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Autore: Tomi Dark angel    18/06/2014    4 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Molto spesso, l’uomo sa essere la creatura più egoista del mondo: dà per scontato benedizioni pulite come il tocco del vento sulla pelle o il bagnare della luce sul viso. Molti si lamentano, molti guardano altrove per pura pigrizia di alzarsi dal letto e sporgere la testa oltre l’oscurità mefitica di casa. Non apprezzano il poter respirare ogni mattina, non comprendono l’importanza della vita che tutti i giorni accarezza corpi nuovi o già anziani. Bizzarro.
John Watson non è mai stato molto fortunato, questo lo sa bene. Ha perso amici, famiglia, il suo unico amore. Sentirsi spezzato pesa da morire, l’assenza di un pezzo d’anima schiaccia ingombrante l’anima stessa. Adesso, una nuova assenza spinge in basso per piegarlo, per spezzarlo a metà.
Guarda le sbarre della prigione, e si accorge di quanto abbia dato per scontata la grandezza della libertà, il suo tocco sulla pelle che ogni giorno lo svegliava di nuovi respiri d’aria pulita e baci di sole sul corpo. Era bello potersi affacciare dalla finestra, posare gli occhi sul mondo, salutarlo, guardarlo dall’alto e sentirsi bene, nonostante il peso ingombrante della guerra. Adesso, quel privilegio non gli è più concesso, e John soffoca, si stringe la gola affannato, si piega in due come uccellino in gabbia che poco a poco spira.
Morire subito sarebbe troppo facile, troppo bello. Rivedrebbe Sherlock, potrebbe abbracciarlo, baciarlo e poi ridere quando la sua coda l’avrebbe capovolto a mezz’aria per punirlo di tanto azzardo. Tornerebbe indietro nel tempo, John, e direbbe mille e mille cose troppo a lungo taciute all’unica persona con la quale avrebbe mai voluto trascorrere l’eternità. Se il prezzo da pagare è la vita, sarebbe lieto di accontentare il destino. Non è poi così male morire. Dopotutto, lui la morte la conosce bene; ha camminato al suo fianco, l’ha sfiorata senza mai toccarla davvero, l’ha vista portare via tanti amici, tanti cari.
Non è cattiva, è soltanto il suo lavoro. Ma forse, è chiedere troppo che la Nera Signora intervenga ora, subito, prima dello svolgersi di una già atroce condanna. Possono ferirlo più di quanto abbia fatto la morte di Sherlock? No. Allora, perché aspettare? Semplice risposta: loro non lo sanno. Non sanno che significa, non sanno cosa vuol dire amare, donarsi a qualcuno, affidarsi totalmente al domani di quell’unica persona che ogni giorno fa sorgere e tramontare il sole e la luna.
L’uomo ha dimenticato. L’uomo. Non John Watson. Per ricordargli dell’umanità, è servita una bestia.
La porta della cella si apre cigolando, un uomo che John conosce come Anderson fa il suo ingresso a testa alta, con occhi che tuttavia tradiscono un barlume d’emozione, una scintilla di emotività che ai soldati manca.
John salvò la vita a quello stesso uomo. Gli ricucì con cura e dedizione  i bordi frastagliati di una schiena squarciata a metà. Si bagnò le mani del suo sangue, ascoltò i suoi pianti di dolore e asciugò dolcemente le sue lacrime, pietoso e caritatevole d’ogni atto di debolezza. La debolezza rende umani, questo non lo dimentica. E, nonostante tutto, Anderson è umano più degli altri.
-Dobbiamo andare.- dice bruscamente, affiancando John per poterlo scortare. Gli dà una piccola spinta, ma John è debole e barcolla, quasi cade a terra per il peso del dolore, dei due giorni sorbiti in totale prigionia.
È fragile, John. Come marionetta di porcellana, sa di potersi rompere da un momento all’altro. Basta una caduta o un altro minimo dolore e tutto finirà. In questo, lui ci spera.
Anderson lo guarda, fissa la schiena curva di quello che un tempo è stato soldato, eroe, leggenda. Ammirava gli ideali di John, la sua fermezza, la sua forza nel combattere ogni giorno al solo scopo di difendere la gente. È un soldato vero, di quelli che dovrebbero popolare il mondo per condurlo alla pace tanto agognata. Ma di John in realtà, non ce ne sono molti.
-Perché ti sei ridotto così?- domanda. –Avresti potuto negare, lavarti le mani di tutto, ma non l’hai fatto e adesso sei in questa situazione. È a questo che ti conduce la tua giustizia, John? Prima salvavi le vite, avevi pietà della gente. Adesso chi salverà te?-
John non risponde, continua a respirare lentamente per farsi forza e trovare l’energia per rialzarsi. Si sente vecchio e stanco, come se improvvisamente il peso della guerra si fosse appoggiato totale sulle sue deboli spalle umane.
Però, ha ancora la forza per sentirsi sereno. Conosce il domani, sa che dopo l’esecuzione potrebbe rivedere Sherlock ed essere felice, ridere con lui, stringerlo, accarezzare quella pelle mista a scaglie fino a ferirsi le dita. Sherlock lo riterrà illogico, ma John non saprà curarsene: continuerà, continuerà per ore finché non si sarà stancato, perché toccare Sherlock sarebbe come abbracciare un sogno, rivivere quei momenti di gioia che nemmeno da bambino ha saputo assaporare.
Nella morte, John respirerebbe di nuovo. Buffo. Splendido.
-Quanta gente muore ogni giorno, Philip?-
-Mh? Centinaia di persone, perché?-
John si raddrizza, lo guarda con gentilezza sincera, amorevole come quella di un padre. Non ha paura, Anderson glielo legge in faccia. È sereno, manterrà alto il capo anche dinanzi alla morte, e questo riconferma allora la sua grandezza, il suo essere soldato reale, di quelli che combattono veramente per la pace e non per la violenza.
Dinanzi a quegli occhi anziani, Philip Anderson si sente piccolo, misero, quasi fragile di una fragilità vitrea. Freme quasi piega la schiena in una sorta di istintiva riverenza.
-Sai dunque quante vittime ha portato questa guerra. Tu sei come me. So bene che la notte, quando sei da solo o semplicemente chiudi gli occhi per brevi istanti, senti ancora quelle grida, quel senso di impotenza che ti ha spinto a veder morire migliaia di innocenti. La gente muore tutti i giorni, ma non è questa la gravità della guerra. La speranza non esiste più, Anderson. È reputata ormai purissimo mito, lontano ricordo di una preistoria pacifica dove almeno gli homo sapiens sapevano impugnare le armi soltanto per cacciare selvaggina e non per il piacere di uccidere. Cos’è la soppressione della mia vita in confronto a questa devastazione? Sono soltanto un uomo, e come tale appaio fragile, spento, stanco. Tuttavia, c’è stato chi in mezzo a tutto questo, ha saputo ricordarmi che forse, un barlume di speranza esiste ancora, da qualche parte. Ho saputo cercarlo, ho saputo scavare con pazienza, e alla fine, il mio premio è giunto. Credi che la morte non sia una ricompensa? Forse no, ai tuoi occhi. Ma ai miei invece sì.-
John allunga un braccio, appoggia la mano smagrita sulla spalla di Anderson, i cui occhi si fanno improvvisamente fragili, lucidi di lacrime mai versate.
Guarda quell’uomo condannato a morte, Philip, e sente che nessuna giustizia interverrà a salvarlo.
Guarda quell’uomo condannato a morte, Philip, e sente che tutto questo è sbagliato. John è innocente.
-Ho vissuto abbastanza da capire che il mondo ha bisogno di un aiuto, Philip. Di armi ne abbiamo usate fin troppe, e se la mia morte ha la minima possibilità di convincere un millesimo di tutta quella gente a deporre le armi per allungare una mano in segno di pace, così sia.-
John sorride di un sorriso vero, emozionato, e allora due calde lacrime di commozione gli scivolano lungo le guance, bagnano di felicità e ricordi quella pelle d’uomo vissuto.
-Io li ho visti, Philip. Ho visto le loro scaglie riflettere la luce delle stelle, ho toccato con mano la forza inimmaginabile delle loro corna di diamante, ho accarezzato quelle ali che paiono pezzi di cielo strappati al creato e trascinati giù, sulla Terra. Non ci crederai, ma sanno essere più umani di noi. Sorridono, scherzano, vivono come se non vi fosse un domani. Pensa che un solo cucciolo di drago ha saputo trovare in se stesso una forza incredibile, che nessun uomo esporrebbe. Ha perso i genitori, il futuro, il suo stesso popolo… ma continua a sorridere, è stato il primo ad avvicinarmi e dopotutto, gli voglio bene come se fosse figlio mio. Per non parlare poi di tutti gli altri! Irene, con la sua sconsideratezza, ha voluto aiutarmi per amor della sua gente, perché in me aveva visto quel barlume di speranza che ha sempre cercato. Mycroft e Anthea, eleganti, freddi, ma difensori, hanno voluto accettarmi e trattarmi come un loro pari. E poi… poi c’è Sherlock.-
John chiude gli occhi, altre lacrime scorrono lungo le guance, giù fino al sorriso sereno di ricordi che gli stiracchia le labbra.
-Era così bello, Philip. Fu la prima cosa che gli dissi, quando lo conobbi. Tutta la bellezza della luna e delle stelle si rifletteva sul suo viso e le sue ali… oh, le sue ali! Erano talmente grandi da poter abbracciare il mondo intero non per soffocarlo, ma per proteggerlo. Questo lo lessi nei suoi occhi la prima volta che lo conobbi, e fu per questo che lo protessi. Sherlock era un difensore, un pacifico. Era il punto luce nel quale quella speranza nascosta aveva sempre scelto di nascondersi. Lo vidi allora, e lo so adesso. Muoio quindi per quegli stessi ideali, Philip. Muoio perché alla gente sia data quel piccolo barlume di domani che Sherlock ha saputo regalarmi ogni giorno, col suo immenso cuore di drago.-
Anderson non sa quanto tempo sia passato da quando, ancora bambino, perse sua madre. Ricorda la sua voce, ricorda il suo abbraccio… e ricorda di lei quella stessa speranza che ha sempre cercato, quella speranza che adesso, traspira viva dalle parole di John. Adesso capisce perché Sally teme Hound fino al punto di condannarlo a morte. Sa usare le parole più delle armi, e questa è una cosa rara.
Una lacrima scivola lungo il viso di Anderson, gli ricorda che è vivo, umano. L’aveva dimenticato. Da quanto tempo non piangeva?
Allora, dinanzi alla grandezza della speranza, della serenità e dell’umana pietà, la violenza si piega per la prima volta.
Philip Anderson affianca John, gli passa un braccio intorno alla vita e con dolcezza, lo aiuta a raddrizzarsi. Camminano fianco a fianco, come amici e compagni di vissute battaglie. Nessuna guardia, nessun prigioniero. Anderson sa che quel gesto potrebbe fruttargli il licenziamento, ma per una volta vuole essere giusto, vuole sentirsi pulito.
-Non è finita, John. C’è gente che in te ci crede davvero.-
John non risponde, è troppo stanco per aprir bocca. Mantiene il capo levato, ed è già uno sforzo enorme per lui.
Attraversano le strade deserte, dove la gente non s’azzarda più a camminare. È come percorrere un sentiero di fantasmi, dove soltanto spiriti invisibili muovono passi su una terra ormai sterile di sangue e aridità. Sono diretti… dove?
All’orizzonte si staglia un ammasso di ferraglia alto almeno venti metri e abbastanza massiccio da lasciare intendere che per costruirlo, è servito gran parte del ferro prodotto fino a quel momento. È  una gabbia, un intrecciarsi di fili spessi come nerborute braccia umane.
E lì, intorno a quella stessa recinzione abbastanza grande da stendersi a vista d’occhio, si ammassa l’intera città. Donne, uomini, bambini e anziani. Tutti in silenzio, tutti mortalmente uguali nel loro pallore, nelle loro labbra serrate, negli occhi spalancati di paura e aspettativa.
L’uomo è una bestia violenta. L’uomo gli spettacoli di sangue li adora, in passato così come nel presente, ma c’è qualcosa di diverso adesso.
La gente non incita, non urla, non si dimena come pubblico euforico e bramoso di violenza. Al contrario, ognuno sta in silenzio e al passaggio di John, chi ancora può farlo china il capo o quasi s’inginocchia. È come attraversare un corridoio di persone in vesti di re, ed è strano, sorprendente.
Silenzio. Nessuno giudica, nessuno gli urla contro come si aspettava John. Accade tutto nel rispetto, nella pace e nell’angoscia di veder morire una persona. Forse, l’uomo non ha veramente dimenticato la sua umanità.
-Fermi!-
Mrs Hudson urla tra la folla, si dimena tra le braccia nerborute di un soldato particolarmente irritato da tanta insistenza. L’anziana signora ha gli occhi sbarrati, la vestaglia stropicciata e i capelli sottosopra, ma non si cura di darsi una sistemata. Al contrario, urla più forte, chiama John, singhiozza come madre che guarda il figlio salire sul patibolo.
Al suo fianco, Molly, Mike e Greg non parlano, ma piangono in silenzio. La prima singhiozza sulla spalla di Mike, che la stringe come unica ancora di salvezza, mentre Greg ha lo sguardo basso, mortificato, che implorante chiede scusa al mondo per aver sbagliato una volta di troppo e aver fatto condannare a morte un innocente. Il suo distintivo da ispettore non c’è più.
Raggiungono il cancello, dove Donovan sorride compiaciuta.
-Benvenuto al capolinea, Hound.-
Lo afferra per il maglione, spinge forte verso il cancello aperto finché John non si accascia sull’erba bruciata, stanco e ferito.
-E adesso, saluta i tuoi migliori amici, figlio di puttana.-
Un ruggito, il crepitare di fiamme cocenti sulle loro teste. La gente urla, si ritrae, ma non fugge. Non ha motivo di farlo.
Secoli trascorsi a cercare di uccidere o catturare i draghi, e adesso eccone uno quasi adolescente, alto quasi cinque metri, dalla testa triangolare e il muso schiacciato. Ha scaglie color del fango, lucenti tuttavia come pietre preziose sotto il sole pomeridiano che brucia la pelle e irrita gli occhi.
John lo guarda in viso, osserva gli occhi d’ambra che appaiono sbarrati, vibranti d’orrore e paura folle mentre zampe, coda, ali e collo fanno crepitare ad ogni movimento le catene avvinghiate agli arti più pericolosi. Catene forti, aggressive, che stringono pelle e scaglie fino a inciderle di sangue argentato. John le guarda con odio, pensa a Noah, così piccolo e innocente: potrebbe esserci lui, al posto di quel cucciolo.
-Fermo.- dice John, avanzando cautamente verso il drago. Vede le sue ali vibrare ingabbiate, le corna ricurve splendere coriacee alla luce del sole. Sa che da un momento all’altro il drago potrebbe far scattare la testa e inghiottirlo. Cucciolo sì, ma abbastanza grosso da annientarlo con un colpo solo.
-Sono tuo amico. Non ti faccio niente… sono disarmato.-
Il drago lo fissa, pare capirlo. John allora ripercorre la via dei ricordi, torna indietro, laddove una splendida Furia Buia gli insegnava la pazienza, la speranza, la vita.
Allora, John ricorda.
“Uno strattone, e il mondo si capovolge. John si trova appeso a testa in giù, le braccia penzoloni, il bastone abbandonato al suolo, accanto alla busta. Una coda massiccia, irta di aculei sul dorso, gli avvolge caviglia e polpaccio, tenendolo sollevato senza sforzo.”
John sorride, lentamente avanza ancora verso il drago finché non vede in lui maggiore diffidenza. Lo osserva ritrarsi, schiacciarsi contro la grata senza azzardare attacchi. Forse capisce, forse aspetta il momento giusto.
“È diffidente, la bestia si chiede se fidarsi. Così, John fa l’unica cosa che sente sia giusto fare: si siede. Con un gemito di dolore, incrocia le gambe e resta immobile.”
John si siede, sorride al drago come sorriderebbe a un vecchio amico. Poi, comincia a parlare di se stesso, della sua storia, dei suoi momenti passati con Sherlock, Noah, Molly, Irene e tutti gli altri. Sono ricordi d’oro, lontani e bellissimi. Gli danno sicurezza perché fungono da scudo, da riparo sicuro anche dinanzi alla morte che da un momento all’altro potrebbe calare.
C’è silenzio, la gente ascolta, ma a John non interessa. Dopotutto, lui non è più lì: sta volando lontano, su possenti ali di Furia Buia, fino a raggiungere una spiaggia dove si azzarda a baciare la splendida creatura alata. Ripercorre sereno il dolore dei momenti che hanno seguito quel gesto azzardato, ma adesso che Sherlock non c’è più, anche quegli istanti appaiono sereni e bellissimi. Anche allora, John sapeva che da qualche parte nel mondo, il cielo si riempiva di splendide, possenti ali d’oscura aurora boreale. Allora, Sherlock respirava, e a John andava bene così.
Il drago ascolta, e con lui lo fanno anche le persone. Poco a poco, la creatura alata china il capo, accosta il muso a John. Forse è per mangiarlo, forse per sputargli in faccia un inferno di fuoco e lava bollenti, ma l’umano non ha paura.
Lui e la morte sono vecchi amici, ormai.
Prossimo passo. Altre memorie.
“ -Non guardarlo negli occhi, tesoro. Non si fidano se lo fai. Dagli fiducia e aspetta-. Così, John chiude gli occhi, china il capo e lo volta dall’altra parte.”
La mano è tesa, le palpebre calate. John aspetta, respira, non si muove. Ha tutta una vita per aspettare, ha tutta una vita per provare a liberare quel figlio del cielo. È soltanto un cucciolo, non merita di stare lì: cosa ne sanno i bambini della violenza? Quella guerra non li riguarda.
Poco a poco, il respiro del drago si fa più vicino, più insistente. John sente il fiato bollente sul corpo, e si bea di quella sensazione così bella, così familiare. È come avvicinarsi nuovamente a Sherlock, è come riscoprire quei momenti passati con lui. I draghi non sono cattivi, adesso la gente può vederlo.
Poi, l’inferno.
Sally estrae la pistola, con freddezza spara un colpo ben mirato al petto del drago. Il proiettile rimbalza, cade a terra inutilizzabile, ma ormai il danno è fatto. John riapre gli occhi per incontrare quelli sbarrati di terrore del drago. L’innesco di gelida furia scatta, le mascelle poderose schioccano a pochi millimetri dal braccio di John.
Una coda massiccia e irta di scaglie si infrange contro il suo petto, mozzandogli il fiato e scagliandolo in aria. Quando atterra, John tossisce, sputa sangue, e tutto intorno a lui, come viste attraverso un caleidoscopio, esplodono macchie bianche e nere.
La gente urla, indietreggia mentre il drago solleva il capo ed esplode una furiosa vampa di fuoco che incendia l’aria e poco a poco comincia a fondere il ferro sopra le loro teste. Se il drago esce, sarà una carneficina.
-No!- urla John. Si rialza faticosamente in piedi e con le sue ultime forze scatta verso il drago, diretto alle catene. Deve incastrarle da qualche parte per sottrarre libertà di movimento alla creatura.
John scatta, evita per puro miracolo un colpo d’artigli abbastanza massiccio da poterlo frantumare in migliaia di pezzi.
-John!-
Molly, Greg, Mrs Hudson e Mike entrano nella gabbia, spintonando via i fuggiaschi impazziti. L’ex ispettore impugna una pistola che non esita a puntare verso il muso del drago. Quello si volta, fissa allucinato la canna dell’arma e fa scattare il capo verso Greg, verso gli amici e famiglia di John.
-NO!!!-
Uno scintillio, il brillare di paradiso caduto in terra così velocemente da oltrepassare la sveltezza di qualsiasi cometa. La gabbia si sfonda, cede morbida allo schianto possente d’ali massicce, abbastanza forti da poter sorreggere il mondo e abbastanza ampie da poterlo abbracciare. Un corpo piccolo ma veloce si abbatte sul muso del drago, schiacciandogli il muso a terra col tallone nudo di un'unica zampa artigliata. Lo schianto è talmente violento da affondare di diversi metri l’intero cranio dell’animale nel terreno inaridito, lasciando al centro dell’arena un buco massiccio e ancora fumante.
Ali d’oscuro arcobaleno si spalancano, piantano senza sforzo le punte acuminate di ogni osso nelle inferriate e, sbattendo un’unica volta, le tranciano in due identiche metà.
A John pare un sogno, o forse è addirittura un’allucinazione. Lui non può essere lì. Lui non può essere… sopravvissuto a tanto. Eppure…
Corna ad anelli, massicce e ondulate.
Capelli corvini, ricci, neri come piume di corvo.
Cappotto lungo, mosso dal vento come oscura propaggine di mantello.
Infine, gli occhi. Bassi sul drago ancora infossato nel terreno, limpidi d’intelligenza e giustizia implacabile.
John quegli occhi li conosce talmente bene da poterli riconoscere da cieco, semplicemente toccandoli una volta e con la punta dell’indice. Sono parte di quel pezzo d’anima che lentamente scivola al suo posto, sono parte di quel cuore che poco a poco ritrova pace, battito, serenità. Quegli occhi sono luce. Quegli occhi sono mondo e colori.
Sherlock Holmes stiracchia le ali, le distende tanto da coprire il cielo di tutto Regent’s Park e improvvisamente, John si trova in paradiso, al cospetto di lucente aurora boreale e serenità ritrovata. Finalmente, può respirare di nuovo, avere fame, sete, sonno. La vita ricomincia da lì.
Sherlock s’inginocchia e afferra il cucciolo di drago per la nuca. Senza sforzo, gli solleva il capo ancora oscillante di stordimento e lo scuote, risvegliandolo.
Il drago sbatte le palpebre, fissa quella creaturina grande appena quanto il suo muso ma abbastanza forte da poterlo atterrare e risollevare dalla terra con una sola mano artigliata. Si guardano, parlano con gli occhi, silenziosi come solo splendide creature ultraterrene sanno essere. Alla fine, si capiscono, si accettano, e il cucciolo si quieta.
Sherlock lo lascia andare, con passo elegante raggiunge le catene e a una ad una, sotto gli occhi beati di John e quelli stupiti degli altri presenti, spezza le catene a colpi d’artigli, senza mai fermarsi, senza mai distogliere l’attenzione dal suo obbiettivo. È cauto, preciso, al punto da non scalfire nemmeno le scaglie del cucciolo immobile, fiducioso.
Concluso il lavoro, Sherlock si raddrizza e guarda in viso il drago, si specchia in uno dei suoi giganteschi occhi d’ambra.
-Torna a casa.- dice soltanto, e quella voce fa sospirare John, ricopre di invisibile balsamo le sue membra, il suo corpo provato, ferito, esausto ma infine rinato dalle ceneri come araba fenice.
Non avverte più la fatica, il dolore sparisce all’istante quando due gelidi occhi di cristallo lo fissano, vibrando di arcane emozioni nascoste. John freme, stringe i pugni e il mondo sparisce dinanzi a quegli occhi così belli, così vicini… così umani.
-John.-
John non crede ai suoi occhi quando Sherlock allarga seppur appena le braccia, aspettando immobile che il vuoto sia colmato. Arriccia appena un angolo delle labbra, appare sereno e bellissimo come angelo consolatore infine giunto a salvarlo dall’inferno.
John scatta, la stanchezza non c’è più: i piedi volano sull’asfalto, il sorriso sboccia come rosa preziosa sulle sue labbra, le braccia si allargano e con naturalezza, ritrovano il loro posto nel mondo. Lì, intorno a quella vita stretta e forte, morbida di pelle e dura di scaglie impenetrabili.
Il corpo di John preme contro quello di Sherlock, si incastra semplice e veloce con quegli arti tanto amati, tanto sognati, tanto implorati. Il viso dell’umano scivola sulla ferita bendata da chissà quale dio misericordioso, la bacia con dolcezza, vi appoggia la fronte senza abbandonarvela per non pesargli troppo. 
John inspira quel profumo, tocca quelle scaglie, accarezza quella pelle. Risale le dita tremanti d’emozione verso l’alto, lungo la spina dorsale, su fino alla nuca e ai capelli morbidi di sogno. Poi, singhiozza. Libera il dolore, la paura, il senso d’assenza e abbandono provati. Non ha mai pianto così, non ha mai pianto davvero in vita sua. La guerra insegna ai bambini che le lacrime non servono ma adesso, John piange di un pianto felice, liberatorio, che intreccia lacrime e sorrisi, passato e presente, fino a spalancare le porte di un ipotetico, radioso futuro.
-Se… sei in ritardo.- mormora tra i singhiozzi, e sente di aver detto la verità. È rimasto solo troppo a lungo, tanto da rischiare il soffocamento. Alla fine però, l’aria è tornata, ed è pulita, profumata di casa e vita.
Incredibilmente, Sherlock Holmes solleva le braccia, accoglie John con dolcezza, lo stringe a sé come tesoro prezioso di fragile cristallo. Il suo Mind Palace non trema più, adesso che sua madre lo aiuta a sostenerlo. Sherlock la sente camminare per i corridoi, spalancare paziente le porte giuste e quelle necessarie. È sempre stata madre, e lo sarà anche lì, nella testa del figlio.
“Sii sereno, figlio mio. Non sempre la logica sa spiegare ciò che accade, ma se qualcosa ti fa sentire bene, impara ad accettarla e basta”.
Per una volta, Sherlock non ha motivo di replicare. Finalmente, abbracciato al suo John, ritrova il suo posto nel mondo, si sente bene e felice. Inspira il suo profumo, vive del suo tocco e della sua voce. È tornato a casa.
-Sono stato trattenuto.-
John ride tra le lacrime, si allontana appena da lui  per guardarlo in viso. Non lo ricordava così bello ma, dopotutto, non ha di che stupirsi. Quello è il suo angelo.
-Puoi sempre rimediare.-
Sherlock lo guarda senza capire, disarmato dinanzi a qualsiasi allusione come soltanto lui sa essere. Corruccia le sopracciglia, si domanda cosa intenda dire John con quelle parole. Rimediare? Non può certo tornare indietro nel tempo.
-John, che stai…-
-Chiudi quel muso da rettile, per una volta. E dannazione, baciami.-
Sherlock non ha il tempo per replicare, ma ci prova lo stesso: ha appena schiuso le labbra quando John, con forza umana, viva, felice, lo attira a sé strattonandolo per il colletto del cappotto.
Le labbra coincidono, ogni pezzo scivola al suo posto. Chiudono gli occhi, John e Sherlock, e lentamente, schiudono insieme le porte del paradiso.
Con dolcezza, l’umano fa scivolare la lingua sulle labbra di Sherlock, attendendo paziente che i suoi tempi reagiscano, che si rivelino maturi. Intanto, assapora quelle labbra dal gusto speziato, le mordicchia finché Sherlock non le schiude con un piccolo ringhio animale che spinge John ad aderire maggiormente il corpo al suo. Lo stringe forte, fa danzare le loro lingue mentre sottili volute di fumo argentato che sa di vaniglia e spezie esotiche sgusciano da una bocca all’altra, calde e morbide di carezze gentili.
Le mani di Sherlock si risvegliano, salgono ad incorniciare il viso di John con dolcezza inaspettata. Gli artigli poggiano delicati su pelle morbida d’umano innamorato, che a quel tocco sorride tra lacrime che ancora piovono dagli occhi, incastrandosi tra le dita di Sherlock.
Siglano allora un patto silenzioso di saliva, fumo argentato e lacrime adamantine. Eliminano il mondo, riscoprono la grandezza di quell’amore che adesso anziché pesare, innalza entrambi verso il cielo, oltre l’universo, tra stelle, sole e luna.
Si separano appena per riprendere fiato e il drago fa scivolare le labbra su ogni lacrima d’umido cristallo, cancellandone la scia senza paura, senza fatica mentre John solleva una mano per stringere meravigliato una delle due corna ad anelli. Si sorprende di quel miracolo, si sorprende delle dita di Sherlock che scendono giù, lungo il suo collo, oltre le clavicole, fino alla vita. Lì le mani si appoggiano con dolcezza, assaporano quel piccolo brandello di pelle tiepida che il maglione ha lasciato scoperto stropicciandosi.
Infine, le ali si muovono. Come immense ombre cristalline, si ripiegano intorno a loro, chiudendoli in un bozzolo sicuro di seta e cielo stellato.
-Guarda in alto.- mormora Sherlock, e John ubbidisce senza abbandonare il sorriso.
Sulle loro teste, il creato intero pare dar spettacolo di sé. Per un attimo, John pensa che si sia fatta improvvisamente notte, ma nemmeno nei suoi sogni più sereni ha mai visto un cielo così bello. No, quello non è il cielo. Quelle sono le ali di Sherlock, e adesso che John le vede da vicino, capisce che non è mai stata soltanto sua sensazione quella di aurora boreale notturna che ha sempre visto danzare su ogni vela di luminosa membrana alare.
Quello che li ha abbracciati, è puro sogno. Brilla di stelle lucenti e colori morbidi che cambiano, mutano, si reinventano ad ogni più piccolo movimento di quelle ali dipinte da Dio in persona. C’è un cielo vero, vivo su quelle ali, e John non se n’è mai accorto davvero.
-Co… cosa…-
Abbassa gli occhi su Sherlock, e lo vede sorridere appena in quel suo modo enigmatico, antico, quasi arrogante. John ha imparato ad amare ogni sfaccettatura di quell’espressione.
-Sono una Furia Buia.- dice soltanto Sherlock, e John allora si fionda nuovamente sulle sue labbra, lo stringe forte, si bea delle braccia del drago che, insieme alla coda, gli circondano il corpo con gentilezza.
È il paradiso, quello. Finalmente sono felici.
Ma forse, il progetto di felicità non ha mai fatto per loro. Forse sfiorarlo è il massimo che gli sia concesso. Questo non lo sanno, ma se lo domandano allora, quando Sherlock improvvisamente richiude le ali con uno schiocco e spinge John con tanta violenza da sbalzarlo lontano, contro la grata distrutta della gabbia.
Una rete d’acciaio crolla dall’alto, migliaia di catene s’avvolgono aggressive intorno al corpo di uno Sherlock muto, silenzioso, che non si ribella.
Il sogno, se mai è esistito, viene infine spezzato.
 
Angolo dell’autrice:
Mi sento immortale. Sono riuscita a scrivere tra un esame e l’altro. Beccati questa, Sheakspeare!!!
Sher: che c’entra lui?
Non lo so, ma è uno scrittore.
Sher: e con questo?
Con questo… ma non avevi da fare, tu? Tieni, ecco una pistola nuova nuova, così puoi tornare a sparare ai muri.
Sher: sparare al muro è noioso…
Anderson: Tomi, perché mi hai chiamato?
Bersaglio mobile. Vai, Sherlock, e tieniti impegnato finché non gli spari almeno a una gamba. Sciò! Qui c’è gente che lavora!
Anderson: cos… aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhh!
Ehm, torniamo a noi. Dunque, posso giustificare il personaggio di Anderson, almeno con chi ha visto la terza stagione, perciò SPOILER.
Allora, considerato il comportamento di Anderson dopo la morte di Sherlock, ho ritenuto che lui, più di ogni altro (John a parte, s’intende), ha saputo credere nel nostro investigatore. Chiamatelo senso di colpa, ma ai miei occhi è risultato umano, e abbastanza disperato da credere nel miracolo. Credo che, se preso da solo, ossia in assenza di Donovan, sia davvero un bel personaggio.
FINE SPOILER.
Torniamo a noi! Spazio ai ringraziamenti degli splendidi draghetti che non mancano mai di recensire, spingendomi a scrivere ancora!
Sonia_0911: sono felice che ti sia piaciuto il capitolo scorso. Spero di ottenere lo stesso risultato anche con questo. Comunque, ecco svelato il mistero! Sherlock torna direttamente da John, lo salva come al solito, ma… il copione di Dragon Trainer a questo punto fa deviare la storia verso una parte quantomeno oscura. Non li lascerò mai in pace, questi poveri ragazzi. Ahahah! Grazie per il commento, a presto!
Kimi o Aishiteiru: oh, ecco spiegato perché Castiel è saltato in aria. Ha le penne tutte bruciacchiate… e vabbé, problema suo. Da oggi tutti i pacchi li apre lui. È il decimo che arriva oggi, e continua a cascarci quando gli dico di vedere cosa contiene. Povero Babbano! (a chi hai dato del marrano?! Nd Dean)( tu che c’entri? Torna nella tua storia!) Dunque, credo che dopo questa più che pacco bomba, arriverai tu formato kamikaze e mi farai saltare in aria la casa. Non posso farci niente, Dragon Trainer continua così! E prossimamente potrei essere ancora più cattiva. Sì Cas, è la porta. Vai ad aprire… oh, un altro pacco… apri, vediamo che contiene. No, ho le mani impegnate, sto scriv… BOOOOOOOOM!!! Oddio, la mia stanza! Ok, vado a controllare se è rimasto qualche brandello di arcangelo, dall’altra parte. A presto!
Wibbly Wobbly Timey Wimey: il mondo intero vuole massacrare Sherlock. Colpa sua se si è messo nelle mani di un’autrice bastarda. E i nomi… dai una testata alla tastiera e vedi cosa esce scritto su Word. Una volta l’ho fatto, ed è andata bene… togliendo il mal di testa che è seguito, ma ho ottenuto un ottimo risultato. Anyway…  Donovan sta sul piffero un po’ a tutti, ma almeno ho recuperato un po’ Anderson in questa storia… spero. No, Mary non ci sarà perché sarebbe un personaggio in più da gestire, e un ostacolo in più tra John e Sherlock… se continuo così, la storia finirà tra qualche migliaio di capitoli. Quindi, la risposta è noneeee!!! Niente Mary! Detto ciò, ti ringrazio e ti saluto! A presto!
_RockEver_: dovrete preparare un club anti Donovan, visto tutte le maledizioni che le state lanciando… sarei la prima iscritta, comunque. E sì, Sherlock da bambino così come da adulto, ha sempre avuto il mondo contro. Ma adesso non è più solo, e la forza per contrastare la situazione la sta trovando alla grande. Un applauso a John, prego! Grazie per il commento, e a prestissimo!
Bbpeki: mi devi la tua colla di Doctor Who. Tutti vivi… più o meno. Riguardo al torturare… sono dettagli, suvvia! John sta benissimo! (mostra cadavere di John in stato di decomposizione) Visto? Scoppia di salute! Comunque, visto i pacchi bomba che le lettrici mi inviano e che mi hanno devastato la casa… al posto del set puliresti le rovine della mia modesta e ormai quasi inesistente abitazione? Se conosci qualche operaio bravo, mi fai un favore, Moriarty non è tanto utile. Continua a legare dinamite ai giubbotti delle persone, e quelle scappano sempre. Sherlock è traumatizzato da sempre, lo si nota anche nella serie tv. XD Coooomunque, eccoti il disastragico capitolo che come sempre finisce con “e vissero per sempre infelici e massacrati” e ti saluto! Grazie per il commento!

Tomi Dark Angel
 

 
  
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