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Autore: SaraRocker    19/06/2014    1 recensioni
Anno 2097, l'intero pianeta terra si ritrova sotto una sorta di dittatura particolarmente cruenta, che si finge giusta e accondiscendente.
La Desert_Zone è un luogo formatosi a causa del riscaldamento globale, una sorta di continente quasi totalmente desertico e inadatto alla vita, dove la dittatura manda a morire coloro non adeguati a vivere in essa.
Gwen vive là , insieme ad un gruppo di ragazzi che collaborano in una sorta di resistenza.
Duncan è un militare a servizio della dittatura, che ritiene giusta e autorevole.
Estratto cap.28
"Non devi sentirti in colpa. E' stata l'avventura più bella." gli sussurrò "Ed ora è giunto il momento che tu mantenga fede alla tua promessa."
Duncan la ammirò a lungo in silenzio. Perchè sorrideva? Perchè i suoi occhi erano così lucidi? Perchè le sue labbra tremavano tanto?
Gwen non gli era mai sembrata tanto debole. Eppure, si stava sottoponendo alla più grande prova di coraggio.
Genere: Azione, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Duncan, Gwen, Scott, Un po' tutti | Coppie: Duncan/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Desert_Zone




cap.32


























 
Mi scuso in anticipo per il capitolo leggermeeeeeeente più lungo (sì, giusto quelle 500 righe in più ahah), ma spero comunque che leggerete :')

Mi farebbe molto piacere leggere una recensione a seguito di questo acapitolo, soprattutto riguardo il nuovo personaggio (è stato complicato da costruire caratterialmente) e.... Ora vado :) Vi voglio beneeee reghiiiiii Ahaha :')



































"L'ospedale è stato attaccato."
Di fronte quell'improvvisa ed inaspettata notizia, la giovane -quanto folle- ispanica sussultò visibilmente, mentre serrava con maggiore pressione la presa intorno la cornetta del telefono. I suoi occhi si erano sgranati, mentre le sue pupille si erano ridotte a due piccolissimi puntini in un mare di autunno. Avvertì una scarica di adrenalina attraversarle il corpo, e desiderò stringere tra le mani una pistola ed avere di fronte una vittima sacrificabile. Eppure era sola nel proprio ufficio sempre perfettamente arredato. Il suo tipico bicchiere di scotch si ergeva sul tavolino di fronte a lei, ancora da saggiare,   e tutto sembrava straordinariamente tranquillo. La notizia che la propria segretaria le aveva appena dato, le sembrava inverosimile. Nessuno poteva osare sfidarla sino a quel punto.
"Che significa?" le domandò quindi Courtney, deglutendo a vuoto ed imponendosi di mantenere la calma.
"Abbiamo ricevuto una chiamata da un medico. Ha detto che un branco di ribelli sta blindando le porte, e che hanno armi." rispose con il suo tipico tono atono la segretaria, imponendosi di rispondere con precisione e velocità alla propria datrice di lavoro.
"Uccideteli." si limitò a dire con ovvietà l'ispanica, non sopportando simili perdite di tempo. Lanciò uno sguardo annoiato al soffitto, studiando con attenzione le ombre che il lampadario lussuoso era in grado di creare "Non posso sopportare oltre questi vani tentativi di rivolta."
E detto ciò riattaccò la chiamata, alzandosi in piedi ed incamminandosi sino ad una piccola finestra sul fondo della stanza. Allacciò le mani dietro la schiena e sorrise di fronte quel paesaggio colmo di timori ed oppressività. Pensavano davvero che sarebbe bastato così poco per farla incrinare? Farli saltare in aria sarebbe stato come bere un bicchier d'acqua.

"Folli."

 
***

"Muovetevi, cazzo!"
La voce di Thomas risuonò completamente fuori controllo. Geoff e Bridgette gli furono subito al fianco, pronti ad aiutarlo, sfruttando tutte le loro energie. Dovevano fare in fretta, le squadre governative si stavano già mobilitando all'esterno dell'edificio. Potevano sentire il rombo assordante degli elicotteri che, minacciosi e -probabilmente- carichi di esplosivi, si avvicinavano sempre più al terreno. Gli innumerevoli proiettili scagliati contro le pareti esterne rimbombavano all'interno in modo fastidioso e sordo. Potevano udire sin da lì le grida e gli ordini che i repressori impartivano alle reclute ed ai soldati semplici. Probabilmente, avevano sfoderato persino i Gentiluomini per un'azione tanto avventata da parte di quei pochi ribelli.

Solo poche ore prima, quando ancora i tre si trovavano nell'appartamento della recluta, Thomas aveva preso una decisione: se la guerra doveva iniziare, avrebbero avuto bisogno di una base valida. Geoff e Brigette lo avevano osservato a lungo, mentre rifletteva assorto, analizzando ogni più piccola opzione. Aveva trascorso più di un'intera ora rinchiuso nella propria stanza, ancora con quel cadavere ripugnante a spiccare nel suo centro, mentre centinaia di possibilità gli venivano alla mente. Si sarebbero potuti rifugiare in una vecchia palazzina abbandonata -ce n'erano tante ai confini della fiorente cittadina-, ma lì non avrebbero dato molto scalpore. Si sarebbero potuti nascondere nell'ex base ribelle, ma era altamente probabile che fosse ancora tenuta sotto controllo da innumerevoli, silenti Gentiluomini.
Infine, un'idea perfettamente congeniata, gli illuminò lo sguardo di determinazione e speranza. L'ospedale, quello dove si trovava Zoey, sarebbe stata la perfetta zona in cui nascondersi. Lì vi erano trasmettitori radio con i quali avrebbero potuto comunicare direttamente con la base governativa. Da quella postazione avrebbero ricevuto efficienti cure mediche in caso di ferite, ed infine -ma decisamente non meno importante- da lì avrebbe avuto piena libertà di vedere la rossa per cui aveva perso irrimediabilmente il senno. Lui sapeva che non era né la situazione, né tantomeno il momento per pensare a cose come i sentimenti, ma gli fu inevitabile. La prospettiva di potere tenersela vicino anche solo un giorno in più lo fece sentire pronto a tutto pur di farcela.
Aveva fatto irruzione insieme ai due biondi, portando con sé tutte le armi di cui era riuscito a rifornirsi -granate comprese- e, non curandosi del chaos generale creatosi -tra pazienti e medici-, aveva blindato le innumerevoli porte con catene e mobili. Avevano centinaia ostaggi -ne erano sicuri-, un intero staff ospedaliero al loro servizio e, nonostante la non trascurabile presenza di malati, sarebbero stati parecchio avvantaggiati con quelle persone serrate dentro l'edificio.

Probabilmente, ad avvisare il Governo dell'irruzione era stato un medico, oppure un'infermiera. Qualcuno doveva avere raggiunto la sala di trasmissione proprio mentre loro erano sin troppo occupati nel serrarsi dentro, precludendo ogni via d'uscita. Più volte Thomas era stato pregato da giovani ed adulti di essere lasciato andare, o di non venire ucciso, ma il ragazzo li aveva semplicemente ignorati. Non poteva dire loro che non si trovava lì per eliminare qualcuno, altrimenti l'ansia ed il terrore si sarebbero placati, e questo non poteva permetterlo. Sino a quando gli ostaggi si sarebbero sentiti intimoriti e privi di scampo, il Governo avrebbe dato loro importanza, appostandosi in numero sempre maggiore all'esterno dell'ospedale -così da dare per lo meno la parvenza di tenere alle loro vite-, e dando sempre meno attenzione alla minaccia-Duncan. Dovevano semplicemente resistere a quell'assedio, per quanto più fornito e minaccioso -rispetto a loro- fosse.

Erano rinchiusi ormai da una buona mezz'ora, quando il ragazzo, infastidito da quelle infinite richieste, decise di parlare. Mordendosi il labbro nervoso, afferrò una vecchia lampada poco lontana, e la buttò con forza a terra. Un suono sordo si fece largo nell'ampia hall. Nel frattanto gridò, richiamando un minimo di attenzione. In pochi istanti, le figure agitate ed allarmate, si placarono leggermente, riducendo le loro urla a leggeri brusii.
"Ascoltatemi tutti bene." intimò la recluta, afferrando la pistola che nascondeva nella fondina. Doveva sembrare dannatamente sincero "Non fatemi incazzare, o vi troverete tutti morti. Se tenterete di fuggire, vi sparerò. Se oserete contattare nuovamente il Governo -e io lo saprò-, vi ucciderò." li minacciò cautamente Thomas, sfoderando un'espressione furiosa e ben poco disposta a trattare. Sperava davvero di potere sembrare anche solo vagamente severo, quanto lo sarebbe stato Duncan.
"Ora vi dirò cosa voglio che facciate." proseguì il giovane, prendendo un profondo respiro "Fingete che fuori da qui non ci sia nessuno. Fate finta che nessuno abbia fatto irruzione, chiaro?" prese una pausa, in attesa che qualcuno rispondesse. Vide alcuni medici annuire, ed un'infermiera mordersi con timore il labbro inferiore.
"Bene. Continuate a curare i vostri pazienti come se nulla fosse, ok? Ed ora andate, se non volete che qualche povero rischi la vita a causa della vostra negligenza." li congedò poi con un cenno della mano. Avvertì scalplitii allontanarsi ed i dipendenti tornare al proprio posto. Due inservienti ripresero a pulire i pavimenti, e la giovane infermiera di poco prima raggiunse un citofono per potere riferire ad un medico -probabilmente che si trovava in una differente ala- la situazione. Thomas abbassò lo sguardo soddisfatto del risultato, per poi dirigersi verso la stanza di Zoey, non prestando alcuna attenzione a Geoff e Bridgette che lo osservavano ammirati.
Lui non si sentiva orgoglioso di avere minacciato un branco di innocenti, per quanto necessario fosse stato.

 
***

Il suo respiro gli rimbombava nelle orecchie, mentre deglutiva a vuoto in un tentativo inumidirsi la gola troppo secca. La testa gli pulsava in modo fastidioso, come sull'orlo di scoppiargli. Si passò la lingua sulle labbra, saggiandone il sapore di terra, e con le proprie mani artigliò le coperte che si trovavano sotto di lui. Le strinse con forza, certo che si trattasse di un sogno -da quanto non dormiva su un letto?-, ed infine buttò fuori l'aria che a lungo aveva trattenuto spaventato. Avvertì il proprio corpo alleggerirsi. Sollevò una mano sino a passarsela tra i capelli scompigliati e sporchi. Sentiva i muscoli muoversi lentamente, intorpiditi da un sonno durato sin troppo, ed immediatamente si ricordò di ciò che era accaduto.
Si trovavano nella Desert_Zone, aveva ucciso Gwen, avevano salvato Gwen, l'aveva portata tra le sue braccia per ore infinite, ed infine avevano colpito Scott. Lo aveva visto scivolare a terra, mentre alle sue spalle compariva la figura di un uomo molto alto, magro con i capelli cespi, lisci, chiari e lunghi  sino alle spalle. Non era riuscito a cogliere null'altro a causa del buio che li circondava in quell'istante. Eppure, ricordava la sua voce perfettamente, quel tono che li aveva minacciati di morte.

"Fermi tutti, o vi ammazzo."

Oh, sì. Lo ricordava eccome. La sua voce era risuonata saggia, ma spietata, tanto da mettere i brividi. Si era sentito la gola improvvisamente secca, ed il cuore sul punto di scoppiare. Si era sentito impreparato, credeva che non sarebbe riuscito a proteggere Gwen che, debole e stanca, si trovava ancora tra le sue braccia. E poi, non ricordava altro. Cosa era successo? Dove si trovava in quel momento? Per quale ragione era steso su un letto, e non  sulla sabbia cocente e maleodorante della prigione? Perchè era vivo?
Serrò nuovamente le mani, artigiando le lenzuola sotto di lui, incontradole piacevolmente morbide. Dove era Gwen?

"Ehi, ti sei svegliato repressore Smitt."
Quella voce, lo fece rabbrividire per la seconda volta mentre, colto dal panico, Duncan spalancava gli occhi ed alzava un braccio, pronto a colpire il nemico che -era certo- si trovava proprio al capezzale del suo letto. Aveva serrato la mano in un pugno furioso, ma non colpì il proprio avversario, ritrovandosi con una canna metallica puntata esattamente contro la fronte. Un indice minaccioso sfiorava con noncuranza il grilletto, mentre il volto del proprio nemico sorrideva sghembo e divertito da quel tentativo tanto coraggioso. Duncan deglutì a vuoto, abbassando nuovamente la mano. 
Sospirò incerto, mentre l'uomo, soddisfatto della ritrovata calma del punk, nascondeva nuovamente la pistola nella propria fondina. Il repressore lo scrutò incerto, attento nel notare i particolari che, la sera prima, non era riuscito a considerare per il troppo buio. La persona di fronte a lui doveva avere circa una quarantina di anni, il suo viso era spigoloso, le guance leggermente scavate, ed esibiva solo poche rughe di espressione. I suoi occhi erano di un colore brillante, che lo facevano sembrare molto più giovane di quanto non fosse e portava una barba appena accennata. Lo guardò ancora qualche istante, notando così che reggeva tra le mani la propria targa di riconoscimento -doveva avere indovinato in quel modo il suo nome- e, sedendosi, decise di rispondergli.
"Non mi chiamano così da molto."
L'uomo, di fronte quella risposta tanto piccata, sorrise sgembo, facendo comparire alle estremità dello sguardo, delle leggere zampe di gallina. Si limitò poi ad annuire un paio di volte, mentre si sistemava sulla sedia che si trovava vicino al letto del punk.
"Mi domandavo..." tornò poi a parlare l'uomo "Cosa porta un repressore alla Desert_Zone. Scelte sbagliate?"
Quella volta fu Duncan a sorridere, puntando il proprio sguardo azzurro in quello dell'altro "O forse giuste." gli mormorò quindi, deciso ad alzarsi da quel letto.
L'uomo sussultò visibilmente. Probabilmente non si era aspettato una risposta del genere, soprattutto non da un repressore, un genere di  guardia particolarmente amata dal Governo, qualcuno che dovrebbe possedere tutto in una società alienante ed egoista come quella governativa.

Su di loro si posò poi un silenzio delicato, non opprimente, ma neppure rilassante. Il militare ne approfittò per portarsi in piedi, constatando come fosse stato privato di ogni sua arma. Sorrise nuovamente, per poi osservare l'altro, ancora comodamente appostato sulla sedia.
"Dove sono gli altri?"
"Un uomo non si giudica forte per il denaro che possiede, ma per come tratta il prossimo." mormorò  il più anziano, alzandosi finalmente dalla propria postazione, per poi superare il punk "Seguimi."
Camminarono attraverso innumerevoli corridoi, tutti arredati con carta da parati ormai distrutta e logora. Duncan notò numerosi specchi, ve ne era uno su ogni parete, e di ogni genere. Ne aveva visti di semplici, rifiniti, molto grandi od anche piccoli. Ovunque si trovassero, riflettè il punk, in passato doveva essere stata una zona molto lussuosa.
"Ti piace, repressore?" gli domandò l'altro, facendo voltare Duncan verso di lui. annuì.
"Si tratta di una vecchia nave da crocera. Ci troviamo su quello che un tempo era il fondale marino, e questo era un antico relitto."
"E' stupefacente." commentò semplicemente il militare, positivamente sorpreso dal genere di rifugio che  l'uomo era riuscito ad ottenere. Quest'ultimo annuì concorde, non aggiungendo però null'altro a riguardo. Cambiò invece argomento, rispondendo alla domanda che Duncan gli aveva posto poco prima.
"Ieri notte vi ho scambiati per un branco di Folli, mi dispiace. Semplicemente, non avevo mai incontrato un'altra resistenza." esordì l'uomo, facendo sussultare il punk. Anche lui faceva parte di una resistenza?
"Comunque sia, siete letteralmente crollati a terra. Immagino siate rimasti a lungo sotto il sole. Eravate in condizioni pessime, soprattutto la dark, Gwen." proseguì il più anziano, facendo scattare Duncan.
"Come sai il suo nom-" "Lei si è svegliata prima di tutti voi. Avete dormito dodici ore, più o meno. Sai, è stata un sacco di tempo a chiedermi di Duncan -che ho poi scoperto essere te-." sorrise l'uomo maliziosamente, in direzione di Duncan "Volevo farle un paio di domande, ma mi ha risposto -e cito testualmente- 'non parlerò sino a che la mia squadra non sarà riunita al completo', ed io allora mi sono detto 'va bene, tanto che mi cambia?', e quindi eccoci."
Camminarono ancora per qualche minuto, prima di giungere in corrispondenza di un'ampia porta in metallo. Una volta aperta, il punk vide oltre essa i quattro ragazzi con cui si era alleato, ed immediatamente un sano sorriso gli nacque in volto. Erano in un salotto elegante, adornato da sofà color veriglio e da poltrone in pelle leggermente rovinate. Ed infondo, poggiata contro una parete ombreggiata, vide stagliarsi la figura della ragazza di cui si era innamorato alla follia. Quando lei lo vide, subito si raddrizzò, per poi ostentare un sorriso sincero e dirigersi verso di lui.
Il tempo parve fermarsi, mentre lei si avvicinava con passo svelto, ma determinato. Duncan stava per impazzire e, probabilmente, se solo non fossero stati presenti Heather, Noah, Scott e quell'uomo di cui ancora non conosceva il nome, avrebbe corso sicuramente verso la splendida dark, per poi prenderla tra le braccia e cullarla con dolcezza, ma non lo fece. La attese sulla soglia, e non appena furono ad un soffio l'uno dall'altra, il ragazzo cedette.
Si abbassò contro il viso pallido di Gwen ed iniziò a vezzeggiarle con amore quelle labbra dai toni scuri, lei schiuse leggermente la bocca per potere saggiare la sua lingua, ed il loro bacio si fece immediatamente passionale e colmo di bisogno.
Si staccarono -come sempre- solo quando entrambi rimasero senza fiato, ed immediatamente la giovane sorrise soddisfatta "Sono definitivamente tornata, sergente Smitt."

Un sorriso sincero si delineò sul viso dell'uomo più anziano che, ancora sulla soglia, osservava i due innamorati esibendo un'espressione colma di purissima nostalgia. Abbassò lo sguardo, quasi in imbarazzo, per poi incamminarsi sino ad uno dei vari sofà che spiccavano nell'ampio ed elegante salone. Vi si sedette, sprofondando tra i cuscini in velluto e seta. Sospirò pesantemente, sistemandosi i capelli biondi che gli ricadevano spettinati sul volto, per poi parlare.
"L'amore, un sentimento dal sapore così afrodisiaco, da potere scatenare una guerra." mormorò all'aria che lo circondava, mantenendo un tono di voce basso. Solo Scott si era voltato verso di lui, udendolo leggermente.
"Vi ho trovati, curati, ed ospitati." disse poi -sempre l'uomo di mezza et'à-, cambiando discorso "Molti della mia resistenza si domandano cosa abbia intenzione di farmene di voi e, sinceramente, non ne sono ancora certo. Suppongo che sarà ciò che mi direte nei prossimi cinque minuti a decretare se vivrete o meno." sorrise l'uomo, osservando il soffitto con un'espressione leggera "Il mio nome è Edward Reed, ed il vostro?"
Non appena Gwen udì quel discorso, si staccò a  malincuore da Duncan. Ogni volta che si riavvicinava al militare, le sembrava più complicato distanziarsi. Se solo ne avesse avuto l'opportunità, non gli si sarebbe mai allontanata. Eppure, in quel momento doveva essere razionale, sfruttare la propria diplomazia -se realmente ne possedeva-, ed aiutare quel gruppo di ragazzi che, pur di salvarla, si erano letteralmente lanciati nella Desert_Zone.
Fu per quella ragione che, per la prima volta, decise di narrare per intero la propria storia, privandola di censure, partendo da principio -i propri genitori-, giungendo sino alla bomba che le avevano follemente piantato nel cuore. Raccontò di essere nativa di quelle terre desertiche, ed in particolare di avere anche saggiato la 'libertà' che si nascondeva oltre esse, il tutto mentre Edward la ascoltava silente. Poteva vedere il viso dell'uomo corrugarsi alle volte -di fronte le più incredibili notizie-, ma dopo pochi istanti la sua pelle tornava a distendersi, il suo capo annuiva, e Gwen tornava a parlare determinata, buttando fuori parole come fossero acque di un fiume in piena.
"Noi..." mormorò infine la ragazza, allarmata che l'uomo non avesse colto a pieno le sue parole "Eravamo fuggiti."
Il sorriso che, a seguito di quella frase, si dipinse sul volto del suo interlocutore, le parve quasi schernitore. Per qualche istante, la dark temette davvero che tutte le sue parole fossero state semplicemente sprecate, e che quell'uomo dall'aspetto saggio, ma furbo, non le avesse neppure considerate.
"Voi..." parlò infine lui "Siete solo un altro branco di pazzi."
La ragazza si irrigidì, mentre il respiro le si mozzava. Quella frase tanto fredda, mormorata dalla voce roca e colma di disprezzo di Edward, l'aveva fatta tremare visibilmente. Duncan si era accostato a lei apprensivo, ma fu un gesto inutile. Quel senso di vuoto che si stava stagliando lentamente sotto i piedi della giovane, le ricordava tanto l'orribile delusione subita a seguito del rifiuto da parte dei ribelli.
"N-Non... Non  credi alle mie parole?"
"Non ho detto questo." precisò l'uomo, scuotendo il capo "Dico semplicemente che questa potrebbe essere benissimo una favola appena inventata. Perchè dovrei credervi?" la mise infine alla prova, squardando con attenzione l'espressione della dark di fronte a lui. Quest'ultima deglutì a vuoto, mentre il suo cervello rifletteva, determinato nel trovare anche solo l'ombra di una prova capace di dimostrare che tutto ciò che aveva detto sino ad allora, era parte di una cruda e tangibile realtà. Eppure, risultò un tentativo vano. La sola cosa che potevano dimostrare, era che Duncan era stato un repressore in passato, ma non era sufficiente. Non lo era affatto.

"Perchè non farlo?" domandò d'improvviso la voce del ragazzo alle spalle di Gwen, facendole completamente dimenticare ciò a cui stava pensando. Duncan aveva posto quella questione con una determinazione tale da farti illuminare. La verità era che quelle tre semplici parole, erano una risposta più che sufficiente.

Edward sorrise al militare, per poi incamminarsi verso uno scrittoio sul fondo della stanza, in una zona illuminata da una semplice candela bianca.
"Vivrete."
  
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