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Autore: LaniePaciock    18/06/2014    5 recensioni
Torniamo indietro nel tempo e spostiamoci di luogo: 1943, Berlino, Germania. Una storia diversa, ma forse simile ad altre. Un giovane colonnello, una ragazza in cerca della madre, un leale maggiore, una moglie combattiva, una cameriera silenziosa, una famiglia in fuga e un tipografo coraggioso. Cosa fa incrociare la vita di tutte queste persone? La Seconda Guerra Mondiale. E la voglia di ricominciare a vivere.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Lo so, sono in ritardo di nuovo, ma mi avevo avvertito... X) Comunque spero di farmi in parte perdonare con questo capitolo! In parte... più o meno... spero! XD
Non dico altro! Buona lettura! ;D
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Cap.19 L’uomo sulla Luna
 

Castle rientrò a casa dopo più di un’ora di conversazione con Tom Jones. Fuori era ormai buio pesto, nonostante non fossero neanche le otto. Con un respiro profondo e il morale a terra, il colonnello girò la chiave nella toppa e fece scattare la serratura con un sonoro schiocco. Non  fece neanche in tempo ad accendere la luce del corridoio e chiudere la porta che Kate si materializzò dal salotto.
“Allora??” chiese subito, ansiosa. Rick la vide osservare ogni suo movimento, come a cercare una qualche ferita fisica. Quando non ne riscontrò, alzò gli occhi sulla sua faccia. “Cosa ti ha detto?” Lui non rispose subito. Si prese il suo tempo per chiudere la porta d’ingresso e poi togliersi il pesante giaccone. Aveva pensato a lungo, durante la strada, se rivelare a Beckett ciò che avrebbe dovuto fare. Non aveva ancora trovato una risposta.
“La storia del diario era vera.” rispose alla fine atono, senza guardarla, guadagnando tempo dal vero problema. “Mio padre era una spia.” Kate lo osservò attenta, le sopracciglia aggrottate.
“E… questo è un bene?” chiese cauta, notando la reazione spenta dell’uomo. Fino a qualche ora prima avrebbe fatto quasi i salti di gioia alla notizia, alla possibilità di dare finalmente un senso alle azioni di Nicholas Castle. Fino a qualche ora prima.
“Sì.” rispose Rick con un piccolo sorriso stanco, sistemando con calma i guanti uno sopra l’altro sul tavolino laterale, in perfetto ordine. “In un certo senso si può definire un bene.”
“Lo dirai a tua madre?” domandò ancora la donna. Castle si fermò per un attimo nella sua operazione. Quindi riprese piano il suo lavoro di sistemazione.
“Più tardi.” replicò con un sospiro. “Domani forse, ma non più in là. Ho già sperimentato sulla mia pelle cosa vuol dire tenere un segreto del genere, soprattutto se questo segreto viene poi scoperto…” aggiunse quindi, alzando per la prima volta la testa per guardarla e facendole un mezzo sorriso. Kate però non ricambiò. Anzi socchiuse gli occhi alla sua espressione, studiandolo.
“Che altro ti ha detto?” chiese quindi dopo qualche momento, intuendo che ci fosse dell’altro. Rick si mosse a disagio sul posto, senza rispondere. Poi si voltò verso il giaccone appeso e si mise a distendere alcune invisibili pieghe del tessuto. “Castle?” lo richiamò lei in un misto di frustrazione e preoccupazione.
“Ogni informazione ha il suo costo.” dichiarò alla fine il colonnello, girandosi lentamente di nuovo verso di lei, lo sguardo però basso. “Che sia rivelatrice o chiarificatrice. Anche quelle nascoste hanno un prezzo, ci hai mai pensato? Quelle che vuoi che restino tali soprattutto…”
“Castle, che stai…” iniziò Kate confusa, ma lui la interruppe ancora prima che finisse la frase.
“Sapeva tutto.” confessò atono, lo sguardo perso sul pavimento, i pensieri rivolti alle parole di Jones. “Sapeva tutto di me, di te, di quello che facciamo io e Ryan, degli Esposito… Sapeva tutto.” sussurrò ancora, mentre con la coda dell’occhio osservava Beckett portarsi le mani davanti alla bocca in un’espressione inorridita. “Non so come. Ma sapeva.” continuò, finalmente alzando la testa e guardando la donna sconsolato. “Ho dovuto fare uno scambio. Le informazioni di mio padre e la promessa che i dati su di voi non venissero mai rivelati, in cambio di altre informazioni.” Kate si passò una mano tra i capelli, scioccata.
“Che… che genere di informazioni?” riuscì a chiedere dopo qualche secondo, prendendo grandi boccate d’aria per riprendersi.
“Politiche e di guerra.” rivelò stancamente Castle. Non aveva più voglia di mentire. “E tutto quello che riuscirò a trovare, immagino. La mia parte di patto prevede la mia presenza ai futuri ricevimenti a cui verrò invitato, in modo da far fidare i Generali di me per farli parlare il più possibile.” Kate sbiancò.
“Dimmi che non hai accettato.” disse la donna a mezza voce. Per tutta risposta, Rick abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore.
“Non potevo…”
“Certo che potevi!!” lo bloccò lei, all’improvviso furibonda. “Potevi mandarlo a quel paese! Tu più di tutti dovresti avere un’idea di quello che i tuoi colleghi fanno ai traditori! Ti sta mandando al macello, Castle!!” dichiarò in un misto di rabbia e ansia. “Gli serviva qualcuno da sacrificare e ti ha servito su un piatto d’argento!”
“Non potevo fare altrimenti!” sbottò di rimando Rick. “Avrebbe sbandierato a tutti di te e degli Esposito! Hai tutta questa voglia di farti un giro in uno di quei bei campi di lavoro da cui nessuno è mai tornato??” esclamò con rabbia crescente. “O meglio ancora, probabilmente Javier sarebbe finito con una pallottola in testa subito! Invece tu, Lanie e Leandro in uno di quei cazzo di posti dimenticati da Dio! E vogliamo parlare di mia madre, Kevin e Jenny? Pensi che con lei sarebbero stati più clementi solo perché è incinta?? Dannazione Kate, non capisci? Non potevo fare altro per tenervi al sicuro!! A fanculo i gradi, non me ne importa niente, ma non ho alcuna intenzione di mettervi in pericolo e perdervi, mi hai capito?? Nessuna intenzione!!” affermò alla fine con il fiato corto, scandendo bene le parole. Quindi cercò di darsi una calmata, prendendo un respiro profondo. “Voglio solo che restiate vivi, almeno finché quel maledetto aeroporto non riprende a funzionare, così che possa portarvi via da questo inferno. Non chiedo altro. E se questo comporta il parlare con un paio di persone e passare qualche notizia, allora non mi tiro certo indietro. Beckett tu sei…” Si bloccò per un attimo, accorgendosi delle sue parole. “Siete troppo importanti per me. Siete la mia famiglia. Ho già perso parte della mia famiglia una volta. Non voglio che succeda di nuovo.” Si fermò ansante, il cuore che batteva furioso, come se si fosse appena fermato dopo aver corso una maratona. Un silenzio pesante calò tra di loro, rotto solo dal respiro rumoroso del colonnello e da quello leggero di Kate. Lei lo fissava immobile, la bocca socchiusa, le sopracciglia aggrottate. Aveva uno sguardo strano. Un misto di preoccupazione e rabbia, ansia e dolore. Abbassò gli occhi.
“Suppongo di non poter fare altro per farti cambiare idea quindi.” mormorò la donna con lo sguardo al pavimento. “Va bene.” aggiunse poi, sorprendendo Rick. “Capisco le tue motivazioni. Dico solo che non dovresti esporti così tanto al pericolo per noi…”
“Me la caverò.” la interruppe il colonnello. Non era più arrabbiato. Solo stanco e un po’ perplesso per il repentino cambiamento di Beckett. “Ho tenuto nascoste informazioni in passato, le ho plasmate più o meno come volevo da quando sono a Berlino e ho iniziato a lavorare con Ryan. Mi adatterò a fare il contrario: stanarle.” A quelle parole, la donna fece un mezzo sorriso che lo insospettì parecchio.
“Allora è come pensavo.” disse alla fine, alzando di nuovo gli occhi su di lui. C’era un lieve luccichio nei suoi occhi verde-nocciola. “Ti servirà il mio aiuto.” Castle sgranò gli occhi.
“Che??” esclamò scioccato. “No, è escluso.” continuò categorico, avanzando a grandi passi verso il salone, passandole davanti senza guardarla come per chiudere fisicamente la conversazione.
“Castle...” cercò di dire Kate, ma lui non la lasciò finire.
“No, Beckett.” disse serio, voltandosi di nuovo verso di lei e avvicinandosi di un passo, deciso, per chiarire il concetto. Lei scosse la testa seccata.
“Non mi hai lasciato neppure parlare!” replicò frustrata. “Almeno ascoltami! Giuro che non è qualcosa per cui mi metterò in pericolo, se ti fa stare più tranquillo.” Rick socchiuse gli occhi e la studiò per qualche attimo.
“No.” sbuffò contrariato, incrociando le braccia al petto. “Non mi tranquillizza. Ma suppongo di non poterti legare da qualche parte per impedirti di fare qualche cavolata, perciò avanti. Spara. Almeno saprò cosa aspettarmi.” Kate fece una smorfia offesa che gli fece spuntare un lieve sorrisetto.
“Ti ricordi cosa facevo in America?”chiese alla fine la donna. Castle ci pensò per un momento.
“La giornalista, mi sembra.” rispose incerto. Beckett annuì.
“Esatto.” ribatté mentre un piccolo sorriso di trionfo per chissà cosa le si allargava in volto. Rick si mosse agitato sul posto, come un animale messo all’angolo da qualcosa di ancora indefinito. Aveva un brutto presentimento. “E le informazioni sono il pane dei giornalisti. Viviamo per stanare informazioni ed è giusto quello che hai detto che devi imparare a fare, mi sembra. Quindi ho una proposta.” Appunto. Castle la guardò male per un attimo. Poi si passò una mano tra i capelli e sulla faccia, pronto all’inevitabile.
“Coraggio.” la invitò a parlare ormai rassegnato. Kate si morse il labbro inferiore, nervosa.
“Io non dirò più una parola sullo ‘scambio’ che hai fatto con Jones.” iniziò cauta, osservando attenta ogni mossa dell’uomo. “Ma tu dovrai portarmi con te a questi ricevimenti.” concluse. Il colonnello aveva già aperto la bocca per protestare, ma lei alzò una mano e lo bloccò prima ancora che cominciasse. “Non è una domanda. E non si può ritrattare. Castle, andiamo, sai benissimo che in coppia si lavora meglio. Due occhi e due orecchie in più certo non ti faranno male. Ho i mezzi e la possibilità di aiutarti. Permettimi solo di farlo.” Rick la scrutò a lungo, combattuto. Sapeva che lei aveva ragione, la sua esperienza come giornalista gli sarebbe stato senz’altro di aiuto. Inoltre era ben conscio di non poterla fermare. Testarda com’era, si sarebbe impuntata e avrebbero finito solo per litigare ancora e dannarsi l’anima senza arrivare a un accordo. Ma d’altronde era restio a esporla tanto dopo tutto quello che avevano progettato per farla restare nell’ombra. Alla fine prese una decisione, anche se non gli piacque per niente.
“Va bene.” sbottò seccato. “Ma azzardati a spostarti di un millimetro dal mio fianco e la volta dopo ti lascio a casa.” aggiunse poi subito dopo, vedendo che un mezzo sorriso stava già spuntando sulla faccia della donna. A quelle parole, Kate sorrise solo più apertamente.
“D’accordo.” disse più tranquilla, annuendo e allungandogli una mano a sigillare il patto. Rick sbuffò ancora, ma le strinse la mano. Poi, prima che avesse il tempo di accorgersi di qualcosa, si ritrovò il viso di Kate a meno di cinque centimetri dalla sua faccia. “Non te ne pentirai, Colonnello.” gli sussurrò con un sorrisetto malizioso. Il suo grado detto da lei, a quella distanza e in quel modo, gli fece subito salire la temperatura e per un attimo dimenticò di inalare aria ai polmoni. Un attimo dopo però la donna si allontanò con un sorrisetto soddisfatto stampato in volto e si voltò per tornarsene in salone. Fu solo a quel punto che Rick ricominciò a respirare. Girando la testa, si ritrovò la sua faccia attonita e rossa riflessa nello specchio dell’ingresso, con gli occhi blu scuro persi all’improvviso in chissà quale mondo lontano.
 
“Beckett, è pronto!” la chiamò Rick, tirando giù la pasta dalla pentola. Per rilassarsi qualche minuto, aveva detto alla donna che avrebbe cucinato lui quella sera. Così aveva messo l’acqua a bollire e si era dato da fare per creare un sugo con un po’ di carne fatta a pezzetti e verdure sminuzzate.
“Che profumino.” disse Kate con un sorriso, entrando in cucina e distogliendolo dai suoi pensieri. “Cos’è?”
“Ricetta di mia invenzione.” replicò il colonnello, riempiendo due piatti mentre Beckett si sedeva a tavola. Lei alzò un sopracciglio divertita.
“Devo preoccuparmi?” chiese ironica. Rick le fece una finta smorfia offesa e lei ridacchiò. Castle non era esattamente dell’umore per divertirsi quella sera. Suo padre, la conversazione con Jones, perfino la discussione con Kate, tutto gli vorticava in testa ad un ritmo incessante. Eppure con lei riusciva ancora a sorridere. Forse era anche per quello che se ne era innamorato.
Mangiarono più o meno serenamente. Chiacchierarono, ma ci furono anche diversi momenti di quiete in cui, in qualche modo, nessuno dei due si sentì a disagio. Inoltre, quando la donna lo sorprese a rimuginare sugli ultimi fatti, lo distrasse. Iniziò a parlare di qualunque cosa pur di non farlo preoccupare ulteriormente. Il colonnello si era quasi soffocato con un pezzo di pasta quando Beckett, per farlo uscire dai suoi pensieri cupi, gli aveva nominato Fabian Lange, il ragazzino neo-diciottenne che, all’ultima festa che avevano presenziato, aveva tentato di ballare con lei più volte senza successo.
“Castle, smettila di pensare!” lo riprese scherzosamente Kate alla fine della cena, vedendolo di nuovo perso nelle sue riflessioni. Lui alzò gli occhi e vide il sorriso dolce e un po’ preoccupato della donna. “Prima o poi ti si fonderà il cervello se continui così.” Le fece un mezzo sorriso in risposta e scosse la testa.
“Tranquilla, non andrebbe perso molto.” dichiarò divertito. “Solo un paio di neuroni.”
“Peccato.” mugugnò lei, cercando di nascondere un sorrisetto dietro un bicchiere, bevendo un sorso d’acqua. “Stavano giusto iniziando a piacermi quei due neuroni.”
“Beh, quelli ormai li abbiamo quasi persi, ma sei sempre libera di interagire con qualunque altra cosa ti piaccia.” replicò Rick con tono furbo, facendole l’occhiolino. A quelle parole, Kate posò il bicchiere e lanciò una lunga occhiata al corpo del colonnello, coperto non più dalla divisa ma da un paio di pantaloni comodi e una maglietta a maniche corte.
“Mi sa proprio che un giorno di questi ti prenderò in parola…” mormorò maliziosa e timida insieme, mordendosi il labbro inferiore. Castle sentì all’improvviso caldo.
“Non vedo l’ora.” rispose con voce bassa e roca. Rimasero a guardarsi negli occhi per qualche momento, perdendosi e insieme aspettando di capire la prossima mossa dell’altro. Alla fine, la prima a distogliere lo sguardo fu Kate, leggermente rossa in volto.
“Meglio sistemare.” disse, osservando la tavola e iniziando poi a prendere i piatti sporchi. Rick però non glielo permise.
“Faccio io.”  la bloccò, prendendole delicatamente il polso e sfilandole i piatti dalle dita.
“Non vuoi una mano?”
“No, tranquilla.” la rassicurò con un sorriso. “Vai pure in salone, ti raggiungo tra un momento.” Beckett restò per un momento immobile, quindi annuì e lo lasciò fare, uscendo dalla cucina. Castle recuperò anche le altre cose sporche, le lavò e asciugò. Mentre strofinava le posate, si perse ancora una volta tra i suoi pensieri. Scosse la testa e si impose di restare lucido. In fondo non aveva senso rimuginare ancora, le cose non sarebbero cambiate. Forse smettere semplicemente di pensare per un po’, come diceva Kate, staccare la spina, sarebbe stata davvero la cosa migliore da fare.
Finì di pulire e qualche minuto dopo raggiunse la donna in salone. Pensava di trovarla sul divano, ma dopo pochi passi si accorse che non era lì. Confuso, si guardò intorno. Stava per chiamarla quando intravide la figura di Kate seminascosta da una delle tende della portafinestra. La vide assorta a osservare qualcosa all’esterno, nel buio della notte. Si avvicinò silenziosamente per non disturbarla e, seguendo il suo sguardo, capì che stava fissando la Luna. Il satellite era alto nel cielo pulito, ben visibile e luminoso. Si potevano perfino scorgere le macchie più scure sulla sua superficie.
“Bella, non è vero?” chiese con un lieve sorriso. Kate voltò la testa di scatto, non essendosi accorta del suo arrivo. Quindi annuì. “Aspetta,” disse poi Rick con un pensiero improvviso. “So come migliorarla ancora.” La donna lo guardò confusa, ma lui non attese risposta. Tornò indietro verso al cucina, dove aveva lasciato la luce accesa, e spense sia quella sia la lampada in salone. A quel punto calò il buio totale nella casa. L’unica luce presente era proprio quella chiara della Luna che penetrava dalle finestre. Quando gli occhi si furono abituati alla scarsa illuminazione, Castle iniziò a muoversi lentamente per la sala per tornare da Beckett. Alzando gli occhi su di lei, la vide di nuovo con lo sguardo puntato al cielo, la bocca appena socchiusa. Era bellissima con quell’unica luce che la contornava.
Non appena fu a meno di un passo da lei, Rick ebbe un’idea. Sperando di non essere cacciato a pedate, prese un respiro profondo e fece passare lentamente le braccia intorno alla vita di lei. Kate sobbalzò spaventata, ma poi rimase immobile quando il colonnello premette il suo petto contro di lei, intrecciando le mani davanti alla sua pancia e appoggiando il mento alla sua spalla.
“Così è meglio, vero?” chiese piano, sussurrandole sul collo. Il profumo di lei gli invase subito forte le narici e una dolce sensazione di conforto e di casa si fece subito strada in lui. La donna rabbrividì appena tra le sue braccia. Poi, a poco a poco, si lasciò andare contro il suo petto e appoggiò le mani su quelle di lui sopra il suo ventre.
“Sì…” mormorò in risposta, quasi in un sospiro. Rimasero per qualche momento in silenzio, godendosi semplicemente il panorama e quel calore che da troppo tempo non sentivano.
“Sai che un giorno l’uomo arriverà anche lassù?” domandò poi piano Rick, rompendo la quiete creatasi.
“Sulla Luna?” replicò Kate. “Credi che sia possibile?” Lui alzò appena le spalle.
“Mi sono innamorato di una donna che pensavo mi avrebbe odiato per sempre e che ora invece sto abbracciando.” rispose con un mezzo sorriso. Beckett voltò la testa un poco verso di lui, come per osservarlo con la coda dell’occhio. “Credo che tutto sia possibile.” continuò in un sussurro, azzardandosi a lasciarle un bacio sul collo, esattamente sotto l’orecchio. La sentì trattenere il respiro. “E poi ora l’uomo vola e progetta bombe in grado di volare per centinaia di kilometri prima di schiantarsi al suolo.” aggiunse, riappoggiandosi con il mento alla spalla di Kate. “Sono certo che, quando questa guerra sarà finita, prima o poi qualcuno inventerà il modo di arrivare anche lassù.” Con la coda dell’occhio osservò il profilo della donna e vide che sorrideva.
“Pensi troppo, ma sei un ottimista.” commentò Kate divertita e dolce insieme. “Sei sempre una scoperta, Richard Castle.” Il colonnello ridacchiò e le morse giocosamente il collo, facendola scoppiare a ridere e insieme tremare leggermente contro di lui.
“Mai quanto te, Katherine Beckett.” replicò divertito. “E non hai idea di quanta voglia abbia io di scoprirti…” aggiunse poi con voce bassa e provocante, andando a nascondere il naso tra i suoi capelli e il collo. Kate scosse la testa come esasperata, ma, anche se non poteva vederla, Rick era certo che fosse arrossita. Rimasero per qualche minuto in silenzio, rialzando gli occhi sulla Luna e sul paesaggio davanti a loro. Solo poche luci erano ancora accese nelle palazzine vicine, a causa del coprifuoco, rendendo la notte ancora più buia e pulita. C’erano molte più stelle di quanto Castle ricordasse e, osservando bene, poteva persino intravedere la Via Lattea formare la sua strada nel cielo. Pensandoci, doveva ammettere che era molto tempo che non si soffermava a guardare il cielo notturno, nonostante avesse sempre suscitato su di lui un certo fascino.
“Rick...” lo chiamò piano Kate a un certo punto. Il colonnello alzò appena il mento dalla spalla di lei per osservarne il profilo, curioso del perché lo avesse chiamato per nome. Beckett stava ancora osservando la Luna. “Perché non venite con noi?” sussurrò con voce tesa. Castle aggrottò le sopracciglia, confuso. “In America.” aggiunse poi la donna, spiegandosi. L’uomo sospirò profondamente, comprendendo finalmente di cosa parlasse. Quindi si riappoggiò alla spalla di Beckett con il mento e la stinse leggermente di più contro di sé. Le dita di lei si contrassero appena sulle sue mani, ancora intrecciate davanti al suo ventre, come se avesse paura che lui si scostasse. “Intendo te, Ryan, Jenny e anche la Gates e tua madre.” continuò Kate un po’ nervosa. “Perché non venite con noi quando partiremo? Perché partire dopo?” Rick sospirò di nuovo e abbassò gli occhi pensieroso, appoggiando intanto le labbra sulla spalla nuda di lei, dove la maglia larga che indossava era scivolata un poco in giù. La sua pelle era liscia e calda.
“Non possiamo.” mormorò alla fine Castle, non riuscendo a mascherare il tono triste. Sentì Beckett emettere un lieve gemito rassegnato. “Io e Kevin non possiamo muoverci al momento. Se scappiamo ci considereranno traditori e manderanno qualcuno a rintracciarci. Non saremmo mai al sicuro e neanche le nostre famiglie, perché le cercherebbero allo stesso modo. Jenny non vuole spostarsi senza suo marito e ora che è anche incinta non so quanto potrebbe farle bene un viaggio del genere. La Gates ha giurato di restare con i Ryan finché questa guerra non sarà finita e saremo di nuovo al sicuro. Inoltre ha ancora la sua famiglia qui, quindi dubito che vorrà lasciarla per scappare con noi. In quanto a mia madre… se anche avesse voglia di cambiare vita un’altra volta, è un’attrice e forse quella che più facilmente potrebbe uscire dalla Germania. Lei è proprio l’ultima di cui dovresti preoccuparti.” aggiunse con un sorriso mesto. Beckett rimase per un momento in silenzio, gli occhi ancora fissi al cielo. Tremava leggermente, ma Rick sapeva che non era la vicinanza al vetro freddo a farla rabbrividire.
“Ma ci raggiungerete.” dichiarò la donna con voce un po’ incrinata, quasi più per convincere sé stessa che non Castle. “Hai detto che mi raggiungerai.” Il colonnello alzò di nuovo lo sguardo sul profilo di lei. Notò un piccolo luccichio a lato del suo occhio e capì che Kate aveva gli occhi umidi di un pianto che stava trattenendo a stento. Sentì qualcosa lacerarsi nel petto.
“Te l’ho promesso, Kate.” sussurrò Rick, districando a malincuore le loro mani per ruotare appena la donna così che lo fronteggiasse. Staccò le mani dalla sua vita e le prese delicatamente il viso per eliminare con i pollici due piccole gocce sfuggite dai suoi occhi. “E te lo prometto di nuovo. Farò tutto quello che è in mio potere per raggiungerti il prima possibile in America. Non ce la farai a liberarti di me.” aggiunse poi con un mezzo sorriso per alleviare la tensione. Beckett lo osservò per qualche attimo con gli occhi lucidi, preoccupati e tristi. Quindi, lentamente, si avvicinò di un passo e si alzò sulle punte. Quando Rick si ritrovò di nuovo le labbra di Kate sulle sue, chiuse automaticamente gli occhi e sentì una scarica di adrenalina passargli lungo il corpo. All’inizio fu solo un lieve sfioramento di labbra, come se volessero entrambi essere certi che non erano cambiate dall’ultima volta che si erano toccate. Poi Beckett schiuse le labbra e Castle non perse tempo ad approfondire il bacio. Lo fece comunque con dolcezza, senza fretta. Aveva bisogno di confortare Kate, non di attaccarla.
Il colonnello attirò più vicino a sé il viso della donna, quindi spostò le mani e le fece tornare sui suoi fianchi, dove iniziò a carezzarla piano. Le mani di lei invece si erano attaccate con forza alla maglia che indossava, quasi temesse che lui si tirasse indietro. Kate gli morse leggermente il labbro inferiore e un basso gemito gli uscì dalla gola prima che riuscisse a soffocarlo. Strinse la presa sui fianchi di lei e la attirò ancora più vicina a sé, sentendo Beckett trattenere il respiro quando i loro bacini cozzarono. Passò intanto la lingua sulle sue labbra. Il sapore di lei non era cambiato. Lo ricordava ancora perfettamente, impresso a fuoco nella sua memoria e nel suo cuore. Quello stesso cuore che ora batteva a un ritmo furioso nel suo petto, quasi volesse uscirne.
Rick lasciò a Kate la possibilità di approfondire ulteriormente il bacio. Lui non voleva forzarla e comunque non pensava che fosse ciò che lei aveva bisogno in quel momento. Le morse appena il labbro, giocò con la sua lingua, la strinse a sé come fino a quel momento non si era mai azzardato a sperare di fare. Il loro primo bacio era stato appassionato, ma agitato e quasi aggressivo, tanto si erano cercati e desiderati. In quel momento invece la situazione era diversa: il desiderio certo non era minore, ma non si cercavano più. Sapevano di essersi già trovati.
Dopo qualche minuto il bacio iniziò a diminuire d’intensità, fino a tornare al solo sfioramento di labbra. Solo a quel punto Beckett si staccò da lui e tornò con i piedi per terra. Avevano entrambi il respiro leggermente ansante. Perfino alla pallida luce della Luna, Rick poté notare che le labbra di Kate erano un po’ più gonfie e scure del solito. Gli venne voglia di tornare a baciarla. Deglutì però, ancora incredulo per quello che era appena accaduto, e appoggiò la fronte a quella di lei.
“Tornerò da te.” sussurrò quindi con tono sicuro, facendo alzare gli occhi a Kate. “Anche se te ne andrai, tornerò da te.” Lei lo guardò per un momento con la bocca semiaperta, gli occhi appena lucidi. Poi annuì piano, mordendosi il labbro inferiore.
“Mi fido.” mormorò in risposta Beckett, facendogli un mezzo sorriso. “Forse.” Lui ridacchiò piano e le strappò un altro bacio a fior di labbra. Kate fece una smorfia, come se fosse infastidita. Il sorriso che non riuscì a reprimere però, la tradì miseramente. Quindi sbadigliò, stanca.
“Direi che è ora di andare a dormire.” dichiarò Castle, scostandosi a malincuore da lei. Per un attimo il colonnello fu convinto di aver visto un’espressione infastidita, seriamente questa volta, apparirle in faccia. Poi però la donna annuì sconfitta. Si spostarono dalla fredda finestra e Rick la condusse per mano lungo il salone, in modo che al buio non sbattesse contro nulla, fino alle scale per il piano superiore. “Non è che hai voglia di cambiare stanza, vero?” domandò quindi, prima di lasciarla salire. Solo una piccola finestrella li illuminava ora. Beckett alzò un sopracciglio e, al sorriso innocente del colonnello, roteò gli occhi in segno di esasperazione. “Neanche per farmi compagnia?” provò ancora Castle, tirando fuori un broncio degno di un cucciolo abbandonato. La donna ridacchiò, quindi salì un gradino, in modo da essere circa alla sua stessa altezza, e si voltò di nuovo verso di lui per rubargli un veloce bacio proprio sul broncio.
“Buonanotte, Castle.” lo salutò alla fine, insieme divertita e dolce, prima di salire gli altri gradini.
“Notte, Kate.” rispose Rick, osservandola sparire nel buio del piano di sopra con un ghigno stampato in faccia che dubitava sarebbe riuscito a togliersi tanto presto. “A domani.”
 
“Giorno, Castle.” lo salutò Beckett la mattina successiva, ancora un po’ assonnata, entrando in cucina in pigiama. Rick alzò gli occhi e le fece un largo sorriso, vedendola venirgli incontro stropicciandosi gli occhi come una bambina. Spense il fornello sotto la caffettiera, che aveva iniziato a borbottare, e si allungò per prendere due tazze lì vicino.
“Buongiorno, Odiatrice di Nomi.” replicò divertito. Kate si sedette al tavolo e aggrottò le sopracciglia, lanciandogli un’occhiata confusa. “Si può sapere cosa ti ha fatto il mio povero nome?” continuò il colonnello, ridacchiando e preparando i caffè con latte e zucchero. “Mi chiami sempre ‘Castle’!” Quando si voltò per portare le due tazze al tavolo, la vide alzare appena le spalle.
“Mi sono abituata così.” rispose Beckett, recuperando intanto una fetta di pane. Quindi fece un mezzo sorriso. “E poi Castle mi piace.”
“E Rick?” chiese perplesso e fintamente offeso l’uomo, poggiando i caffè sul tavolo con attenzione, per evitare di sporcare il banco o la divisa che già indossava, restando poi in piedi. “Cos’ha che non va?”
“Niente.” replicò lei tranquilla, alzandosi per prendere un coltello, che Castle aveva dimenticato, da un cassetto. “Rick mi piace pure, ma preferisco usarlo in momenti più… particolari.” aggiunse con tono a metà tra il malizioso e il divertito. Il colonnello sbuffò, mentre lei ridacchiava. Poi, prima che la donna riuscisse a tornare al suo posto, Rick le passò un braccio attorno alla vita e la attirò a sé, premendo il fianco di lei contro il suo petto.
“Mi piacerebbe sapere quali sono questi momenti particolari…” commentò lui, respirandole piano sul collo e facendola rabbrividire. A quel punto Beckett voltò la testa verso di lui e gli sorrise dolcemente. La luce del sole illuminava i suoi occhi verde-nocciola in modo spettacolare, o forse era solo lui a vederli così. In ogni caso era bellissima, nonostante l’aria ancora un poco sonnolenta. “Buongiorno Kate…” le sussurrò piano con un lieve sorriso, avvicinandosi poi per lasciarle un piccolo bacio all’angolo della bocca.
“Buongiorno Rick...” gli rispose lei in un mormorio altrettanto basso, il respiro appena accelerato, voltando poi quel minimo il viso così da poter far incontrare le loro labbra. La risposta del colonnello non si fece attendere. Strinse di più a sé la donna e approfondì il bacio, infilando la lingua tra le labbra schiuse di lei, sentendo di nuovo il suo sapore mentre le sue mani sfioravano lente la sua pelle calda e liscia. Non riusciva ancora a crederci. Tutta la notte era stato in ansia con la paura di aver solo sognato quel bacio, con il terrore che Kate il mattino dopo si sarebbe tirata indietro. Non avrebbe dovuto preoccuparsi però. Questa volta non c’erano segreti di mezzo. Nessuna cosa non detta o in sospeso. C’erano solo loro due, padroni, per la prima volta da quando si erano incontrati, del loro destino.
“Non devi andare in centrale?” sussurrò qualche momento dopo Kate, quando si staccarono. Rick sbuffò, la fronte contro la guancia di lei, facendole alzare i capelli lunghi e mossi dalla spalla. La donna ridacchiò. “Ti vedo molto in vena…” commentò divertita. Castle mugugnò contro la sua guancia, quindi le lasciò un ultimo bacio all’angolo della bocca e si separò da lei, così che entrambi potessero fare colazione.
“Preferirei restare a casa.” borbottò, prendendo un biscotto dalla scatola sul tavolo e iniziando a sgranocchiarlo. “Ma ho un sacco di cose da fare. Inoltre Ryan vorrà sapere come è andata ieri e in più devo vedere mia madre.” aggiunse poi con un sospiro.
“L’hai sentita?” chiese Kate un po’ ansiosa, spalmandosi intanto il miele sul pane.
“L’ho chiamata poco prima che scendessi.” replicò Rick pensieroso, prendendo un altro biscotto. “Ricordavo avesse qualcosa da fare stamattina, quindi sapevo che era già sveglia.” continuò divertito al sopracciglio alzato della donna. In effetti era una novità che Martha si svegliasse presto al mattino, ma a volte capitava anche a lei. “Le ho chiesto se potevamo vederci per pranzo e mi ha detto di raggiungerla a teatro. A te va bene, vero?” domandò poi a Kate, all’improvviso insicuro. Lei sorrise divertita.
“Sai che non devi chiedermi il permesso di vedere tua madre, vero?” replicò, addentando un pezzo di pane e miele. Rick alzò le spalle, internamente sollevato.
“Sì, ma forse pensavi che avremmo mangiato insieme o…”
“Castle, tranquillo.” lo fermò Beckett. “E’ tua madre, non hai bisogno di chiedermi niente. E poi dopo pensavo di sentire Jenny. Se non dico a lei e Lanie che vado a un’altra festa mi strangolano.” borbottò rassegnata, alzando gli occhi al cielo e facendo ridacchiare il colonnello. Poi il pensiero di quello che avrebbero dovuto fare al ricevimento lo colpì e il sorriso gli si spense un poco. “A proposito, quando sarebbe?”
“Tra due giorni, il 17.” rispose Castle atono, mordicchiando pensieroso un altro biscotto. “Ti servirà un altro vestito?” chiese poi curioso, accantonando quei pensieri scuri. Lei alzò le spalle. “Se ti serve prendilo pure.” la rassicurò Rick, prendendo intanto un sorso di caffè. “Non ho mai avuto troppe spese extra quindi ho diverse migliaia di franchi che puoi utilizzare quando vuoi.” Beckett si incupì appena.
“Non voglio i tuoi soldi.” mormorò piano. Rick in qualche modo se l’aspettava. Lei non voleva fare la carità, ma non era quello il punto né il caso.
“Kate, se devi prendere un vestito o due o quanti te ne servono, prendili.” le rispose paziente. Lei stava per replicare, ma la bloccò. “Poco dopo che sei arrivata qui, i tuoi vestiti sono saltati per aria, anche per causa mia. Hai dovuto utilizzare quelli che ti ha prestato Jenny, mentre sarei dovuto essere io quello che avrebbe dovuto provvedere per i tuoi abiti. Dammi ora la possibilità di farlo. E poi sarà solo finché non torni in America. A quel punto sarai di nuovo autosufficiente.” Beckett si prese qualche momento prima di rispondere, masticando lentamente il pane.
“Ok.” disse alla fine, lo sguardo basso, rassegnata. Rick annuì quindi lanciò un’occhiata all’orologio. Si accorse di essere quasi in ritardo.
“Devo andare ora.” dichiarò, finendo il suo caffè e alzandosi. “Ci vediamo stasera?” Kate annuì. Poi Castle le si avvicinò e le lasciò un lungo bacio sulla guancia. “Non ci pensare, ok?” le sussurrò con un sorriso dolce, mentre Beckett faceva una smorfia divertita.
“Vattene!” esclamò lei, trattenendo a stento un sorriso. Lui le fece un inchino fin troppo profondo sull’uscio della cucina e sparì, uscendo di casa.
 
“Posso, Colonnello?” chiese la voce di Ryan un attimo dopo aver bussato alla porta del suo ufficio.
“Entra.” replicò Castle senza alzare gli occhi, finendo di completare un rapporto. Aveva ancora una ventina di minuti prima di dover uscire per incontrare sua madre. Sentì Kevin entrare, chiudere la porta e avvicinarsi alla scrivania.
“Allora?” domandò impaziente il maggiore quando lo vide mettere via il foglio che aveva davanti. “Che ti ha detto Jones? Che voleva?” aggiunse, abbassando la voce e sedendosi dall’altra parte della scrivania, il cappello ben stretto in mano. Rick prese un respiro profondo prima di raccontare. Aveva già deciso che gli avrebbe detto tutto. Dopo tutti quegli anni di amicizia glielo doveva e poi avrebbe potuto mettere in allerta gli Esposito. Avrebbero dovuto essere molto più cauti ora.
“Mi ha confermato quello che sospettavo di mio padre.” rispose alla fine a bassa voce, lanciando un’occhiata alla porta per assicurarsi che fosse chiusa. “Era una spia.” Kevin emise un lieve fischio stupito. “Ma in cambio di questa sua generosa informazione mi ha chiesto una cosa in cambio.”
“Ti pareva…” borbottò Ryan seccato.
“Vuole che presenzi ai prossimi ricevimenti a cui sarò invitato.” continuò Rick, mentre il maggiore lo guardava confuso. “E vuole che gli fornisca qualsiasi informazione utile riesca a ricavare dagli Alti Ufficiali.” Kevin spalancò la bocca e sgranò gli occhi.
“Dimmi che l’hai mandato a quel paese!” esclamò a bassa voce Ryan, ancora scioccato.
“Non potevo!” rispose innervosito Castle. Era la seconda volta che dava quella stessa identica risposta alla stessa domanda. Ma lo credevano così idiota da voler rischiare la pelle per uno sconosciuto?? “Sapeva tutto, Kev.” lo bloccò in un sussurro prima che potesse protestare. “Conosceva tutto di me, te, Kate e tutti gli altri.”
“Vuoi dire anche…” iniziò il maggiore ancora più stupito. Il colonnello annuì.
“Sapeva anche degli Esposito.” mormorò con tono di sconfitta. “Ma non rivelerà nulla finché lo aiuterò.”
“E tu sei certo che non lo farà?” domandò ansioso Ryan. “Che non dirà niente?”
“Non finché gli servono le informazioni che io posso procurargli.” replicò Castle serio. Kevin rimase per un secondo in silenzio, quindi sospirò stancamente.
“Che faremo quando le informazioni finiranno?” Rick si appoggiò allo schienale della sua sedia e si passò una mano tra i capelli. Aveva pensato anche a quello.
“A quel punto saremo ben lontani.” rispose piano. “Voi almeno di sicuro.”
“Noi? Lontani??” esclamò stupito Ryan. “Rick, sai benissimo che non possiamo andarc…”
“Sì che possiamo, se ci organizziamo per tempo.” lo fermò in un sussurro il colonnello, allungandosi sul tavolo verso di lui. “Ascolta, ormai in ogni caso siamo compromessi. Una volta che gli Esposito e Kate saranno partiti, dovremo pensare a quando e come andarcene e prima lo faremo, meglio sarà. Dovremo organizzare qualcosa anche per la Gates e la sua famiglia e penserò anche a una scusa da inventarmi con mia madre. In ogni caso non possiamo più stare qui, sapendo che qualcuno conosce così bene i nostri lavoretti passati…”
“Ma Jenny…” mormorò preoccupato Kevin, sbiancando all’improvviso.
“Se necessario, aspetteremo che il bambino nasca.” lo rassicurò Castle subito. “Dovremo solo prendere un po’ di tempo e poi ce ne andremo anche noi.” Ryan lo guardò nervoso. Alla fine però prese un respiro profondo.
“Quando tutta questa storia sarà finita, se il mio primogenito sarà un maschio non aspettarti che lo chiami ‘Richard’.” borbottò Kevin per alleviare la tensione. Il colonnello fece un mezzo sorriso e scosse la testa.
“Prepara gli altri.” disse poi. “Dovrebbe filare tutto liscio fino alla loro partenza, ma meglio che siano pronti a ogni evenienza.” Ryan annuì e si alzò piano, lo sguardo basso e le spalle curve, come se all’improvviso gli fosse caduto un peso addosso. “Quando tutta questa storia sarà finita, magari ci ripenserai a come chiamare il tuo piccolo, se sarà maschio.” aggiunse poi Rick divertito, prima che il maggiore arrivasse alla porta. Kevin si lasciò scappare un piccolo ghigno e scosse la testa, nonostante le notizie che aveva appena ricevuto. Quindi uscì dall’ufficio del colonnello.
 
Castle entrò nel buio teatro dove recitava sua madre da una piccola porta secondaria, indicatagli da un giovane attore in calzamaglia e cappotto intento a fumare una sigaretta con mano tremante. Il colonnello capì che avrebbe dovuto portare all’interno i diversi scatoloni ammonticchiati nella neve poco lontano da lui, forse oggetti scenici, ma evidentemente aveva deciso di concedersi una pausa. Una volta dentro Rick ci mise qualche secondo ad abituarsi alla semi oscurità. L’unico punto luminoso era il palco, dove quattro attori stavano provando con una spada in una mano e il copione nell’altra. Altri dieci o quindici teatranti erano disposti tutti attorno, restando in disparte a seguire la scena. Riconobbe subito sua madre, in piedi accanto al sipario aperto.
Essendo in anticipo, per non interrompere, Castle si avvicinò cautamente all’ultima fila di poltroncine della platea, a pochi passi da lui, e si sedette in silenzio sulla prima sedia imbottita. Si tolse il cappello e lo buttò nel posto accanto al suo. Era troppo nervoso per voler seguire la rappresentazione, tra l’altro continuamente interrotta dal quello che doveva essere il regista, seduto in prima fila, quindi iniziò a guardarsi intorno per distrarsi. Era stato diverse volte negli anni in quel teatro, l’Unter den Linden, e aveva sempre trovato molto elegante, seppur fin troppo sfarzoso, lo stile “neobarocco viennese”, come gli aveva sottolineato una volta sua madre. Tutto era dorato, pieno di decorazioni e statuine di angeli in ogni punto, intervallato solo dal rosso scuro dei drappeggi del palco, delle tende dei palchetti nelle gallerie e del tessuto delle poltrone in platea. Perfino il grande lampadario al centro della sala era completamente intarsiato.
Rick osservò tutte quelle cose stupito che fossero ancora in piedi e perfettamente conservate. Perché della facciata del teatro non era rimasto quasi più nulla. Il bombardamento aveva distrutto irreversibilmente l’esterno in mattoni bianchi, il grande portone, le alte finestre. Perfino il suo caratteristico tetto bombato era in parte sparito. L’interno invece, per qualche strano miracolo, non aveva subito il benché minimo danno. Non era accaduto lo stesso negli altri teatri di Berlino. Il Deutsches Theater, ad esempio, era stato danneggiato sia all’esterno che all’interno, dove buona parte delle gallerie era crollata e il palco era diventato inutilizzabile. Il peggio però era toccato al Deutsche Oper Berlin, il teatro dell’opera: il 23 novembre, nello stesso momento in cui Rick, al suo appartamento, consolava Kate da una crisi di panico, una serie di granate si erano abbattute sul teatro, devastandolo. Erano rimaste solo le macerie.
“STOP!” gridò all’improvviso il regista, distogliendolo dai suoi pensieri. “Fermiamoci qui. Riprendiamo tra mezz’ora con la fuga di Romeo da Verona.” Con un basso mormorio, gli attori si sparpagliarono dietro le quinte e in platea mentre le luci si riaccendevano lentamente. Fu in quel momento che sua madre lo notò. Gli fece un sorriso e scese dal palco per andargli incontro. Castle recuperò il cappello, si alzò e attese, agitato, che Martha arrivasse. Quindi le fece un sorriso tirato e la baciò sulla guancia come saluto.
“Richard, tesoro, è molto che aspetti?” gli chiese. Rick scosse la testa.
“No, sono arrivato solo pochi minuti fa.” rispose. Quindi si guardò per un momento intorno. “Uhm, c’è un posto dove possiamo parlare senza essere disturbati?” Martha lo guardò per un momento con le sopracciglia aggrottate, perplessa da tanta segretezza, quindi gli fece segno di seguirla. Lo condusse lungo un’altra porta laterale che dava su delle scale che dovevano portare alle gallerie sopra di loro.
“Qui saremo tranquilli.” disse l’attrice, dopo che ebbero salito almeno tre rampe di scale e furono entrati in uno dei palchetti. Erano un po’ spostati rispetto al palcoscenico, ma la visuale era comunque buona. Sporgendosi un po’, il colonnello notò una pelata lucida in prima fila che doveva appartenere al regista. In ogni caso Rick rimase soddisfatto della scelta della madre. Se restavano un po’ indietro nel palchetto, erano pressoché invisibili da sotto e anche le loro voci sarebbero giunte ovattate e poco udibili. “Nessuno sale mai fino quassù. A meno che non voglia vedere lo spettacolo, ovviamente!” aggiunse poi divertita. “Allora, Richard, cosa volevi dirmi?” Castle si mosse a disagio sul posto, rigirandosi il cappello tra le mani.
“Siediti, mamma.” le disse poi, mantenendo comunque la voce bassa, portando due delle quattro sedie presenti più all’interno del palchetto semibuio. Quando entrambi ebbero preso posto, uno di fronte all’altra, Rick prese un respiro profondo. “Devo dirti un paio di cose su… su mio padre.” confessò alla fine.
 
Martha ascoltò in un silenzio scioccato tutto il suo racconto. Castle partì dall’improvvisa venuta di Tom Jones nel suo ufficio e finì con l’incontro che avevano avuto la sera precedente. Le disse tutto quello che aveva scoperto sul padre, compreso il diario che aveva ritrovato Kate. Non fece cenno però a ciò che aveva chiesto Jones in cambio di quelle informazioni. Quando concluse, l’attrice lo stava guardando con la bocca aperta e le sopracciglia aggrottate, incredula.
“Nicholas…” mormorò Martha dopo qualche secondo di silenzio. “Nicholas era una spia del governo americano?” Rick annuì esitante. Non sapeva esattamente quale sarebbe stata la reazione della madre. “Oddio…” aggiunse poi lei, scivolando un po’ sulla sedia. “Ma tu… Richard, tu sei sicuro che queste informazioni siano esatte? Voglio dire…”
“Lo sono, mamma.” la bloccò lui dolcemente, prendendole piano le mani abbandonate sulle ginocchia. “Non te l’avrei detto altrimenti.” Martha sospirò leggermente, lo sguardo fisso sul pavimento in legno. Castle notò comunque che la madre aveva gli occhi lucidi.
“Tutti questi anni…” sussurrò alla fine. Il suo tono era insieme doloroso e sollevato.
“Papà lo ha fatto solo per proteggerci.” replicò Rick, sicuro. Non sapeva neanche lui perché avesse sentito il bisogno di difendere suo padre. Forse perché lui stesso aveva nascosto delle cose per proteggere chi amava.
La donna alzò gli occhi sgranati su di lui, un lieve sorriso in bocca che lui non comprese.
“Era da prima di partire per la Germania che non lo chiamavi più ‘papà’.” commentò con dolcezza. Il colonnello la guardò sorpreso. Non se ne era nemmeno reso conto. Martha sfilò una mano dalla sue e gli carezzo lievemente una guancia.
“Come stai?” le chiese cauto Rick. L’attrice fece un mezzo sorriso e alzò appena le spalle, senza smettere di sfiorargli il viso.
“Ho trovato risposta a più di un quesito.” rispose lei tranquilla, anche se nel suo tono di voce era ancora udibile quel misto di dolore e sollievo. “Capisco perché Nicholas non ne abbia parlato, ma insieme mi dispiace che non l’abbia fatto. Avrebbe risparmiato un sacco di discussioni.” continuò piano.
“Sì, ma come stai?” insistette Castle, posando una mano su quella della madre per bloccarla sopra la propria guancia. Martha sorrise. Un sorriso divertito anche se tirato.
“Non lo so, davvero.” replicò. “Ma starò meglio, tesoro.” aggiunse poi in tono più dolce. “Non preoccuparti.” Rick annuì piano e abbassò lo sguardo sulle loro mani intrecciate. Si perse a osservarle per un momento. Sembravano così piccole e fragili le mani di sua madre tra le sue. Magre e segnate da un reticolo di sottili rughe. Non se ne era mai reso conto. “Richard?” lo chiamò poi l’attrice. Castle alzò lo sguardo e si scontrò con il profondo azzurro degli occhi di sua madre. Rimase per un momento sorpreso. Non era abituato a vederla con un’espressione così seria. “Mi hai detto che questo signor Jones è venuto a cercarti in ufficio e ti ha parlato di Nicholas. Ma non mi hai detto perché è venuto a cercarti.” Il colonnello si irrigidì e abbassò di nuovo lo sguardo, deglutendo appena.
“Lavoro.” borbottò, stringendo la presa sulle mani di sua madre. Martha sbuffò.
“Mi hai appena raccontato l’ultimo lavoro di tuo padre e guarda come è finita!” esclamò con tono di rimprovero, scotendo la testa. Rick le fece un mezzo sorriso.
“Sta tranquilla, mamma.” replicò divertito, cercando di tirare fuori tutti i geni di attore che possedeva per non farle sospettare nulla e non farla preoccupare. “Sono solo un colonnello e sto in una casermetta di periferia. Per di più mi occupo principalmente di persone morte. Nessuno cercherebbe mai informazioni da me!” La donna lo osservò per qualche secondo con occhio critico, facendo aumentare notevolmente il battito cardiaco di Castle che la osservava sorridente, ma sudando freddo. Alla fine Martha dovette credergli, o almeno fingere di farlo, perché annuì. Poi lanciò un’occhiata al di fuori del palchetto. Rick sospirò, internamente sollevato, quindi girò anche lui lo sguardo all’esterno, curioso. Le luci si erano appena abbassate qualche attimo per poi tornare a rischiarare il teatro.
“Stanno per riprendere le prove.” sussurrò Martha stancamente. Castle la guardò preoccupato. Non l’aveva mai vista così poco allegra verso il teatro. Non era un semplice lavoro per lei, era la sua passione di sempre, capace di capovolgerle l’umore in un secondo. Ma stavolta evidentemente non era abbastanza. “Devo andare.” disse poi, alzandosi. Rick annuì e si alzò a sua volta. Quindi ridiscesero in silenzio le scale e tornarono in platea.
“Mi spiace, non ti ho neanche lasciato il tempo di mangiare qualcosa.” disse Castle imbarazzato, ricordandosi all’improvviso di aver cercato la madre proprio in pausa pranzo. Lei gli sorrise e scosse la testa.
“Non preoccuparti, Richard, non morirò di fame.” replicò divertita. “Inoltre il mio personaggio non entra in scena ancora per un po’, quindi ho tutto il tempo di mangiare un boccone dietro le quinte.” aggiunse poi, facendogli l’occhiolino. Rick sorrise e scosse la testa. Sua madre era tornata. Lanciò un’occhiata all’orologio e si accorse di dover rientrare in centrale.
“Devo andare.” dichiarò con un sospiro. Martha annuì. Quindi si avvicinò e lo abbracciò.
“Riguardati, Richard.” gli sussurrò dolcemente. “E per favore non fare niente di stupido!” Castle sorrise tra i capelli di lei e la strinse a sé. Quindi le lasciò un bacio sulla testa e si staccò da lei.
“Ti chiamo nei prossimi giorni.” promise. Poi si salutarono e Rick si avviò verso la stessa porta secondaria che aveva attraversato nell’entrare nel teatro. Le casse che c’erano prima erano ancora per più di metà lì, ma l’attore non c’era più. Al suo posto era rimasto solo un mucchio di sigarette spente seminascosto dalla neve.
 
I due giorni successivi passarono in relativa tranquillità. Castle, a causa del lavoro arretrato e di una esercitazione a sorpresa che il suo superiore Zimmermann aveva preparato, era stato costretto a rimanere per buona parte del tempo in centrale. Beckett nel frattempo ne aveva approfittato per andare a comprare qualche abito nuovo insieme a Jenny e a trovare gli Esposito. Tra Rick e Kate, nei pochi momenti che riuscivano a ricavare per loro a casa, sembrava fosse tutto normale, tranne per una cosa: i sempre più frequenti avvicinamenti del colonnello per rubare baci o coccole alla donna. Ogni volta diventava più sicuro e disinvolto sul corpo di lei. Amava particolarmente sentirla rabbrividire contro di sé quando la baciava sul collo. Kate d’altro canto, anche se cercava di non darlo a vedere, sembrava non potesse fare a meno di sentire le braccia di lui intorno al corpo. Quando Rick la abbracciava infatti, lei si lasciava andare completamente contro di lui, senza remore. Ancora non avevano detto nulla di come erano evolute le cose tra di loro agli altri. Volevano prendersi più tempo per loro prima di iniziare a sorbirsi le battutine con cui, sicuramente, i Ryan e gli Esposito li avrebbero attaccati bonariamente e presi in giro.
La sera del 17, Castle e Beckett si prepararono e raggiunsero la casa del Generale Richter Dirk con l’auto del colonnello. Il soldato aveva preparato un ricevimento pre-natalizio per festeggiare i vent’anni di matrimonio con sua moglie Fieke. Rick aveva già avuto modo di conoscere il generale. Era un uomo gioviale e molto incline alle battute. Aveva sempre aneddoti sui suoi tempi di accademia, nei quali, a quanto pareva, non aveva mai trattenuto la sua vena inventiva nel creare scherzi. Rick si era spesso chiesto come avesse fatto un uomo allegro come Dirk a raggiungere un tale grado nell’esercito tedesco, famoso in tutto il mondo per la sua disciplina.
La larga palazzina in cui abitava il generale era composta di tre piani, collegati da una grande e maestosa rampa di scale che si snodava a chiocciola nel mezzo della casa. Il piano terreno era composto da un unico grande salone per le feste con un piccolo palco per i musicisti in fondo alla sala, che in quel momento suonavano una musica vivace, e una tavola imbandita a buffet su uno degli altri lati. Castle dedusse che i piani superiori fossero quelli abitati dal generale, da sua moglie e dai servi. Vent’anni di matrimonio e nessun figlio. Rick si chiese che ci facessero con una casa così grande per così poche persone.
Il colonnello prese un bicchiere di spumante da uno dei vassoi dei camerieri che percorrevano la sala e si sforzò di prestare attenzione ai tre General Maggiori con cui aveva attaccato discorso qualche minuto prima. Parlavano della guerra, ma niente che non sapesse già. Le notizie dai fronti scarseggiavano, ma ormai era palese che la Germania stesse capitolando. Nonostante le sporadiche vittorie, i tedeschi in Italia continuavano a perdere terreno. Era iniziata a circolare il giorno prima la notizia del ritiro delle truppe in Toscana fino alla Linea Gustav. Inoltre la forza degli americani si faceva sempre più presente. Da tempo non davano più solo supporto, ma organizzavano veri e propri attacchi. Un esempio era il bombardamento avvenuto qualche giorno prima, il 13, a Kiel, una città situata nell’estremo nord della Germania, poco sotto il confine con la Danimarca. Gli USA avevano mandato qualcosa come settecento bombardieri sul posto. Secondo gli ultimi aggiornamenti, più di metà della città era stata rasa al suolo. Non si contavano più inoltre gli scontri avviati dal Giappone che stavano avendo luogo nel Pacifico, in India e nel resto del mondo. Nonostante tutto quello, Hitler pareva non voler demordere. Castle non sapeva più se era un pazzo o un visionario accecato. Altri avrebbero abbandonato l’impresa molto prima, non solo considerando la distruzione che stava provocando nel mondo, ma anche contando il numero imprecisato di attacchi alla vita che aveva subito. C’era chi parlava di cinque, chi di dieci, chi di venti o trenta attentati. Nessuno sapeva con certezza il numero esatto, tenendo anche conto che il Fuhrer stesso ne gonfiava il numero per aumentare la sua aurea di onnipotenza. Per di più non si parlava solo di stranieri venuti apposta in Germania per ucciderlo o di semplici tedeschi che volevano toglierlo di mezzo. Castle aveva sentito dire ci fossero anche diversi soldati coinvolti negli attentati. Soldati di alto grado, vicini a Hitler stesso.
Rick aggrottò le sopracciglia pensieroso mentre sorseggiava lo spumante. Che l’apparizione di Jones avesse a che fare con quelle dicerie? Aveva sentito forse che si organizzava un altro attentato al Fuhrer?
“Colonnello, tutto bene?” chiese all’improvviso uno dei tre uomini con cui, teoricamente, stava parlando, vedendolo così assorto. Castle sbatté un paio di volte le palpebre per riprendere lucidità.
“Sì, certo, Generale.” replicò, imbarazzato per essere stato colto così palesemente disattento. “Scusate, è solo la stanchezza degli ultimi giorni.”
“Beh, con una donna come la sua, neanche io non dormirei molto, Colonnello!” esclamò una voce divertita alle sue spalle. Rick si voltò di scatto e si trovò davanti due uomini in divisa. Uno dei due lo osservava con un mezzo sorriso, l’altro invece sembrava indifferente. Dalle mostrine, Castle capì che quello divertito era un suo parigrado, un colonnello, mentre l’altro era un generale, entrambi dell’esercito. Il primo doveva avere all’incirca la sua stessa età, piuttosto alto, magro e con i capelli scuri, che iniziavano a diradarsi, tirati all’indietro sulla nuca. L’altro invece doveva aver superato i quarant’anni, era più basso di lui e con i capelli tagliati talmente corti da risultare quasi pelato. Aveva un’aria più seria e vissuta rispetto al suo compagno. “Credo che nessuno ci abbia ancora presentati.” disse la stessa voce di prima, che Castle poté assegnare al colonnello. “Sono il Colonnello Rudolf Christoph Freiherr von Gersdorff.” disse, allungandogli una mano. All’espressione un po’ sconcertata di Rick, il soldato ridacchiò. “Colonnello Rudolf Gersdorff basterà.” Castle sospirò sollevato e gli strinse la mano.
“Generale Henning von Tresckow.” si presentò l’altro soldato serio, allungandogli a sua volta la mano. A quanto pareva Tresckow era un tipo di poche parole. In quel momento venne in mente a Rick che quei due nomi li aveva già sentiti nominare. Li conosceva già di fama e perché erano tra i soldati avversi al nazismo, ma ricordava di aver sentito sussurrare i loro nomi insieme alle parole ‘attentatori’eHitler’ tra i suoi sottoposti e parigrado non iscritti al partito. Sapeva per certo comunque che nessuno si era mai azzardato a fare qualcosa di più che mormorarli e per di più lontano da orecchie pericolose.
“Colonnello Richard Castle.” si presentò a sua volta.
“Lo sappiamo.” replicò Gersdorff, ridacchiando e lanciando un’occhiata alla sala. I suoi occhi scuri si posarono sulla figura di una donna poco lontano. Dava loro le spalle e stava chiacchierando con un paio di dame tutte agghindate e truccate. La donna indossava un abito verde scuro a maniche lunghe, lungo fino ai piedi, che le fasciava perfettamente ogni curva. Il suo fondoschiena era uno spettacolo affascinante da osservare. I suoi capelli scuri e mossi erano raccolti elegantemente in una coda laterale, lasciando così buona parte del collo scoperta. Rick si perse a guardarla, mentre un lieve sorriso gli si apriva, senza volerlo, sulle labbra. Kate era stupenda quella sera. “La sua fidanzata è molto richiesta per i balli, lo sa? Ma ha già specificato che il suo cavaliere è unico.” Castle sentì montargli dentro insieme un sentimento misto di orgoglio e gelosia. La donna più bella era con lui e lei aveva praticamente cacciato ogni pretendente. Nel tempo che non l’aveva guardata però, esattamente quanti uomini avevano tentato di approcciarla? “Buffo accento, ma bellissima donna. Comunque io non l’avrei lasciata sola per così tanto tempo…” Neanche a farlo apposta, Rick notò un soldato puntarla con sguardo famelico poco lontano da loro.
“Kate, tesoro!” esclamò all’improvviso per chiamarla, senza riuscire a fermarsi, la voce leggermente più stridula del normale. Sentì gli uomini accanto a lui ridacchiare e cercò di non arrossire come un bambino. Beckett si voltò e gli sorrise radiosa. Castle fu certo di aver perso almeno un paio di battiti. La donna si scusò con le altre signore e si avvicinò a loro.
“Ehi, Rick!” lo salutò allegra, alzandosi appena sulle punte per lasciargli un bacio sulla guancia. “Mi cercavi?” Lui ne approfittò subito per metterle un braccio intorno alla vita e stringerla a sé in un gesto possessivo.
“Sì, scusa, ma volevo presentarti i signori.” disse con un sorriso, all’improvviso tranquillizzato dal calore di lei contro il suo fianco. Castle le presentò i generali e il colonnello, anche se, come Gersdorff stesso aveva detto, Beckett riconobbe quest’ultimo come uno di quelli che le aveva chiesto di ballare.
“Come vede, dicevo verità.” scherzò Kate con il suo tedesco con marcato accento russo, posando una mano sul petto di Rick. “Ho già cavaliere.” Il colonnello Gersdorff dovette annuire sconfitto, anche se divertito.
“Lei è un uomo fortunato, Castle.” commentò il soldato, prendendo al volo un bicchiere da un cameriere e alzandolo leggermente nella sua direzione. Rick fece lo stesso con il suo in segno di ringraziamento.
“Lo so.” rispose poi, voltandosi a guardare Kate con uno sorriso dolce. La donna arrossì appena e abbassò lo sguardo sulla divisa di lui, sistemandogli poi una piega invisibile della giacca con un gesto lento.
“Mi dicono che è sulla buona strada per diventare presto Generale.” disse poi all’improvviso Tresckow, parlando per la prima volta da quando si era presentato. Castle si voltò verso di lui e alzò appena le spalle.
“Sono appena diventato Colonnello.” replicò con un mezzo sorriso.
“Non bisognerebbe mai pensare solo per il presente.” ribatté il generale con tono serio. “E’ sempre buona cosa pensare anche al futuro, in modo che le azioni di oggi portino a un miglior domani.”
“Suvvia, Generale!” lo riprese bonariamente Gersdorff con un sorriso. “Per questa sera direi che possiamo permetterci di pensare anche al solo presente! Siamo a una festa, dopotutto.”
“E’ visione interessante del presente, comunque.” replicò però a sorpresa Kate, annuendo pensierosa. “Ma se per avere un domani migliore si dovessero fare cattive azioni, come uccidere, oggi?” La mano di Castle si strinse automaticamente sul fianco della donna in un gesto nervoso. Andava bene usare le doti di giornalista per reperire informazioni, ma quella era una domanda fin troppo diretta, a doppio taglio. Una risposta positiva poneva in una posizione pericolosa. Una negativa, soprattutto in un clima di guerra come quello, avrebbe potuto essere presa per codardia. E un Generale non poteva permettersi né una cosa né l’altra.
Gersdorff però ridacchiò a quella domanda e persino Tresckow si concesse un piccolo sorriso divertito.
“La sua donna è intelligente e ha anche le palle, Colonnello.” riconobbe il generale, abbassando appena la testa in segno di rispetto verso Kate. Rick sorrise in risposta, sollevato. Non si era accorto di aver smesso di respirare. “Buona domanda.” replicò poi il soldato a Beckett. “Io…”
Il generale però non riuscì a concludere la frase perché un basso botto gli fece alzare lo sguardo allarmato. La musica comunque continuò a suonare indisturbata. Parevano pochi quelli che avevano udito quello strano rumore, come se qualcosa fosse caduta a terra al piano di sopra. Castle aveva alzato lo sguardo al soffitto immediatamente, stringendo di più Kate contro di sé. Dopo qualche momento però aveva riabbassato lo sguardo come gli altri. Il generale stava per ricominciare a parlare quando un altro basso botto, più forte del precedente, si fece di nuovo sentire. Poi un altro. E un altro ancora. Finché all’ultimo, più forte e vicino, tanto da aver fatto tremare le pareti, buona parte degli invitati aveva capito cosa stava succedendo. Un nuovo bombardamento.
Mentre nuovi botti, più o meno ovattati, scuotevano la casa, la consapevolezza si fece strada in tutti. Iniziarono a sentirsi le esplosioni e il rombo degli aerei, sempre più vicini. All’improvviso nella sala cominciarono le grida, il vociare, i lamenti, il correre dappertutto. Le donne erano terrorizzate e anche molti soldati erano sbiancati.
“TUTTI IN CANTINA!!” gridò il generale Tresckow per farsi udire oltre tutti i rumori che avevano invaso la sala. Castle sperò ardentemente che i padroni di casa avessero anche un’ampia cantina oltre che una grande abitazione. Una granata fin troppo vicina scosse le fondamenta e li fece crollare a terra contro il freddo pavimento.
“Kate!” esclamò Rick, alzandosi subito e cercando di aiutarla, ma sentendola rimanere a terra.
“Sto bene!” replicò lei, cercando di tirarsi su aggrappandosi a lui. Il vestito le rendeva difficili i movimenti, ma non era solo quello. Beckett doveva essersi fatta male cadendo perché una smorfia di dolore le comparve in volto. Castle la aiutò a tirarsi su e la strinse a sé, cercando intanto di capire dove fosse quella maledetta cantina. Vide parte degli ospiti, quasi tutti soldati, correre verso l’uscita per tentare di portare aiuto all’esterno mentre gli altri, le donne e i camerieri, si dirigevano in fretta verso una porta in fondo alla sala. Rick pregò che quella fosse la direzione giusta per la cantina o qualche altro luogo protetto.
“Ce la fai a camminare?” chiese velocemente il colonnello a Beckett. Lei annuì. Castle poteva leggere la paura nei suoi occhi, anche se cercava di nasconderla. “Ok, vai in cantina con gli altri allora.”
“E tu?” domandò subito la donna, preoccupata, aggrappandosi al suo braccio. Uno scoppio e un urlo, che arrivava dal portone aperto della palazzina, rispose per lui.
“Devo andare.” le sussurrò dolce, ma deciso. Quindi le prese il viso fra le mani e la baciò brevemente. Poi si voltò e corse verso l’uscita, senza voltarsi. Sperò che Kate non facesse cazzate, tipo seguirlo in mezzo a quell’inferno, e semplicemente scendesse in cantina.
Appena mise un piede fuori, Castle fu investito da una colonna di fumo. Tossì con forza e cercò di spostarsi, la manica della giacca premuta davanti alla faccia come protezione. Non appena riuscì a vedere qualcosa, capì che una delle auto degli ospiti era saltata in aria e aveva preso fuoco proprio davanti all’ingresso. Alzò gli occhi. Il mondo sembrava nel caos. Davanti a lui c’erano case distrutte, crateri nel cemento, fuoco, fumo, corpi dilaniati di vivi e di morti, un misto di persone comuni e soldati che correvano da una parte all’altra della strada gridando. Poco lontano doveva esserci una postazione della contraerea perché, tra il rombo degli aerei sopra di lui, numerosi e neri come uno stormo di corvi contro il cielo schiarito dal fuoco, sentiva anche il boato cadenzato e basso dell’artiglieria di terra. Non sapeva cosa fare. Correre alla postazione per avere istruzioni oppure restare e cercare di portare in salvo quante più persone possibili? Un urlo poco lontano decise per lui. Corse in quella direzione, ma non vide subito da dove arrivava. Nel frattempo indicò la casa del generale a chiunque si trovasse vicino. Dovevano subito trovare un rifugio o difficilmente sarebbero scampati a quella pioggia di granate.
“ANDATE DA QUELLA PARTE!!” urlò Castle a una coppia di anziani terrorizzati. “LA’ DENTRO!!” Quelli fecero subito un cenno affermativo con la testa e si avviarono veloci nella direzione che gli aveva indicato. Dopo un attimo, Rick lanciò uno sguardo dietro di sé e vide che la coppia era arrivata alla casa giusta. Un altro urlo gli fece riprendere la marcia e, qualche passo più avanti, trovò una donna piegata a terra che chiamava disperatamente qualcuno sotto un cumulo di macerie. Era in vestaglia e il colonnello capì che, invece di rintanarsi in cantina come avrebbe dovuto, era uscita in strada. Alzando gli occhi però, notò la palazzina davanti alla quale la donna si disperava. Era crollata per metà. Probabilmente erano usciti appena in tempo.
Non riuscì a distinguere il nome che pronunciava, ma le si avvicinò velocemente e le ordinò di portarsi immediatamente in un luogo più sicuro.
“MIO FIGLIO!!” gridò la donna sopra il rombo del motore di un aereo che stava passando a bassa quota. “MIO FIGLIO E’ LA’ DENTRO!!” Rick, ansimando, lanciò uno sguardo tra i pezzi di trave e mattoni accumulati davanti a lui. Non vide niente finché una nuova esplosione non illuminò a giorno l’area. A quel punto notò una piccola mano che si muoveva freneticamente tra due assi.
“Si sposti!” urlò Castle alla donna, quindi iniziò a lanciare via alcuni dei pezzi più in alto in modo da alleggerire la struttura. In pochi secondi tolse il possibile per arrivare a vedere la faccia del bambino terrorizzato tra le macerie. Doveva avere l’età di Leandro. “Ti tiro fuori, tranquillo!” gli disse accovacciandosi vicino a lui. “Devi ascoltarmi e aiutarmi ora, ok? Sei bloccato da qualche parte?” Il bambino gli indicò il piede, troppo spaventato per riuscire a dire qualcosa. Castle si infilò con attenzione verso dove il piccolo gli indicava. Una goccia di sudore gli cadde sull’occhio e lui se la tolse seccato con il dorso della mano. Quindi allungò un braccio e tastò la parte bloccata: la caviglia era sotto un’asse pesante. “Ok, quando te lo dico, tu tira fuori la gamba ok?” Il bambino annuì subito. Un’altra luce improvvisa illuminò il viso del piccolo e fece notare al colonnello le scia di lacrime sul suo visetto sporco di cenere.
Castle si addentrò di più nell’ammasso e si puntellò con i gomiti e il corpo. Per fortuna la trave non era troppo pesante. Con notevole sforzo per la scomoda posizione, iniziò a spingere sull’asse dal basso in modo da alzarla. Dopo qualche secondo il legno cominciò a muoversi.
“VAI! ORA!” urlò, continuando a far salire la trave di centimetro in centimetro. Il piccolo tirò il piede con forza e dopo qualche secondo alla fine riuscì a uscirne. Castle lasciò ricadere l’asse e si tirò fuori dalle macerie. Appena uscito, vide la madre, ancora in ginocchio per terra, piangere e abbracciare il bambino, stringendolo tanto da togliergli il fiato. Rick li fece alzare in fretta e gli ordinò di andare a cercare riparo alla casa del generale o nel rifugio antiaereo più vicino. La donna lo ringraziò con le lacrime agli occhi e fuggì via con il piccolo in braccio.
Castle si voltò e cercò se c’erano altre persone ancora allo scoperto. Non vide nessuno, così tornò indietro di corsa verso la casa del generale Dirk, di cui era stato un tranquillo ospite fino a venti minuti prima, per cercare la postazione della contraerea. Dopo qualche passò però una luce accecante gli sbarrò all’improvviso la strada e un boato quasi gli ruppe i timpani. Senza sapere come, si ritrovò catapultato per aria. Per un momento gli parve di volare. Poi la sensazione finì, crollando bruscamente a terra e battendo la testa con forza. Non sapeva più dov’era il sopra o il sotto. Gli faceva male ogni singolo osso e sentiva i muscoli tirare. Gemette, cercando di alzarsi, ma la testa gli pulsava troppo e un dolore lancinante alla spalla lo colpì, bloccandolo. Rimase sdraiato a terra, incapace di muoversi, all’improvviso troppo stanco e dolorante per riuscire a fare qualunque cosa. Faticava a respirare e sentiva un liquido, sangue probabilmente, colargli lungo la faccia e bruciargli i tagli che doveva essersi procurato. Si accorse di udire solo suoni ovattati. E di vedere sfuocato. Voltò lentamente la testa e intravide del fuoco davanti a lui. Non doveva essere molto lontano perché poteva sentirne il calore sulla pelle, in contrasto con il freddo nevischio del cemento su cui era sdraiato. Lo colsero le vertigini e chiuse gli occhi. Aveva la nausea e il rombo ovattato degli aerei sembrava penetrargli dentro, facendogli vibrare le budella. Tentò di nuovo di alzarsi, ma il suo corpo non voleva collaborare. Era così stanco…
All’improvviso gli parve di sentir chiamare il suo nome. Castle. Riaprì gli occhi. Tutto quello che vide furono oggetti indistinti, sfuocati, ombre create dal fuoco. Si diede dell’idiota. Sicuramente lo aveva immaginato perché ancora non sentiva bene. Inoltre nessuno sarebbe venuto a cercarlo in quell’inferno. Il suo ultimo pensiero coerente fu per Kate. Sperò che avesse trovato rifugio e fosse al sicuro. Desiderò averla baciata più a lungo. Poi chiuse gli occhi, stremato. La luce del fuoco riusciva a penetrargli tra le palpebre, evitando di vedere solo il buio. Per un attimo sentì ancora il caldo e il freddo in contrasto sulla pelle. Sentì il dolore che gli pervadeva ogni parte del corpo. Sentì l’odore del fumo e del sangue nelle narici. Sentì i rumori ovattati delle esplosioni e dei motori di aereo. Gli parve di udire di nuovo il suo nome. Castle. Poi il suo corpo cedette. Rick. Tutto si fece buio e silenzioso. Non sentì più nulla.

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Xiao!! :D
Ehm... spero non vogliate linciarmi... in fondo prima stava andando bene vero? XD Ok, ok sto zitta! XD Spero vi sia piaciuto il cap! ;D Il prossimo purtroppo di nuovo non vi so dire quando uscirà sempre per problema studio... Prima o poi finirà pure quello! -.-
Ok, sparisco prima che qualcuno ci ripensi e decida di strozzarmi! XD 
A presto! ;D
Lanie
ps: piccola nota storica: le informazioni sulle battaglie e i bombardamenti, come vi ho detto, sono veri. E se cercate i due signori che Rick ha incontrato alla festa, ovvero il generale e il colonnello, beh se volete dare un'occhiata, vi lascio qui i loro "profili" wikipedia! ;)
http://it.wikipedia.org/wiki/Rudolf_Christoph_Freiherr_von_Gersdorff
http://it.wikipedia.org/wiki/Henning_von_Tresckow
(C'è da dirlo, Hitler aveva un fottutissimo culo (passatemi il francesismo) in fatto di attentati...)
Sparisco di nuovo! XD
Ciao! <3
  
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