaci che succede!», tuonò Milo riconducendolo alla ragione.
«Sì, subito! È arrivato un uomo che dice di chiamarsi Andrew Nonsobenecosaterzo e di essere il Santo di Perseo; sembra che Seiya e Ikki siano andati a fare un’irruzione per liberare Shun!»
«Da soli?», chiese Saori pur sapendo già dall’inizio in cuor suo che sarebbe andata a finire così.
«Sembra di sì, milady! Hyoga, che era giù con me, è andato subito sul posto indicato da quel tizio e mi ha detto di salire subito a riferirle che si trattava di una cosa grave.»
Saori abbassò la testa al pavimento, mormorando qualcosa d’incomprensibile mentre si sentiva gli occhi azzurri di Milo addosso.
«Fai salire immediatamente quella persona, Tatsumi! Io richiamerò a palazzo tutti i Santi.»
«Sissignore, vado!», rispose l’uomo uscendo così come era entrato.
Saori sospirò, rivolgendosi poi a Milo. «Siamo stati messi di fronte al fatto compiuto, a quanto vedo… La nostra conversazione è stata superflua.»
«No, milady. Non dite così. Avete ricordato a quello che dovrebbe essere il vostro più fedele e fidato servitore una cosa importantissima che avevo dimenticato.»
Saori fissò l’alto ragazzo che aveva davanti a sé: il diadema dell’armatura gli copriva parte del volto, lasciando ben in evidenza i suoi occhi penetranti e chiari. Gli prese una mano, racchiusa nel guanto d’arme dorato, e la strinse tra le sue.
«Resta sempre accanto a me, Milo.»
«Come potrei abbandonarvi, Milady?», rispose lui inginocchiandosi di fronte a lei. «Io sono nato per essere al vostro fianco e difendervi.»
«A volte mi sento in colpa. Voi potreste vivere come ragazzi comuni, e invece non sappiamo nemmeno se e quando…» la Guerra Sacra scoppierà.
«Milady, Aiolia, Mu, Aldebaran, Shaka ed io siamo preparati alla Guerra Sacra da quando abbiamo messo piede al Santuario. Come voi avete la missione di proteggere la Terra e gli uomini in nome del Sommo Zeus, così il nostro compito è quello di proteggere Voi. E se questo il prezzo da pagare, sia. Meglio una vita breve, ma degna d’essere vissuta. E come la me, la pensa ogni vero Santo d’Athena.»
«Milo, grazie…», rispose Saori con gli occhi lucidi e il cuore gonfio. «Spero che quando questa storia sarà finita, tu possa risolvere i tuoi problemi interpersonali.»
Scorpio annuì. «Sono desolato per il pessimo spettacolo dato prima, ma Seiya…»
«Sono sicura che parlandone, troverete una soluzione.»
In quel momento, prima che Milo potesse obiettare che no, non era colpa sua se Seiya si era messo in testa che volesse soppiantarlo nel cuore di Shaina, che lui aveva ben altre gatte da pelare per conto proprio, e che no, non provava nulla per l’Ofiuco, tutt’altro, la porta si aprì ed entrò Perseo.
E questo principino sarebbe il successore di Argor?, pensò squadrando il ragazzo dalla testa ai piedi. Speriamo bene…


Quel pazzo! Ne facesse mai una giusta!
Shaina si sciacquò alla svelta la maschera al cetriolo dal viso e srotolò l’asciugamano fissato a turbante sulla sua testa: non aveva il tempo di togliersi l’impacco rivitalizzante che aveva appena applicato sui capelli, ricoprendoli di una pellicola bianco latte. Decise di legarli in una coda bassa e andò a prendere la propria armatura dallo scrigno, accorgendosi solo in quel momento che quella di Françoise non era al suo posto.
Se quell’incosciente è andata a dargli man forte, giuro che le torco quel naso presuntuoso con le mie mani!, pensò correndo verso villa Kido.
Incontrò Jabu davanti al portone: il ragazzo stava scendendo al volo dalla berlina che l’aveva riportato a palazzo in fretta e furia da una qualche importantissima riunione che non si sarebbe potuta svolgere senza la sua presenza, pensò la ragazza. Però Saori chiama, e lui arriva, si disse. Per Jabu, Saori era e sempre sarebbe stata la bussola della sua vita, molto più di quanto avrebbe dovuto essere Athena. A dispetto di tutto e tutti
«Shaina, ci sei…» anche tu? «Che cosa hai fatto ai capelli?»
«Lascia stare!», ringhiò lei entrando nell’atrio bianco. «Gli metto in conto anche questo, a tuo fratello!»
Tatsumi venne loro incontro, mormorando una giaculatoria che aveva come piatto forte la frase:«Meno male che siete qui anche voi!», e conducendoli nel salotto in cui Athena li stava aspettando. 
Saori era lì, seduta in una poltrona foderata di velluto bordeaux: smesso il tailleur blu petrolio indossato nel primo pomeriggio, aveva ripreso il candido peplo, la cintura d’oro a fascia alta e il diadema a foglia d’olivo stilizzata, lo scettro di Nike ben saldo nella mano destra. 
Il tempo sembrava non avere intaccato la sua radiosa bellezza, la stessa dei giorni in cui presenziava agli scontri della Guerra Galattica; ma la preoccupazione le colorava lo sguardo di un riflesso cupo. E doloroso.
Shaina s’inginocchiò accanto agli altri Santi, notando la presenza di tre nuovi guerrieri oltre a Nachi, Ichi e gli altri due Santi di Bronzo di cui non ricordava il nome; guardò Jabu per chiedere spiegazioni.
«A dopo. Possiamo fidarci di loro», le sussurrò, ancora inguainato nel completo antracite, slacciandosi la cravatta grigio perla. 
Come con Nadia e Françoise?, pensò Ophiucus poco convinta.
«Seiya e Ikki sono penetrati nel covo in cui il nemico tiene prigioniero Shun. Forse anche Shiryu e il professor Asamori si trovano nella stessa struttura. Hyoga è già sul posto, ma credo è troppo tardi per fermarli.»
E io lo sapevo!, pensarono all’unisono Unicorno e Ofiuco, scuotendo la testa.
La voce di Saori era risuonata per quelle stanze dall’alto soffitto bianco senza tremore o esitazione. Adesso non era più l’ereditiera Saori Kido; era la dea Athena.
«Unicorno e Camaleonte, voi raggiungerete Hyoga e gli fornirete supporto.»
I due Bronze si alzarono e, schioccando i tacchi risposero in coro: «Agli ordini!» «Ofiuco e Lucertola, voi v’introdurrete nel covo e cercherete di sventare qualsiasi minaccia il nemico stia preparando.»
«Agli ordini!», risposero entrambe. Bene, vedremo subito di che pasta sei fatta, miss carotina, pensò l’Ofiuco osservando con la coda dell’occhio la compagna.
«Chi non ho nominato resterà qui, pronto ad intervenire in caso di bisogno.»
Saori pronunciò queste parole con un tono di voce deciso, che non ammetteva repliche, nonostante le facce dei non nominati fossero di tutt’altro avviso. Percepiva sulla pelle tutta l’ansia che provavano i suoi paladini rimasti in panchina, se la sentiva scorrere addosso come brividi di freddo.
«Come desidera, Athena», le venne in soccorso Milo, i capelli ribelli tenuti a freno dal diadema.
«Cancer dov’è?», gli chiese, temendo che lui potesse confermare i suoi sospetti; Milo scosse la testa, preoccupato, o forse solo seccato, da quell’assenza.
«Non ne ho idea. Spero non con loro.»
«È assente da quattro giorni, milady…», disse Shaina, gli occhi bassi al pavimento.
«Capisco...», sospirò Saori. «Conosci te stesso.»
«E niente in eccesso», risposero i guerrieri, in un’unica voce.
«Andate, avete la mia benedizione!», disse lasciando la stanza seguita dallo Scorpione, mentre i Santi nominati sciamarono ognuno verso la propria missione.


Qui non c’è nessuno, solo dei poveri animali…
Seiya stava esaminando pian piano tutte le stanze che si affacciavano su quel corridoio del terzo piano: l’unico inconveniente era dato dal fatto di doversi muovere con le luci d’emergenza, di un fastidioso verde fioco. Era stata un’idea di Françoise quella di far saltare il quadro elettrico per poter agire con maggiore libertà. 
«Giusto, avranno una sfilza di telecamere, conviene tentare…», aveva detto mentre Ikki annuiva. 
Françoise aveva alzato il dito indice e aveva convogliato un fascio d’energia violacea in direzione del quadro generale, che aveva sfrigolato come burro in padella.
«Questo ci darà un po’ di vantaggio», aveva detto lei riparandosi dalle scariche provenienti dal pannello.
«Forza! Dividiamoci e cerchiamoli! Appuntamento al quarto piano tra un’ora, il primo che trova qualcosa espanda il Cosmo!»
Tutto sommato, era stata una buona idea: i generatori ausiliari erano entrati in funzione garantendo l’accensione delle luci d’emergenza e l’autonomia dei macchinari.
Questo non cambia il fatto che sia una pazza esaurita!, concluse Seiya svoltando l’angolo e trovandosi in un corridoio identico a quello appena lasciato.
Mi sento un topo nel labirinto, pensò avanzando cautamente verso la fine del corridoio. Sentì dei passi correre nella sua direzione.
«Avanti, è dietro l’angolo!», disse una voce maschile mentre lui si chiedeva chi potesse essere il genio che inseguiva qualcuno facendo tutto quel fracasso. 
La risposta arrivò immediatamente: dall’angolo davanti a sé sbucarono sei uomini in tenuta d’assalto nero pece, mitra alla mano, che gli intimarono di fermarsi.
«Fermo o sparo!», urlò il capo mentre faceva partire una sventagliata di mitra nella sua direzione.
Questi sono pazzi!, pensò Seiya deviando i proiettili troppo vicini alla sua persona prima di voltarsi verso dove era venuto. Meglio filare!, si disse ripercorrendo a ritroso il corridoio e guadagnando le scale antincendio.
«Eccolo lassù!», sentì gridare prima che una scarica di colpi s’infrangesse contro il corrimano verde bandiera. Schizzò al piano superiore, tra le urla e i proiettili che arrivavano sempre troppo poco vicino a lui. Quasi sorrise della lentezza dei suoi inseguitori, dicendosi che sì, era stata una buona idea quella di non attaccare quelle persone. Non erano Santi. E attaccar briga con loro sarebbe stata una perdita di tempo. Perché non avrebbe mai potuto fidarsi delle loro parole, qualora fosse riuscito a raccogliere delle informazioni. E uno scontro l’avrebbe trattenuto sul posto. Quando lui, invece, doveva pensare a trovare Shiryu. E a portarlo fuori da quell’inferno.
Si vede che starò diventando più saggio, si disse entrando al quarto piano dove l’accolse uno strano silenzio. 
Tutto lo spazio era occupato da stanze simili a quelle del piano di sotto, con gli estintori agli angoli dei corridoi, le luci d’emergenza del solito orrido verde fioco e lo stesso pavimento a scacchi bianco e blu. 
Solo che questo era completamente in silenzio rispetto al piano appena lasciato, troppo per una caccia all’uomo. Mise in allerta tutti i suoi sensi e si diresse verso le scale antincendio esterne, all’estremità opposta del piano. Sentì un rumore, come qualcosa che rotolava nella sua direzione; fece appena in tempo a voltarsi e a vedere un bussolotto rotolare sul pavimento verso di lui, emettendo del fumo dalle due estremità. Cazzo!, pensò cercando di raggiungere l’uscita, che trovò saldamente sprangata da una saracinesca d’acciaio.
«Maledizione!», urlò scaricando sulla porta il suo Ryuseiken, nella speranza di aprirsi un varco.
Come riuscì perforare di un paio di centimetri la serranda, quanto sarebbe bastato per infilare le dita e crearsi un varco, un fumo bianchissimo, denso e dolciastro invase la stanza, insinuandosi nella sua gola e nei polmoni.
«Maled…», disse prima di iniziare a tossire e a lacrimare copiosamente. Corse via, cercando un modo per scappare da quel fumo che gli stava entrando ovunque e lo costringeva a sputare fuori anche l’anima. Si ritrovò in un angolo cieco, il muro davanti a sé e la coltre di fumo che lo seguiva dietro e da destra.
Proviamo di là…
Si gettò a destra, correndo in apnea e cercando di aprirsi un varco nella nebbia che aveva preso possesso del quarto piano. Cadde dopo una trentina di passi, senza aria nei polmoni, solo un grande e pesante sonno a chiudergli le palpebre gonfie.


Mi sembra tutto troppo semplice, pensò entrando al primo piano e lasciando una piccola zeppa a tener aperta la porta dell’ascensore. Si diresse nel corridoio che s’apriva davanti a lui illuminato dalle fioche luci d’emergenza. Contò una dozzina di porte zincate verdi che si affacciavano sul corridoio ad intervalli regolari prima di trovarsi davanti ad un bivio: sia a destra che a sinistra il secondo corridoio terminava in una soffusa luminescenza verde pallido.
Destra, decise dopo aver ascoltato eventuali rumori in entrambe le direzioni. Percorse altri due corridoi simili, costellati da porte verdi tutte uguali e tutte altrettanto anonime, tornando al punto di partenza. Sta a vedere che dovrò aprirle tutte, si chiese guardando una porta a caso. 
Cominciò dal corridoio in cui si trovava e andò avanti per una buona mezzora fino a che non sentì l’inconfondibile rumore degli stivali della sorveglianza scalpitare sul pavimento. Si chiese come avessero fatto ad accorgersi della loro presenza: eppure avevano disattivato il sistema delle telecamere di sorveglianza. Sentì un click sopra la sua testa ed alzò il viso di scatto accorgendosi che alcune telecamere stavano continuando a riprendere. Staccò una penna di bronzo dalla coda dell’armatura e la lanciò contro la lente che stava trasmettendo le sue mosse a chissà chi. 
L’immagine dell’uomo in armatura tremò e poi scomparve dallo schermo in bianco e nero.
«Che spreco d’energie… Attenzione, sergente Sakurada, il sospetto si trova ad ore nove rispetto alla vostra posizione. Probabilmente cercherà di attaccarvi, siete autorizzati ad aprire il fuoco. Passo.»
«Ricevuto, signore, passo!»
«Passo e chiudo!»
Spense il microfono e tornò a guardare gli schermi davanti a sé: mancava solo quella specie di scarafaggio gigante che brillava al buio. «Uno così lo vedrebbero anche nel culo dell’inferno…», commentò andando poi a guardare tre monitor separati dagli altri. Nel primo, un uomo era legato ad una brandina con la flebo ormai da cambiare. Nel secondo, due uomini in ceppi sembravano dormire. 
Nulla da segnalare nel terzo. Il telefono squillò.
«Mi dica, signore.»
«E il secondo? L’avete preso?»
«È questione di attimi, ormai.»
«Fatti, non parole! Voglio i loro cadaveri sulla mia scrivania entro un’ora!», berciò, e troncò la comunicazione.
L’uomo si accese una sigaretta e si sdraiò sullo schienale imbottito della sedia. «Quaranta minuti al massimo… Ci vorranno quaranta minuti al massimo. E poi, tutti a nanna», disse osservando le mosse dell’intruso dai riflessi dorati. «Dai, bello, dai… Avvicinati un altro po’. Vieni nella tela del ragno.»


Dove sei?

La domanda le esplose nella testa, lasciandola frastornata per alcuni momenti.
Dea Athena?, chiese appoggiandosi al muro.
Sì, sono io. Dove ti trovi?
Deglutì: era la prima volta che percepiva per intero la potenza di un Cosmo divino direttamente nella sua testa. Sono nel grattacielo F. a Minato. Stiamo cercando Shun.

Quanti siete?

Tre. Seiya, Ikki ed io. Ci siamo divisi per piani, così da setacciare meglio l’edificio.

Vi sto inviando i rinforzi. Poi parleremo di questo colpo di testa!

Rinforzi?


Niente discussioni! Portali indietro sani e salvi, mi raccomando.

Mi dia la sua benedizione, la prego!

Conosci te stesso.

E niente in eccesso.


Françoise ebbe la strana sensazione che Athena stesse sorridendo, del sorriso di una madre che vede il proprio figlio con i cocci del prezioso vaso di cristallo tra le mani, quello che lei aveva avvisato di non toccare e che era finito lo stesso centrato da una pallonata.
 
E ora va’!

Il cosmo di Athena sparì lentamente lasciandole un senso di pace misto a spossatezza: avrebbe tanto desiderato un letto in cui sprofondare, un letto vero, all’occidentale, non quella specie di sacco a pelo in cui aveva dormito nelle ultime quattro notti. 
 
Ma come fanno i giapponesi a trovarlo comodo? Ho tutte le ossa rotte, vorrei proprio sapere come facciano a fare l’amore su quei cosi!

Ci pensò su un istante, arrossendo subito dopo. Perché io so cosa significa, vero?, si disse scuotendo la testa. È la stanchezza. Sto delirando.
Avanzò di pochi passi fino a che non sentì un suono soffocato, come un singhiozzo; veniva dalla porta davanti a sé, identica a tutte le altre incontrate in quel corridoio. Si avvicinò notando un movimento veloce con la coda dell’occhio; si girò e vide una telecamera muoversi nella sua direzione.
Cazzo!, imprecò caricando l’indice destro e scaricandolo sull’apparecchio, mandandolo in corto circuito. 
Sfondò la porta che aveva davanti; l’interno della stanza era buio, ma si potevano distinguere le sagome degli oggetti. Un armadio, un paravento, un letto: una stanza d’ospedale, occupata almeno a giudicare dai singhiozzi che giungevano dal letto su cui era rannicchiata una figura umana. 
Chi sarà?, si chiese avvicinandosi sulla difensiva e scoprendo che il letto era occupato da una donna in avanzato stato interessante. Fisico minuto e grande pancione coperto da un lenzuolo candido. 
Polsi ingabbiati in cinghie di cuoio che le avevano provocato delle vesciche sulla pelle candida. Capelli nerissimi, sparsi sul cuscino e viso ovale deturpato dal pianto. La donna si accorse della sua presenza ed aprì i suoi grandi occhi blu, fissandola terrorizzata. 
Fece appena in tempo a tapparle la bocca e a sussurrarle: «Sst! È arrivata la cavalleria!», prima di riconoscere la ragazza prigioniera in quel letto. «Mon Dieu!»


Note:
Porteños sono gli abitanti di Buenos Aires.
Churrasco è uno spiedino di carne tagliata a pezzi grossi, che si cuoce alla griglia, tipico dei gauchos della Pampa.
   
 
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