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Autore: hypsteria    17/06/2014    0 recensioni
Dal testo:
Quella di mio padre era una morsa disperata, sentii che si aggrappava a me per rimanere ancora in piedi. Suo padre, mio nonno, la sua icona, il suo mito, aveva cominciato a disintegrarsi dentro di lui molto tempo prima quando, entrato nella sua stanza, non lo aveva riconosciuto. Mi ricordavo ancora la sua espressione sconvolta, nonostante a quell’epoca fossi un bambino. Anche io ero molto legato a mio nonno, ma lui era sempre stato l’eroe di mio padre. L’unica sua ispirazione, la più grande delle sue gioie.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La chiamata arrivò di notte, all’incirca verso le 3.00. Mentre parlavo con mia madre, la cui voce era palesemente rotta dal pianto anche se cercava di nasconderlo, sentii Harry muoversi nella parte di letto affianco alla mia. Si era svegliato anche lui e mi stava chiedendo spiegazioni sul mio interlocutore, ma non gli prestai attenzione. Capì da solo che si trattava di mio nonno.
Avevo sentito una stretta allo stomaco non appena avevo letto “Mamma” sul display del mio cellulare. Non mi avrebbe mai chiamato a quell’ora se non fosse stato qualcosa di molto urgente.
“Il nonno si è sentito male. Abbiamo chiamato l’ambulanza ed è stato portato all’ospedale.”
Il rumore delle barelle e del chiacchiericcio delle infermiera faceva da sottofondo alla voce stanca di mia madre.
“Arrivo subito” avevo affermato subito dopo aver preso un respiro profondo. Dovevo mantenere la calma, dovevo farlo per mia madre.
“Non c’è bisogno, Lou. C’è la nonna e papà qui con me. Volevo solo avvertirti” provò a dire, ma io non volli sentire ragione. Le assicurai che avrei guidato con prudenza e attaccai. Stetti per un secondo a guardare il soffitto cercando di cacciare indietro le lacrime che minacciavano di sgorgarmi dagli occhi come fiumi straripanti.
La mano di Harry attraversò tutto il mio braccio sinistro per andare a stringere la mia spalla, ma lo scacciai. Non volevo che mi toccasse, o sarei scoppiato. Lui lo capì e mi lasciò stare. Rimase a contemplarmi, ormai completamente sveglio, finché non mi alzai di scatto, tirando appena su con il naso. Sentii il letto scricchiolare mentre mi vestivo in fretta e furia, afferrando ed infilandomi i primi vestiti che mi trovavo a portata di mano.
“Dove sono le chiavi?” mi chiese. Avevo intuito le sue intenzione così “Tu non verrai” dichiarai a bassa voce, mentre febbrilmente mi infilavo le scarpe.
“Non puoi guidare in queste condizioni” ribatté senza darsi per vinto. Una delle caratteristiche di Harry che mi avevano sempre fatto arrabbiare era la sua testardaggine, ma in quel momento l’ultima cosa che volevo fare era urlargli contro. Tuttavia, ero troppo agitato per pensare razionalmente.
“Quali condizioni?!” gli urlai infuriato. Lo vidi un attimo indietreggiare e sbattere le ciglia, come se si aspettasse di essere colpito da un momento all’altro. Dovevo avergli fatto paura.
“Scusa” cercai di rimediare.
“No, Lou. Stai tranquillo, ok? Ma guido io, ti prego” rispose semplicemente scuotendo la testa. Comprendeva il mio stato d’animo. Quasi sette anni prima avevo vissuto la stessa cosa, solo che era coinvolto suo padre, il quale aveva avuto un incidente stradale. Stavolta era un po’ diverso. Mio nonno si trascinava quella malattia ormai da più di dieci anni. Avrei dovuto farci l’abitudine, ma non riuscivo proprio a farmene una ragione. Finché era stabile cercavo di dimenticarlo, pur sapendo quanto fosse sbagliato. Speravo, probabilmente, che la sua malattia scomparisse solo perché io la rimuovevo dalla mie mente. In tutti quegli anni ero cresciuto solamente in altezza: nell’animo ero rimasto sempre un bambino.
 
 
 
* * *
                
 
 
Non appena scesi dall’auto feci una corsa verso l’entrata dell’ospedale con il cappuccio alzato. Stava piovendo; era un panorama veramente triste, come se tutto il cielo sapesse quello che stava per accadere. L’universo intero lo sapeva, l’unico che non lo voleva ancora accettare ero io.
Mia madre mi corse incontro e mi strinse forte tra le sue braccia, scoppiando in lacrime probabilmente per l’ennesima volta. Mi risultò difficile ricambiare l’abbraccio come avrei dovuto. Alzai gli occhi oltre la spalla di mia madre e notai mio padre seduto in sala d’aspetto. Aveva la faccia appoggiata ad entrambe le mani, le gambe leggermente divaricate e i piedi rivolti all’indentro. Anche lui era nella mia stessa condizione. Un bambino fragile, capace di scoppiare a piangere da un momento all’altro. Mi avvicinai a lui a grandi passi non appena mia madre mi liberò dalla sua stretta. Avvertendo la presenza di un altro individuo, mio padre alzò la testa e potei constatare il dolore sul suo viso. Aveva due grandi occhiaie scure sotto gli occhi, rossi per il pianto che aveva versato fino a quel momento. Si alzò in piedi lentamente. Mi superava di poco in altezza, ma con quell’espressione sembrava ancora più piccolo di me.
Anche lui mi abbracciò, ma fu una stretta diversa da quella di mia madre. Quella di mio padre era una morsa disperata, sentii che si aggrappava a me per rimanere ancora in piedi. Suo padre, mio nonno, la sua icona, il suo mito, aveva cominciato a disintegrarsi dentro di lui molto tempo prima quando, entrato nella sua stanza, non lo aveva riconosciuto. Mi ricordavo ancora la sua espressione sconvolta, nonostante a quell’epoca fossi un bambino. Anche io ero molto legato a mio nonno, ma lui era sempre stato l’eroe di mio padre. L’unica sua ispirazione, la più grande delle sue gioie.
 
 
Mia nonna, come avevo pensato, stava seduta al suo capezzale. Aveva una mano posata su quella di suo marito che teneva gli occhi chiusi. Stava attaccato ad un respiratore, la bocce spalancata e della bava a colargli sul mento. Quella visione mi distrusse completamente anche se la guardavo solamente da una finestrella nella porta. Indietreggiai con gli occhi sbarrati, spaventato dalla crudezza di quella sena, dall’incredibile realtà di quell’immagine. Sentii i muscoli del viso contrarsi in una smorfia disperata e così, senza più preoccuparmi di salvare le apparenze, scoppiai letteralmente in lacrime, scivolando lungo il muro finché non toccai terra. Singhiozzavo talmente forte che più e più volte sentii i passi di alcune infermiere fermarsi a pochi metri da me, ma poi riprendevano a camminare. Dovevano aver capito che il tipo di dolore che stavo provando, quell’angoscia che mi prendeva lo stomaco e risaliva si diffondeva velocemente in tutto il mio corpo, non poteva in alcun modo essere consolata da alcun abbraccio, da alcuna pacca sulla spalla.
 
Sentii la presenza di qualcuno farsi sempre più vicina, così mi scostai le dita da un occhio tanto per vedere chi fosse il misterioso individuo. Non fui affatto sorpreso quando vidi degli stivaletti marroncini improponibili proprio davanti a me. Non mi curai di lui, continuai a piangere disperatamente, nascondendo la faccia nei palmi delle mani ed esse a loro volta tra la ginocchia. Lo sentii accovacciarsi, riconobbi il croc inconfondibile delle sue ginocchia che si piegavano.
Aveva capito anche lui quanto il mio dolore non potesse essere lenito da qualsiasi tipo di discorso, ma allo stesso tempo non voleva lasciarmi solo.
Lui non lo sapeva e nemmeno io, in quell’istante, ne ero a conoscenza, ma qualche anno dopo l’avrei ringraziato per essermi stato vicino, quella notte.
Delicatamente fece combaciare le nostre ginocchia per poi insinuarsi in esse. Appoggiò la sua fronte alla mia e allungò le braccia per abbracciarmi la schiena.
 
 
 
 
* * *
 
 
                
 
“Non è colpa sua se non riconosce il tuo viso” mi disse anni prima mio padre. Andammo a trovare il nonno una volta e mentre gli correvo incontro vidi la sua faccia stranita, come se non sapesse come comportarsi, come se fosse a disagio. Mi chiese chi fossi. Tentai di spiegargli che ero suo nipote, ma lui non volle sentire ragioni. Riconosceva ancora mio padre, ma di me si era completamente dimenticato. Avevo solo undici anni. Mi si spezzò il cuore.
Andai da mia nonna in cucina. Stava cucinando. Mi attaccai al suo grembiule e le domandai come mai il nonno non mi riconoscesse. Lei scoppiò in lacrime e si chinò ad abbracciarmi. Mi strinse così forte che quasi mi mancò il respiro, ma sentii che stava tenendo insieme tutti i miei pezzi.
 
 
 
 
* * *
 
 
 
 
Ebbi il coraggio di entrare nella stanza d’ospedale di mio nonno solo a tarda mattinata del giorno dopo. Per tutto quel tempo ero rimasto in sala d’aspetto a pensare, a piangere. Harry non aveva mai cessato di starmi accanto, andando di tanto in tanto al bar per prendersi un caffè. Sapevo quanto fosse pigro, quanto amasse dormire; avevo avuto modo di scoprirlo in quegli anni in cui eravamo stati insieme, ma continuava a stare sveglio solo per me.
 
Entrai in un momento in cui mia nonna era andata in bagno, forse a piangere anche lei. Non c’era bisogno che qualcuno mi dicesse che quella era la fase terminale della malattia. Tirai un po’ su con il naso, pensando che dormisse sonni profondi a causa di tutti i farmaci di cui l’avevano imbottito durante la notte, ma mi stupii non poco quando aprii gli occhi. Sapevo che la malattia gli avev provocato dei frequenti scatti d’ira, così mi immobilizzai, non sapendo che fare. Tuttavia, contro ogni mia aspettativa, contro ogni mio pronostico, i suoi occhi divennero lucidi dalla commozione.
Ebbi un tuffo al cuore, un calore immenso mi riempì completamente, eppure presi a tremare come una foglia.
“Louis…” sussurrò con le poche forze che gli rimanevano. Non riuscivo a far altro che guardare dentro i suoi occhi, quel mare blu immenso dal quale minacciavano di sgorgare copiose e calde lacrime di gioia.
“Ti amo, Louis” bisbigliò e avrei urlato di felicità. Sentii le mie guance infiammarsi al passaggio di altre lacrime, ma quel momento di gioia durò un solo istante perché, non appena finì di pronunciare quelle parole, chiuse gli occhi e scomparve.
 
E fu inutile l’intervento degli infermieri, dei dottori. Le mie urla accompagnarono quella scena triste e drammatica fino a quando due infermiere non mi buttarono fuori dalla stanza.
 
 


 
* * *
 
 
 
Ci alzammo tutti in piedi ad ascoltare l’ultima preghiera del prete, tutti vestiti di nero. Gli occhiali da sole sugli occhi impedivano ad altri occhi indiscreti di vedere tutto il dolore. Nonostante tutto, però, adesso non piangevo più.
E così, mentre piano piano la bara scendeva dentro la fossa, “Ti amo anche io, nonno. Ti amo anche io…” sussurrai sospirando pesantemente. 
 
 
 

 
 
And my father and all of my family
Rise from the seats to sing hallelujah
And my mother and all of my family
Rise from the seats to sing halellujah
And my brother and all of my family
Rise from the seats to sing hallelujah
And all of my brothers and my sisters, yeah
And my father and all of my family
Rise from the seats to sing hallelujah
Hallelujah
Hallelujah
Hallelujah

 
 

Afire love – Ed Sheeran


















Buonasera a tutti...
Dico due cose molto veloci e poi mi dileguo: per scrivere questa storia ho preso ispirazione dalla nuova canzone di Ed Sheeran, Afire love. Mi ha colpito moltissimo il testo, perché anche io ho perso mio nonno molti anni fa. Spero di avervi trasmesso almeno parte dell'emozione che ho provato scrivendo questa piccola OS mentre ascoltavo la meravigliosa voce di Ed.

Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate. Grazie mille a che recensirà!




Adele x.
 
  
  
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