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Autore: KeyLimner    17/06/2014    1 recensioni
"Si unirono come fanno le onde del mare, rifrangendosi le une sulle altre con movimenti prima sinuosi e poi violenti, sempre diversi nella loro misteriosa danza. I loro capelli si intrecciavano, abbracciandosi come rami di corallo sul fondo degli abissi, e così le loro mani, i loro arti frementi. A Muriel parve che gli elementi della natura si reincontrassero tutti assieme nel gioco dei loro corpi che si cercavano, si trovavano, si agganciavano e infine tornavano a separarsi per poi cercarsi e trovarsi ancora. In quella comunione dei corpi e degli spiriti le parve che la natura portasse a compimento un qualche magico rituale al quale si preparava da secoli.
E alla fine di tutto, quando le tempeste si furono placate e i venti spirarono su di loro come una morbida brezza, i loro occhi si guardarono come gabbiani sulla cresta del mare finalmente piatto, che dopo un lungo viaggio insieme si conoscono alla perfezione e non hanno più nulla da dirsi, nessuna paura di guardarsi dritto in faccia senza cercare scorciatoie..."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mattino seguente, si alzò stranamente presto.
La luce del sole era ancora pallida quando aprì gli occhi sul soffitto del bungalow e guardò fuori dalla finestra. Cercò qualche residuo di sonno a cui aggrapparsi, ma era completamente sveglia. Dopo un po’ cominciò a sentirsi irrequieta, e provò il bisogno di muoversi. Socchiuse la porta della camera di sua madre quando vi passò davanti. Stava ancora dormendo. Cercando di non fare troppo rumore, infilò le chiavi e il portafoglio nella borsetta e uscì.
Andò a sedersi al bar del villaggio turistico, ad uno dei tavolini più vicini al bordo del grande terrazzo, dove si poteva abbracciare con lo sguardo l’intera distesa del mare. Attorno a lei, pochi altri clienti mattinieri, perlopiù signori di una certa età.
Ordinò un succo all’ananas, e mentre lo sorseggiava prese a sfogliare le pagine del libro che le aveva regalato sua madre per ammazzare il tempo.
Non seppe dire quanto a lungo restò così. Il bar pian piano si popolò, mentre il sole saliva lentamente nel cielo e si faceva più caldo e luminoso. Finì presto il suo succo, e il bicchiere vuoto rimase a lungo sul tavolino davanti a lei, mentre le sue pupille seguivano intente le righe d’inchiostro sulle pagine.
D’un tratto, sollevò lo sguardo per rilassare un attimo gli occhi stancati dalla lettura. Vagando, i suoi occhi caddero sul bancone del bar… e la vide. Stava languidamente appoggiata al tavolo di legno, e si arrotolava una ciocca con aria pensosa.
La guardò intensamente, finché la ragazza, con naturalezza, si voltò nella sua direzione. Il cuore di Muriel ebbe una battuta d’arresto. Sì. Non c’era dubbio: stava guardando proprio lei.
Si voltò, arrossendo fino alla punta dei capelli. Dopo un po’ tornò timidamente a guardare nella sua direzione, e vide che la sconosciuta la stava ancora fissando, con un’intensità sconcertante.
Restarono per un po’ così. Poi la ragazza si girò verso la barista, ordinò qualcosa e si dispose in attesa. La donna le mise davanti un bicchierone di vetro in cui fece cadere qualche cubetto di ghiaccio, innaffiandoli poi di coca cola. La ragazza prese il drink, aggiungendovi un cannuccia. Poi si girò, e venne decisa verso di lei.
Muriel spalancò gli occhi. Non poteva crederci.
«Ehilà», fece la giovane, sedendolesi di fronte con nonchalance.
«Ciao», rispose lei, ancora incredula. Le mancava il fiato.
«Sei qui da molto? Non ti avevo mai vista in giro».
«No… io e mia madre siamo appena arrivate. Voglio dire, da qualche giorno». Scrutò gli occhi dell’interlocutrice per cercare di capirne i pensieri. Erano grigi, di una consistenza quasi metallica.
La osservarono in attesa. «Tu invece?», si affrettò quindi ad aggiungere, terrorizzata al pensiero che se ne andasse. «Da quanto sei arrivata?».
Scrollò le spalle. «Un paio di settimane. Vengo qui tutti gli anni. Riparto a fine mese».
Ci fu un attimo di silenzio. La ragazza abbandonò la schiena sullo schienale e accavallò le gambe. Senza degnare di uno sguardo il bicchiere della coca Cola, si accese una sigaretta e prese a fumare con noncuranza. Muriel la osservò rapita, mentre con un gesto aggraziato (che creava uno strano contrasto con la sua persona, senza per questo risultare stonato) si portava alla bocca quel tubetto di carta e tabacco e aspirava a lungo, socchiudendo gli occhi, per poi buttare fuori il fumo tutto d’un fiato, quasi avesse fretta di liberarsene. Era così affascinante… Se avesse avuto un minimo di talento come scrittrice, avrebbe potuto passare ore a descrivere il movimento della sua mano… la danza delle volute grigio-bluastre che eruttavano con violenza dalle sue labbra e si disperdevano nell’azzurro del cielo.
Ma non aveva affatto talento.
La giovane la scrutò a lungo, come soppesando le sue movenze. Muriel non riuscì a sostenerne lo sguardo. Si sentiva terribilmente a disagio.
«Come ti chiami?».
«Muriel».
«Nome interessante. È tipo arabo o indiano?».
«No… irlandese».
«Sei irlandese, quindi?».
«Mia nonna lo era. Si è trasferita qui prima che mia madre nascesse».
«Ah. E che cosa significa "Muriel"?».
«Boh… Mi pare “lucente come il mare”… una cosa del genere».
«Fico».
Ci fu una piccola pausa.
«Tu invece?», chiese timidamente.
«Samantha. Un nome più ordinario. In un certo senso con meno responsabilità. Un nome come il tuo bisogna saperlo portare». Le lanciò un’occhiata di sfida. Fece un cenno al libro appoggiato sul tavolino. «Che leggi?».
Muriel guardò il libro incredula, come stupendosi che fosse lì. «Questo? “Orgoglio e pregiudizio”… di Jane Austen».
«Mm. E ti piace?».
«Be’… direi di sì. Mi sta prendendo un sacco». Altra pausa. «L’hai letto?».
«No, però ho letto “Ragione e sentimento”, di Jane Austen».
«E… ti è piaciuto?».
«Sinceramente… non tanto. Per carità, non dico che sia un brutto libro… cioè, ha sicuramente il suo valore, come ritratto della società dell’epoca… voglio dire, è senza dubbio un perfetto affresco della società vittoriana, come doveva intenderla una ragazza dell’epoca… ma il fatto è che forse è proprio quel tipo di società che non mi va tanto a genio. Con tutti quei comportamenti impacchettati… le regole… il galateo… le futili chiacchiere attorno ai matrimoni e a tutte le stronzate che ci girano intorno. I personaggi sembrano quasi soffocare. Io preferisco autori come Oscar Wilde… Virginia Woolf… Sai, più rivoluzionari. Più anticonformisti».
Muriel non era del tutto d’accordo. Era convinta che anche quelle di Jane Austen fossero… sì, delle eroine, in certo senso, di un anticonformismo meno esplicito, meno violento, più raffinato e morbido. In fondo, chiunque sia almeno un po’ se stesso un minimo anticonformista deve esserlo. Il che non implica la ribellione… implica saper pensare con la propria testa. Non lasciarsi condizionare. Ma preferì non esprimersi. Alzò le spalle.
«Tu hai mai letto Wilde?».
Muriel scosse la testa.
«Nooo! Devi assolutamente leggere “Il ritratto di Dorian Gray”. È bellissimo. Uno dei più grandi capolavori della letteratura di tutti i tempi, ne sono assolutamente convinta. E “Una stanza tutta per sé”, di Virginia Woolf?».
Muriel scosse di nuovo il capo, sentendosi terribilmente ignorante.
«Mi piace un sacco Virginia Woolf, ha uno stile fantastico. Hai presente, no? La tecnica del “flusso di coscienza”. Vale a dire… lasciare le parole scorrere senza cercare di fermarle, di rinchiuderle in paletti. Il risultato è che alla fine ti ritrovi sulla carta tutto l’animo umano, senza mediazioni».
«Sì, me lo ricordo… ne avevamo parlato in classe, una volta…».
«Che scuola fai?».
«Linguistico. Tu?».
«Artistico. L’anno prossimo ho la maturità».
«Ah». Muriel si sentì molto piccola e ingenua.
«Tu a che anno stai?».
«Secondo…».
Scoppiò a ridere. «Ti facevo più piccina, sai? Con quel visetto sottile sottile, e quel fisico così minuto…».
Muriel arrossì. «Sei qui con i tuoi?», chiese, per sviare il discorso.
«Nah. Amici».
«Ah. Quelli con cui stavi ieri in spiaggia».
«Sì, quelli».
«Sono più piccoli di te».
Scrollò le spalle. «Per la maggior parte. Giovanni ha la mia età… ma in realtà è immaturo come gli altri. Sono dei mocciosetti. I più grandi quest’anno non sono venuti, se ne sono andati insieme a Berlino. Mia madre ha rotto col fatto che quest’anno papà ha perso il lavoro e dobbiamo tirare un po’ la cinghia, quindi non mi ha mandato. Che palle».
«Mi dispiace per tuo padre…».
Fece di nuovo spallucce. «La compagnia per cui lavorava sta in rosso. Ha licenziato un botto di gente. Probabilmente fallirà».
«Di cosa si occupava?».
«Marketing. Vendita di saponi, shampoo, creme idratanti… roba così». Sembrava l’argomento la annoiasse. «Ma tu stai in bungalow o tenda?».
«Bungalow».
«Ah… io in tenda. Non lo so, una vacanza in tenda mi è sempre sembrata più autentica. Sei più a contatto col terreno, non so se mi spiego…».
«Sì… ho capito».
Samantha aveva appena finito la sua sigaretta. Con un guizzo, si allungò verso il centro del tavolo e spiaccicò il mozzicone nel posacenere. Poi si alzò.
«Vabbè, io vado. Quegli sfaticati dei miei amici si saranno svegliati ormai».
Anche Muriel si alzò in piedi, non sapendo bene che fare. Restò lì impalata, sentendosi una deficiente.
«Allora ci vediamo in giro».
«Sì, certo».
Muriel guardò la ragazza allontanarsi a passo fiero, finché non fu sparita fra gli alberi della pineta antistante la spiaggia. Poi si lasciò cadere di botto sulla sedia. Ancora stentava a credere a ciò che era appena successo.
  
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