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Autore: mormic    18/06/2014    4 recensioni
Effie ha estratto decine di nomi da quella boccia di vetro, ma i suoi unici vincitori, nonostante stiano partecipando alla loro seconda arena, sono stati estratti solo una volta dalle sue dita affusolate. Sono volontari. E questo dovrà pur fare la differenza. Una differenza che Effie dovrà affrontare come non avrebbe mai nemmeno sospettato.
E dalla sera dell'intervista di lei non si sa più nulla, fino alla fine, quando riappare provata e fragile.
Questa è la sua storia, mentre in tutta Panem è il caos della rivoluzione.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Effie Trinket, Haymitch Abernathy, Plutarch Heavensbee
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Grigio e Oro'
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CAPITOLO 2
 
Lo guardo sorridendo, di quel sorriso che uso come arma di difesa e come strategia lavorativa, ma lui mi fissa, aspettando che me lo tolga dal viso.
“E va bene – accetto tornando seria – cos’è tanto importante?” chiedo.
“Non qui” dice lui afferrandomi la mano e trascinandomi per le scale.
“Haymitch, sono dodici piani!” protesto io.
“Niente ascensore” replica asciutto.
Inizio ad innervosirmi, ma non protesto.
Non c’è niente in quest’uomo che vada nel verso giusto.
Neanche il senso delle scale: invece di salire, scendiamo.
Dopo mezza rampa di scale si infila in una porticina socchiusa e mi trascina dentro.
È buio, il soffitto è tanto basso che quasi ci sbatte la testa e io sono costretta a camminare a capo chino, per evitare che mi si rovini l’acconciatura.
Quando meno me lo aspetto si ferma e gli vado addosso, sbattendo il viso sulla sua schiena.
“Ahi” dico massaggiandomi la fronte.
Lui accende una lampadina dalla luce tremolante.
Mi guardo attorno rapidamente e rabbrividisco.
“Siamo in un… bagno?” domando nauseata.
Arriccio il naso per il lezzo persistente e contraggo il viso in una smorfia disgustata.
Saltello un paio di volte sul posto, sperando di non toccare nulla.
“Qui è sicuro” dice lui girando il capo prima a destra e poi a sinistra, per controllare.
Che ci sarà da controllare, poi. Siamo in uno scantinato due metri per due in compagnia di una tazza incrostata e un lavandino per metà divelto dal muro.
“Si può sapere cosa diamine succede?” chiedo pretendendo delle spiegazioni esaustive.
“Ho un piano” mi dice lui senza troppi preamboli.
“Un… che?” domando senza aver capito.
“Abbiamo un piano per tirarli fuori vivi. Tutti”.
Mi guarda fissa negli occhi, aspettando che io dica qualcosa.
Rimango muta più di qualche secondo, inclinando la testa da un lato, come se improvvisamente la lacca nei miei capelli fosse diventata eccessivamente pesante da sorreggere.
“Abbiamo…” inizio.
“Io e Plutarch” continua.
“Plutarch…” proseguo.
“Il nuovo stratega” specifica.
Ancora silenzio. Se inclino ancora un po’ la testa rischio di farla scivolare via dal collo.
“Tutti…” riepilogo.
“I ragazzi, Odair, Mason, Mags, Beete, Wiress. Chaff, Seeder…” elenca.
Sgrano gli occhi dallo stupore.
“Sei ubriaco…” gli dico cercando di allontanarmi. Quello che dice non ha senso.
“Ho bevuto aranciata, lo giuro”
Ha ragione, ne sento l’odore.
“L’avrai sicuramente modificata con qualche porcheria” gli dico, testarda, rifiutandomi di capire.
Perché in realtà ho già compreso cosa sta tentando di dirmi, ma non voglio accettarlo.
Io non c’entro niente in questa storia. Sono una cittadina di Capitol City che ha avuto un lavoro di tutto rispetto per dieci anni. So cosa sia una mietitura perché ne ho viste due dozzine prima di cominciare a lavorare e perché adesso sono io ad infilare la mano nella boccia di vetro. Ma non ho idea di cosa voglia dire sentirsi chiamare. Il mio nome non è mai stato in quella boccia. Non ho mai corso il rischio di finire in un’arena. Io ci accompagno la gente. Certo, in dieci anni ho avuto modo di confrontarmi con la sofferenza altrui, ma ho imparato a lasciarla lì, senza farmi coinvolgere, crogiolandomi nella speranza che prima o poi sarei riuscita a riportare a casa qualcuno vivo. E ci ero riuscita, finalmente. Finalmente avevo non uno, ma due vincitori. Due ragazzi intelligenti, forse lei un po’ rude, ma svegli ed in grado di cavarsela, di nuovo.
Così avrei potuto tenere a bada ancora per qualche settimana il fastidio che sentivo, sopendolo con la certezza fittizia di vederli uscire sani e salvi da quella giungla infernale.
Nel mio mondo non erano comprese paure, tentennamenti, fragilità, empatia. Non potevo permettermi di ridurmi come Haymitch. Non potevo attaccarmi ad una bottiglia per evitare di soffrire. Avevo deliberatamente scelto di sentirmi distaccata, come se il mio fosse un lavoro come tanti; organizzavo riunioni, eventi, coordinavo set di ripresa, gestivo gli incontri, scrivevo discorsi. Questo era il mio mestiere.
Lascia perdere Effie, sei già coinvolta. Inutile negarlo.
“Hanno bisogno di te” mi dice interrompendo il silenzio, come se avesse letto ogni mio singolo pensiero.
Lo odio. Lui conosce bene il mio punto debole.
“No, hanno bisogno del loro mentore” rispondo cercando una scappatoia.
“Allora è il loro mentore ad avere bisogno di te” dice afferrandomi per le spalle.
Metti giù le mani, Hay.
Chiudi quegli occhi e non guardarmi così, mi sento nuda.
È improvvisamente come guardarsi allo specchio; prima del trucco, prima di sistemare i capelli, prima di infilare il vestito del giorno, prima di cominciare a sorridere.
“Non voglio entrare in questa storia” ammetto a fatica.
“Ci sei già dentro. Tu vuoi bene a quei ragazzi” sorride lui.
È un sorriso vero, questo, privo di ogni sorta di stupido sarcasmo.
Sono in trappola.
“Io adoro quei ragazzi” ammetto alla fine.
Perché mi sento improvvisamente sconfitta?
“Lo so, bocca di baci” mi dice abbracciandomi.
Io mi scosto rapidamente.
“Avanti, spara” gli dico senza fronzoli, guardando fermamente in quegli occhi così mutevoli.
Oramai so che non posso più nascondermi.
“Siamo in contatto con i ribelli. E con il distretto 13” comincia.
“Che scemenza, il 13 non esiste più” dico io cacciando via l’idea con un gesto isterico della mano che non so contenere.
“Esci da questa tua testa da capitolina, Effie. Sai perfettamente che viviamo sotto un regime che cerca di farci fessi” ribatte brusco.
Eccome se lo so. Ma io devo far finta di niente.
Vorrei tanto continuare a credere nelle loro bugie.
Ma dal Tour della Vittoria tutto è cambiato. Dentro di me. Fuori ho continuato ad essere la stessa di prima.
Cosa ho fatto perché Haymitch se ne accorgesse?
“Un regime che non si può sconfiggere” gli dico amaramente.
“Un regime è tale finché c’è gente che lo ignora, facendosi andare bene tutto. E a te non piace che abbiano infilato di nuovo i nostri ragazzi nell’arena con l’intento preciso di farli fuori” insiste caparbio.
“Certo che no! Sono i miei vincitori!” trillo cedendo di nuovo all’isteria.
“Ma tu sei brava a far finta di niente. Ti sei allenata per anni” mi dice.
Mi fa sentire come se fossi un mostro.
Lo sono?
Ho sempre guardato i miei tributi come un fattore che manda al macello le proprie bestie, senza alcun rimorso, perché possa sfamare la famiglia e tenerla lontana dai morsi della fame.
Assecondare il sistema perché la vita di tutti andasse avanti tranquilla. La mia compresa.
Era un patto con il male, adesso lo so.
Ora non posso tirarmi indietro.
Non se esiste una possibilità di salvare i miei vincitori. I miei ragazzi innamorati.
“Cosa devo fare?” domando rassegnata all’inevitabile.
“Dovrai essere le nostre orecchie. Il tuo lavoro ti permette di aggirarti tranquillamente tra una moltitudine di persone senza destare sospetti. Abbiamo bisogno di un nucleo all’interno di Capitol City che faccia parte della resistenza. Plutarch ha i suoi contatti, ma, sebbene il suo ruolo gli conferisca un alibi perfetto, è troppo esposto. Sei una donna intelligente, Effie, anche se scegli ogni giorno di mostrarti come una stupida, superficiale e urticante donna modaiola.
Dovrai arruolare nuovi membri per la causa, in modo che il piano fili liscio” spiega rapidamente.
“La causa? Fino a dieci minuti fa non esisteva nessuna causa, per me” dico, resistendo ancora.
“Hai un buon motivo, adesso. Sarai dei nostri?” chiede chinando il viso in avanti, per guardami meglio.
Cerco di sfuggire al suo sguardo, ma i suoi occhi mi inchiodano.
“Se serve a salvare Katniss e Peeta, sì” accetto in un soffio di fiato.
Haymitch mi abbraccia, come volesse sugellare il nostro accordo in quella maniera, poi afferra nuovamente la mia mano e mi trascina via da quel posto dimenticato da Dio.
 
 
È veramente complicato scrivere di Effie, ma ci sto provando, dando un senso a tutte le idee che mi ero fatta. Spero di non perdermi, quindi, per favore, recensite ed aiutatemi a districare questa enorme matassa che ho nella testa!
A presto!
Mor
   
 
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