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Autore: Yajirushi    19/06/2014    4 recensioni
Presi il mio diario e cominciai a scarabocchiarci qualcosa, quando “Lo conosci?” mi chiese, fissando il soffitto. Esitai. “Chi, il biondo?” lo vidi annuire e sospirai. “No, ma comunque non sono affari tuoi” e saltò giù dal letto meglio di uno stuntman, facendomi quasi venire un infarto e parandosi davanti a me, le braccia spalancate e un’espressione spaventosa. “Se quello ti sfiora con un dito, io glielo spezzo” quasi ringhiò “quel tipo non mi piace” Cosa? E chi era lui per giudicare uno sconosciuto? Forse non si era mai soffermato più di tanto a giudicare se stesso. Sentirlo parlare di me con tanta autorità, comunque, mi infastidì. “Ripeto: non sono affari che ti riguardano” Calum sospirò bloccandosi all’improvviso, forse rendendosi conto di quanto stavamo esagerando, e si rituffò sul mio letto, in silenzio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Calum Hood, Luke Hemmings, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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#Hate#

 

Whitey... Elizabeth Whitey” la portinaia mi diede le spalle, tuffandosi letteralmente in un cassetto pieno di chiavi alla ricerca di quella giusta. “Withey.. Whitey.. forse nell’altro cassetto” la ricerca sembrava interminabile, perciò decisi di passare quei pochi minuti spulciando i pochi nomi rimasti nella rubrica del mio cellulare: Ashton, il mio migliore amico da sempre; Jane, mia cugina, per me praticamente una sorella e... mamma, con tre cuoricini accanto. Accarezzai quel nome col pollice, strisciando sul display luminoso e chiedendomi che ci faceva quel nome lì, ancora con me quando avevo deciso di lasciarmi tutto alle spalle e ripartire da zero. La portinaia dovette accorgersi del mio sorriso triste, perché mi rivolse uno sguardo di quasi pietà prima di affermare: “Appartamento 266, secondo piano. Suo fratello è passato poco fa e ha già preso la chiave” Ringraziai scappando verso le scale per evitare altra compassione di cui proprio non avevo bisogno. Poggiai un piede sulla scala, il primo passo, il secondo e... fermi tutti, io.. io non avevo un fratello! I secondi che seguirono li passai a scavalcare coppie di gradini, rischiando di cadere o di farmi scoppiare un polmone per il troppo ossigeno consumato. Arrivata all’appartamento poggia una mano sulla maniglia e l’aprii, sorprendendomi di non trovarla chiusa a chiave. La richiusi alle mie spalle e lo vidi, lì, ben composto sulla poltrona in pelle al centro della stanza. Nei suoi occhi scuri e taglienti e nelle sue labbra carnose potevo riconoscere il ragazzo orientale che i miei avevano adottato a distanza solo pochi mesi prima. Lo stesso ragazzo che avevo visto solo poche volte, prima dell’incidente, e che era riuscito a rendermi quei giorni un vero inferno. Che avesse deciso di condividere l’appartamento? Davvero, non potevo chiedere di peggio come punizione. Feci un passo e “Calum” lo chiamai. Lui scavallò le gambe con estrema lentezza. “Lizzie” mi fece eco. Odiavo, trovavo davvero irritante il fatto che mi chiamasse come permettevo di fare solo a mia madre. Notai diverse borse straripanti di t-shirt gettate sul divano, ormai le sue intenzioni erano abbastanza evidenti, ma cercai di contenermi e glielo chiesi comunque: “Che ci fai qui?” rimase immobile, insopportabilmente tranquillo, alzò un sopracciglio. “Volevo aiutarti” lo fissai incredula. Nella mia mente si aprivano mille possibilità, e nessuna che fosse collegata a quel tipo portava a qualcosa di buono. Continuai a fissarlo, ma perché non si muoveva? “E allora?” chiesi, suscitando in lui una piccola risata malefica. “Ho detto volevo” accarezzò la pelle della poltrona e finse di dormire. Davvero, quel tipo non poteva restare nel mio appartamento. Il campanello suonò all’improvviso e io scattai come un soldato, in cinque secondi nascosi quel disastro di borse e indumenti -scoprendoci in mezzo anche un paio di mutande femminili- e li gettai in cucina. E avrei gettato lì anche Calum, se solo non avesse insistito nel suo volermi ‘aiutare’. “Resta qui” ordinai, puntandogli contro un dito. Calum annuì semplicemente, mi illusi che forse aveva capito l’importanza della situazione. Mi sistemai i capelli nonostante “Sembri comunque una disperata” soffiò il moro alle mie spalle, e aprii. Tre uomini entrarono in casa salutando professionalmente, due di loro portavano il tesserino di riconoscimento appuntato al petto. Chiusi la porta e notai con mia grande sorpresa che Calum li aveva fatti già accomodare sul sofà, offrendo loro persino un caffè che rifiutarono con gentilezza. L’uomo più anziano venne subito al punto e “Signorina Whitey” mi chiamò, io mi strinsi nella poltrona accanto a Calum sperando che le sue proteste non fossero troppo evidenti. “Innanzitutto, l’associazione le fa le sue più sentite condoglianze” annuii, avrei preferito sorvolare il dettaglio. “E poi, la S.I.A. ha l’obbligo di annunciarle che questo pomeriggio, in sede ufficiale, si terranno le selezioni per le componenti della nazionale di nuoto. E che lei, signorina Whitey, è stata sorteggiata per provarci” mi trattenni dall’urlare, quella notizia proprio non me l’aspettavo. Tirai a Calum un pizzicotto e sorrisi, sorrisi come un’idiota da ricovero. La successiva mezz’ora la passai ad ascoltare istruzioni e obblighi, e fui talmente assorta dall’argomento che solo negli ultimi cinque minuti mi accorsi di un particolare. Di quei tre uomini, uno era un ragazzo all’incirca della mia età. Era esile, aveva capelli biondo cenere portati all’insù, un piercing sul labbro inferiore e profondi occhi blu che usava per fissarmi, costantemente e con ardore. Che diavolo aveva da guardare poi.. Quando i tipi lasciarono l’appartamento, Calum si gettò sul letto, sul mio letto, senza degnarmi di uno sguardo. Di sicuro era geloso dei miei progressi, perché io ero arrivata in alto mentre lui non aveva fatto altro che farsi mantenere a distanza dai miei. Tsk, quanto era infantile. Presi il mio diario e cominciai a scarabocchiarci qualcosa, quando “Lo conosci?” mi chiese, fissando il soffitto. Esitai. “Chi, il biondo?” lo vidi annuire e sospirai. “No, ma comunque non sono affari tuoi” e saltò giù dal letto meglio di uno stuntman, facendomi quasi venire un infarto e parandosi davanti a me, le braccia spalancate e un’espressione spaventosa. “Se quello ti sfiora con un dito, io glielo spezzo” quasi ringhiò “quel tipo non mi piace” Cosa? E chi era lui per giudicare uno sconosciuto? Forse non si era mai soffermato più di tanto a giudicare se stesso. Il fatto che parlasse di me mi infastidì. “Ripeto: non sono affari che ti riguardano” Calum sospirò bloccandosi all’improvviso, forse rendendosi conto di quanto stavamo esagerando, e si rituffò sul mio letto, in silenzio. Poco dopo lo sentii sussurrare un “Che stai facendo?” con voce fioca, colpevole. Cercai di sdrammatizzare quella cavolata e “Aggiungo un punto alla lista delle cose che odio di te” risposi, sorridendo. Lui sembrò gradire il mio sforzo e sogghignò: “Ah, sì? E finora a che numero sei?” Finsi di leggere, uno.. due.. “Tre” affermai convinta. “Cioè?” Gli mostrai il diario con la lista, che lui prontamente lesse, leggermente contrariato ma sorridente: “Odio quando il mio fratellastro si comporta da iperprotettivo del cavolo

 

 

Salve a tutti! Vorrei avvisarvi che ho in mente tanti bei casini che scopriremo nel prossimo capitolo, e tanti pensierini che ho intenzione di mettere a tacere... se vi ho incuriositi, buona lettura ;) Otaku.

 

  
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