Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: HachikoCreepy    19/06/2014    0 recensioni
Pedro parlava del destino come se fosse una persona, colui che scrive la nostra vita, colui che ci fa vedere il mondo sotto occhi diversi.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Tornò immersa nei suoi pensieri, afferrò il pacchetto di sigarette e iniziò a fumare – per fortuna là dentro si poteva fumare e nessuno diceva nulla – dopo aver fatto un tiro abbastanza lungo prese la borsa e cercò con foga il suo blocco di fogli messi a caso raccolti da un piccolo quadernetto a cartellette verde acqua e iniziò a disegnare; dopo poco tempo però si era sentita nuovamente osservata e alzò nuovamente gli occhi e rivide la ragazza però questa volta insieme alla sua acqua calda e affianco alcune bustine di the di vari tipi. Decise di prendere quello alla cannella e arancia - quello alla vaniglia lo aveva già preso il giorno prima e voleva cambiare – lo inzuppò per bene e, dopo aver messo ben due bustine di zucchero di canna, iniziò a girare il composto per renderlo più dolce di quanto già non fosse, ma aveva l'impressione che lei non se ne fosse andata. Infatti era lì che la fissava ancora, come se avesse in mezzo ai denti qualcosa di schifoso e lo fissasse senza sosta; con un gesto della testa la invitò ad accomodarsi insieme a lei al tavolo, magari riusciva a sapere come si chiamasse.

«Mi spiace, devo lavorare ora» disse dispiaciuta.

«Non c'è nessuno tanto, sono solo le 7.50, non credo che Bob si incazza se ti siedi solo qualche minuto con me»

«Non è vero Bob?!»

Urlò a squarcia gola verso di lui insieme ad un sorriso, come risposta ricevette un occhiolino. Si sedette davanti a Sophie, iniziò a sorriderle e lei era in preda al panico. Un passo indietro, doveva recuperare.

«Beh, come ti chiami?» disse decisa accennando un sorriso.

«Mi chiamo Riley. Come mai hai marinato scuola... come hai detto di chiamarti ?» la guardò con stampato in faccia un punto interrogativo.

«Mi chiamo Sophie, e comunque non mi andava di andare a scuola per vedere dei deficienti con la puzza sotto il naso e le professoresse che ti osservavano dalla testa ai piedi... oppure perché non avevo per niente voglia» iniziò a ridere sotto i baffi.

«Anche ieri eri qua, anche l'altro ieri, anche venerdì scorso, sei sempre qua ! I tuoi non dicono nulla ?» Lo disse insieme ad una smorfia.

«Beh, mia madre no; la vita è mia non sua» disse convinta.

Abbassò lo sguardo e abbrancò la tazza di the caldo, bevendone un sorso, poi alzò gli occhi e vide che Riley se n'era andata senza nemmeno salutare; forse si era scocciata di stare lì, o doveva lavorare. Sophie passò buona parte della mattinata a scrivere e a ripensare alla chiacchierata misera con Riley. Passarono un paio di ore; chissà da quanto era lì seduta all'angolo, come alle elementari, quando la maestra l'aveva messa nell'angolo perché aveva fatto rovesciare il vassoio in testa ad una bambina. Guardò l'orologio appeso alla parete davanti a lei, erano le due del pomeriggio – sarebbe dovuta essere a casa – così prese le sue cose, andò da Bob e pagò il the caldo; con gli occhi cercava Riley ma purtroppo non la vide da nessuna parte così alzò i tacchi e tornò a casa.

Una volta arrivata non trovò nessuno, si guardò in giro ma vide solo il gatto e un post-it attaccato alla porta del frigorifero con scritto:

Lo so che non sei andata a scuola, fa niente. Ci vediamo stasera.”

Era firmato dalla mamma, si vede che almeno oggi era andata a lavoro. Visto che non c'era nessuno in casa, decise di andare in giardino sulla sedia a dondolo – la mamma la comprò per il suo compleanno, a volte si metteva lì con un libro e iniziava a leggere oppure passava il tempo a pensare e fissare le nuvole con tutte quelle forme strane – prese dalla giacchetta di pelle nera un pacchetto di sigarette e ne accese una; più di venti minuti senza fumare non riusciva, fece diversi tiri lunghi e intanto fissava il cielo.

I suoi occhi erano così vuoti, come ogni giorno, talmente tanto vuoti senza nessun emozione che passava a volte per apatica; ma invece ne provava di emozioni, più degli altri, ma semplicemente non le esprimeva al mondo intero. Perché doveva far vedere alle persone che stava male, stava bene, che voleva piangere, o urlare dalla gioia?

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: HachikoCreepy