I’ll get you
Capitolo 10: “Help!”
“Non è lui.”
“Cosa?”
“Non si tratta di Hermes.” spiegò con molta convinzione
Paul ai presenti, ovvero l’ispettore Starkey e la sua squadra di agenti scelti.
Si trovavano nel vicino quartiere di South Kensington,
nella seconda sede di Christie’s, una delle
più famose case d’asta del mondo. Proprio qui erano in mostra cimeli di
qualunque genere di Slash, il chitarrista dei Guns’n’Roses,
che aveva deciso di metterli all’asta e devolvere il ricavato in beneficienza.
Proprio qui era avvenuto il furto di una maglietta che il
musicista era solito indossare nei suoi concerti.
Il problema era che l’autore questa volta non era Hermes,
almeno, questo era ciò di cui era convinto Paul.
“Ma ha avvisato come al solito dove e quando avrebbe
colpito.” fece notare l’agente Eastman.
“C’è una differenza fondamentale dagli altri furti.”
affermò Paul, avvicinandosi alla porta che dava sul corridoio e facendo
scorrere il suo sguardo per tutta la sua lunghezza.
“Ovvero?”
“La guardia ferita.” rispose Richard, il quale fino ad
allora aveva assistito in silenzio ai ragionamenti di Paul, pensando a lungo su
quanto fosse appena accaduto.
Paul si voltò verso di lui per rivolgergli uno sguardo di
profonda approvazione, “Esattamente. Hermes sarà anche un furfante, ma non ha
mai fatto del male a nessuno. Anche quando ha rubato la chitarra di Dylan, ha
fatto in modo che l’auto di scorta sbandasse dopo averla fatta rallentare. Qui
la situazione è diversa.”
Era diversa perché il malcapitato agente si era ritrovato
proprio sull’unica via di scampo che il ladro potesse usare. E quando questi
era sopraggiunto, aveva estratto la pistola e sparato a sangue freddo, senza
neanche prendere la mira. Il poliziotto ferito, Mal Evans, era stato molto
fortunato, dal momento che era stato colpito alla gamba e si era subito
accasciato a terra, lasciando via libera all’uomo.
Ora Mal si trovava nell’ospedale più vicino, trasportato
con urgenza da un’ambulanza, ma fortunatamente non era in pericolo di vita.
“Quindi ci troviamo di fronte a un secondo Hermes?”
domandò Linda.
“Sarebbe più giusto dire che siamo di fronte a un finto
Hermes.” la corresse Paul, “Agisce con lo stesso stile, o quasi, sperando di
farci credere che lui e Hermes siano la stessa persona, ma ormai abbiamo
appurato che non è così.”
“Viene da chiedersi se questo delinquente e il vero
Hermes siano in contatto fra loro.” aggiunse Richard, strofinandosi il meno con
due dita, “Dopotutto abbiamo visto che il nostro uomo ha un complice.”
Paul sospirò, scuotendo vigorosamente la testa, “Lo
ritengo altamente improbabile. Il complice di Hermes non agirebbe mai da solo e
soprattutto in questo modo. Non ne avrebbe motivo.”
“Forse per depistare le indagini?” domandò l’ispettore
capo.
“No, signore, da quello che ho potuto vedere in questi
mesi, Hermes pensa solo ai suoi furti, li programma, colpisce e poi pensa
subito al furto successivo. Non organizzerebbe mai qualcosa del genere con
qualcuno che non ha certamente alcuna remora a usare una pistola.” spiegò Paul,
incrociando le braccia sul petto.
“Bene, McCartney, se ne è davvero convinto, allora siamo
tutti con lei.” commentò Richard, sorridendogli incoraggiante.
Paul gli rivolse un cortese cenno del capo, “Grazie,
signore. Ora dovremmo pensare a un modo per catturare entrambi.”
“Sono d’accordo, e intanto faremo spostare la mostra
nella sede di King Street.” aggiunse Richard, mentre si avviavano verso
l’uscita dell’edificio, “Così potremo svolgere le indagini in tutta
tranquillità, senza che il signor Pinault (1)
venga a lamentarsi delle terribili ripercussioni che questo furto avrà
sulla sua mostra.”
“Comunque…” iniziò
a dire l’agente Eastman, una volta raggiunte le volanti, “Non trovate strano
che il vero Hermes non si sia ancora fatto vivo per rubare qualcosa da questa
mostra?”
“Ha ragione, agente Eastman, è molto strano. In fondo
sono già diversi giorni che la mostra è aperta al pubblico e l’annuncio
dell’asta è stato pubblicato ancora prima.” rispose Richard, aprendo la
portiera dell’auto accanto al conducente, “Lei cosa ne pensa, McCartney?”
Paul non sapeva davvero cosa rispondere, non aveva
assolutamente idea del perché il vero Hermes ancora non avesse annunciato un
furto. In situazioni “normali” a quest’ora l’avrebbe già fatto.
Forse aveva capito che stava succedendo qualcosa di
strano. O forse…
Paul ridacchiò divertito fra sé.
“Forse non gli piacciono i Guns’n’Roses.”
****
“Dio santo, quanto amo i Guns’n’Roses!”
Paul rise quando John esclamò questo. Erano nel retro del
negozio, ma questa volta non suonavano loro.
John aveva sorpreso Paul e l'aveva convinto ad ascoltare un cd del
gruppo statunitense, G N' R Lies, e quando era
partita Patience, John si era lasciato
scappare un verso di chiaro apprezzamento.
Paul era seduto nella sua solita postazione: gli piaceva
ascoltare quel cd con John, ma la cosa più bella era osservare come quel
giovane uomo fosse assorto nell’ascolto della canzone, come tenesse il tempo
con la testa o il piede, come ogni tanto la cantasse o fischiettasse, insieme
al cantante. Era uno spettacolo affascinante a cui assistere, gli sembrava
quasi che John fosse molto più rilassato ora, più a suo agio con Paul. Non che
prima, prima di quella chiacchierata, non lo fosse. Era solo che adesso la
differenza era davvero palpabile. Forse era in John che sorrideva più spesso,
oppure John che scherzava facilmente con Paul.
Ma che importava, in fondo? Erano tante piccole cose che
rendevano il tempo passato con lui così piacevole.
John, dal canto suo, si sentiva anche lui così, così a
proprio agio, come se conoscesse Paul da tutta una vita e non da pochi mesi.
Questo nonostante stesse sforzandosi di mantenere comunque il controllo di se
stesso. Aveva già messo in chiaro con la sua coscienza e soprattutto, con quel
furfante del suo cuore, che doveva darsi un contegno e non lasciarsi andare in
quella nuova, pericolosa amicizia. Un po’ sì, ma non troppo, sia chiaro.
E ci riusciva, ora, ricordando a se stesso che aveva un problema,
un problema di nome “finto Hermes”, o fasullo, o impostore, o come diavolo si
chiamava.
Chi caspita era questo nuovo arrivato? E perché stava
sfruttando il suo nome in quel modo ignobile, impedendogli di compiere quel
furto che John tanto agognava?
Dannazione, era stato così eccitato quando aveva capito
di avere la possibilità di recuperare un cimelio di Slash, tanto che quando
Paul gli aveva detto che avevano ricevuto un avviso di Hermes, dovette
ricorrere a tutte le sue forze per non perdere il controllo e sbraitare e
imprecare perché, cazzo, non era lui!
Così insieme a George avevano deciso di aspettare e
vedere cosa fosse successo, e quello che era successo era una tragedia:
il nome di Hermes infangato da un impostore che aveva addirittura ferito un
agente con un colpo di pistola. John non poteva sopportarlo.
"È un bel cd." disse improvvisamente Paul.
John scosse il capo per destarsi dai suoi pensieri,
"Cosa odono le mie orecchie? Il signor Paul Non-Ascolto-Più-Musica
McCartney sta apprezzando il cd che ho scelto io?"
Paul rise, nascondendosi dietro la mano, "Sì, ma ora
non cantare vittoria."
"No, ma così come io, da quanto mi hai detto, sono
migliorato, anche tu stai facendo passi da gigante." esclamò John,
avvicinandosi per sedersi di fronte a lui e guardarlo negli occhi, "Una
volta ti saresti opposto alla mia proposta o ti saresti sentito male all'inizio
del cd. Invece, guardati ora. Stai benissimo."
John lo indicò con un sorriso fiducioso e Paul arrossì
lievemente, mentre il suo cuore sussultò alla realizzazione che John aveva
appena messo di fronte a lui: non ci aveva mai fatto caso prima, ma Paul non
stava male ora, anzi.
Non aveva palpitazioni di angoscia, ma di gioia; il
respiro non era agitato, ma tranquillo.
Andava davvero tutto bene.
“Sì, è vero.” disse Paul, annuendo, “Ma è merito tuo,
sai, da solo non ce l’avrei mai fatta.”
Poi sorrise verso John, il quale senza pensarci, allungò
una mano per appoggiarla sopra quelle intrecciate di Paul. Erano così calde,
così forti, e John le sentì sulla propria pelle, prima di poterle vedere. E...
Che diamine, che cosa ci faceva la sua mano lì?
Veloce come le aveva raggiunte, John allontanò subito la
sua mano da quelle di Paul, alzandosi per tornare allo stereo e spegnerlo.
“Allora come…” iniziò a dire, schiarendosi la voce
improvvisamente secca, “Come è andata a lavoro? Ho letto che c’è stato un
risvolto inaspettato.”
“Oh, sì, è andata proprio così. Questo furto non è opera
del nostro uomo.” commentò Paul, abbandonandosi allo schienale della sedia.
“Chi è allora?” domandò John e si voltò per guardare Paul
con occhi indagatori.
“Non lo so.” rispose lui, scrollando le spalle, “Ma so
quello che non è, e non è Hermes.”
“Come fai a esserne così sicuro?”
“Ne sono sicuro perché ormai ho capito Hermes, o almeno
il suo stile. Lui non avrebbe mai sparato a uno dei miei uomini.”
John si ritrovò a sorridere nuovamente. Tuttavia, se una
volta questo sorriso sarebbe stato di sfida, perché Paul non avrebbe mai e poi
mai potuto capire appieno Hermes, ora invece era un sorriso di gratitudine, un
sorriso compiaciuto, perché Paul sapeva che lui, o perlomeno Hermes, non si
sarebbe comportato in quel modo.
“La tua sembrerebbe quasi un’affermazione di rispetto
verso quel ladro.” commentò John, mantenendo quel sorrisino sulle sue labbra.
Paul spalancò gli occhi, sorpreso, anzi, profondamente
turbato dalle parole di John, “Rispetto? Verso un ladro? Spero che tu stia
scherzando, John.”
“Intendo dire, rispetto verso quella parte del suo stile,
non verso il suo essere ladro.” ribatté John, “In fondo, non ha mai fatto del
male a nessuno.”
Paul lo fissò, aggrottando la fronte con perplessità,
“Resta comunque un delinquente, non porterò mai rispetto per una persona così.”
La sua promessa suonò stranamente malinconica per John,
fu come una piccola dolorosa stretta al cuore, perché ora sapeva che una parte
di lui voleva essere davvero amica di Paul. Invece quelle parole mostrarono un
così chiaro e categorico rifiuto che John rimase in silenzio per un istante, a
fissare Paul, cercando di capire cosa fare e dire ora, cercando di far
acquietare quei due lati di se stesso che per la prima volta entrarono in
conflitto.
"Beh, in fondo si tratta solo di ladro. Non devi
certo diventare amico suo." scherzò John con una risata nervosa.
"No, infatti."
"Gli amici sono altri."
“Gli amici sono altri.” ripeté Paul, e si lasciò scappare
un sorriso, che ebbe lo straordinario risultato di mettere pace al conflitto
interiore di John.
C'era qualcosa di così forte e allo stesso tempo dolce in
quel giovane. Era un mix pericoloso, con un potere immenso, e John fu molto
sorpreso nel comprendere appieno che effetto avesse su di lui.
"Caspita!” esclamò all’improvviso Paul, quando il
suo sguardo cadde sull’orologio, “È tardissimo."
"Tardi per cosa?" domandò John, incuriosito.
"Devo dare da mangiare a Pepper e telefonare a Jane
prima che parta per Parigi."
John batté le palpebre, sorpreso, “Parigi?”
"Sì.” sospirò Paul, rendendo più che evidente il suo
dispiacere per questa partenza, “Ora è in Scozia per girare uno sceneggiato per
la BBC, ma devono trasferirsi in un set allestito in Francia. Sembra che si
tratti di una co-produzione anglo-francese."
"È piena di lavoro questa ragazza." commentò
John, incredulo, “Beata lei.”
Paul sorrise malinconicamente fra sé, mentre si alzava in
piedi, "Sono contento per lei. La sua carriera sta andando alla grande. Se
lo merita perché ha lavorato tantissimo per arrivare a questo punto."
"Da quanto tempo non la vedi?" domandò John,
non credendo di averlo chiesto davvero.
Gli interessava così tanto quell’aspetto della vita di
Paul? E soprattutto, perché gli interessava?
"Dal mio compleanno."
Ah, ecco perché. Come diavolo faceva a stare così a lungo
lontano da lei? E come faceva Jane a non pensare di passare a trovarlo più
spesso? Che razza di relazione era mai questa?
"È tanto tempo." gli fece notare John.
Paul annuì, perdendo il proprio sguardo sul pavimento,
"Lo so, ma la capisco. E poi se io avessi avuto un lavoro normale, avrei
potuto prendermi dei giorni di ferie per andare a trovarla, ma per ora non
posso assentarmi da Londra."
John annuì, mordendosi il labbro. Ci mancava solo che
fosse colpa sua ora, questo rapporto decisamente freddo tra Paul e Jane.
"E quando dovrebbe tornare?"
"Penso che dovrà stare lì almeno per un mese."
"Non pensi mai che lei potrebbe..." disse John
e terminò facendo un vago gesto con la mano, che Paul evidentemente non capì,
perché gli rivolse uno sguardo di pura perplessità.
"Lei potrebbe cosa?"
"Beh…” iniziò a dire John, scrollando le spalle,
“Lontana da te, potrebbe conoscere qualcun altro."
"No.” protestò accorato Paul, “Non lo farebbe mai.
Siamo lontani e non ci vediamo spesso, è vero, ma non mi tradirebbe mai."
"Scusami, Paul.” disse John, alzando le mani, “Non
volevo intromettermi. È solo che, anche se è così impegnata, se ti amasse
davvero, farebbe di tutto per poter passare più tempo con te."
Paul sussultò lievemente quando udì quel “se ti amasse
davvero”, e cercò di non darlo a vedere, "Ti ringrazio per esserti
preoccupato per me, ma fidati, John. Lei mi ama."
"Tu la conosci meglio.” sospirò John, rivolgendogli
poi un sorriso rassicurante, “Quindi sarà sicuramente così."
"Sì.” mormorò Paul, annuendo più a se stesso che a
John, “Sì, è così. E ora perdonami, ma devo proprio scappare."
"Certo. Non sei arrabbiato, vero?" si affrettò
a chiedere John, balzando in piedi.
"Figuriamoci." rispose Paul, sorridendogli,
"Perché dovrei esserlo?"
"Beh, perché ho insinuato certe cose su te e Jane e
ora capisco che non ne avevo alcun diritto."
"Ma stai tranquillo, John.” lo rassicurò Paul,
“Piuttosto, pensa a studiare il brano che ti ho assegnato oggi. La prossima
volta ti interrogo."
Dopodiché gli fece l'occhiolino, prima di salutarlo e
sparire attraverso la tenda. John rimase fermo al proprio posto, ascoltando Paul
che salutava brevemente George e poi usciva dal negozio. L’istante successivo
il suo amico e compagno di avventure lo raggiunse nella stanza.
"Dunque... Abbiamo a che fare con un finto
Hermes?" chiese George.
"George, dovresti fare qualcosa per questo tuo
continuo origliare, sai?" esclamò John, ridendo divertito, "Comincia
a diventare inopportuno."
"E per quale motivo?” domandò George, accigliandosi,
“Che segreti vi scambiate che io non posso sentire?"
"Niente, figurati, ma...” iniziò a rispondere John,
ma poi si rese conto che la sua fosse stata un’affermazione decisamente
sciocca, e sospirò, “Oh, lascia perdere. E pensiamo a questo finto
Hermes."
"Cosa dobbiamo fare?"
"Non lo so. Per adesso possiamo solo aspettare la
sua prossima mossa." commentò amaramente John, abbandonandosi sulla sedia.
"Come fai a sapere che agirà ancora?"
John intrecciò le mani sul grembo, voltandosi verso la
finestra che dava sulla strada, "Lo so perché lui non è me."
E da quella
finestra, osservò Paul entrare in casa sua e poi chiudere la porta.
"Lo so perché sono io il vero Hermes."
****
Il Pinnacle, soprannominato Helter Skelter, era
uno dei grattacieli più famosi di Londra. Aveva la forma caratteristica di uno
scivolo a spirale, e con i suoi sessantatré piani spiccava indubbiamente nello
skyline di Londra.
Le gallerie e gli uffici della casa d'asta Christie's erano in tutti gli ultimi dieci piani del
grattacielo. Si trovavano letteralmente a un passo dal cielo. E se qualcuno,
uno come Hermes o il suo doppione avesse provato a infiltrarsi per rubare
qualche cimelio dalla mostra di Slash, beh, sarebbe caduto in una trappola.
Praticamente non vi erano vie di fuga. A meno che uno dei due non fosse capace
di volare.
Paul rise fra sé, ma che stava pensando? Nessuno poteva
volare. No, questa volta non avrebbero rubato proprio nulla. Anzi, Paul sapeva
che sarebbe riuscito a mettere le sue mani su Hermes. O perlomeno sulla sua
brutta copia. Era arrivato un nuovo messaggio, la settimana prima, che avvisava
la polizia di un altro furto che avrebbe colpito quella mostra così appetitosa.
Non sapevano con certezza da chi potesse arrivare. Forse il vero Hermes aveva infine
deciso di agire anche lui e recuperare un souvenir dalla mostra. Oppure era da
parte di quello fasullo e Paul era assolutamente convinto di questa idea. Per
quanto scaltro e insolente, il vero Hermes era anche prudente e non avrebbe
rischiato di farsi arrestare per un soggetto che era già stato colpito una
volta.
Ora Paul si trovava al penultimo piano del grattacielo e
stava guardando dalla vetrata l'intera città di Londra stendersi sotto di lui,
mentre il caldo sole estivo spariva lentamente all'orizzonte. Era una visione
che metteva i brividi, e Paul ringraziò di non soffrire di vertigini,
altrimenti quella sarebbe stata una vera impresa per lui, lavorare a 288 metri
di altezza. Santo cielo!
C'era anche qualcosa che lo aiutava a… restare con i
piedi per terra, per poter affrontare meglio il suo lavoro: era il
portachiavi a forma di chitarra che rigirava in quel momento tra le sue mani,
il portachiavi regalatogli da John. Sorrise al ricordo di quando John si era
mostrato preoccupato per la sua difficile relazione a distanza con Jane. Era
stato molto gentile da parte sua; preoccuparsi era qualcosa che facevano i veri
amici e Paul non poteva che esserne felice. Sapere di avere il suo aiuto, il
suo sostegno per affrontare la sua vita a Londra, con tutti i problemi che
comportava, quelli di lavoro o la lontananza da Jane, rendeva tutto più
sopportabile e anche più facile.
“Che carino.” esclamò una voce femminile accanto a lui.
Paul sussultò lievemente, per essere stato sorpreso nei
suoi pensieri, e si voltò per vedere il bel viso di Linda fissare con interesse
l’oggetto che aveva tra le mani.
“Oh, grazie.”
“E’ un portachiavi?”
“Sì, me l’ha regalato un mio amico. Come portafortuna.”
aggiunse Paul, lasciandosi scappare una risata, mentre ricordava le parole di
John.
“E funziona?”
“Per adesso non proprio, se devo essere sincero.” rispose
Paul con un sospiro rassegnato, “Ma ce l’ho da poco, quindi, diamogli tempo.”
Terminò facendole l’occhiolino e lei ridacchiò,
portandosi una mano davanti alla bocca.
“Beh, intanto ha fatto in modo che il nostro Mal sopravvivesse
all’aggressione del ladro.” gli fece notare subito dopo.
“Hai ragione, è già un risultato.” ammise lui,
sorprendendosi di non aver preso in considerazione quel particolare.
Se Mal fosse morto sarebbe stata innanzitutto una vera
tragedia, e inoltre, Paul sapeva che la colpa sarebbe ricaduta su di lui,
perché era il responsabile di quel caso.
Linda gli sorrise dolcemente, voltandosi meglio verso di
lui ora, “Ho saputo che è andato a trovarlo in ospedale.”
Paul annuì, abbassando il capo e riportando lo sguardo
sull’oggetto tra le sue mani, “Sì, l’altro giorno, con l’ispettore Starkey.”
“E’ stato molto gentile da parte sua.”
“Ho fatto solo quello che sentivo.” commentò Paul,
scrollando le spalle, “Lui stava solo facendo il suo lavoro quando ha cercato
di fermare il ladro, e noi rispettiamo lui e l’impegno che dimostra ogni giorno.
La nostra visita voleva semplicemente dimostrare questo.”
“Sì, beh, ma…” iniziò a dire lei, avvicinandosi e
appoggiando una mano sul suo avambraccio, “Altri non l’avrebbero fatto, perciò volevo
solo dirle che io la rispetto molto, signore.”
“Grazie.” disse Paul, sottraendosi al suo tocco gentile
per controllare l’orologio, “Sarà meglio ora che raggiungiamo tutti le nostre
postazioni. È quasi l’ora X.”
Linda sospirò, prima di annuire, “Sì, signore.”
Paul la guardò andare via, ripensando alle sue parole: il
portafortuna aveva funzionato?
Gli stava davvero dando un aiuto?
Paul non lo poteva ancora affermare con certezza, ma
sentiva che in qualche modo l’avrebbe scoperto solo a fine serata, perché era
ora sicuro che proprio quella sera avrebbe catturato almeno uno dei due
possibili Hermes.
****
Il vento di quella sera di inizio luglio era piuttosto pungente.
Forse era dovuto al fatto che il sole fosse ormai
tramontato da un paio di ore.
O forse, anzi, molto probabilmente era dovuto a quelle
centinaia e centinaia di metri che separavano John dalla terra.
Stava letteralmente sorvolando Londra con un deltaplano e
caspita, era davvero molto in alto.
Aveva provato altre volte questa esperienza, ma ogni volta l’emozione di vedere
quella città stendersi sotto il suo corpo perfettamente allineato con
l’orizzonte faceva venire i brividi.
“John, pensaci bene, per favore.” disse all’improvviso la voce di George,
dall’auricolare, “Sei ancora in tempo per cambiare idea.”
“Ho già pensato bene, grazie, George. E no, non voglio
cambiare idea.” rispose John, sorridendo alla domanda dell’amico.
“Ma quell’avviso..” continuò
George, “Potrebbe essere una trappola.”
“Un trappola?”
“Sì, non hai pensato che magari questa possa
essere solo una messinscena della polizia per attirarti in quel cazzo di
grattacielo e arrestarti?” gli fece
notare George, particolarmente accorato.
“Oh, mio caro George, non hai sentito le parole di Paul?”
sospirò lui, scuotendo il capo in rassegnazione, anche se George non poteva
vederlo, “Perché avrebbe dovuto dirmi quelle cose, se fosse stata una
messinscena?”
“Resta comunque un’azione pericolosa.” sbottò l’amico.
Sembrava stranamente agitato
questa volta, ma John non aveva alcuna intenzione di ritirarsi e annullare
tutta l’operazione.
“Dobbiamo venirne a capo, George. Non posso tollerare uno
che agisca indegnamente usando il mio nome. È una questione di principio.”
Per non parlare del fatto che ormai fosse tardi per un
ripensamento, dal momento che era quasi arrivato all’Helter Skelter. Aveva deciso di arrivare
dall’alto perché sicuramente nessuno avrebbe immaginato che Hermes potesse calarsi
dal cielo.
“Oh, John.”
“Fidati, andrà tutto bene.” lo rassicurò John, “Sono o
non sono il famigerato Hermes?”
George sospirò, “Sì.”
“Bene, allora, rilassati ora, amico mio, stiamo per
entrare in azione.”
“Cerca di stare attento.”
“Non ti preoccupare.” ribadì John con tutta la
tranquillità che poteva recuperare dentro di lui, “Pensa piuttosto a essere qui
al momento giusto.”
“Ci sarò.”
John sorrise fra sé, e poi finalmente si preparò
all’atterraggio. Inclinandosi lievemente da un lato, fece un giro di ricognizione
per avere un idea di come fosse il tetto. Di sicuro, non era un tetto fatto per
un atterraggio di questo tipo. Ma d’altra parte, chi mai avrebbe potuto
progettare una pista d’atterraggio su uno dei grattacieli più eccentrici di
Londra?
Infine decise di calarsi definitivamente e appena giunto
in prossimità del tetto, allungò le gambe per frenare. Peccato che appena
toccato il suolo con i piedi, inciampò e franò a terra. Un sonoro crac gli comunicò che aveva appena rotto
la punta destra del deltaplano.
“Porca
put-”
“Tutto a posto, John?” domandò George.
“Sì, sì, tutto a posto. Solo un...” iniziò John,
alzandosi in piedi e pulendosi i pantaloni, “Un sassolino che mi ha fatto
inciampare.”
“Un sassolino? Come c’è finito un sassolino a
300 metri sopra Londra?” domandò George, ridendo.
“Non ho tempo ora per le tue domande esistenziali,
George.” gli fece notare, slacciando tutta l’imbracatura che lo legava allo
strumento di volo.
“Come vuoi, ma sei sicuro di stare bene?”
“Sto bene, George, mai stato meglio di così.” lo
tranquillizzò John, “Adesso cerco l’apertura del condotto di aerazione e poi
siamo dentro.”
“Indossa la bandana, non si sa mai cosa possa
accadere.”
“Sissignore, signore."
John, finalmente libero da corde e caschi e tutto
l'equipaggiamento necessario per il volo, si stiracchiò e poi si concentrò sul
tetto di quel grattacielo. La base era di forma rettangolare e solo un lato,
uno di quelli più corti, era completamente esposto all'aria. Da uno dei due lati
più lunghi partiva una vetrata concava che circondava l’edificio e si innalzava
sempre più verso il cielo fino a terminare sul lato parallelo in una sorta di punta
metallica. Proprio da quella parte c'era una piccola porta che con grande
gioia, John scoprì essere aperta. Questa dava su una rampa di scale che molto
probabilmente percorreva l'edificio in tutta la sua lunghezza. Sarebbe stata
quella la sua via di fuga, se le cose fossero andate male. Di fianco alla rampa
di scale, c'era l'ascensore ma era fuori questione usarlo. Sicuramente sarebbe
stato sorvegliato con una telecamera e questa volta George non ne aveva il
controllo.
E poi John lo vide, il condotto di areazione. Si avvicinò
per esaminarlo: non sembrava particolarmente stretto. John poteva passarci in
tutta tranquillità. Ok, non era un fuscello e qualche chilo in meno sarebbe
stato ben accetto, ma non era neanche così grosso.
Ridestandosi da quei pensieri che erano più adatti a una
palestra piuttosto che al luogo di un furto, John si apprestò a rimuovere la
grata che chiudeva il condotto di areazione e lo appoggiò per terra senza far
rumore. Poi sistemò la piccola sacca che portava sulle spalle, spostandola sul
petto e si arrampicò dentro.
Lo spazio era decisamente angusto e claustrofobico, ma
era importante che lui restasse calmo e che respirasse tranquillamente per non
farsi prendere dal panico. Insomma, anche il grande Hermes poteva lasciarsi
andare a queste crisi e rovinare tutto. Poteva essere scaltro e sfrontato
quanto voleva, ma era pur sempre un essere umano con i suoi punti deboli.
Quando si convinse che non c'era motivo per cui dovesse
agitarsi (e ci riuscì ricordando a se stesso cosa lo aspettava un paio di piani
più in basso), cominciò ad avanzare cercando di fare meno rumore possibile,
strisciando con movimenti felpati e facendo attenzione a non urtare contro le
pareti.
Arrivato in fondo al cunicolo, si fermò e si sedette. Il
condotto proseguiva in verticale verso il basso e non se ne vedeva la fine.
John aprì la sua sacca e ne estrasse un congegno tecnologico che aveva portato
con sé proprio per questa fase del piano: era una sorta di bobina che lo
avrebbe aiutato a calarsi nel condotto. Lo attaccò sulla parete superiore e poi
tirò l'estremità con il moschettone per agganciarlo alla cintura in vita. Con
un paio di strattoni violenti si assicurò che il congegno con la bobina
sostenesse il suo peso e poi, sentendo un tuffo al cuore, si lasciò andare nel
vuoto.
Imprecò mentalmente, mentre allontanava qualunque timore
per quella situazione precaria, cercando di non pensare che se il congegno
avesse ceduto, lui sarebbe stato un uomo morto e Julian un orfano di padre.
Così si appoggiò con la schiena ad una parete e puntò i piedi ben saldi dalla
parte opposta, prima di iniziare la sua lenta e attenta discesa. Oltrepassò il
cunicolo che si stendeva sopra l'ultimo piano del grattacielo. Era già a metà
strada e per ora stava andando tutto bene. Ottimo.
Proseguì verso il basso, mentre le mani sudavano
copiosamente e il cuore batteva forte nel petto, echeggiando nel condotto
stretto e silenzioso. Imbecille, così
li avrebbe fatti scoprire.
Fortuna che ormai era arrivato. Si arrampicò dentro il
secondo cunicolo incontrato nel tragitto e quando fu al sicuro, sganciò il
moschettone dalla cintura, accompagnando il gesto con un sospiro di sollievo.
Strisciò nuovamente in silenzio, pensando che proprio
sotto di lui vi era la più grande mostra di cimeli che avesse mai visto. In
altre occasioni sarebbe stato difficile scegliere, ma trattandosi di Slash,
John sapeva bene cosa rubare: una delle sue famose tube che indossava sopra
quei ricci neri e indomabili.
C'era solo un problema.
Qualcuno era arrivato prima di lui.
La grata sul lato del condotto sopra cui stava scivolando
John era già stata rimossa e appoggiata di lato.
E John sapeva che potesse trattarsi solo di
quell'impostore.
Si morse il labbro, pensieroso. Era rischioso, dal
momento che questo finto Hermes poteva essere aggressivo anche verso di lui, ma
John non avrebbe permesso che quella sua farsa continuasse a infangare il suo
nome.
Presa la sua decisione, si chinò e cercò di dare
un'occhiata a cosa stesse accadendo all'interno della stanza. Questa era ben
illuminata e per la miseria, quante
cose meravigliose c'erano: vestiti, ciondoli, catene, chitarre, miniature di dinosauri
e...i cappelli a tuba!
John notò anche una piccola porta secondaria dalla parte
opposta a quella principale e lì, di fianco, tre guardie legate, imbavagliate e
addormentate in angolo. Probabilmente il suo doppione li aveva fatti fuori con
qualche gas soporifero.
Poi John lo vide. Era un uomo alto e snello, indossava
una felpa col cappuccio, proprio come John e sul volto aveva una bandana. Stava
aggirandosi fra le tube e ne aveva adocchiata una che John sperava di poter
trovare: una tuba nera completamente rivestita da borchie.
Quando l'uomo allungò una mano per toccarla, John non
esitò. Sollevò sul viso la propria bandana e si tuffò nella stanza.
"Fermo dove sei."
L'uomo si bloccò per un istante con la mano a mezz'aria,
prima di sorridere e voltarsi verso di lui.
"Speravo venissi, caro il mio Hermes."
John batté le palpebre in confusione, mentre l'uomo lo
fissava con uno sguardo eccitato e un sorriso soddisfatto che sicuramente si
trovava al di là della bandana. Sembrava molto giovane, forse coetaneo di John,
ma non c’era tempo da perdere in queste riflessioni. John doveva sapere.
"Chi sei?"
"Mi chiamo Brian Epstein.” rispose l’uomo, “E sono
un tuo ammiratore."
"Un ammiratore?"
Brian annuì lentamente, chiudendo gli occhi per un
istante, "Sì. Ti seguo dai tuoi primi furti. Sei una creatura
straordinaria, Hermes. Il tuo stile mi fa impazzire: sei geniale, astuto e
riesci a farla franca, nonostante la polizia sia sempre lì ad aspettarti."
"Stai scherzando?" domandò John, quasi ridendo
per l’assurdità delle sue parole.
Come poteva un uomo qualunque provare ammirazione per un
delinquente come lui?
Insomma, ovviamente John sapeva di essere un grande in
quello che faceva, ma non avrebbe mai pensato di avere degli ammiratori. Uno
che sembrava anche molto strano da quello che lui poteva vedere.
"Come potrei scherzare ora che finalmente sto
parlando con te?! Sono così felice che tu ti sia accorto di me, non puoi
immaginare quanto."
John spalancò gli occhi. Le parole di Brian lasciavano
intendere che...
"Aspetta, mi stai dicendo che hai organizzato tutto
questo solo per attirarmi qui e incontrarmi?"
"Sì.” confermò Brian, lanciandogli uno sguardo di
pura estasi, “Sapevo che se avessi iniziato a copiare il tuo stile, prima o poi
saresti intervenuto."
"Ma... Perché?"
"Perché sei il mio idolo e volevo conoscerti e
chiederti di permettermi di aiutarti nei tuoi futuri progetti." spiegò
Brian, come se fosse qualcosa di così naturale, che John avrebbe dovuto
accettare senza pensarci due volte.
Ma John aveva ben altre risposte in mente.
"Non se ne parla." gli disse, mentre si
avvicinava al cappello che aveva intenzione di portare a casa.
Brian, totalmente preso in contropiede, lo guardò spalancando
gli occhi, "Cosa? Perché? Ho imparato il tuo stile. Insieme possiamo fare
grandi cose."
"Tu non hai imparato proprio un cazzo.” sbottò John,
senza nascondere tutta la sua irritazione, “Hai mandato in ospedale un
poliziotto sparandogli alla gamba. Io non sono così. Non metto a rischio la
vita di altre persone. Quindi te lo puoi scordare."
"Ma io-"
"Ma niente.” esclamò John, stringendo il cappello
fra le mani e osservandolo con più interesse di quanto stesse dimostrando
all’uomo dietro di lui, “Tu sei pazzo, sei completamente fuori di testa,
lasciatelo dire e-"
Un rumore metallico, un rumore simile a una pistola che
veniva caricata lo fece sussultare all'improvviso. John, con il cappello in
mano, si voltò ritrovandosi con l'arma puntata in faccia.
Il suo cuore perse un battito e il silenzio assordante di
quell'istante gli fece credere di essere già morto. Ma no, non era morto e
poter sentire la risata sardonica di Brian era una prova sufficiente.
"Tu credi ora di poter rifiutare la mia proposta, e
poi sgattaiolare via così, come se niente fosse successo?"
"Brian..."
"Non puoi farla franca. Sai, prima di venire qui ho
pensato, 'Gli conviene proprio accettare la mia offerta, altrimenti sarò
costretto a ucciderlo'."
Lo sguardo che Brian gli rivolse fu di pura follia e John
si sentì sbiancare in volto, ma cercò comunque di restare calmo e prendere
tempo.
"Non lo faresti davvero."
"Tu dici? In fondo ho già sparato a un poliziotto e
ora tu sai la mia identità. Se non collabori con me, dovrò proprio premere il
grilletto. E poi, a quel punto, io diventerò l'unico vero Hermes."
Dannazione. Le cose si mettevano male e John non poteva
neanche sperare nell'aiuto di George; l’amico, con molta probabilità, stava
ascoltando tutta la conversazione, incredulo, sentendosi incredibilmente
impotente. Cosa poteva fare lui ora per John?
Tuttavia, l'aiuto arrivò dalla persona da cui John poteva
aspettarsi tutto, tranne quello.
La porta della sala si spalancò e dentro irruppero tre
persone, una delle quali era...
Paul!
"Fermi. Mani in alto!" esclamò il giovane
ispettore, puntando una pistola che per John era mille volte più sicura.
Paul non avrebbe mai sparato ad altezza uomo. Ne era
certo. Lui non era folle come Brian.
Ma ora John non poteva perdersi in tali sentimentalismi,
doveva pensare piuttosto a come scappare e raggiungere il tetto. Si ricordò
della porta secondaria che aveva visto dall'altra parte della stanza. Era
un'incognita pericolosa, John non sapeva dove portasse, ma tutto era meglio
dell'altra uscita.
Così più veloce di un fulmine, approfittando della
distrazione momentanea di Brian, John scappò, correndo a perdifiato verso
quella porta.
E mentre sentiva Brian imprecare e Paul ordinare ai suoi
uomini di placcare l’impostore, John si accorse che la porta aveva una maniglia
antipanico, e l'insegna verde e luminosa in cima indicava che quella fosse
un'uscita di sicurezza.
Una sicurezza, certo, la sicurezza della salvezza di
John.
La spalancò, stringendo bene il cappello nella mano, e
spuntò sulla rampa di scale che aveva visto al suo arrivo. Era la sua giornata
fortunata.
Si precipitò su per le scale, sentendo passi concitati
dietro di lui che salivano gli scalini.
"George, ho davvero bisogno del tuo aiuto ora."
"Sto arrivando e comunque, ti ho già
aiutato."
"E in che modo?” domandò John, il respiro già
affannato, “Perché non me ne sono accorto."
"Ho mandato un sms a Paul da un numero
riservato, avvisandolo che c'erano i due Hermes nella sala della mostra."
"Ah grazie, George. Un gran bell'aiuto."
commentò John, senza poter nascondere il suo sarcasmo.
"Beh, sei ancora vivo o sbaglio?!"
Ma prima che John potesse rispondere, si udì due spari
provenire dal qualche parte da dove era venuto lui, e John saltò per lo
spavento. Cazzo!
Imprecò decisamente spaventato ora; non sapeva cosa fosse
successo, né chi avesse sparato, ma lui continuò solo a correre incurante della
fatica e del cuore che batteva come un forsennato.
"Ancora per poco, a quanto pare." esclamò John
per informare George, ancora all’ascolto.
Finalmente arrivò in cima e si affrettò a raggiungere il
tetto. Il deltaplano era fuori uso e di George neanche l’ombra.
"George, dai, cazzo. Muoviti."
sbottò, sentendo tutti i muscoli del corpo fremere per l’agitazione.
"Ci sono, ci sono."
Ma ogni secondo sembrava per John un’ora di
attesa. E quando qualcuno sopraggiunse dietro di lui, John si voltò, sentendo
l'adrenalina scorrere nelle sue vene come un fiume in piena.
"Fermati.” disse la voce di Paul.
Era una voce decisa e autorevole, ma aveva
anche, stranamente, una punta di dolcezza e questo bloccò John al proprio
posto.
“Arrenditi ora, sei in trappola.”
John osservò Paul che puntava la sua pistola
contro di lui. La mano era ancora ferma, ma si vedeva su tutto il volto di Paul
che lui non avesse alcuna intenzione di sparare.
“So che non sei stato tu, la scorsa volta, tu
non avresti mai sparato a uno dei miei poliziotti, vero?” domandò, avvicinandosi
pericolosamente a John, “Se ti arrendi ora, mi assicurerò che non ricada tra i
tuoi capi d’accusa.”
John non era proprio in grado di muoversi,
Paul si avvicinava sempre più, ancora qualche passo e avrebbe potuto scoprire
che l’uomo davanti a lui, Hermes, era proprio il suo amico John.
L’unica cosa che John potesse fare, era
sperare nel tempestivo arrivo di George. Oppure in un altro tipo di aiuto, come
l’arrivo di Brian, che sopraggiunse dietro Paul, strinse un braccio intorno al
suo collo e lo colpì in testa con il calcio della pistola.
La testa di Paul ricadde in avanti come a
peso morto.
Aveva perso i
sensi.
****
C'era un dolore acuto che continuava a inviare impulsi
fastidiosi ai suoi nervi e c'erano anche un ronzio in lontananza e un fischio
insopportabile che risuonavano nella sua testa.
Strani rumori che si intrecciavano con una voce di uomo.
"Dammi quel cappello e unisciti a me. È la tua
ultima possibilità."
"Altrimenti?" disse una voce soffocata.
"Altrimenti ucciderò l'ispettore."
Paul avrebbe voluto decisamente protestare a quella
affermazione. Non aveva molta intenzione di morire, ma d'altra parte decise di
non cercare di liberarsi, per evitare di far innervosire l'uomo e fargli
perdere la testa. Era ancora una possibilità.
"E perché dovrebbe importarmi?"
"Perché come hai detto tu, non è nel tuo stile. Vuoi
sconfiggerlo con la tua abilità, non uccidendolo. Ma se non accetti la mia
offerta, gli sparo in testa e poi darò la colpa a te."
Paul sentì il cuore aumentare il proprio ritmo. No,
doveva trovare un modo per liberarsi e salvarsi. Doveva trovare un aiuto, ma
chi?
I suoi due uomini che avevano fermato l’impostore che
fine avevano fatto? Avevano lasciato fuggire quell’uomo, allora forse era
successo loro qualcosa? Forse quel finto Hermes aveva sparato anche a loro, e
se fosse stato così, stavano bene ora?
E quanto impiegavano gli uomini dagli altri piani a
venire in suo aiuto?
Non c’era nessuno che potesse aiutarlo in quel momento, a
parte…
Ecco, forse qualcuno c'era: il vero Hermes.
Paul aprì gli occhi e subito incrociò quelli chiari della
sua preda. Lo fissò intensamente e a lungo, cercando di trovare in lui
un'umanità che Paul era sicuro lui avesse. Lo fissò come se volesse chiedergli
di ricambiare quella fiducia che lui aveva riposto nel ladro, quando aveva
subito rifiutato l'ipotesi che fosse stato lui a sparare a Mal Evans.
E l'altro uomo, suo nemico, capì.
"Va bene. Tieni." esclamò e lanciò verso di lui
il cappello di Slash.
Questo cadde ai loro piedi con un rumore metallico dovuto
alle borchie, e Paul sentì il falso Hermes ridere un po', mentre il ronzio
nella sua testa divenne sempre più vicino. Quanto forte l’aveva colpito quel
furfante?
"Ora di' che collaboreremo insieme e questo sbirro
sarà salvo."
Paul osservò il ladro di fronte a sé, mentre si mordeva
il labbro e chinava il capo.
Poi quel fastidioso ronzio divenne davvero assordante,
sembrava un rumore di eliche, anzi, più precisamente, di elicottero. E pochi
secondi dopo, dietro il vero Hermes, apparvero due fari accecanti che
abbagliarono Paul. Lui chiuse gli occhi istintivamente e forse anche
l'impostore fece la stessa cosa, perché Paul si sentì libero finalmente e cadde
a terra.
Quello che accadde dopo fu qualcosa di estremamente
concitato. Hermes si avventò sul suo doppione, atterrandolo e disarmandolo,
lanciando la pistola il più lontano possibile dall’uomo.
Paul, ancora a terra, cercò di riacquistare parte della
vista e riuscì a scorgere Hermes mentre colpiva in testa l'altro uomo, il quale
perse i sensi.
Poi il ladro recuperò in fretta il cappello di Slash e lo
indossò. E quando fece per andarsene, si voltò verso Paul e gli occhi si illuminarono,
come se dietro quella bandana stesse sorridendo, beffardo. La sua mano si mosse
verso il cappello, sollevandolo un po' mentre gli rivolgeva un profondo
inchino. Restò in quella posizione per qualche istante, come se stesse
aspettando qualcosa. Paul sbatté le palpebre confuso, incapace di muoversi:
qualcosa lo tratteneva dall'alzarsi in piedi e arrestare l'uomo a cui dava la
caccia da mesi, che ora era proprio lì, pronto per le manette e per lui. Ma
quando il ladro si accorse che Paul non aveva intenzione di fare alcunché, alzò
il busto e Paul, infine, lo guardò scappare. L'uomo si arrampicò su una
scaletta che pendeva dall'elicottero, e subito dopo sparì inghiottito
dall'oscurità della notte.
Paul scosse il capo, recuperando l’uso delle gambe e
della vista, e si alzò in piedi ancora un po' intontito. Mentre sentiva rumori
provenire dalle scale, si mosse verso il finto Hermes e lo bloccò con le
manette ai polsi. Ce l’aveva fatta. Aveva arrestato almeno uno dei due
delinquenti a cui dava la caccia, quello che senza dubbio era il più
pericoloso.
Poi, finalmente, fu raggiunto dai rinforzi.
“Sta bene, signore? Cos'è successo? Quale dei
due è questo?”
Erano tutte domande giuste in quel momento.
Eppure in quel
momento, c'era una questione più importante per cui Paul non poteva che
tormentarsi.
Questo non era stato un furto come altri fra quelli di
Hermes.
Questa volta era stato diverso.
Hermes non era scappato.
Paul gli aveva permesso di
scappare.
E volente o nolente, era una differenza importante.
(1)- Il signor François-Henri Pinault è il figlio del magnate francese François Pinault, proprietario della casa d’asta Christie’s.
Note dell’autrice: hola!
Eccoci qua, oggi è venerdì, e quindi giorno di aggiornamento.
Allora, questo capitolo è un
po’ sovrannaturale. Ho cercato di rendere tutto molto realistico, ma non credo
di esserci riuscita. L Comunque la casa
d’asta Christie’s esiste davvero, così come il
grattacielo che è davvero soprannominato Helter Skelter. Ovviamente tra i molti grattacieli di Londra, non
potevo non scegliere questo. ;)
Inoltre, Slash ha davvero
messo all’asta tutti quegli oggetti per beneficienza. E sì, c’erano anche i
dinosauri. xD
Tutto il resto è inventato.
Ho inserito anche Brian, mi
sembrava adatto a essere il fanatico di Hermes. Cucciolo lui. :3
Bene, grazie a kiki per la correzione. Grazie a ringostarrismybeatle,
per il supporto ma anche perché è merito suo se ho scelto i Guns’n’roses
per questi due capitoli, e mi ha anche corretto il modo di scrivere del gruppo.
Grazie a _SillyLoveSongs_ che mi incoraggia sempre
moltissimo. :3
E grazie a paulmccartneyismylove,
lety_beatle e ChiaraLennonGirl
per le dolci parole.
Prossimo aggiornamento, “Good day sunshine”,
venerdì prossimo.
Kia85