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Autore: mormic    20/06/2014    4 recensioni
Effie ha estratto decine di nomi da quella boccia di vetro, ma i suoi unici vincitori, nonostante stiano partecipando alla loro seconda arena, sono stati estratti solo una volta dalle sue dita affusolate. Sono volontari. E questo dovrà pur fare la differenza. Una differenza che Effie dovrà affrontare come non avrebbe mai nemmeno sospettato.
E dalla sera dell'intervista di lei non si sa più nulla, fino alla fine, quando riappare provata e fragile.
Questa è la sua storia, mentre in tutta Panem è il caos della rivoluzione.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Effie Trinket, Haymitch Abernathy, Plutarch Heavensbee
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Grigio e Oro'
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CAPITOLO 3
 
Appena riemergiamo al piano terra, lo stesso del salone di proiezione, Haymitch toglie il braccio che teneva sulle mie spalle e si affretta a scostarsi qualche passo più in là.
Rimango un attimo basita, poi cerco di eliminare dalla mente tutti i dubbi che si sono appena appropriati della mia lucidità e capisco che non vuole che ci vedano troppo a contatto. Forse per non destare sospetti.
Si volta e vuole dirmi qualcosa, ma il rumore di passi pensati venire dall’altro lato dell’immenso atrio gli fa morire le parole in gola. Lo vedo strofinarsi le mani e masticare la lingua in segno di nervosismo. Tutti gesti che chiunque lo abbia avuto vicino per una giornata assocerebbe alla sua dipendenza ed dalla mancanza di alcool in corpo. Non io. Quel suo tipo di frustrazione ha un'altra origine.
Senza pensarci su, accendo prontamente il mio sorriso dedicato al lavoro e indosso quell’espressione tipica, un po’ da scema, un po’ da gallina, che fa si che il mondo esterno mi noti, ma non mi dia troppo peso.
Credo che sia questo che intendeva Haymitch. Mi sono concentrata per così tanto tempo sull’essere considerata una vera cretina, molto efficiente, affidabile, concentrata nel proprio ruolo, ma pur sempre una banalità qualsiasi di Capitol City, che probabilmente sarà la mia unica vera potenzialità per riuscire a non farmi inghiottire in questo gioco al massacro che si sta innescando tutto intorno a noi.
Da lontano vedo avvicinarsi una figura non molto alta, ma piuttosto massiccia; la camminata pendente leggermente da un lato e il sorriso fisso non possono confondermi: Plutarch Heavensbee.
“Ehi mentore! – apostrofa ad Haymitch ancora distante, mentre i suoi passi si fanno più pesanti e più rumorosi – non dovresti essere nel salone in cerca di sponsor?” gli domanda allargando il suo sorriso.
“Si, bè, sai, certe cose non possono essere rinviate!” esclama indirizzando un pollice verso di me, accennando solo il gesto.
“Haymitch!” protesto scandalizzata, ma ovviamente, vengo fraintesa.
“Oh, Effie, sta tranquilla! Conosco più segreti piccanti io, nascosti in questo posto, che i diretti interssati! Sarò muto come un avox!”.[1]
Il senso dell’umorismo di Plutarch non mi è mai piaciuto. È convinto di essere spiritoso, ma è urticante come la puntura di un insetto. Eppure, visto il mio nuovo ruolo, dal momento che so che lui ed Haymitch stanno parlando di altro, cioè del mio arruolamento appena avvenuto, mascherando la conversazione con delle pessime battute su una nostra presunta scappatella, lascio correre e, come al solito, rispondo con un sorriso.
“I miei ragazzi sono ancora vivi?” domanda Haymitch.
Nel suo tono, che vorrebbe far apparire divertito e canzonatorio, noto una punta di apprensione in più rispetto ai suoi canoni.
“Vivi. Continuano a camminare nella giungla, ma non so proprio se troveranno una meta!” dice Plutarch ridendo di cuore.
Non ho la minima idea di cosa stia parlando. Probabilmente Haymitch invece lo sa perfettamente.
Decido che non voglio saperlo.
Nonostante dovrei essere più elettrizzata di come mi sento, più coinvolta, forse un po’ destabilizzata alle rivelazioni dell’ultima ora, piuttosto impaurita per quello che potrebbe capitarmi, addirittura forse arrabbiata con Haymitch per avermi tirato dentro ad un’idea così folle, tutto quello che voglio è congedarmi con educazione e andare a preparare il mio agognato bagno caldo.
“Se mi permettete, lascerei a voi uomini tutto il divertimento – improvvisamente mi coglie il terrore di dire qualcosa di sbagliato – ed approfitterei per tornare nel mio alloggio. Felici Hunger Games!” esclamo allontanandomi.
“Oh, anche a te!” mi grida Haymitch dietro.
Sento Plutarch ridere, ma sono già davanti l’ascensore, nella speranza, finalmente, di riuscire a premere quel dannato bottone.
 
Quando sono in camera mia, al dodicesimo piano, mi sento finalmente libera di togliere i tacchi e di tuffarmi a faccia avanti sul letto, strofinando il naso contro le morbide e profumate lenzuola di seta.
Questo lavoro mi sfianca.
Mantenere alta la superficialità che mi contraddistingue, mi stanca.
Fare la parte della stupida, perennemente, senza abbandonare mai il ruolo che Capitol City ha scritto per me, è sfiancante.
Ignorare le cose orribili che ho visto durante il Tour della Vittoria, far finta che niente stia accadendo, che ciò che mi ha chiesto Haymitch non sia altro che una nuova parte da recitare, priva di rischi, convincermi che i miei ragazzi vinceranno ancora, entrambi, mantenere alto l’umore e infischiarmene delle condizioni disumane che tutti vivono all’infuori di noi capitolini: questo è il mio obiettivo.
Non accendo nemmeno l’enorme tv che ho in camera.
Per un’ora concederò alla mia testa solo il vuoto, ai miei polmoni il vapore caldo del bagno ed ai miei muscoli l’avvolgente protezione dell’acqua e il ristoro dei sali minerali.
Ma quando mi immergo nella vasca idromassaggio, la sensazione di rilassatezza è tale che non sono capace di frenare i pensieri.
Perché ho accettato la proposta di Haymitch?
Perché non sono capace di fingere così bene da crearmi la solida illusione che tutto vada bene, davvero bene?
In fondo a me cosa importa della fame, della sofferenza, delle privazioni, delle costrizioni, della cattiveria, di cosa accade negli altri distretti?
Ho un ottimo lavoro, ho la possibilità di frequentare i migliori ambienti di Capitol City, un buono stipendio, vestiti in abbondanza, un appartamento tutto per me e la libertà di oziare e godermi i miei soldi per dieci mesi l’anno. Per quale motivo dovrei accettare di mettere a repentaglio tutto quello che ho?
Lo so perfettamente perché.
Perché ho sbagliato.
Perché non ho mantenuto la mia professionalità.
Perché mi sono… distratta.
Ho perso la concentrazione e mi sono ritrovata a guardare le cose senza nessun filtro, lasciando che mi apparissero esattamente per quello che erano.
Mi sono affezionata ai ragazzi. I miei vincitori. I miei amanti sventurati.
In silenzio ho osservato quello che avevo attorno e ho visto Haymitch uccidersi lentamente bevendo, perché ci ha provato in mille altri modi, ma i tentativi gli sono costati più cari della morte stessa; ho visto Katniss e Peeta fingere di essere innamorati e poi innamorarsi davvero; li ho sentiti leggere i discorsi che io avevo scritto loro e vederli spegnersi sotto il peso di quelle menzogne; ho visto i pacificatori rimetter ordine a suon di frustate come neanche un macellaio avrebbe infierito sulla carne; ho sentito mille discorsi di Snow e accorgermi di tutto quello che non diceva; ho ascoltato l’annuncio per i giochi della memoria e capire che era una condanna a morte.
La mia leggerezza mi è costata cara.
Sono stata capace di ignorare tutto questo, ma questo è quello che sono solo riuscita a far credere a tutti.
Sono io a non crederci più.
Il mio mondo incantato, fatto di perfezione, di trucco scintillante e momenti di gloria è svanito.
Immergo tutta la testa, scivolando sotto il pelo della schiuma e blocco il respiro.
Apro gli occhi e cerco di vedere attraverso l’acqua. Niente però sembra avere un contorno nitido e distinguibile, tutto è offuscato, le forme tremule, insicure, instabili. Esattamente come mi sento io.
I polmoni sono a corto d’aria.
Riemergo e riprendo aria con foga, aggrappandomi al bordo della vasca.
Io non ce la faccio.
Non posso fare nulla di quello che Haymitch mi ha chiesto. Io non so gestire la realtà.
Uscirò da questa vasca, mi vestirò e tornerò a pensare al mio lavoro, esclusivamente al mio lavoro, fino alla fine dell’Edizione della Memoria e poi… poi mi troverò altro da fare.
Basta estrarre nomi.
Basta lezioni di buone maniere.
Basta sperare che mi assegnino un distretto più prestigioso, con più possibilità di vittoria.
Basta pazzi ubriaconi che svengono sul tavolo o vomitano sul pavimento.
Basta contatti con altri distretti.
Scenderò e dirò ad Haymitch che non se ne fa niente. Questo è poco ma sicuro.
 
Di nuovo in tiro e su tacchi vertiginosi spalanco a due braccia le ante del salone degli strateghi, pronta ad affrontare qualsiasi cosa, adesso, con il mio equilibrio ritrovato.
Vago con lo sguardo in cerca di Haymitch e lo trovo sulla poltrona che prima occupavo io, quella nell’angolo. È ubriaco. Lo vedo da qui.
Mi avvicino, decisa a tirarlo fuori di lì per poterci parlare, ma quando gli sono accanto purtroppo i miei occhi sono rapiti da quello che sta accadendo sullo schermo.
Katniss, Finnick, Mags e Peeta, avanti a tutti, stanno ancora camminando nella giungla.
Non mi sono persa molto.
Poi all’improvviso Peeta rimbalza via e cade a terra, facendo cadere Finnick e Mags.
Katniss urla.
Lui è immobile. Al suolo. Katniss è su di lui. Lo scuote, ma non accade nulla.
È morto.
Il mio vincitore è morto.
Rimango impietrita. La bocca aperta.
Sento le forze scivolare via, la mia sicurezza morire insieme a lui.
Peeta.
No.
Quello che accade dopo è davanti ai miei occhi, ma non riesco a vederlo.
Non sento nessun suono.
Solo la mano di Haymitch sul fianco mi desta.
Rimetto sul viso il sorriso, ma lo sento inclinato, debole.
“Effie” mi chiama Haymitch.
Non mi muovo.
Lui si mette davanti ai miei occhi e mi guarda.
È bianco in viso, gli occhi spenti, i capelli spettinati.
“Haymitch” dico tremante.
“È vivo” mi dice, quasi sotto voce.
Non riesco a credergli. L’ho visto morire con i miei occhi.
Lui si accorge che qualcosa non va in me e mi porta fuori.
Mi mette le mani sulle spalle e stringe, per cercare di riportarmi alla realtà.
Non era questo il mondo dove volevo finire.
“Effie, è vivo” mi ripete.
“Io… ero tornata per dirti… non volevo far parte delle tue follie… ma non credevo… non pensavo che…” farfuglio agitando le mani, sbattendo gli occhi, ricacciando indietro le lacrime.
“Ti accompagno in camera” mi dice.
“No – rispondo in fretta – devo rimanere. Dobbiamo trovare degli sponsor”.
Haymitch mi guarda a lungo negli occhi. Poi sorride. È un sorriso carico di tristezza.
“Dobbiamo portarli fuori di lì, Effie” mi dice e improvvisamente mi abbraccia, stringendomi la testa contro il suo petto.
“Non ho idea di cosa fare” ammetto.
Improvvisamente mi accorgo che con lui non ho nessuna maschera addosso.
Sono semplicemente io.
“Stanotte, a mezzanotte, nella mia stanza” mi dice.
All’inizio il mio cervello, ancora sotto shock, mi fa credere che sia una proposta indecente, poi capisco che è l’appuntamento per una riunione, ma intuisco anche che sia una buona copertura. A chi interesserebbe se una capitolina e uno del giacimento del distretto 12, che lavorano insieme, se si incontrano in privato, di notte?
A nessuno importa in quale letto mi infilo.
Svampita e adesso anche di facili costumi.
Ottimo.
Non sarò mai in grado di gestire questa cosa.
Ma devo tentare, fare di tutto, perché questa pazzia riesca a salvare i miei vincitori.
 
 
 
Chiedo scusa in anticipo se questo capitolo potrà sembrarvi sconnesso, slegato. In realtà seguire i pensieri di Effie, così come li ho sempre immaginati, assomiglia a zigzagare tra idee molto diverse tra loro. Ho sempre pensato che non potesse REALMENTE essere tanto stupida, per cui ho sempre fantasticato sulle sue potenzialità. Forse dovrei inserire tra le note un OOC, non so…
Spero questo capitolo possa interessarvi e spero che possiate lasciare una recensione e le vostre idee e critiche, sempre fondamentali per orientarsi ;)
Grazie
Mor
 
[1] Scusate, non ho mai accettato che nella traduzione italiana avessero tradotto avox in “senza-voce”!!
 
   
 
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