#School#
Non sentii nessun
rumore quella mattina, ma le tende erano comunque già spostate e una tazza di
latte fumante poggiata sul piano della cucina. Mi alzai controvoglia, cercando
in tutti i modi di pensare a qualcosa di bello, di positivo... ma per quanto mi
sforzassi, l’idea di tornare a scuola rendeva tutto più difficile. Pensai a
quante condoglianze avrei sorbito, a quanti sguardi di pietà e compassione i
prof mi avrebbero rivolto, mentre i ragazzi mi avrebbero odiato per lo stesso
motivo, l’attenzione sconsiderata degli adulti. Diedi un’occhiata alla sveglia:
le 7.00. Strano che non avesse suonato. Mi trascinai in cucina bevendo dalla
tazza, chiedendomi dove diavolo si fosse cacciato il mio fratellastro. Calum,
accidenti a lui. Dire che quella sera l’avevo ferito era una leggerezza..
Decisi di mettere da parte l’orgoglio e tornai in camera da letto, gli avrei
chiesto scusa, mille volte scusa, ma il suo letto era vuoto e intatto. Che non
avesse dormito affatto lì? Cavolo, che nervi! Adesso mi rendeva difficile persino
farmi perdonare! Mi vestii in fretta uscendo di casa, ignorando la porta
dell’appartamento accanto, in procinto di aprirsi.
Ashton studiò la mia
espressione stressata e “Cavolo, sei proprio messa male” affermò, passandomi
una mano sul viso fingendo una carezza, mentre in realtà tentava di coprirmi
dagli sguardi carichi di pietà degli altri ragazzi. Lo ringraziai mentalmente e
presi un libro dal mio armadietto. Lo salutai, ma Ashton non sembrava
intenzionato a lasciarmi. “Sensi di colpa?” ecco, un altro punto a suo favore.
A volte il suo talento da decodificatore ambulante poteva rivelarsi davvero
fastidioso. “Mm.. non mi va di parlarne” mugugnai, dandogli le spalle. Mi
allontanai in fretta, un passo più svelto dell’altro, ma lo sentii comunque
urlare un “Certo, buona giornata anche a te, fiorellino!” Tsk.. che idiota.
“Lezione di chimica?
Mm.. interessante...” passai un dito sul mio programma, il mio schifosissimo
programma di lezioni. Tutte quelle materie sembravano un’accozzaglia di cose
improponibili, con giorni talmente faticosi da sembrare un incubo, e giorni in
cui si susseguivano religione, arte e musica. In poche parole, un paradiso.
Quel giorno, per mia sfortuna, apparteneva alla sfilza dei giorni sotto la voce
‘incubo’. La chimica la odiavo, l’avevo sempre odiata e non avrei mai, MAI
cambiato idea. Perciò, considerando che quello era il mio primo giorno... ma
sì, perché no, un’ora in meno non uccide nessuno. Ne approfittai per fare un
giro della scuola, scoprendo aule munite di qualsiasi cosa, dai microscopi alle
macchine per cucire, da lavagne interattive a modelli anatomici più che
realistici. Uno di quelli, in particolare, mi colpì per un dettaglio: gli occhi
da gatto, due mandorle perfette. Li sfiorai, li studiai. E inevitabilmente
quelli di Calum li sostituirono nella mia immaginazione. “Odio il senso di
colpa” sussurrai al manichino sfiorandogli un muscolo scoperto “non trovi che
sia.. insopportabile?” Il modello mi fissava. Restava immobile. Stavo
rimbambendo se credevo davvero che un
pezzo di plastica lavorata mi avrebbe risposto. Eppure, qualcosa sentii... “Sì,
lo penso anch’io” sobbalzai, qualche provetta di liquido colorato pagò il
prezzo della mia disattenzione. Mi chinai per rimediare, scegliendo di lasciar
perdere non appena il proprietario di quella voce si fece avanti. “L.. Luke?”
L’avevo riconosciuto
subito solo grazie al famigerato piercing sul labbro, altrimenti ci avrei messo
un secolo a collegare quel viso al suo nome. Luke indossava un camice bianco,
una mascherina dal vetro blu e dei guanti gialli da vero chimico. Subito dopo
avermi scoperta mi suggerì di scappare se non volevo pagare per quelle provette
distrutte, e lui propose un posto dove saremmo stati tranquilli almeno fino
all’inizio delle mie prossima lezione: il giardino. La zona era tranquilla e
ricca di verde, alcuni ragazzi leggevano o chiacchieravano sul prato, e Luke
seguì il loro esempio invitandomi a fare altrettanto. Restammo in silenzio per
un po’, finché “Ti senti in colpa per non avermi salutato, questa mattina?”
rimasi impietrita. Che diavolo..oh, già! La porta socchiusa.. Scossi il capo.
“Ci sentiamo importanti, eh?” mi sentivo.. strana, talmente rilassata che le
parole uscivano da sole senza che i neuroni dovessero faticare troppo. Scoprii
che con Luke riuscivo a non pensare, e la cosa mi allettò parecchio. “Ma io sono importante” sorrise sghembo, puntandomi l’indice contro “e
questa è una delle cose che imparerai frequentando la scuola” Avevo un mucchio
di domande da fargli. Prima: stai scherzando? No, perché a me sembra proprio
uno scherzo. Seconda: perché cavolo non sei a lezione? Terza: sei così carino a
passare il tuo tempo con me... ehi, questa non è una domanda! Sveglia, Lizzie,
sveglia! Non potevo imbambolarmi davanti a quegli occhi blu, non potevo farmi ammaliare da quel
piercing e non potevo fargli notare che... che in realtà non ci riuscivo, non
riuscivo ad ignorare quel ben di dio che mi ritrovavo ad ammirare. Dannazione, Lizzie! “Eeehii” una mano mi sventolò davanti e
sobbalzai ancora, due volte nello stesso giorno e due volte davanti a lui.
“Credi che io sia... facilmente suggestionabile?” Coosa?! Ma che cavolo andavo
a chiedergli! Vorrei una spillatrice per tapparmi la bocca e intrappolare i
pensieri solo nella mia testa. Oppure vorrei morire. Gli occhi di Luke mi
rassicurarono subito, almeno potevo sentirmi più sollevata. Sospirò e “Nah..
direi che sei più.. facilmente amabile”
rispose, lasciandomi letteralmente a bocca aperta. Stringi le labbra Lizzie, o la tua bocca diventerà nido per insetti. Seguii
le istruzioni della sottile vocina nel mio cervello e guardai l’orologio al mio
polso: le 10.15. Scattai in piedi e “Porca miseriaaa!!!” urlai seriamente
spaventata: un’ora di assenza era accettabile, ma un ritardo di un quarto d’ora
a storia... con quella
professoressa... dovevo correre se volevo avere salva la pelle. Luke rideva
divertito, ma il tempo per salutarlo non era abbastanza e mi allontanai
volando-se possibile-, scuotendo semplicemente la mano e lanciando un “Ci
vediamo!” a quel ragazzo bellissimo, ancora steso sull’erba.
“Storia... storia...
dove diavolo è l’aula di storia?” attraversai i corridoi credendo di restare a
corto d’ossigeno da un momento all’altro, e solo ora capivo cosa provava la
portinaia ad ogni ricerca di una chiave: rabbia, ansia e paura. Io, per
esempio, avevo paura di finire nella classe sbagliata sorbendomi un doppio
rimprovero. Dovevo sbrigarmi, la speranza di trovare quella dannata classe
sfumava sempre di più, quando notai un cartello attaccato su una porta che
quasi mi parlò. “Aula di storia!” ero quasi felice, e l’emozione di averla
trovata fu talmente tanta, che solo dopo averci fatto irruzione mi accorsi
davvero del casino che avevo combinato. Lo sguardo della prof rischiava di
incenerirmi a momenti, e la bacchetta di legno di legno che stringeva fra le
mani sembrava non aspettare altro che posarsi sul mio didietro. Deglutii,
quella prospettiva faceva sudare freddo. “Miss... miss Prior, che piacere.. io
ehm..” “Silenzio!” tuonò, mentre la bacchetta schioccò forte sulla
cattedra. “Lieta di averla alla mia lezione, signorina...” “Whitey” La prof mi
lanciò un’occhiataccia. “Non ho chiesto il tuo nome” sentii il sangue
raggelarsi mentre la Prior parlò ancora, stavolta per indicarmi il mio posto. I
ragazzi mi osservavano, alcuni con ammirazione, altri con indifferenza o pietà.
Mi toccò il banco nell’angolo a destra, ultima fila. Non potevo chiedere di
meglio per essere lasciata in pace. Quasi come un fulmine un’idea mi passò per
la mente, anzi, più che un’idea un vero e proprio terrore. Mi tastai la sacca
trovandoci solo una bottiglietta d’acqua e un quaderno con due penne. Mi diedi
un sonoro schiaffo sulla fronte tanto da far preoccupare persino quell’insensibile
della Prior. Merda,
dove cavolo era finito il mio libro?!
Ringrazio
i recensori e i lettori che semplicemente leggono, sperando che alla fine mi
lascino un commento come regalino... E poi vorrei dire una cosa a questa
bellezza: “Sì tesoro, per me sei moooooolto importante :3”